AT THE GATES – I guerrieri del sogno

Pubblicato il 05/07/2021 da

Ce l’hanno fatta sotto il naso. Quando ormai non li credevamo capaci di affrancarsi dalla comfort zone stilistica di “Slaughter of the Soul”, universalmente riconosciuto come uno dei dischi metal più influenti e imitati di tutti i tempi, ecco gli At the Gates riaffacciarsi sul mercato in un 2021 ancora pieno di incertezze con un’opera ispiratissima e – per certi versi – sorprendente. Se da che si erano riuniti, infatti, i Nostri avevano preferito non assumersi troppi rischi, il nuovo “The Nightmare of Being” rimescola le carte in tavola all’insegna di una libertà espressiva vincente e poliedrica, tingendosi di sfumature che fanno guadagnare al quadro complessivo una caratura assai maggiore di quella dei precedenti “To Drink from the Night Itself” e “At War with Reality”. Un album che non mira quindi all’effetto bombastico e immediato con cui il grosso del pubblico identifica gli svedesi e che trova in un songwriting spontaneo e stratificato la leva per il raggiungimento di un obiettivo importante, di cui il sempre disponibile Tomas Lindberg ci ha parlato su Zoom in un botta e risposta svoltosi qualche settimana fa…

INNANZITUTTO, CREDO CHE IL NUOVO ALBUM SIA IL MIGLIORE DA QUANDO VI SIETE RIFORMATI. CON QUALE SPIRITO VI CI SIETE APPROCCIATI? L’HO TROVATO MOLTO PIÙ SPONTANEO E VARIO DI “TO DRINK FROM THE NIGHT ITSELF” AND “AT WAR WITH REALITY”…
– Lo spirito della libertà, immagino. Finalmente abbiamo trovato il coraggio di ragionare fuori dagli schemi, e credo che questo derivi dalla nostra maturità e dalla nostra esperienza. Ci sentiamo sicuri di noi stessi e di ciò che gli At the Gates rappresentano, e sappiamo cosa fare senza abbandonare l’universo in cui siamo cresciuti. Non abbiamo più paura di accogliere nel nostro stile altre texture, altri arrangiamenti o altri elementi musicali come le orchestrazioni. Credo che anche le parti più ‘familiari’ del disco, quelle per cui la gente ci conosce, siano più avventurose e imprevedibili rispetto al passato. Vedo questo lavoro come una sorta di rinascita per la band.

UNO DEI PRIMI ASPETTI AD ATTIRARE L’ATTENZIONE DURANTE L’ASCOLTO È IL RITORNO DI MOLTE SOLUZIONI PROG ALL’INTERNO DEL VOSTRO SUONO. COME VI SIETE MOSSI IN QUESTA DIREZIONE? LO SHOW SPECIALE AL ROADBURN DI QUALCHE ANNO FA HA AVUTO UN RUOLO IN QUESTA SCELTA STILISTICA?
– Eravamo già propensi a muoverci in questa direzione, ma lo show che abbiamo tenuto al Roadburn ci ha sicuramente dato la spinta definitiva. È stata un’esperienza molto appagante per cui abbiamo ricevuto tantissimi complimenti. Come hai detto, gli elementi progressive fanno parte di questa band fin dal giorno della sua fondazione, anche se nei primi anni Novanta non avevamo sicuramente la maturità per incorporarli in modo naturale nella struttura dei brani. Adesso siamo più consapevoli, meno arroganti se vogliamo, e il risultato del loro utilizzo è su un altro livello.

TO DRINK FROM THE NIGHT ITSELF” ERA STATO IN LARGA PARTE COMPOSTO DA JONAS. COME VI SIETE DIVISI IL SONGWRITING QUESTA VOLTA?
– Direi in maniera non troppo diversa da quel disco. Anche “The Nightmare Of Being” è stato scritto interamente da Jonas e da me. So che per alcuni potrebbe sembrare strano che Stålhammar non abbia preso parte al processo, soprattutto se si pensa che è un ottimo chitarrista e che è la mente creativa di diverse altre band, ma bisogna rendersi conto che comporre per un gruppo con un’eredità come quella degli At the Gates, assicurandosi di farlo in maniera sicura e naturale, richiede del tempo. Non è così immediato portare se stessi e la propria visione musicale in una realtà differente dopo essersi uniti ad essa in corso d’opera. Abbiate pazienza comunque, i tempi per lui sono quasi maturi (ride, ndR).

