Dal death/doom metal degli esordi al metal melodico delle ultime uscite, gli Amorphis hanno ormai alle spalle trentadue anni di carriera e hanno più volte dimostrato che la loro ispirazione non è rimasta ferma al capolavoro “Tales From The Thousand Lakes”, ma si è evoluta disco dopo disco pur non allontanandosi troppo dalle proprie radici musicali. Il nuovo album della band è uscito da qualche settimana e, come prevedibile, ha diviso gli ascoltatori, tra chi lo considera l’ennesima perla di una discografia eccezionale e chi, invece, una ripetizione, seppure ben confezionata, di sonorità già sentite. Sicuramente, però, “Halo” è un disco complesso, studiato nei minimi dettagli, sul quale ha lavorato un team di tutto rispetto (e non si parla solo dei musicisti) e che ha alle spalle una storia che merita di essere raccontata.
Ne abbiamo parlato, qualche giorno prima della sua pubblicazione, con un Esa Holopainen non proprio in formissima, ma disponibile, entusiasta e sorridente. Buona lettura!
CIAO ESA, E BENVENUTO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM. PRIMA DI TUTTO, COME STAI?
– Grazie a voi. Sto bene, anche se ieri sono risultato positivo ad un tampone; in ogni caso non ho quasi niente per ora, solo come una specie di leggera influenza. Ma magari domani mattina mi sveglierò urlando, chi lo può dire (ride, ndR).
ERO TRA I FORTUNATI CHE HANNO POTUTO ASCOLTARE “HALO” A NOVEMBRE DURANTE LA LISTENING SESSION E PARTECIPARE ALLA CONFERENZA STAMPA (l’intervista è stata raccolta a fine gennaio, NDR). IL VOSTRO PRODUTTORE, JENS BOGREN, HA DETTO CHE SI TRATTA DEL VOSTRO ALBUM PIU’ POP, MENTRE L’IMPRESSIONE GENERALE E’ CHE, D’ACCORDO CON LA BAND, SI TRATTI DI UN DISCO MOLTO METAL. QUAL E’ LA TUA OPINIONE PERSONALE AL RIGUARDO? PARLANDO DI JENS BOGREN, QUANTO E’ IMPORTANTE IL SUO LAVORO SU QUESTO DISCO?
– Continuo a pensare che “Halo” sia più metal se lo si confronta, per esempio, con un album come “Queen Of Time”. E’ divertente che, invece, Jens insista a dire che si tratta di un album più pop (ride, ndR); in ogni caso, saranno gli ascoltatori a decidere, quando il disco sarà in giro, e penso che dovranno per forza trovarlo più heavy.
Lavorare con Jens è magnifico, avevamo proprio bisogno di poter disporre ancora una volta della stessa squadra di produzione, per essere al massimo sotto tutti gli aspetti. Il timore principale era quello di fare un passo troppo lungo per ciò che sono gli Amorphis e produrre una sorta di musical di Broadway (ride, ndR) ma alla fine ne è uscito un grande album, sono davvero contento. Penso si debba ascoltarlo almeno un paio di volte per capirlo ed andare più in profondità, al contrario di “Queen Of Time” che, invece, era accessibile al primo approccio.
L’IMPRESSIONE E’ CHE CI SIANO, PIU’ CHE NEL RECENTE PASSATO, ANCHE MOLTI RIFERIMENTI ALLA PARTE INIZIALE DELLA VOSTRA CARRIERA ED AI VOSTRI PRIMI ALBUM. E’ CORRETTO?
– Assolutamente. Quando ripenso all’inizio della nostra carriera – si parla ormai di più di trent’anni fa – sembra come se adesso stessimo vivendo un’altra vita, anche se mi ricordo chiaramente tutto, quando abbiamo composto i vari album, i tour, i singoli show e le sessioni di registrazione, è passata una vita, ma penso sia fantastico essere ancora qui. E sono sicuro che gli elementi base di “The Karelian Isthmus” o di “Tales From The Thousand Lakes” siano tuttora presenti nel nostro lavoro; c’è sempre il nucleo da cui siamo nati, le radici della musica degli Amorphis.
