L’uscita del nuovo “The Optimist” è l’occasione per una piacevole telefonata con Danny Cavanagh, da sempre una delle principali menti creative degli Anathema. Nonostante qualche difficoltà tecnica e la premessa di poco tempo a disposizione, Danny non si è risparmiato dal raccontarci cosa pensa della sua musica e di come viene vista dall’esterno, di altre band e di cosa siano – o possano essere – al giorno d’oggi il metal e il prog. Con anche una divertente digressione su calcio, infanzia e società: quasi chiacchiere ‘in famiglia’, come è del resto una grande famiglia la sua band.
Foto di Caroline Traitler
CIAO DANNY, COME VA? PARTIAMO DAL VOSTRO NUOVO ALBUM: ABBIAMO AVUTO LA SENSAZIONE CHE ESPRIMA VERAMENTE TUTTE LE SFACCETTATURE DEL VOSTRO SOUND, DAL LATO PIÙ PROG, A QUELLO PIÙ AGGRESSIVO – SOPRATTUTTO PER QUANTO RIGUARDA LA BATTERIA – FINO ALLA VOSTRA DIMENSIONE PIÙ MELODICA. QUALI SONO LE TUE SENSAZIONI?
“Penso che il più grande lavoro l’abbiamo fatto dal punto di vista della produzione, abbiamo lavorato in maniera molto differente; non abbiamo mai pensato a come dovesse suonare, a quali lati dovessero emergere, a dirti il vero, anzi, non vedo nemmeno queste differenze che rilevi tra le nostre diverse facce. Semplicemente, non puoi mettere tutte le canzoni lente di fila, devi trovare un equilibrio”.
COME SEMPRE I PRINCIPALI COMPOSITORI SIETE TU, VINCENT E JOHN, GIUSTO?
“Sì, prendiamo solo degli spunti dal resto della band, perché abbiamo ormai una squadra e delle dinamiche che funzionano; siamo a nostro agio così, diciamo”.
CI INCURIOSISCE IL FATTO CHE, TRA GLI ALTRI MEMBRI DELLA BAND ABBIATE ANCHE DANIEL (CARDOSO, NDR), CHE È ANCHE UN NOTO PRODUTTORE E NON PARTECIPI AL PROCESSO CREATIVO IN ALCUN MODO.
“Daniel è un musicista molto capace e contribuisce assolutamente con alcune idee mentre registriamo, ma semplicemente siamo abituati a lavorare così da talmente tanti anni… Considera che io e Vincent conosciamo John da quando avevo undici anni, è una connessione semplicemente insostituibile quella tra noi! È un’empatia a ogni livello, e ribadisco: Daniel è molto talentuoso, anche come batterista per inciso, e lo conosco da tantissimi anni, ma lavoriamo bene solo così, quando abbiamo provato strade diverse, semplicemente, non ha funzionato. Però, per esempio, Daniel aggiunge tantissimo quando suoniamo dal vivo, è molto creativo con i synth. Ma appunto penso che il nostro songwriting funzioni bene: siamo creativi, ma semplici e non ci scontriamo con mille opinioni diverse, come capita in molte band. Beh, in realtà mio fratello tende a farlo, ma appunto siamo solo in tre a decidere e semplifichiamo quelle migliaia – anzi: centinaia di migliaia – di decisioni da prendere per ogni album”.
SEMBRA ANCHE AIUTARE MOLTO IL FATTO CHE, DI FONDO, SIETE DUE FAMIGLIE – A PARTE DANIEL, MA APPUNTO LO CONOSCI DA UNA VITA. E QUESTA INTESA EMERGE TANTISSIMO QUANDO VI SI VEDE SUONARE DAL VIVO: AVETE UN’EMPATIA RARA, VI SCAMBIATE DEGLI SGUARDI E TUTTO VA ALLA PERFEZIONE, DI SOLITO. HAI MAI PENSATO A COME AVREBBE POTUTO ESSERE SUONARE CON DEGLI AMICI O DEI CONOSCENTI, INVECE CHE TRA FAMILIARI?
