Il death-doom può espandersi in zone inconoscibili all’animo umano, o almeno ignote a coloro che non riescono ad avventurarsi con l’immaginazione verso suoni così anomali. Un’area di competenza alla quale appartengono, con una certa qual sicurezza e ormai da diversi anni, gli Assumption, inizialmente un duo nato dalle menti iperproduttive di David Lucido e Giorgio Trombino. Deliziati i palati più esigenti degli extreme metaller con un EP, “The Three Appearances”, e un album, “Absconditus”, in bilico tra psichedelia cosmica e truce, severo, death-doom, con “Hadean Tides” l’oggi quartetto è andato oltre, osando contaminazioni ancora più ardite e fortificando allo stesso tempo la sua anima più tradizionalista. “Hadean Tides” è quindi un disco dalle molte sfaccettature, profondo, ricercato, spietato quando deve picchiare duro senza troppi indugi, atmosferico e particolareggiato quando si apre a registri lontani dai canoni del metal estremo. Il polistrumentista Giorgio Trombino ben volentieri si è prestato ad approfondire alcuni concetti relativi alla band, raccontandoci nei minimi dettagli quale sia la visione musicale della sua band.
COSA IDENTIFICATE CON ‘L’ERA ADEANA’, QUELLA CHE APPARE COME TITOLO DEL DISCO? PERCHÉ SIETE INTERESSATI AD ESSA E COME SI RIFLETTE UN TALE TEMA SULLA MUSICA?
– L’idea di un pianeta in fase embrionale mi ha attratto da subito. La sola sequenza di immagini legate alle pochissime informazioni o, per meglio dire, ipotesi geologiche di cui si dispone per questo eone, infernale a partire dal nome e caratterizzato da una continua distruzione e aggregazione di elementi primordiali, basta a evocare l’atmosfera perfetta per la musica dell’album. Questo è stato lo stimolo principale ma non ti nego che, dopo due dischi di ambientazione spaziale e metafisica come “The Three Appearances” e “Absconditus”, sentivo il bisogno di rivolgermi sul piano testuale alla dimensione opposta, dunque dal cosmo alla terra nella sua dimensione più ancestrale e instabile. Un numero crescente di gruppi estremi scrive dischi o canzoni ispirate allo spazio e noi in tutto questo non sentivamo di dover seguire la stessa linea.
GIÀ NELLE PUBBLICAZIONI PRECEDENTI AVEVATE PROIETTATO UN’IDEA DI DEATH-DOOM PIUTTOSTO PECULIARE; DA UN LATO TRADIZIONALISTA, VERACEMENTE BRUTALE E SOFFOCANTE, DALL’ALTRO AVVENIRISTICA, PSICHEDELICA E CONTAMINATA. QUALE TIPO DI EVOLUZIONE PENSATE DI AVERE COMPIUTO ORA CON “HADEAN TIDES”?
– Il nostro obiettivo è quello di creare musica evocativa, varia e pesante senza limitarci a un unico espediente sonoro per organizzarla. Vogliamo che l’esperienza dei dischi e dei concerti sia avvolgente e che l’ascoltatore avverta un senso di assorbimento. Detto questo, credo fermamente nel potere del riff, che è l’elemento originatore e originario. I riff devono essere ben presenti e devono colpire nel punto giusto e al momento giusto, altrimenti questo genere, debitore eterno di Iommi che ne ha scritto le tavole della legge, crolla e perde del tutto la propria intensità. “Hadean Tides” è, senza dubbio, un disco dai presupposti stilistici molto chiari e abbiamo fatto il possibile per presentarlo nel modo in cui l’avevamo concepito.
NELLA PRESENTAZIONE DEL DISCO PARLARE DELL’ESPERIENZA ASSUMPTION COME ‘RICERCA DI TRASCENDENZA’: COSA SIGNIFICA? QUALE TIPO DI PERCORSO PENSATE STIANO COMPIENDO GLI ASSMPTION SOTTO QUESTO PUNTO DI VISTA, DICIAMO, ‘FILOSOFICO’?
– La trascendenza per noi risiede nell’esperienza diretta del suono. Noi lo visualizziamo sul piano filosofico e materiale come una forma d’energia. Questo gruppo è nato con presupposti sonori ampi fin da subito e già dieci anni fa, sul primo EP “Mosaic Of The Distant Dominion”, c’erano sia momenti più tradizionali che un pezzo per sole voci melodiche, riff dal sapore astratto e così via. Penso che il percorso ci stia portando lentamente a una maggiore padronanza nel bilanciamento fra sezioni classiche e altre più ‘off’, con l’obiettivo di fondere le due componenti in modo tanto saldo da rendere inutile la distinzione fra l’una e l’altra.
