Fra le sorprese di questa prima metà del 2023 va senz’altro annoverato “Abyssgazer”, debut album degli Aphotic, nuova realtà death-doom – dalle spiccate velleità sperimentali – partorita dal sempre più rigoglioso panorama nostrano. Guidato da alcuni nomi particolarmente attivi del nostro circuito underground, gli Aphotic sono riusciti a confezionare un disco che cerca di andare oltre i cliché attualmente imperanti in ambito death metal e death-doom, colpendo per il curato afflato atmosferico e per una vena talvolta assai coraggiosa in sede di composizione e arrangiamento. Con riferimenti che possono andare dai Dead Congregation a Godflesh o Neurosis, la prima prova degli Aphotic è un album che ricerca una propria personalità senza tuttavia mai apparire pretenzioso o sconnesso. Ne parliamo con il suo principale artefice, il chitarrista/cantante Nicolò Brambilla.
SI PUÒ DIRE CHE GLI APHOTIC NASCANO COME EVOLUZIONE – O ‘DALLE CENERI’ – DEGLI EKPYROSIS. RACCONTACI LA GENESI DI QUESTA NUOVA REALTÀ E PRESENTACI I NUOVI COMPAGNI DI VIAGGIO.
– Considero Aphotic un progetto ben distinto da quello che avevo in precedenza: non percepisco una continuità se non nella misura in cui sia stato il compositore per entrambi – il che sottende in fondo l’esistenza di una traccia evolutiva.
In questi anni di transizione, ho constato quanto fossi cambiato come persona, nel modo di pensare, nelle aspirazioni, nelle preferenze, e come dovessi onorare il bisogno di un rinnovamento profondo in quello che è una porzione della vita intera di un musicista, ossia il proprio progetto artistico: ambizioni, aspettative, necessità espressive. Per cui è stato un gesto di onestà separare nettamente questa esperienza dalla precedente, la quale si era esaurita nel suo significato primigenio – che era, in un’accezione positiva, molto giovanile. Inoltre, la pausa forzata della pandemia ha rimesso in prospettiva l’urgenza di salvare il lavoro di promozione fatto in precedenza, facendomi propendere per l’iniziare un nuovo capitolo. Questo mi ha facilitato nel prendere scelte più audaci in fase di scrittura, arrangiamento o produzione, che percepivo necessarie.
La seconda persona più coinvolta in questo progetto è stata Leonardo, che aveva partecipato all’ultimo tour Ekpyrosis come sostituto dell’ultimo minuto. La compatibilità di gusti e la delineazione di un’intenzione comune, comunque arricchita dal confronto tra personalità molto diverse, ha reso prolifica la nostra collaborazione. Con mio grande entusiasmo, questa cooperazione si è recentemente estesa anche alla mia agenzia Necrotheism Prod., i cui eventi da sette anni ospitano nomi di rilievo dell’underground globale.
Anche Fabiano, il batterista su “Abyssgazer”, ha fatto parte dell’ultimissima formazione Ekpyrosis, ed il suo input, seppur lavorando a distanza, è stato strumentale alla mia apertura ad arrangiamenti più complessi. Infine, Giovanni (che quasi contemporaneamente mi avrebbe proposto di entrare in Fuoco Fatuo), si è spontaneamente interessato al progetto e pur non avendo partecipato alle registrazioni ormai conclusesi, ha completato la line-up come seconda chitarra e attivamente contribuito alle fasi mixaggio, mastering, e confezionamento dell’opera, configurandosi come quarto membro. Negli anni, il suo modo intuitivo e viscerale di approcciarsi alla musica estrema ha avuto un importante ascendente su di me.
RIPENSANDO AL PASSAGGIO DA EKPYROSIS AD APHOTIC, VI SONO STATI DEGLI INPUT SPECIFICI CHE HANNO PORTATO ALL’INIZIO DELLA LAVORAZIONE DI QUESTO NUOVO REPERTORIO? UNA PARTICOLARE ESPERIENZA DI VITA, UN ASCOLTO RIVELATORE…?
