ANTE-INFERNO – Vivere, morire, rinascere

Pubblicato il 14/01/2025 da

Ascoltando “Death’s Soliloquy”, ultima fatica discografica degli inglesi Ante-Inferno, ci si può fare un’idea sulla personalità di chi lo ha composto. Innanzitutto, si percepisce che deve essere una persona in cui germoglia un’interiorità non comune. Poi, che deve aver attraversato un qualche travaglio personale importante, sul quale ha lavorato di cesello con pazienza e dolore, fino a trasformarlo in un chiaroscuro di malinconia profondissima e desiderio struggente di luce.
Le risposte che Kai Beanland ha generosamente offerto alle nostre domande confermano queste impressioni. Diciamo ‘generosamente’ perché non è da tutti avventurarsi così in profondità dentro di sé e nei temi che le vengono proposti nel corso di un’intervista. Diciamo ‘generosamente’ anche perché Kai Beanland ha scelto di aprirsi per la prima volta, in questa conversazione, su un argomento intimo e delicatissimo come quello della transizione di genere.
Quella che segue non è solo un’intervista su un disco molto bello, molto potente e molto emozionante, ma anche (e forse soprattutto) una riflessione sulla vita: sulle sue difficoltà ma anche sulla sua bellezza, sul rapporto che necessariamente dobbiamo costruire con la morte, sull’importanza di riconoscere il valore di ciò che siamo e che abbiamo. E poi sì, si parla anche dell’album, della nuova formazione degli Ante-Inferno, del prossimo lavoro (che speriamo di ascoltare presto) e della musica che piace a Kai.

 

 

HAI DESCRITTO “DEATH’S SOLILOQUY” COME UN ALBUM NON STRETTAMENTE AUTOBIOGRAFICO, EPPURE SI DIREBBE UN LAVORO MOLTO PERSONALE. PUOI RACCONTARCI IL MOMENTO CHE QUESTO DISCO CERCA DI CATTURARE, NELLA TUA VITA O IN GENERALE?
Confermo. I testi non fanno diretto riferimento a eventi che mi sono accaduti personalmente – sono frutto dell’immaginazione – tuttavia sono assolutamente influenzati dai miei processi mentali e dal mio stato emotivo durante questo periodo. Credo che l’album catturi soprattutto questi ultimi anni.
Forse saprai che da un po’ di tempo sto affrontando una transizione di genere. Non ne ho mai parlato apertamente. Ma affrontare l’orrore della disforia di genere e intraprendere il processo di transizione in una società che detesta, teme e attacca con rabbia l’esistenza delle persone transessuali non è facile – soprattutto in un genere come il black metal, per ragioni che non serve spiegare. L’album evoca la depressione, il disagio mentale e i pensieri suicidi che stavo vivendo; le ossessioni sulla morte e l’odio che provavo per me. Quindi, da questa prospettiva, l’album è molto personale.

“DEATH’S SOLILOQUY” CI HA DATO L’IMPRESSIONE DI ESSERE QUASI UN’OPERA FILOSOFICA: OLTRE ALLA VISCERALITA’, SEMBRA ESSERCI MOLTA RIFLESSIONE DIETRO. SEI D’ACCORDO CON QUESTA CONSIDERAZIONE?
Direi di sì. Il mio obiettivo era scrivere di morte e violenza, ma… non siamo i Cannibal Corpse, giusto? Volevo approfondire il tema della morte, considerare i momenti e gli eventi che portano le persone a porre fine alla propria vita. È un album sull’empatia e sul dolore, e sulla riflessione e sull’infelicità. Ma è anche un album sulla bellezza – la bellezza del mondo naturale, che è l’unica bellezza che conta davvero per me in questa vita.

IL TEMA CENTRALE DELL’ALBUM E’ LA MORTE. EPPURE, IN QUALCHE MODO, POTREBBE ESSERE DESCRITTO ANCHE COME UN ALBUM SULLA VITA. TI VA DI CONDIVIDERE CON NOI QUALCHE RIFLESSIONE CHE HAI ELABORATO DURANTE LA CREAZIONE DI QUESTO LAVORO?
È un’osservazione acuta, e probabilmente l’ho già toccata nella mia risposta precedente. Sì, l’album parla tanto della vita quanto della morte. Non si può avere una discussione seria sulla morte senza riflettere sulle vite che abbiamo vissuto, sulle decisioni buone e cattive che abbiamo preso, sulle cose che sono andate storte…
Come ho detto prima, ci sono momenti nei testi che descrivono la vibrante e meravigliosa bellezza della vita e della natura – di questo mondo che continua a girare – attraverso le stagioni mutevoli e i lunghi anni, mentre le persone vanno e vengono in un ciclo infinito di nascita, esperienza e morte.
Quindi sì, la vita è parte integrante dei temi e della prospettiva dell’album.

