ASEPTIC WHITE AGE – Viaggio al centro dei ricordi

Pubblicato il 01/04/2016 da

“Reminiscence” è stato uno di quegli album scoperti a cavallo tra il 2015 e 2016 che ci ha lasciato delle sensazioni positive. La proposta musicale dei Nostri è un progressive metal strumentale, moderno e ricco di tempi storti e sbilenchi, senza però andare voler essere la risposta italiana agli Animals As Leaders. In forza di un disco così efficace e di una buona prospettiva di crescita, complice la vicinanza geografica, abbiamo deciso di organizzare un’intervista con i membri della band, che sono arrivati alla spicciolata, per scambiare alcune opinioni e sensazioni sulla loro musica. Di seguito il riassunto della bella chiacchierata avvenuta inizialmente con i due chitarristi della band (Mike e Marco), a cui si sono aggiunti anche il batterista Carlo Alberto e il sassofonista Matteo.

Aseptic White Age - Band - 2015

 

CIAO RAGAZZI. INIZIAMO SUBITO PARLANDO DEL VOSTRO ALBUM “REMINISCENCE”: CHE TIPO DI SENSAZIONI VOLETE TRASMETTERE ALL’ASCOLTATORE CON LA VOSTRA MUSICA?
Mike: “Ciao e grazie per aver iniziato subito con una domanda interessante. Non ci siamo mai posti questo genere di quesiti nel momento in cui abbiamo iniziato a comporre l’album. Diciamo che, visto a posteriori e ascoltandolo in un secondo momento, questo rappresenta tanti stati altalenanti che vanno dall’euforia all’angoscia, passando per la depressione, l’esaltazione e la paura”.
Marco: “Componendo, come magari vedremo più avanti nel corso dell’intervista, durante le nostre improvvisazioni, le emozioni che vengono fuori sono quelle che ci trasciniamo durante le nostre vite e che vanno a confluire nella nostra musica”.

SPESSO NEI TESTI DELLE CANZONI MOLTE BAND LANCIANO DEI MESSAGGI, FANNO DELLE CRITICHE, OPPURE RACCONTANO UNA STORIA. A VOI NON MANCA QUESTO ASPETTO DEL FARE MUSICA?
Mike: “No. Anche perché il disco in realtà racconta una storia, appunto, c’è una coesione e un filo conduttore tra i pezzi, che però, semplicemente, non è fatto con le parole. Essendo la musica in tutto e per tutto un linguaggio che secondo noi arriva in profondità, ed è ovviamente in grado di suscitare forti emozioni, lasciamo che queste siano liberamente interpretabili dall’ascoltatore. Ciascuno di noi ha una sua visione del disco, e noi vorremmo che anche chiunque abbia deciso di ascoltarlo provasse a fare la stessa cosa: immaginarsi una storia dall’inizio alla fine”.
Marco: “L’unico accenno di testo che c’è, è una breve frase che sintetizza tutto il concetto che per noi è stato il fulcro dell’album, e in generale di quello che è il concetto Aseptic White Age”.

A QUESTO PUNTO MI VIENE SPONTANEO CHIEDERTI: COSA SIGNIFICA ASEPTIC WHITE AGE?
Marco: “Nella mia mente c’è una persona chiusa in una stanza vuota, bianca, in cui il tempo è passato ma futuro, in cui è immerso e sommerso dal niente”.

IN ALCUNI PEZZI AVETE USATO UNO STRUMENTO A FIATO COME IL SAX. QUESTO IN QUALCHE MODO POTREBBE FARE LE VECI DI UN VOCALIST?
Mike: “Sì, sicuramente sì, forse anche perché, in generale, il sax è uno degli strumenti più vicini alla voce grazie al suo modo di modulare le note, ed è anche quello che cattura maggiormente l’attenzione, in qualche modo è come se questi tendesse una mano all’ascoltatore per aiutarlo ad entrare nel mondo degli Aseptic White Age. La cosa interessante è che noi inizialmente avevamo pensato di inserire il sassofono giusto in un paio di passaggi all’interno del disco ma poi, visto che Matteo si è trovato molto bene, e ha visto in questa band anche una sorta di palestra per sperimentare tutta una serie di idee che altrimenti non avrebbe modo di mettere in pratica, e ovviamente noi ci siamo trovati molto bene con lui, ha deciso di entrare in pianta stabile e di dare il suo contributo aggiungendo alcune parti che non erano previste inizialmente. Inoltre sta partecipando attivamente anche nei nuovi pezzi che stiamo componendo e che andranno a dare forma al nuovo album, e il sassofono avrà un ruolo sempre più centrale nel nostro suono”.