– Avevo bisogno di un output musicale che fosse nuovo, con regole da riscrivere. Certamente è stato vitale che mi avvicinassi ad ascolti che fino a quel momento mi ero precluso perché trovassi suggestioni che fossero d’ispirazione e che mi spingessero verso una ricerca più attenta e che partisse da me anziché essere eterodiretta – ad esempio, rifiutandomi di ricadere nel facile riscontro che deriva dall’adesione al trend del momento (non necessariamente per opportunismo, anche solo per fascinazione del fermento e del fervore momentanei), dato che il loro traino è spesso effimero e le possibilità di variazione sul tema sono limitate. Inoltre, ho cominciato a sentire la necessità di fare uno step ulteriore nella direzione di professionalizzazione delle mie attività, di voler cercare competenze più raffinate ed esperte nelle mie collaborazioni, fare una ricerca di suono e strumentazione che potesse soddisfarmi pienamente, e in generale di abbandonare approcci che cominciassi a ritenere amatoriali. Quest’ultimo input credo sia fortemente figlio del mio contemporaneo percorso in Blasphemer.
A posteriori, credo sia stata una fase di maturazione parallela a quella di crescita personale, dato che queste riflessioni sono cominciate in un periodo tra i miei ventidue e ventitre e anni di età, e che il debutto Aphotic si è materializzato (anche editorialmente) nell’arco dei quattro anni successivi.
SEI APPUNTO DA TEMPO ATTIVO ANCHE NEI BLASPHEMER E NEI FUOCO FATUO. COSA HAI CERCATO DI CANALIZZARE NEGLI APHOTIC RISPETTO AL TUO OPERATO PER QUESTE ALTRE DUE BAND? COME VIVI IL TUO RUOLO DI LEADER DEL PROGETTO?
– Senza dubbio entrambi i progetti hanno avuto un’influenza importante sul mio modo di vedere la musica sotto i più diversi aspetti (contenuto e forma, composizione e suono, estetica ed essenza – come pluralità di prospettive e unità di intenzioni…).
Da un lato Blasphemer è stata (e continua ad essere) un’esperienza formativa insostituibile sia da un punto di vista umano e individuale che musicale e artistico, e Simone (anche chitarra dei Beheaded) è stato per me un maestro (anche nel senso più letterale del termine, anni fa).
Il mio ingresso in Fuoco Fatuo è invece più recente e l’overlap con la creazione di “Abyssgazer” è da trovarsi unicamente nella fase di costituzione formale del lavoro (essendo il contenuto già stato scritto), ma indubbiamente la mia amicizia con Giovanni, il suo interessamento al progetto e il suo contributo alla fase di ultimazione dell’album sono stati determinanti. Questa esperienza con Aphotic si è assestata in un punto di equilibrio tra questi due ascendenti, molto diversi ma comunque in me complementari. Certamente questo nuovo progetto ha un carattere prettamente individuale per me, inizialmente quasi privato se non per il coinvolgimento più ravvicinato di Leonardo, che per molto tempo è stato l’unico osservatore al processo compositivo. È per me un luogo artistico di sperimentazione e ricerca personale, che è arricchito della preziosa collaborazione di persone che mi conoscono profondamente e con cui collaboro su più fronti (sperando sempre che la mia restituzione sia all’altezza del loro valore). Quindi, il ruolo di leader si configura esclusivamente per la mia responsabilità dei tempi e dei modi di maturazione del materiale.
QUALE INGREDIENTE NON DEVE MAI MANCARE IN UNA COMPOSIZIONE DEGLI APHOTIC?
– Per quanto riguarda “Abyssgazer”, ma anche per la buona quantità di nuovo materiale che ho accumulato finora, Aphotic ha alcuni elementi essenziali che si ripresentano e ne costituiscono il nucleo identitario. Alcuni sono prettamente ‘linguistici’ e riguardano la scelta di alcune soluzioni che, dalle fasi più embrionali alle rielaborazioni successive, sono state promosse a leitmotiv delle composizioni, dando loro un carattere più omogeneo in termini di espressività e drammaticità, che risiedono proprio nelle tensioni armoniche spesso volutamente irrisolte che fanno da contorno alle melodie dei riff. O ancora, la propensione ad un arrangiamento ricco e stratificato che vede l’avanzamento del synth a elemento costante nel vocabolario del progetto. Altri elementi sono più astratti e riguardano propensioni emotive e obiettivi: ad esempio, perseguire atmosfere cupe e ‘senza luce’, onorando la scelta del nome del progetto. Da un punto di vista compositivo, annovererei il proposito di dare risalto al climax come strumento d’ingaggio emotivo, senza rinunciare a strutture musicali coerenti e ricorrenti, preferite alle soluzioni narrative (intese come suggestioni disparate che si susseguano). Sebbene parzialmente mascherate da arrangiamenti molto densi, le strutture dei pezzi di “Abyssgazer”” seguono spesso schemi tradizionali che permettano a ciascuna idea, nell’accezione cellulare del termine, di svilupparsi ed essere riproposta più volte funzionalmente a rendere il pezzo interiorizzabile.