PENSI CHE IL TUO LAVORO DA SOLISTA DELLO SCORSO ANNO, L’ALBUM USCITO A NOME SILVER LAKE, ABBIA AVUTO UN’INFLUENZA SULLA COMPOSIZIONE DI “HALO”?
– Non esattamente, per me sono due progetti completamente distinti. Mentre in Silver Lake ho inserito influenze musicali che sono estranee agli Amorphis, nelle session per “Halo” ero focalizzato sullo scrivere musica per la band. Il fatto è che sono saltato direttamente da un’esperienza all’altra e sono contento di essere stato in grado di fare ciò, di realizzare due grandi album negli ultimi due anni di lavoro. A livello personale ha salvato la mia sanità mentale, compensando la mancanza di tour e concerti che non abbiamo potuto tenere causa pandemia e facendomi vivere una sorta di vita normale. Ora che posso suonare con i miei compagni di band e con altri amici mi rendo conto di essere felice.
PENSI CHE ANCHE IL MOOD DELL’ALBUM SIA STATO INFLUENZATO DAL FATTO DI ESSERE STATO SCRITTO DURANTE LA PANDEMIA?
– Una cosa che ti posso dire è che ognuno di noi era veramente molto produttivo ed attivo in quel periodo, quando si è trattato di scrivere i pezzi. Avevamo circa trenta brani in versione demo ed a ciascuno di essi hanno contribuito tutti i membri della band, probabilmente perché ognuno aveva del tempo e delle motivazioni extra che ha incanalato nella creatività, e penso sia stata una buona cosa. E’ l’unico lato positivo della pandemia, molte altre band hanno prodotto più musica del solito. Quando in Europa questa situazione sarà finita e sarà possibile suonare ancora dal vivo ci sarà il caos, con gruppi che cercheranno di prenotare concerti in locali e club che non esisteranno più e, se ancora esisteranno, saranno pieni per mesi.
POSSIAMO DIRE CHE IL RIFFING IN “HALO” E’ PIU’ PESANTE CHE IN PASSATO? IN PARTICOLARE, AD INCURIOSIRE E’ “THE WOLF”, CHE SEMBRA QUASI UN PEZZO THRASH E LO STESSO TOMI JOUTSEN HA DETTO CHE IN ESSO SI SENTE L’INLFUENZA DEI METALLICA.
– E’ vero, quel pezzo ha un gusto molto old-school. All’inizio pensavo fosse troppo, ma Jens adorava il riff principale e tutto ciò che gli stava nascendo intorno, così ha iniziato ad esplorare ancora più in profondità cosa sarebbe potuto succedere con gli arrangiamenti; ed alla fine è uscito qualcosa di grandioso. Ero molto sorpreso quando ho ascoltato la versione definitiva del pezzo, grazie anche al grande lavoro di Tomi Joutsen.
QUESTA ERA PROPRIO LA PROSSIMA DOMANDA IN LISTA: FIN DAL PRIMO ASCOLTO SI INTUISCE CHE TOMI JOUTSEN CON QUEST’ALBUM HA RAGGIUNTO LIVELLI ALTISSIMI. E’ UN GRANDE CANTANTE, MA QUA SEMBRA AVERE SUPERATO SE STESSO IN TERMINI DI ESPRESSIVITA’ E PROFONDITA’, USANDO UN’ALTERNANZA MOLTO COMPLICATA DI GROWL E VOCI PULITE. SEI D’ACCORDO?
– Certo che lo sono. So quanto lavora in generale e quanto ha lavorato per quest’album in particolare. Le voci, tra pre-produzione e registrazione, hanno occupato molto tempo ma, nonostante le sue performance siano sempre state ottime, questa volta mi ha veramente stupito. Si vede in modo chiaro come sia in grado di avere a che fare con diversi tipi di voce. Molto spesso si semplifica questo aspetto, si pensa ci siano la voce pulita, il growl, il chorus, le strofe e basta, ma in realtà c’è molto di più. Immagina solo quante sfumature di growl ci possono essere.