“HADEAN TIDES” VI PORTA AD OSARE ANCORA DI PIÙ DI QUANTO AVVENUTO CON “ABSCONDITUS” E “THE THREE APPEARANCES” E IN QUESTO MI PARE SIANO FONDAMENTALI I SINTETIZZATORI. COME ENTRANO NEL SUONO DEATH-DOOM E QUALI POSSIBILITÀ CONSENTONO, IN TERMINI DI ATMOSFERE E SENSAZIONI SUSCITATE?
– La prima volta che ho pensato “si può fare” è stata ascoltando canzoni dei Winter come “Goden”, anche se quelli che hanno reso il synth uno strumento sostanziale nel sottogenere furono, ovviamente, Thergothon e Skepticism. Adoro avere questo elemento aggiuntivo e le sezioni di tastiera sono alcune delle mie preferite, anche dal vivo, perché penso che aggiungano una dimensione extra, nonché un contraltare sonoro rispetto alle chitarre. Nellanostra musica i synth somigliano più a texture che a strumenti solisti. In questo senso penso a Noah Landis e al suo fenomenale lavoro all’interno delle strutture dei Neurosis.
PER LA PRIMA VOLTA AVETE LAVORATO A UN ALBUM CON UNA LINE-UP COMPLETA, ALLARGANDOVI RISPETTO AL DUO ORIGINARIO CHE FINORA AVEVA PORTATO AVANTI PER INTERO IL LAVORO. DA COSA NASCE QUESTA ESIGENZA E COME SIETE ARRIVATI AD AGGIUNGERE ALLA FORMAZIONE GLI ALTRI DUE COMPONENTI, MATIJA DOLINAR E CLAUDIO TROISE?
– Conosciamo Claudio da tanto tempo e avevamo già suonato insieme negli Undead Creep, al termine dei quali lui proseguì insieme a David nei Gravesite. Matija invece l’ho conosciuto mentre era di passaggio a Bologna durante il suo tour con gli Escarnium. Ci trovammo benissimo fin da subito e scoprimmo di avere moltissimi ascolti in comune. Matija e Claudio hanno portato la loro esperienza e il loro tocco a un gruppo che, senza di loro, sarebbe rimasto con tutta probabilità poco più che uno progetto da studio. Sono entrati in pianta stabile nel 2018 e spero che i loro input e le loro idee siano sempre più presenti nella musica che scriveremo.
NELLA TRACKLIST DI “HADEAN TIDES” CI SONO DIVERSI EPISODI A SPICCARE: UNO DI QUESTI È “BREATH OF THE DEDALUS”, CHE MI PARE RICADA PIENAMENTE NEL CONTESTO DELLA DUNGEON-SYNTH. A COSA DOBBIAMO UNA TRACCIA SIMILE, POSTA A SPARTIACQUE TRA LA PRIMA E LA SECONDA PARTE DEL DISCO?
– Desideravo avere un pezzo così da molto tempo ed è, come suggerisci giustamente tu, una specie di porta di passaggio fra una parte e l’altra dell’album. L’influenza deriva più che altro da Lustmord e da alcuni dischi della Cold Meat Industry come “Residuality” di Raison d’être. Sulla sezione finale del pezzo ho campionato una registrazione del 1968 di una mantra per il Dharmaraja (o Yama o Chos-rgyal in base alle lingue e alle tradizioni), signore della morte, cantato da monaci tibetani dell’università tantrica Gyuto.
LA CONCLUSIVA “BLACK TREES WAVING” SEMBRA GIÀ FAR PRESAGIRE FUTURE EVOLUZIONI, PORTANDOVI ANCHE AD UN UTILIZZO DELLA VOCE MOLTO ELASTICO E NON PER FORZA ATTINENTE A CONCETTI DI METAL ESTREMO. COSA RACCONTA “BLACK TREES WAVING” E A COSA SI DEVE QUESTO SVILUPPO TIPO SUITE, MOLTO LIBERO E NARRATIVO?
– “Black Trees Waving” venne concepita fin da subito come il pezzo conclusivo dell’album. Abbiamo avuto altri brani di circa un quarto d’ora su entrambi i dischi precedenti ma stavolta volevamo qualcosa che suonasse funeral doom al cento per cento, seppur con alcune novità rispetto ai nostri canoni. La sezione conclusiva ripete un semplice riff di tre note che, nelle mie intenzioni iniziali, doveva dare l’impressione di un lungo addio.
CON QUESTA VASTITÀ DI INFLUENZE E CAMALEONTISMO DEL SUONO, A QUALI BAND PENSATE DI POTERVI ACCOSTARE? C’È QUALCHE REALTÀ NON-METAL CHE SENTITE PARTICOLARMENTE VICINA A VOI?