PENSI ALLA MUSICA E COMPONI TUTTI I GIORNI? CHE COSA TI APPASSIONA DI PIÙ DI QUESTO PROCESSO? E VI È QUALCOSA, NEL FARE MUSICA E NEL PUBBLICARLA, CHE IN QUALCHE MODO TI CREA ANSIA O TI SCORAGGIA?
– Il mio rapporto con la musica è di frequentazione praticamente costante, e ha un ruolo chiave in ciascuna delle mie giornate, tanto da appassionato quanto da musicista. Tipicamente, non passa molto tempo senza che abbia iniziato l’approccio a un album, un artista o uno stile che non conoscessi, vedo tantissime esibizioni dal vivo (ed è anche per questo che mi piace organizzarne) e ogni occasione è buona per cogliere un qualche seme di ispirazione su cui riflettere ed eventualmente innestare idee per i progetti a cui partecipo. Negli ultimi anni ho iniziato a studiare attivamente mixaggio e produzione audio, e ho imparato a preparare una visione avanzata anche dell’aspetto formale e sonoro, nonché della strumentazione.
Sono davvero tanti gli aspetti che concorrono alla formazione della musica, li trovo tutti estremamente appaganti soprattutto da quando sono riuscito a lasciarmi alle spalle alcune velleità che potevano stressarmi – come la necessità di pubblicare qualcosa quanto prima possibile, e misurare la qualità del proprio lavoro con le metriche del riscontro materiale e numerico, o della percentuale del mio contributo nel caso di progetti in cui non fossi l’unico songwriter. La composizione è per me uno spazio più occasionale, a cui accedo quando effettivamente ispirato e motivato dalla maturazione di qualche idea secondo i processi descritti sopra.
VI È UN BRANO ALL’INTERNO DELL’ALBUM DI CUI TI SENTI PARTICOLARMENTE FIERO?
– Lo sono particolarmente della title-track perché riesce puntualmente a restituirmi lo stesso impatto emotivo anche dopo molto tempo e innumerevoli ascolti. È uno dei pezzi che più esce dalla definizione di genere e si lascia influenzare dalle suggestioni musicali più lontane (ho pensato soprattutto a Neurosis, Swans e Godflesh, ciascuno per motivi diversi e più legati al processo creativo che a delle effettive somiglianze). È un pezzo giocato sulle sottigliezze, vale a dire le texture, delay, riverberi e dettagli dell’arrangiamento, mentre l’effetto che si cerca di perseguire intende essere più viscerale e istintivo, amorfo quasi, per lasciare invece che i particolari possano essere colti con un esame più attento. In generale, questo è stato un feedback che ho ricevuto frequentemente sul disco da altri musicisti che l’hanno sentito in anteprima (la doverosa peer review, insomma): un ascolto impegnativo, anche in virtù della scelta di produzione o delle tensioni armoniche che menzionavo in alcune risposte precedenti, o degli elementi in apparente lontananza per via delle spaziose proiezioni che i riverberi suscitano. Qui i synth giocano un ruolo veramente vitale – approfitto di questo paragrafo per segnalare l’ottimo lavoro di Jacopo e Stefano dei Bedsore, che hanno replicato le mie linee con i loro sintetizzatori, ampliandone il senso e declinandolo all’occasione, oltre ad avermi ispirato a loro volta ad acquistare e imparare a utilizzare un synth analogico proprio per questo album.
“ABYSSGAZER” DÀ L’IDEA DI ESSERE UN CONCEPT ALBUM. PUOI SPIEGARCI I TEMI TRATTATI?