“Beh, in realtà è successo: con Duncan Patterson, Darren White o Dave Pybus, per citarne alcuni; sai, penso che la principale differenza sia che se litigo con Vincent possiamo facilmente tornare a un nostro rapporto di default senza problemi, come se nulla fosse successo. Ma ti dirò anche di più: per me è molto spontaneo creare con Vincent, non altrettanto con Jamie, quindi non è che conti solo la famiglia. È un insieme di abilità, fiducia, empatia… Ma per esempio ho avuto questa sinergia con Duncan Patterson, mi piace ancora suonare dal vivo con lui, ma non ho lo stesso rapporto. È un equilibrio particolare, non c’è un modo semplice e univoco per spiegarlo; e funziona perfettamente in studio, che poi è la dimensione che preferisco di questo lavoro”.
AVREMMO DETTO CHE ADORASSI SUONARE DAL VIVO, VISTO COME DAI SEMPRE L’IMPRESSIONE DI DIVERTITI, SUL PALCO.
“Sì, ma sai sono due ore sul palco, meravigliose, ma ci sono le rimanente ventidue in viaggio, l’assenza di una vita normale… ecco perché amo stare in studio: la sera posso tornare a casa, dormire nel mio letto, poi alzarmi, fare colazione e avere una normale giornata di lavoro, è una cosa che amo”.
UN’ALTRA COSA CHE ABBIAMO NOTATO NEL NUOVO ALBUM, E CI RIFACCIAMO A QUANTO HAI DETTO ANCHE TU, È CHE È APPARENTEMENTE MOLTO ‘SEMPLICE’ E DIRETTO A UN PRIMO ASCOLTO; SI POSSONO SENTIRE CHIARAMENTE TUTTI GLI STRUMENTI, LA PRODUZIONE È MOLTO PULITA, EPPURE EMERGONO POI MOLTI ELEMENTI, E ANCHE DEI PASSAGGI CHE IN QUALCHE MODO RITORNANO LUNGO TUTTO L’ALBUM. COME DEFINIRESTI ATTUALMENTE IL SOUND DEGLI ANATHEMA?
“Ti riferisci per esempio alla intro, immagino, che continua nel primo brano. Per il resto non direi che suoniamo propriamente in maniera semplice, ci sono appunto molte cose che si sovrappongono. Ti dirò in tutta onestà che ritenevo più diretto ‘Distant Satellites’, poi certo: non facciamo musica volutamente difficile, ma ci sono alcuni passaggi come in ‘Endless Ways’ o ‘Back To the Start’ che sono parecchio complicati. C’è comunque un modo in cui ci piace scrivere i pezzi che penso emerga sempre”.
BEH, SICURAMENTE NON SONO UNA NOVITÀ PEZZI MOLTO RICERCATI DA PARTE VOSTRA, FIN DAI TEMPI DI “THE SILENT ENIGMA”, A PRESCINDERE DAI CAMBI DI STILE CHE AVETE AFFRONTATO.
“Sì, penso che già lì o in ‘Eternity’ ci fossero veramente dei grandi pezzi, forse ‘Judgement’ era un po’ più semplice, nel complesso, e poi è abbastanza evidente come a partire da ‘A Fine Day To Exit’ e poi moltissimo in ‘We’re Because We’re Here’ abbiamo iniziato a elaborare parecchio i nostri brani. Mi ricordo per esempio un episodio: mentre mixavamo ‘Everything’ con Steven Wilson in consolle, e la mia sensazione era che fosse venuta troppo complessa rispetto a come l’avevo in testa. Un po’ mi ero arrabbiato, ho tuttora la sensazione che ‘We’re Here Because We’re Here’ suoni un po’ troppo prog, e non sono un grande amante del prog, a dirla tutta”.