COME SPECIFICAVAMO ANCHE NELLA RECENSIONE, TROVIAMO CHE UNO DEI VOSTRI BRANI MIGLIORI SIA “GRAVITY”, E CREDIAMO CHE LA PARTE INIZIALE, QUELLA CANTATA, SIA PARTICOLARMENTE RIUSCITA. PENSATE DI RIPETERE L’ESPERIMENTO IN FUTURO, OPPURE SI E’ TRATTATO DI UN EPISODIO ESTEMPORANEO E ISOLATO?
Marco: “E’ curioso perché abbiamo ricevuto critiche, sia positive che negative, proprio sul fatto di aver inserito una parte vocale solo in quel pezzo. Se lo ripeteremo: ora come ora non ti so rispondere, attualmente siamo circa a metà della composizione del nostro secondo album. Quello che ti posso dire con certezza è che la spontaneità è sempre stata al centro del nostro modo di fare musica, in quel pezzo la frase è stata interessante, il concetto che volevamo esprimere era molto significativo, se troveremo qualcosa di altrettanto importante per noi, e soprattutto interessante per l’economia del pezzo lo inseriremo, altrimenti no”.
Mike: “Io sul discorso delle voci tendo ad essere abbastanza contrario, per il semplice motivo che bisognerebbe avere un’idea precisa su come dovrebbero essere le parti vocali in un progetto del genere. Ad esempio io, essendo un fanatico di Mike Patton, mi immaginerei delle vocals alla Patton, altri preferirebbero mettere parti di growl, ma per fare questo ci vorrebbero anche dei cantanti in grado fare ciò. A mio avviso diventa complicato e forzato inserire una voce in questo contesto, ed inoltre attualmente non credo ce ne sia la necessità”.

A NOSTRO AVVISO UNO DEI PRINCIPALI DIFETTI DI MOLTI ALBUM STRUMENTALI E’ CHE SONO TROPPO SPESSO AUTOCELEBRATIVI E METTONO IN RISALTO L’ELEVATO TASSO TECNICO DEI MUSICISTI. VOI SIETE STATI BRAVI A METTERE UNA BUONA TECNICA AL SERVIZIO DELLA MUSICA. VI CHIEDIAMO: E’ DIFFICILE FARE QUESTO? MA SOPRATTUTTO, E’ UN PROCESSO CONSCIO?
Mike: “Questo è un aspetto che mi sta molto a cuore. Personalmente avevo un po’ paura dell’effetto Animals As Leaders, tanto per citare un gruppo che ha fatto della tecnica la sua ragione di vita, anche se hanno saputo nel corso del tempo smussare alcuni angoli. Io credo che il tecnicismo venga dalla voglia di dover fare qualcosa di difficile, e di dimostrare al mondo di saper fare un passaggio impossibile. Noi questa esigenza non l’abbiamo, certo ci sono dei passaggi più tecnici e complessi dal punto di vista ritmico, ma non ci siamo mai soffermati a cercare di far suonare bene qualcosa che non voleva suonare nelle nostre canzoni, ma non crediamo di essere mai andati contro la piacevolezza del brano, quindi in qualche modo per rispondere alla tua domanda sì, è un processo conscio quello di cercare di mettere in primo piano la musica anziché le nostre capacità”.

UN PO’ NE ABBIAMO GIA’ ACCENNATO NELLE ALTRE DOMANDE, A QUESTO PUNTO DITECI: COME NASCE UN BRANO DEGLI ASEPTIC WHITE AGE? AVETE UNA MENTE COMPOSITIVA OPPURE NASCE TUTTO QUANTO DALLE VOSTRE IMPROVVISAZIONI IN SALA PROVE?
Mike: “Generalmente ci troviamo in tre: io, Marco (chitarra ndR) e Carlo Alberto (batteria ndR), gettiamo una base che può nascere da un’idea di uno di noi, e poi ci mettiamo ad improvvisare, scremiamo alcune parti in favore di altre, sviluppiamo le idee principali e tentiamo di dare a queste idee una forma canzone. A questo punto subentrano gli altri, quando ci troviamo ciascuno cerca di dare il suo contributo, ad esempio ora che siamo nel pieno della fase compositiva stanno emergendo anche gli altri membri della band che stanno partecipando attivamente al processo di scrittura”.

PENSATE MAI ALL’IMPATTO CHE I VOSTRI BRANI POTREBBERO AVERE IN SEDE LIVE MENTRE LI COMPONETE?
(si guardano e si consultano per qualche secondo ndR).
Mike: “Be’, magari non è proprio un processo conscio e studiato a tavolino, però in qualche modo sicuramente ci pensiamo, e siamo attenti al fatto che i pezzi sentiti dal vivo suonino il più naturale possibile”.
Marco: “Più che altro, per noi è fondamentale che i pezzi e i suoni che abbiamo siano proponibili e riproducibili il più fedelmente possibile dal vivo, perché ci teniamo moltissimo che chi viene a vederci dal vivo si trovi alle prese con qualcosa che è il più possibile vicino a quello che ha sentito su disco”.

[A questo punto dell’intervista arrivano gli altri membri del gruppo (ndR)]

QUANTO E’ DIFFICILE, PER UNA BAND APPENA NATA, MAGARI IN UNA PROVINCIA TUTTO SOMMATO PICCOLA, EMERGERE E CERCARE DI USCIRE DALLA PROPRIA CITTA’ E TROVARE DATE DOVE SUONARE?
Carlo Alberto: “Dire difficile credo sia riduttivo, direi che si sfiora l’impossibile, oppure in alternativa è necessario avere tanto, tantissimo tempo per cercare contatti e anche una discreta quantità di risorse economiche… perché ci vuole quello, è inutile girarci intorno”.