– Questo è un concept album e segue una narrazione cronologicamente ordinata che tratta dell’evoluzione e la morte di un universo destinato all’eterna espansione – il nostro, secondo la cosmologia contemporanea. Benché affrontato da un punto di vista astrofisico e scientificamente accurato (è stata per me affezionata materia di studio accademico), non si tratta che di un ulteriore prototipo di uno dei più antichi modi che l’umanità ha sviluppato per darsi spiegazione della propria finitezza e dell’inevitabilità della morte: la mitologia escatologica, o in altre parole, la storia degli eoni a venire, la fine di tutto ciò che esiste e, in estremo, l’irrilevanza del tempo.
Una per una, ciascuna generazione di astri sarà destinata a morire, e distese di relitti stellari orbiteranno unicamente nelle prossimità di buchi neri supermassicci che inghiottiranno ogni traccia di materiale sidereo. Su tempi scala praticamente inimmaginabili, l’inarrestabile inflazione di questo universo, estremamente buio ma occasionalmente illuminato dalle spettacolari coalescenze di questi giganteschi oggetti, strapperà il tessuto stesso dello spazio-tempo fino al decadimento della materia stessa, finché perfino ogni singolarità al cuore di ogni buco nero non sarà evaporata, per effetti quantistici, nella forma di debole radiazione destinata a propagarsi nel nulla. E così, al raggiungimento della massima entropia, nulla accadrà più in questo guscio ormai morto, e il concetto di tempo sarà allora da considerarsi senza più significato.
In questa cornice, la title-track riflette su come, in tempi e spazi tra loro remoti, l’inerte materia possa prendere la forma di esseri viventi, che possano quindi evolversi in creature senzienti in grado, infine, di osservare l’ignoto e interrogarsi sulla natura ultima della realtà – guardando dentro l’abisso: una sorta di auto-coscienza dell’Universo. Gli ‘osservatori dell’abisso’, come da titolo, siamo noi – ma il gioco sull’interpretabilità della traduzione in ‘l’abisso che osserva’ è desiderato.
IL TEAM CHE HA LAVORATO AL DISCO È DI TUTTO RISPETTO: RACCONTACI COM’È CADUTA LA SCELTA SU GREG CHANDLER E SU COLIN MARSTON PER LA PRODUZIONE.
– L’idea di lavorare con Chandler è nata molto presto, ricordo che lo contattai già molto prima della conclusione della fase di arrangiamento. Le principali motivazioni che mi hanno mosso sono state la sua nota capacità di gestire mixaggi estremamente densi, il gusto per riverberi e modulazioni che trascende il metal estremo e la sua propensione a realizzare mixaggi molto scuri, ricchi di basse e avvolgenti. Quest’ultima è stata una condizione sine qua non per il progetto, come si può evincere anche da un primo ascolto, assieme alla richiesta che fosse un mix naturale e dinamico: il carattere originale e naturale delle riprese è preservato, e gli elementi più brillanti non non sono mai esasperati. Per quanto ci fossimo resi conto che, in queste misure, sarebbe stata una scelta estrema e non del tutto convenzionale (atta a ripagare soprattutto ad alti volumi), il tocco di Greg è stato di vitale importanza nella caratterizzazione del disco, e ha raccolto finora praticamente unanimi consensi.
L’idea di rivolgersi a Marston per il master tiene infine fede al precetto di affidare l’ultimo imbellettamento e il confezionamento a un paio di orecchie diverse da quelle che hanno mixato l’album, e immaginavamo che Colin ne avrebbe facilmente inteso il carattere. Così è stato, il suo intervento è stato preciso e ha onorato le scelte del mixaggio.
IL DISCO ESCE PER NUCLEAR WINTER E SENTIENT RUIN, DUE SOLIDI NOMI DEL NOSTRO UNDERGROUND. COSA CERCAVATE A LIVELLO DI SUPPORTO E COLLABORAZIONE IN QUESTO SENSO?