LA SOCIETA’ IN CUI VIVIAMO TENDE A RIMUOVERE IL TEMA DELLA MORTE DALLA DISCUSSIONE PUBBLICA, QUASI LO NEGA. IL METAL, INVECE, HA SEMPRE ABBRACCIATO QUESTO ARGMOENTO CON GRANDE INTERESSE. PENSI CHE ESSERE MUSICISTI METAL, O APPASSIONATI DI METAL, AIUTI IN QUALCHE MODO A SVILUPPARE UNA RIFLESSIONE PIU’ PROFONDA SULLA PROPRIA FINITEZZA E SULLA MORTE IN GENERALE?
Penso che sia vero, almeno in parte. Attualmente, nel Regno Unito, c’è un grande dibattito sull’eutanasia per i malati terminali che sta causando parecchia agitazione. La gente non ama pensare alla morte, anche se alla fine tutti moriremo. Credo che molta musica metal funzioni un po’ come i film horror, permettendoci di indulgere nella morte e nella violenza come intrattenimento, a volte trattandole in modo comico e altre con un tono serio.
Non evitando l’argomento, penso che si rifletta su di esso più spesso e in modo più aperto. Forse questo porta a un’accettazione maggiore della morte come naturale e inevitabile cessazione della vita. O forse no; suppongo dipenda dall’individuo!

UN SOLILOQUIO E’ UN DIALOGO CON SE’ STESSI, MA UN ALBUM E’ NECESSARIAMENTE UN’OPERA DIALOGICA – E’ PENSATO PER PARLARE A QUALCUNO (O CON QUALCUNO). A CHI VOLETE RIVOLGERVI CON QUESTO LAVORO? C’E’ UN ‘ASCOLTATORE IDEALE’ CON CUI SPERATE DI CONNETTERVI ATTRAVERSO “DEATH’S SOLILOQUY” ?
Hmm, non ci avevo pensato. Non direi che sto cercando di rivolgermi o raggiungere una persona o un tipo di persona in particolare. Eppure, da quello che ho capito, le persone sembrano essersi connesse con i temi dell’album. Credo che l’ascoltatore ideale sia qualcuno disposto a pensare, e a riflettere profondamente sulle cose; qualcuno che ama osservare oltre ciò che è proprio davanti agli occhi.
Detesto il mondo in cui viviamo – il modo in cui le persone si sentono obbligate a pensare in termini semplicistici di bianco o nero, giusto o sbagliato, bene o male… Odio il modo in cui le persone sono incollate ai loro telefoni e ai social media, così facilmente influenzate dal nulla che rappresentano. Forse quest’opera è un riconoscimento del fatto che la vita è complessa, strana e contraddittoria, e maledettamente crudele allo stesso tempo. La vita è volatile e fragile, eppure è così assolutamente preziosa.

 

“DEATH’S SOLILOQUY”  E’ UN DISCO AMBIZIOSO, COMPLESSO E STRATIFICATO, MA ALLO STESSO TEMPO MOLTO IMMEDIATO E IMPATTANTE. COME AVETE CREATO QUESTO EQUILIBRIO?
– Sai, non ne ne ho certezza fino in fondo. Non è stato intenzionale. È un po’ il mio modo naturale di scrivere quando costruisco canzoni. Mi piace che la musica fluisca come da un regno all’altro, cambiando umore e temperamento man mano che procede. Tuttavia, faccio uno sforzo consapevole per scrivere riff che siano accattivanti e memorabili, e onestamente ascolto pochissimi dischi black metal atmosferici moderni, nonostante facciamo parte di quella scena. Preferisco di gran lunga l’impatto diretto di una band come i Blasphemy, e ascolto anche molto death metal, quindi suppongo che queste influenze contribuiscano all’impatto e all’aggressività presenti nell’album.