È ANCHE DIFFICILE CAPIRE COSA SIA IL PROG OGGIGIORNO, VISTO CHE SEMBREREBBERO STARE NELLO STESSO CALDERONE BAND COME VOI, DREAM THEATER O I GENESIS, QUASI.
“Non vedo gli Anathema come una band prog. Citi i Dream Theater, che direi che più che altro fanno prog metal, che per me è abbastanza una cagata”.
VOGLIAMO PARLARE DI ALTERNATIVE ROCK CON QUALCHE SPRAZZO DI PROGRESSIVE? O CE NE FREGHIAMO?
“Chi se ne frega, appunto. Io penso che certe etichette servano solo ai media e alle case discografiche per semplificare le cose, non ci faccio molto caso. Pensa anche all’etichetta post-rock; io amo i Sigur Ros, per esempio, ma quante band suonano su quell’onda solo imitandoli e fanno veramente schifo? Terribile. Per dire, io non penso che nemmeno la musica che fa Steven Wilson sia prog: ha qualcosa del jazz, per i tempi e l’uso degli strumenti, ma è anche una sorta di rilettura del classic rock adattata ai nostri tempi, secondo me. E non vedo molti di questi elementi negli Anathema; forse in un pezzo come ‘A Simple Mistake’, ecco, ma in generale non mi riconosco proprio in tale etichetta. Ma del resto non considero nemmeno i Pink Floyd una band prog, ma – per essere chiaro – non voglio mancare di rispetto a chi la suona o la apprezza. Penso sia o possa essere buona musica, che non amo io… E poi la vita è troppo breve per essere sprezzanti con la musica che non ci piace. Mi inalbero solo quando la gente, magari, dice che noi suoniamo merda, che dovremmo tornare alle origini e non suonare come i Pain Of Salvation. Che sono dei grandi, ma cosa abbiamo in comune con loro?”.
È EVIDENTE COME PER MOLTI METALLARI SIA QUASI UN PROBLEMA ASCOLTARVI, ATTUALMENTE!
“Sì penso sia una cosa tipica dei metallari, forse dovuta principalmente al fatto che la musica deve sempre essere aggressiva e basata sulle chitarre? Non so. Non che a me non piaccia il metal, anzi: per farti un esempio ho apprezzato tanto il ritorno dei Metallica, nel nuovo album ci sono dei pezzi come ‘Spit Out The Bone’ o ‘Confusion’ che sono straordinari. E penso tuttora che quando il metal viene suonato bene, sia un genere che non ha paragoni quanto a sensazioni che può far scaturire, ma al tempo stesso non mi definirei più un metalhead, ecco. Tornando al discorso di prima, devo quantomeno ringraziare il pubblico prog perché ci danno sempre una possibilità e nessuno mi ha mai detto ‘dovreste suonare più prog!’ (ride, ndR)”.
L’IMPORTANTE È RESTARE ONESTI CON SE STESSI, IN FONDO.
“Sai, penso a molte band che si sono evolute, mi vengono in mente i Paradise Lost di ‘Host’, e francamente come fan mi sentirei più tradito se tornassero a suonare le cose che facevano venticinque anni fa. E per quanto riguarda noi, detto francamente venderemmo molto di più se fossimo rimasti quelli di ‘Serenades’, probabilmente; avremmo avuto la nostra formula vincente, un management che si occupava di tutto, nessun problema…”.
IN EFFETTI MOLTE BAND NEL METAL SEMBRANO TALVOLTA SUONARE SOLO QUELLO CHE CI SI ASPETTA DA LORO, RIPROPONENDO SEMPRE LA STESSA FORMULA, MA EVITIAMO NOMI.
“No, fammi qualche esempio a cui pensi. Poi ti dico a chi penso io, a patto che non pubblichiate i nomi! (ride, ndR)”.