– Credo che il binomio si adatti bene all’esigenza di Aphotic: da un lato Nuclear Winter Records è una vera e propria istituzione nel death metal europeo e una delle etichette underground con l’output più consistente nel corso degli anni, che assieme all’identità con Dead Congregation garantisce grande credibilità, dall’altro Sentient Ruin Laboratories ha una visione compiuta e una strategia promozionale curatissima, oltre a un catalogo ricercato in cui si trova sperimentazione affine a quella che permea “Abyssgazer” (post metal, industrial, noise…), unitamente a un gusto estetico sempre coerente.
Ne consegue in primis che il prodotto fisico è stato curato con grande attenzione, e in secundis che la promozione sta efficacemente procedendo su canali diversificati e consolidati, con ottimi riscontri. Speravamo infatti di stringere una collaborazione che potesse trovare sede in entrambi i due principali poli della scena underground, Europa e Stati Uniti. La comunicazione in ogni fase è stata eccellente, l’attenzione riservataci praticamente lusinghiera.
Come nota a margine personale aggiungo che Anastasis (chitarrista dei Dead Congregation e proprietario di Nuclear Winter Records) è una delle mie principali ispirazioni sulla chitarra estrema e influenze del suo lavoro si sentono in ogni gruppo a cui abbia partecipato, ed è stato un piacere incommensurabile potermici interfacciare in questi termini.
“ABYSSGAZER” VIENE PUBBLICATO IN UN MOMENTO IN CUI VI È GRANDE FERMENTO NEL PANORAMA UNDERGROUND DEATH METAL. LA ‘CONCORRENZA’ È TANTA. IN COSA PENSI CHE GLI APHOTIC SI DISTINGUANO RISPETTO AD ALTRE GIOVANI REALTÀ EMERSE DI RECENTE? PARTENDO MAGARI DAL PRINCIPIO, TI VEDI COMUNQUE PARTE DI UNA SCENA SPECIFICA?
– Penso che con questa mole di output in un settore che non ha significativamente visto crescere numericamente il bacino di fruitori nell’ultimo decennio, una band debba cercare di proporre qualcosa di perlomeno personale. Non intendo necessariamente sperimentale, ma che sia riconducibile alla creatività propria e individuale del musicista, preferendola a quel manierismo che nell’underground assume le connotazioni di una corsa all’imitazione.
Su questo album ho lasciato concorressero influenze e suggestioni molto diverse tra loro, che con il progredire del lavoro si sono accordate in una visione musicale coerente in cui i differenti richiami potessero fondersi in alchimia. Alcune provengono proprio dall’impressione lasciatami da altri progetti death metal e black metal dal carattere più avantgardistico e si innestano sulla mia base chitarristica che definirei invece piuttosto ‘scolastica’ per il genere. Altre sono esterne al metal estremo e sono spesso da riconoscersi più nell’intenzione che nel contenuto. Risentendo l’album dopo vari mesi, riesco a riconoscere alcune delle mie più personali inflessioni del gusto, che si manifestano anche nella scelta, esteticamente estrema, di una produzione cupa, densa, atmosferica.
In questo senso, la proposta di Aphotic intende collocarsi entro quella porzione di panorama death metal (e limitrofo) che abbia attivamente cercato di introdurre elementi di personalità per tornare a perseguire un’oscurità che la ripetizione in serie di coordinate già note aveva in parte dissipato. Tra opinioni e recensioni ho raccolto paragoni tra loro molto diversi ma in qualche modo in accordo con quanto detto sopra: da Gorguts a Ulcerate, da The Ruins of Beverast a Bolzer, fino a effettive mie influenze chiave come Godflesh e Neurosis, passando per gruppi più sperimentali come Portal ed Esoteric. In generale, ho percepito un certo indugio ad associare un sottogenere a questo album, incertezza che leggo come buon indicatore della sua originalità.
QUAL È QUINDI LA TUA OPINIONE SULL’ATTUALE PANORAMA DEATH METAL? TROPPE USCITE, TROPPA CARNE AL FUOCO, OPPURE ABBRACCI E VEDI FAVOREVOLMENTE QUESTO FERVORE? QUALI SONO LE ULTIME USCITE CHE SONO STATE IN GRADO DI COLPIRTI PARTICOLARMENTE?