– Non saprei. Siamo stati paragonati agli Oranssi Pazuzu ma, per quanto li apprezziamo, non crediamo di avere nulla in comune a livello sonoro. Dal momento che loro sono un gruppo che osa e si avventura in acque sconosciute capisco il senso del paragone, ed è anche lusinghiero, ma per me non c’è somiglianza reale fra noi e loro. C’è chi, per dire che un gruppo metal ha dei riff strani, tira sistematicamente in ballo i Voivod solo perché sono geniali e non inquadrabili come altri gruppi, ma la verità è sempre molto più sfumata di qualsiasi accostamento frettoloso. In ambito non metal forse il massimo dell’oscurità al momento sono i Phurpa e le loro evocazioni Bön.
ORA CHE AVETE UNA LINE-UP A QUATTRO ELEMENTI, PENSATE DI POTER CONDURRE UN’ATTIVITÀ LIVE PIUTTOSTO INTENSA?
– Si, faremo di tutto per suonare il più possibile. Abbiamo un festival estivo in Italia che verrà annunciato presto (si tratta del Frantic Fest, gli Assumption suoneranno nella giornata di venerdì 19 agosto, ndR), più un tour insieme agli Into Coffin, gruppo death/doom/black di Marburgo, e sarà il primo giro per noi ad essere organizzato da Killtown Bookings.
TRA PROGETTI PASSATI E ATTUALI, GRAVITATE DA DIVERSO TEMPO IN FORMAZIONI CHE SUONANO DOOM E DEATH METAL. DI TUTTE QUESTE ESPERIENZE, LASCIANDO PER UN ATTIMO IN DISPARTE GLI ASSUMPTION, QUALI SONO QUELLI CHE VI HANNO REGALATO LE MAGGIORI SODDISFAZIONI? QUALI GLI ALBUM CHE PREFERITE, TRA QUELLI DA VOI REALIZZATI?
– Per Matija è il primo album dei suoi Siderean, “Lost On Void’s Horizon”, mentre per Claudio “Moongazer” dei Tenebra. Per David sono il primo album con gli Haemophagus, l’omonimo dei Bottomless e l’album degli Undead Creep. Personalmente, rispondere a questa domanda è un po’ un bordello. Se includiamo tutti i progetti dal 2004 ad oggi ho accumulato una settantina di uscite ma il settanta per cento di ciò che ho fatto non mi piace e in ogni disco trovo qualcosa che non va. Quelli che ritengo ‘accettabili’ al di fuori degli Assumption sono gli stessi menzionati da David, più il secondo fatto a nome Furious Georgie, il full-length dei Becerus, il full-length dei Sixcircles (progetto dark folk portato avanti insieme alla mia ragazza, Sara) e quello dei Cavernicular. Sono più soddisfatto di alcune recenti collaborazioni su dischi altrui, come quella a synth e voce sul primo album dei Bedsore, “Hypnagogic Hallucinations”, e quella al sax e al duduk (flauto armeno ad ancia doppia) sul nuovo album dei Messa, “Close”, un disco ricchissimo e stupendo.
MENTRE IL MONDO SEMBRA ANDARE A VELOCITÀ SEMPRE PIÙ ELEVATE VERSO LA DISTRUZIONE, NELLA MUSICA ESTREMA PROLIFERANO ALBUM DILATATI, DETTAGLIATI, DOVE LA LENTEZZA PRENDE IL SOPRAVVENTO, SEPPURE DECLINATA IN MOLTE FOGGE DIVERSE. DAL VOSTRO PUNTO DI VISTA, COSA SIGNIFICA OGGIGIORNO APPROCCIARSI AL DOOM E COS’HANNO DI DIVERSO LE PROPOSTE DOOM E DEATH-DOOM ODIERNE RISPETTO A QUELLE DI DIECI O VENT’ANNI FA?
– Penso che il vantaggio, adesso, consista nel poter osservare il complesso del percorso storico di questi sottogeneri, traendone una sintesi e provando a immaginarne il futuro. Oggi forse abbiamo una maggiore consapevolezza del DNA di questo strano mondo sotterraneo, anche se ciò non significa essere in condizioni di creare musica migliore rispetto al passato. Anzi! Mi intrigano sempre le interviste a pionieri come Quorthon, Tom Warrior o ai diSEMBOWELMENT, specie quando parlano dell’epoca in cui praticamente non c’era distinzione fra death e black. Quello spirito di innocenza e quel senso di scoperta sono ciò che importa più di ogni altra cosa e più di qualsiasi produzione anonima o di qualunque assolo scintillante. Mi piace immaginare di poter cercare ancora quella misteriosa scintilla di inconsapevolezza capace di dare genuinità alla musica.