CI VIENE SPONTANEO CHIEDERVI: COSA PENSATE DEL “PAY TO PLAY”? A VOI E’ MAI CAPITATO DI DOVER PAGARE PER DOVER SUONARE?
Carlo Alberto: “Be’, sì, ci è successo, inizialmente non ci avevamo capito molto, ma alla fine siamo stati contenti e abbiamo capito che alla fine può servire in qualche modo a ‘fare curriculum'”.
Mike: “Guarda, personalmente penso che in qualche modo questa pratica sia l’equivalente del farsi un po’ di pubblicità, alla stregua di un post sponsorizzato di Facebook, per intenderci, quindi non credo sia sbagliata di default, il problema è che spesso questa cosa viene fatta in maniera superficiale e sbagliata: ci sono gruppi che pagano per inserirsi in contesti completamente sbagliati, quindi questo può diventare solo più controproducente per loro. Ricordiamoci poi che questa pratica non nasce qui in Italia, bensì in altri paesi dove se suoni di spalla ad un gruppo importante, quello che hai investito ti ritorna indietro con gli interessi, come un vero e proprio investimento d’impresa”.

CHI SI E’ OCCUPATO DELL’ARTWORK E CHE TIPO DI LEGAME HA CON LA VOSTRA MUSICA?
Marco: “L’artwork è nato da me, Carlo Alberto e Mike, la foto principale della copertina è stata scattata da me come la maggior parte delle altre immagini del booklet, a parte due che sono due dipinti di Carlo Alberto. La foto della copertina è stata scattata da me in Liguria, tutte le altre immagini sono state scattate da me”.
Mike: “Le immagini, essendo totalmente ‘made in Aseptic White Age’, hanno assolutamente un legame con la musica, sono infatti un modo per guidare l’ascoltatore attraverso alcune immagini che noi ci siamo fatti delle singole canzoni. Il procedimento di associazione canzone/immagine è stato molto semplice: abbiamo iniziato a scorrerne alcune e abbiamo scelto quelle che che rispecchiavano la nostra associazione visiva ai singoli pezzi, quindi abbiamo deciso di assegnarle e inserirle nel libretto del CD”.

AVETE MAI PENSATO A FARE DEI VISUAL LIVE?
Carlo Alberto: “Sì, assolutamente, è un progetto che abbiamo già in piedi da tempo e che ci auguriamo di riuscire a realizzare il più presto possibile, visto che di idee in merito ne abbiamo una valanga”.

LEGGENDO LE VOSTRE BIOGRAFIE SI NOTA SUBITO CHE AVETE BACKGROUND MUSICALI ANCHE MOLTO DIVERSI TRA DI VOI. COME RIUSCITE A FAR COESISTERE TANTA DIVERSITA’? CI SONO MAI DEI MOMENTI DI TENSIONE NELLA COMPOSIZIONE DI UN BRANO?
Matteo: “La differenza tra i background artistici dei sei componenti produce stimolo per quella che è la ricerca sonora e visiva degli Aseptic White Age e di questo percorso musicale, che nasce proprio dalla commistione musicale di cose così lontane tra loro che trovano punti in comune tramite l’improvvisazione, il momento, l’attimo della composizione. Senza tutta questa diversità quasi sicuramente ci sarebbero più attriti”.

QUALI SONO I VOSTRI OBIETTIVI A BREVE TERMINE? “REMINISCENCE” E’ L’INIZIO DI UN PERCORSO OPPURE UN PUNTO DI ARRIVO?
Carlo Alberto: “Usando un paragone non troppo elegante direi che questo disco è talmente l’inizio che è il pensiero di andare ad accendere il computer, che useremo per navigare su uno dei nostri siti sconci preferiti per poi…”. (Risate ndR)
Matteo: “E’ il continuum di sei percorsi artistici personali, nonché l’inizio di un nuovo percorso artistico che scaturisce dalle nostre vite individuali. Non è assolutamente una chiusura perché è proiettato al futuro e ad una ricerca sonora del viaggio. Per fare un paragone un pochino meno forte di quello di Carlo Alberto, direi che è come quando ti metti a guardare un paesaggio da una scogliera, o da una montagna molto alta, guardi l’orizzonte che si confonde nella nebbia e non ne vedi una fine, ma non ne sei intimorito e di certo non ti guardi indietro, ma guardi avanti a te con curiosità e impazienza”.

QUALI INVECE QUELLI PIU’ A LUNGO TERMINE, QUINDI DOVE VORRESTE VEDERVI TRA CINQUE ANNI?
Marco: “A lungo termine, ci piacerebbe, a parte suonare con gruppi come The Ocean, formare una sorta di collettivo artistico tale per cui, oltre a suonare, magari in luoghi più insoliti come potrebbero essere dei teatri, vorremmo esporre quadri e fotografie di nostra produzione che rispecchino il nostro essere artisti a trecentosessanta gradi”.

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