– Come anticipato, ho vissuto un processo di parziale distacco da questa frenesia underground negli ultimi anni. Mi sono avvicinato ad altri generi, anche per necessità di esplorare qualcosa di nuovo, sia musicalmente che emotivamente. Il mio rapporto con il metal estremo è cambiato, si è spogliato dell’urgenza ‘da collezionista’ ed è diventato più profondo ma più selettivo. Salvo alcune eccezioni che si siano distinte per qualche specifica peculiarità, sono diventato molto scettico all’idea di dedicare troppo tempo a band che siano prevalentemente citazionistiche, o per le quali sia immediato inquadrare influenze, canoni, cliché.
Poi ci sono anche molti gruppi che pur non ‘reinventando la ruota’ in senso stretto, continuano ad avere significato perché innovano sotto l’aspetto dei suoni o dell’arrangiamento. Naturalmente non esiste qualcuno il cui diritto all’espressione artistica sia più importante di quello altrui, penso solo che questo unicum contemporaneo di una illimitata potenza di distribuzione faccia il paio con l’accessibilità senza precedenti agli strumenti di produzione, con una crescita geometrica del numero di progetti pubblicati, il tutto spremuto fino all’esaurimento da un marketing molto astuto nel ricavarsi spazio in questo rumoroso scenario.
Incidentalmente, se dovessi indicare le mie uscite preferite degli ultimi anni, andrei proprio a citare gli stessi nomi dell’ultimo paragrafo della scorsa risposta, con certamente “Stare Into Death and Be Still” degli Ulcerate a ottenere il primato.
COSA AVETE IN MENTE PER PROMUOVERE IL DISCO? L’ESORDIO DAL VIVO AVVERRÀ AL PROSSIMO KILL-TOWN DEATH FEST DI COPENHAGEN. NERVOSI? AVETE ALTRI PROGRAMMI? VI VEDETE PIÙ COME UN GRUPPO DA DATE SELEZIONATE O DA TOUR?
– Siamo molto contenti di proporre uno show di debutto in un contesto come quello di Kill-Town Death Fest, penso sia la cornice perfetta: il festival ha avuto una potenza catalizzatrice nel dare consistenza all’output death metal europeo e a creare un link duraturo con le altre realtà (quella nordamericana in primis), promuovendo con lungimiranza nomi che si sono rivelati vincenti scommesse. È inoltre uno dei festival più godibili e di migliore atmosfera in cui mi sia capitato di suonare.
“Abyssgazer” è un disco di debutto ed esce in un periodo in cui il booking risente ancora di un parziale ingolfamento dovuto a rinvii ancora risalenti al periodo pandemico, in cui non è facile trovare spazio nei festival (soprattutto da indipendenti) e in cui, per ogni singolo genere musicale, c’è un certo affollamento di tour dai più DIY a quelli di range più costoso (cosa che ho potuto constatare sia come promoter che come musicista). Inoltre, non essendo stato preceduto (per scelta) da alcun genere di demo o promo, il disco è stato spendibile come argomento di contrattazione per il booking solo negli ultimi mesi, e KTDF è stato l’unico spot per cui ci siamo proposti, fortunatamente incontrando un riscontro molto entusiastico sull’album.
Sicuramente non sarà il più rilassato dei debutti, ma ho grande fiducia dell’esperienza delle persone coinvolte e per l’occasione avremo un batterista live veramente eccellente. Piani futuri sono invece ancora da delinearsi, per quanto sia ormai dell’idea che occasioni selezionate siano da preferirsi a un presenzialismo costante a ogni costo (dicasi lo stesso, opinione mia, sulla frequenza delle pubblicazioni).
DOVE VEDI GLI APHOTIC DA QUI A CINQUE ANNI?
– Riprendendo direttamente la risposta precedente, al di là di quella che potrà essere la crescita della band in termini di riscontro e interesse ricevuto, è per noi di vitale importanza che ogni pubblicazione futura sia frutto di un processo di ricerca costante, che nulla sia lasciato al caso o alla volontà di compiacere aspettative esterne. Personalmente, vedo molto probabile una sempre maggiore inflessione verso alcuni degli elementi più personali e sperimentali già presenti su “Abyssgazer”, a discapito di alcuni che sento ancora essere diretta eredità del passato, ma il midollo del nostro gusto è sicuramente formato e le intenzioni che ho riconosciuto essere in grado di dettare le linee guida di questo debutto sono probabilmente destinate a sopravvivere.