DOPO LA COLLABORAZIONE SU “AT WAR WITH REALITY”, AVETE DECISO DI AFFIDARE LA PRODUZIONE DEL DISCO A JENS BOGREN. COSA HANNO PORTATO IL SUO CONTRIBUTO E LA SUA ESPERIENZA ALLA VOSTRA PROPOSTA?
– Come sai, per “At War With Reality” il contributo di Jens si era limitato al mixing e al mastering. Non avevamo registrato l’album in sua presenza. Va da sé che questa volta sia stato parte integrante della nascita del disco. Volevamo qualcuno che fosse meticoloso nel suo lavoro e che potesse approcciarsi in modo aperto alle varie facce di “The Nightmare of Being”, così da esaltarle a livello di texture e dettagli sonori. A causa della pandemia era inoltre necessario che quel qualcuno vivesse in Svezia e fosse vicino a noi. Credo che non potessimo fare scelta migliore. Registrazioni a parte, in fase di mixing si è davvero superato; è stato un processo molto lungo e difficile, proprio a causa della moltitudine di dettagli di cui ti parlavo e che volevamo emergessero durante l’ascolto, ma Jens non ha fatto una piega. Ha capito subito quali fossero le nostre esigenze tirando fuori un suono organico e naturale, diverso da quello ‘clinico’ di “At War…”. Siamo davvero entusiasti del risultato finale.

COME AL SOLITO, AVETE SCELTO UN TITOLO MOLTO FORTE ED EVOCATIVO. DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, DI COSA PARLA “THE NIGHTMARE OF BEING”?
– “The Nightmare Of Being” è una sorta di descrizione dell’essere umano e dell’essere vivi nel mezzo del dolore e della sofferenza che fanno parte delle nostre esistenze. Una panoramica su quel paesaggio tormentato che è la realtà che ci circonda, ispirata a correnti filosofiche come il pessimismo cosmico che ho approfondito negli ultimi anni. Ci sono riflessioni molto profonde e complesse al suo interno che vanno in qualche modo a sposarsi alla varietà di soluzioni musicali adottate; volevamo che il pubblico si immergesse completamente nel concept, a partire dallo scenario desolato raffigurato nell’artwork.

SE DOVESSI FARE UN CONFRONTO CON UN’ALTRA OPERA D’ARTE (UN LIBRO, UN FILM, UN DIPINTO, ECC.), A COSA COMPARERESTI “THE NIGHTMARE OF BEING”?
– Questa è una domanda molto difficile, fammici pensare (ride, ndR). Allora, uno dei libri che ho letto durante la realizzazione del disco è stato “L’arcobaleno della gravità” di Thomas Pynchon. Anche se non posso dire che sia direttamente collegato al concept di “The Nightmare…”, ha degli aspetti emotivi molto forti che vanno a braccetto con quelli dell’album.

QUALE IDEA AVEVATE QUANDO AVETE INIZIATO A PENSARE ALLA VOSTRA MUSICA E ALLA DIREZIONE STILISTICA DA INTRAPRENDERE? E QUAL È LA VOSTRA VISIONE OGGI?
– Le influenze presenti sul nuovo disco, che per qualcuno potrebbero sembrare ‘nuove’, hanno sempre fatto parte di noi. Göteborg è una città molto piccola, e oggi come nei primi anni Novanta i musicisti tendono ad essere in contatto fra loro. Siamo sempre stati attratti dalle sonorità avant-garde e non commerciali, e avevamo diversi amici che suonavano in gruppi ispirati ai King Crimson o alle correnti jazz e kraut rock. Eravamo anche grandi fan dei Tangerine Dream. Quelle componenti sono sempre rimaste lì, non se ne sono mai andate. La differenza è che all’epoca ci approcciavamo a certi suoni in maniera arrogante, facendo tutto ciò che i nostri strumenti e le nostre capacità ci consentivano di fare. Il nostro spettro sonoro era bianco, raccoglieva tutto quello che ci passava per le mani. Oggi finalmente abbiamo le conoscenze per scrivere canzoni ricche di elementi ma che siano sempre connesse all’idea originaria del progetto. Su “The Nightmare…” anche i passaggi più insoliti e lontani dalla sfera metal suonano ‘alla At the Gates’.