“MY NAME IS NIGHT”, L’ULTIMA CANZONE DI “HALO”, E’ UNA BALLATA CON PETRONELLA NETTERMALM, CANTANTE DEI PAATOS, ALLA VOCE. COME E’ NATA QUESTA COLLABORAZIONE?
– E’ un pezzo scritto da Tomi Koivusaari, il nostro chitarrista, circa due anni fa, ai tempi delle sessioni di “Queen Of Time”, ma probabilmente non si adattava a quel disco. Così, quando abbiamo iniziato a preparare i demo per “Halo”, Tomi l’ha riproposto con alcune variazioni, tenendo conto che questo album necessitava di suoni diversi, e questa volta ha funzionato. Inoltre, Tomi Joutsen voleva fare un altro duetto, dopo aver registrato “Among Stars” con Anneke van Giersbergen sul disco precedente, voleva fare qualcosa di simile, anche se “My Name Is Night” è una canzone differente: è una quasi una ballata anni ’80, come una versione gothic di “Still Loving You” (ride, ndR). Penso fosse un’ottima maniera di chiudere l’album, con un pezzo che ha questo mood legato alla malinconia finlandese, e la voce di Petronella è veramente stupenda.
AVETE COLLABORATO NUOVAMENTE ANCHE CON FRANCESCO FERRINI DEI FLESHGOD APOCALYPSE?
– Sì, certo. Per il secondo album consecutivo Francesco si è occupato degli arrangiamenti orchestrali. E’ un tipo sorprendente, se ne esce sempre con idee che ci stupiscono ed è un privilegio sapere che lavora con noi!
CI SONO ALTRI OSPITI?
– Sì, c’è Noa Gruman, una cantante israeliana che aveva lavorato con noi già su “Queen Of Time”, e ha cantato tutte le altre parti femminili sull’album. E’ anche lei una grande artista.
I TESTI, ANCORA UNA VOLTA, SONO STATI SCRITTI DA PEKKA KAINULAINEN. DI COSA PARLANO? SONO LEGATI TRA LORO DA UN CONCEPT?
– Non c’è un concept vero e proprio, “Halo” non può essere definito come un concept album da questo punto di vista, ma la maggior parte dei pezzi narra di come le prime persone si sono recate nelle terre del Nord, di come siano sopravvissute e di come abbiano iniziato a vivere qui. Parlo del primo pezzo, “Northwards” e ovviamente di “A New Land”, che racconta proprio come queste nuove terre siano state popolate. Ci sono anche pezzi che trattano esperienze personali dello stesso Pekka e la più interessante riguarda la titletrack “Halo”, la quale descrive la storia, realmente avvenuta, di due uomini che hanno viaggiato dalla Russia alla Finlandia proprio per incontrare Pekka e portargli delle specie di corna (mima il gesto delle corna di un animale, ndR) ed altri strani oggetti. E’ rimasto così affascinato ed ispirato da questi regali da scriverci una canzone, così è nata “Halo”.
“HALO” E’ ANCHE LA TERZA PARTE DI UNA TRILOGIA CHE PARTE DA “UNDER THE RED CLOUD” E CONTINUA CON “THE QUEEN OF TIME”. IN CHE MODO I TRE DISCHI SONO LEGATI?
– In un certo senso è vero, abbiamo la stessa squadra che ha lavorato in tutti e tre questi album ma non c’è una tematica che li lega. Grazie a qualcuno dello staff che ha scritto che si tratta di una trilogia, ora devo mettermi a spiegare che ci sono delle connessioni che non ci sono (ride, ndR). Ma mi piace l’idea: il termine trilogia suona come qualcosa che hai pianificato all’origine e fin qui è stata una trilogia produttiva
COSA SONO LE SETTE STRADE DEL PEZZO “SEVEN ROADS COME TOGETHER”?