AVETE CAMBIATO FORMAZIONE, IL CHE NON E’ UNA NOVITA’ PER VOI. COM’E’ STATO LAVORARE COME QUARTETTO? COME AVETE DECISO PER QUESTO NUOVO CORSO?
-Beh, abbiamo sempre avuto bisogno di quattro persone nella band. Scrivo parti di chitarra multiple per tutte le nostre canzoni, quindi avere un solo chitarrista dal vivo non basta.
Dopo che Matty (Mateo Zabawa, ndr) se n’è andato, abbiamo cercato un secondo chitarrista e un bassista per poter riproporre le canzoni dal vivo. Questo rende le cose un po’ più facili anche per me, dato che Ben (Gladstone, ndr) può occuparsi di più assoli dal vivo.
Ho la pessima abitudine di premere il pulsante sbagliato sulla mia pedaliera, il che rovina tutto, come puoi immaginare. Quindi è meglio che io abbia meno da fare mentre sono lì, nella foga del momento.

PENSI CHE QUESTA SARA’ UNA FORMAZIONE DEFINITIVA?
– Credo di sì! Voglio dire, non sai mai quando qualcuno potrebbe stancarsi o decidere di andare via. Ma è certamente una formazione che funziona e di cui sono felice.

C’E’ STATA QUALCHE OPERA D’ARTE O QUALCHE ALTRA FONTE D’ISPIRAZIONE CHE VI HA INFLUENZATI NELLA STESURA DI QUESTO ALBUM? MUSICA, FILM, DIPINTI, LIBRI…
– Non molto questa volta. Leggo molti classici della letteratura: l’”Iliade”, l’”Eneide”, il “Paradiso Perduto”, ecc., e adoro i racconti di Conan di Robert E. Howard – puro escapismo. Ma non saprei dire se queste opere abbiano influenzato quest’album in particolare. Non consapevolmente, almeno.
Ho menzionato H.P. Lovecraft in relazione alla canzone “Cold. Tenebrous. Evil.”, ma più per via della copertina raccapricciante e sanguinolenta di un suo libro che mi ha colpito da bambino, piuttosto che per il contenuto delle storie stesse.

QUALI SONO I PROSSIMI PROGETTI DEGLI ANTE-INFERNO?
– Beh, ci stiamo prendendo una pausa dopo il tour. Ho anche iniziato a lavorare su nuovo materiale, che saranno le prime canzoni che tenterò di scrivere in due anni. Ho avuto un blocco dello scrittore per molto tempo. Ma finalmente sono emersi riff interessanti mentre suonavo la chitarra, quindi spero che la mia creatività non si sia ancora del tutto prosciugata.

CONCLUDO CON UNA DOMANDA CHE AMO FARE: COSA STAI ASCOLTANDO ULTIMAMENTE? C’E’ UN ALBUM USCITO NEL 2024 (NON NECESSARIAMENTE METAL) CHE TI HA PARTICOLARMENTE COLPITO?
– Onestamente, non sto ascoltando nulla di particolarmente recente. Principalmente molto death metal: Deranged, Severe Torture, Anal Vomit. L’ultimo album dei Nile è buono… Ho appena ascoltato Catasexual Urge Motivation, un gruppo grind giapponese. Oh, e molto dei Napalm Death – ma specificamente il periodo degli anni ’90, più a ritmo medio, che la gente sembra non apprezzare molto, ma che io trovo piuttosto grandioso.
Per quanto riguarda la musica non metal? Max Richter.
Quindi, sì, niente di attuale, temo… Con le mie varie difficoltà di salute mentale, spesso trovo difficile ascoltare o interagire con la musica (o con qualsiasi altra cosa, in realtà), quindi, anche se cerco di scoprire nuove band e artisti, ho passato più tempo a scansionare la mia collezione di CD/vinili per riscoprire roba che ho già.
Sono anche un po’ un dinosauro, dato che non uso quasi mai Spotify o persino YouTube per scoprire nuove band. Mi mancano i vecchi tempi dei cataloghi per corrispondenza, quando compravi quello che suonava crudo, disgustoso e cattivo senza sapere davvero cosa stavi per ottenere finché non arrivava!
Così facendo mi sono ritrovato con album classici, oltre a dischi di band che sono scomparse nelle profondità dell’underground senza lasciare traccia, ma che erano comunque brillanti. Scusa, ho un po’ divagato… Grazie per l’intervista!

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