MOLTE PERSONE VI IDENTIFICANO SOLO CON “SLAUGHTER OF THE SOUL”, IGNORANDO MOLTI ALTRI ASPETTI DELLA VOSTRA EVOLUZIONE E DELLA VOSTRA CARRIERA. COME VI FA SENTIRE QUESTA COSA?
– Non è un problema. Il fatto che la gente ami qualcosa che hai fatto dovrebbe sempre essere visto come una ricompensa e un traguardo. Credo che molti ascoltatori si siano avvicinati a quel disco in una fase di crescita e passaggio della loro vita, e i ricordi legati a certi periodi non potranno mai essere superati da quello che facciamo oggi. È normale. Siamo grati del fatto che qualcuno ci ascolti a prescindere dalla fase della band che conosce o che ha scelto di approfondire. Per noi ovviamente esiste una sorta di linea rossa che collega i nostri dischi, ma non pretendiamo che tutti la vedano. Al tempo stesso, non credo che in questo momento la gente voglia uno “Slaughter Of The Soul pt.2”; se lo facessimo, probabilmente non verrebbe recepita bene come mossa. Il pubblico vuole essere sorpreso da ciò che facciamo.

COME TI SPIEGHI IL SUCCESSO DI QUEL DISCO? PARLIAMO DI UNO DEI LAVORI METAL PIÙ INFLUENTI DI SEMPRE…
– È strano, lo so. Da un lato credo che sia semplicemente uscito nel momento giusto. Ovviamente eravamo determinati a scrivere un album di qualità e a concretizzare la visione che avevamo in mente, badando al sodo, limando certe complessità dei lavori precedenti e scrivendo delle canzoni che fossero delle hit memorizzabili, ma è pur vero che venne pubblicato in uno degli ultimi periodi storici favorevoli alla vendita dei dischi. Fosse uscito qualche anno più tardi, chissà se avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. È arrivato nel posto giusto al momento giusto, siamo stati fortunati.

QUAL È LA PIÙ GRANDE SODDISFAZIONE CHE HAI RAGGIUNTO CON QUESTA BAND?
– Aver gestito la pressione della reunion. Non tanto gli show del primo comeback nel 2008, quanto piuttosto l’attesa che si era venuta a creare intorno a “At War With Reality”. Essere riusciti a sopravvivere a quello stress ci ha senza dubbio rafforzati. A conti fatti, il periodo post-reunion ha superato temporalmente quello della prima incarnazione della band negli anni Novanta, e già questo penso dica molto.

LA TUA STIMA E IL TUO APPREZZAMENTO PER GLI ORMAI DEFUNTI MORBUS CHRON NON È CERTO UN SEGRETO. HAI ASCOLTATO IL NUOVO DISCO DEGLI SWEVEN? COSA NE PENSI?
– Penso sia stupendo. Il miglior disco metal dello scorso anno, a mani basse. Richiede del tempo per essere compreso in ogni suo dettaglio, ma come sempre Robert (Andersson, voce e chitarra di entrambi i gruppi, ndR) ha fatto un lavoro eccezionale.

QUAL È L’ULTIMO ALBUM CHE HAI COMPRATO E QUAL È INVECE IL DISCO CHE TI HA FATTO INNAMORARE DEL METAL?
– Ne compro troppi, devo controllare (fa un check sul telefono, ndR). Ok, l’ultimo che ho preso è stato “Magickal Mystical Indifference” dei Rebel Wizard, un gruppo molto interessante. Escono per Prosthetic Records e suonano un mix stranissimo di heavy metal classico, death, black e musica psichedelica. Devi ascoltarli nel giusto mood, ma se ti ci trovi danno grosse soddisfazioni. Credo invece che il mio disco apripista all’hard rock e al metal sia stato “Alive!” dei Kiss, da lì in poi è stata una lunga parabola verso il male (ride, ndR).

SE PARLI DI MALVAGITÀ, DEVO CONFESSARTI CHE SONO UN GRANDE FAN DEI GROTESQUE…
– Ottimo! È già da un po’ che io e Kristian (aka Necrolord, noto illustratore di copertine metal ed ex chitarrista della band, ndR) stiamo discutendo della possibilità di tornare a fare qualcosa insieme. Ovviamente non sotto il nome di Grotesque, ma suonando qualcosa di simile. Potrebbe volerci del tempo, ma l’idea di base c’è.

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