– Ehm, ho sentito la storia da Pekka ma dovrei rileggere il testo per ricordarmela, mi spiace.
NESSUN PROBLEMA. UNA CURIOSITA’: LA VOSTRA MUSICA PARLA SPESSO DELLE VOSTRE RADICI, DELLA VOSTRA TERRA E DELLE VOSTRE TRADIZIONI, MA L’UNICO PEZZO CHE AVETE SCRITTO NELLA VOSTRA LINGUA E’ UNA COVER DI UNA CANZONE DEGLI ANNI ’70, “KUUSAMO”, PUBBLICATA NEL 2002. C’E’ QUALCHE POSSIBILITA’ IN FUTURO CHE SCRIVIATE QUALCOSA IN FINLANDESE?
– Perché no? Ad un certo punto, diciamo dieci anni fa, sarebbe stato improponibile, ma ora lo ritengo possibile. La lingua finlandese è unica, utilizziamo molte vocali e quando parliamo talvolta sembra che stiamo cantando ed in questo senso il finlandese si abbinerebbe bene alla musica. Scrivere i pezzi in inglese è una sorta di tradizione, è la lingua del rock, ma non direi no a questa idea a priori. Per “Queen Of Time” Pekka aveva recitato uno spoken word in finlandese per la canzone “Daughter Of Hate” che suona come se fosse qualcosa di magico.
AL CONTRARIO, LA VOSTRA BIOGRAFIA E’ SOLO IN FINLANDESE. PENSATE VERRA’ TRADOTTA IN ALTRE LINGUE IN FUTURO?
– Per ora non è in programma, ma al momento stiamo lavorando sul nostro sito, cercando di caricare più contenuti possibile e in molte lingue. E’ la prima cosa che vogliamo aggiornare. Per ora, per la biografia dovrete usare Google Translate (ride, ndR).
AVETE REALIZZATO UN VIDEO PER IL PEZZO “THE MOON”. COME MAI AVETE SCELTO QUESTA CANZONE?
– Per “Halo” è stato impossibile scegliere un singolo ‘ovvio’, come poteva essere “Among Stars” per l’album precedente. “The Moon” è una di quelle canzoni che possiede l’orecchiabilità necessaria e, ad essere onesti, abbiamo lasciato il compito della scelta alla nostra etichetta Atomic Fire e “The Moon” è sembrata a tutti la soluzione migliore. Il secondo singolo sarà “On The Dark Waters” ed uscirà proprio in questi giorni con il relativo video.
Per la realizzazione del videoclip di “The Moon” avevamo molti piani ma Patric Ullaeus, un nostro amico che ci aveva già aiutato in passato, era disponibile in quel momento e abbiamo optato per lavorare ancora con lui. E’ un regista svedese, un’ottima persona e un grande professionista. E’ venuto in Finlandia e ha registrato le nostre parti, mentre la scena dell’uomo anziano con il cavallo è stata girata in Svezia, in mezzo alla natura.
DOMANDA FINALE: QUAL E’ LA PRIMA COSA CHE FARETE DOPO CHE LA PANDEMIA SARA’ TERMINATA?
– Andremo in America! E’ un’idea strana per il momento, considerato il punto a cui siamo arrivati con la pandemia, ma dovremmo realmente andare in tour in Nord America, per un mese intero, in aprile… Incrociamo le dita! In seguito ci saranno i festival estivi ed un tour europeo. Sai, dobbiamo essere ottimisti e sperare che tutto vada per il meglio, ma gli show posticipati o addirittura cancellati sono stati così numerosi che è veramente difficile essere più di tanto entusiasti e positivi. Questa esperienza del Covid colpisce ognuno in modo diverso: io sono stato fortunato, è arduo giudicare i singoli casi, ma prima o poi si dovrà ripartire e riaprire, se si vuole mantenere viva la cultura.