BEH, CE NE SONO TANTI. BAND ECCELLENTI CHE COMUNQUE FANNO DA SEMPRE LO STESSO ALBUM CON LA FORMULA PERFETTA, MA ANCHE SOTTOGENERI SENZA ALCUNA VARIETÀ. SARÀ QUESTIONE DI GUSTI, MA CI VIENE IN MENTE CERTO METAL MOLTO CANONICO CON LE VOCI DA SOPRANO…
“Ecco, quella roba fa veramente cagare. (cita effettivamente qualche nome ma rispettiamo la promessa, ndR) …ed è pieno di band con cantanti femminili che fanno solo la stessa canzone schifosa da sempre. Come sai sono un grande fan, oltre che amico, di Anneke Van Giersbergen, e lei sì che sa cantare, essere varia, offrire cose nuove: non è impossibile, anche se così pare per alcuni suoi connazionali”.
ABBIAMO ANCORA TEMPO PER UNA DOMANDA? CHIARAMENTE VOGLIAMO SAPERE SE TIFI LIVERPOOL O EVERTON, VISTO CHE IN UN VIDEO ABBIAMO VISTO JOHN CON UNA MAGLIA DELL’EVERTON!
“Liverpool tutta la vita, fanculo all’Everton! Quando riesco vado ancora a vedere una partita, ma mi ricordo quando eravamo piccoli: non abitavamo lontano da Anfield (lo stadio del Liverpool, ndR) e potevi sentire i cori del pubblico, nelle giornate in cui giocavano per strada era comunque una festa, che il Liverpool vincesse o perdesse; poi noi ragazzini giravamo intorno, c’erano tutte le macchine parcheggiate e magari rimediavamo una sterlina tenendole d’occhio! Sai, sono ricordi d’infanzia e – comunque – al tempo avevamo semplicemente la squadra più forte del mondo! Peccato che dopo quello che è successo all’Heysel, quel periodo d’oro sia finito”.
QUELLA PARTITA VI HA PURTROPPO RESI FAMOSI ANCHE IN ITALIA E NEL MONDO.
“Già. Immagino che abbiamo iniziato ad essere odiati, è molto triste quello che è successo (ci furono 39 morti sugli spalti, ndR) ed è cambiato tutto. Per quanto riguarda la mia squadra, vedo che ormai ha più tifosi stranieri che non in città, e andare allo stadio non è più un passatempo, è ancora pieno di fanatici, gente che organizza solo scontri, e intanto dall’altra parte è tutta una questione di diritti tv e sponsor”.
…E IL RISULTATO È CHE UN MOMENTO DI SPORT E DIVERTIMENTO NON È PIÙ TALE.
“Penso che in generale, e scusate se semplifico, ci sia troppo scontro, troppa violenza in tanti campi. Basterebbe pensare un po’, ma poche persone sembrano volerlo fare”.
PARLI DI PENSIERO, MA NON È COSÌ DIFFUSO, PURTROPPO. DI SOLITO LA VIA PIÙ FACILE È L’AGGRESSIVITÀ.
“Sì, ma devo anche dire che non sono un pacifista al 100%. Lo ero, forse, molto idealista; ma ci sono situazioni in cui non si può reagire stando indifferenti o senza rispondere se ci si sente minacciati, capisci cosa intendo? Io ho una figlia, farei di tutto per proteggerla (curiosamente l’intervista si è svolta mentre in Italia si discuteva la Legge sulla difesa personale, ndR), ma non voglio arrivare al discorso di fronteggiare chi ha un’arma con un’arma. Lì abbiamo l’esempio degli Stati Uniti, dove il tasso di omicidi è semplicemente folle”.
SÌ, SE IL RISCHIO È DI ASSOMIGLIARE AL MODELLO AMERICANO, IN QUESTO, FORSE MEGLIO SEMPRE PENSARE DI RIVOLGERCI ALLA CULTURA E ALL’EDUCAZIONE, COSA CHE FORSE IN EUROPA CONSERVIAMO ANCORA.
“Anche per me è così, assolutamente. Mi piace l’America ma preferisco e capisco di più la nostra cultura!”.