“At War With Reality”, il come-back album degli At The Gates, è al momento fra i primi argomenti di discussione nei circoli metal del globo. Quasi vent’anni di silenzio discografico interrotti da un album che ha tutte le carte in regola per soddisfare i fan più accaniti della formazione svedese, ma anche per far storcere il naso a coloro che pretendono novità ed evoluzione ad ogni costo. La verità, come spesso accade, forse sta nel mezzo, ma certe illazioni, alla fine dei conti, non paiono turbare affatto il buon Tomas Lindberg, che ci ha ricontattato ad alcuni mesi di distanza dall’intervista tenuta per lanciare l’apparizione del gruppo al nostro festival. Il cantante della seminale death metal band di Gothenburg sprizza entusiasmo da ogni poro, ma si dimostra anche maturo e misurato, come ci si aspetterebbe da un musicista della sua esperienza. Gli At The Gates sono certamente consapevoli dei propri mezzi, ma oggi stanno ben attenti a fare proclami altisonanti: già una volta li abbiamo visti dissolversi all’apice della loro popolarità e ciò ha probabilmente lasciato un segno importante nella carriera e nei ricordi di questi musicisti, tanto che ora la politica pare essere quella dei piccoli passi, a costo di apparire un po’ forzata. Resta il fatto che con “At War With Reality”, almeno a nostro avviso, i Nostri hanno sbagliato poco o niente, ripresentandosi su livelli degni del loro nome: non sarà magari un disco in grado di rivoluzionare un filone, ma, come nel caso del ritorno dei loro coetanei Carcass, mestiere e qualche colpo di classe non sono venuti a mancare.
DI NUOVO BENVENUTO SULLE NOSTRE PAGINE, TOMAS. SONO TRASCORSI DIVERSI MESI DAL METALITALIA.COM FESTIVAL. COSA RICORDI DI QUELLA SERATA?
“E’ stato sicuramente un grande evento per noi. Credo sia impossibile evitare di parlare del fatto che ci siamo esibiti senza Anders per la prima volta nella nostra storia. Si è trattato di un concerto storico per noi e siamo stati felici di essere riusciti ad esibirci nonostante questa grande assenza. Mi rendo conto però che parte dell’audience possa avere un’opinione differente a riguardo: di certo non è stato il classico show degli At The Gates, non abbiamo potuto proporre alcuni brani che avevamo in scaletta e certe altre canzoni non sono state suonate come al solito, ma rimaniamo dell’idea che sia stato meglio esibirsi così che non suonare del tutto. Da parte nostra, sono soprattutto contento per Martin; viene spesso visto come il chitarrista ritmico, come quello ‘minore’, ma quella sera ha fatto un lavoro straordinario. In ogni caso, la prossima volta che saremo in Italia suoneremo a tutti gli effetti ‘alla At The Gates'”.
HO VISTO CHE AVETE ANNUNCIATO DELLE DATE PER GENNAIO…
“Sì, come sai, saremo in tour in Europa in inverno con Triptykon e Morbus Chron, ma ci concentreremo solo sulle regioni centro-settentrionali e sulla Gran Bretagna. Il resto d’Europa, fra cui appunto l’Italia, verrà visitato in un secondo momento”.
COME MAI QUESTA SCELTA? AVETE INTENZIONE DI PROPORRE SCALETTE O DELLE LINEUP DIVERSE A SECONDA DELLE AREE IN CUI VI ESIBIRETE?
“Sì, quella è la nostra idea. Inoltre, non va sottovalutato il fatto che tutti noi abbiamo dei lavori e delle famiglie. Quando abbiamo riattivato il gruppo siamo stati chiari sin dal principio: vogliamo suonare ovunque, ma ciò non deve diventare un obbligo e uno stress. Non abbiamo più l’età per provare a fare i musicisti a tempo pieno. Almeno per il momento è una cosa che non ci interessa. Quindi se e quando andremo in tour, questo non dovrà mai durare più di due o tre settimane. D’ora in avanti sceglieremo accuratamente zone e tempistiche, mettendoci nelle condizioni di avere sempre dei mesi da trascorrere a casa fra un tour e l’altro. E’ appunto anche un modo per provare a proporre scalette diverse e per dare l’opportunità a più band di esibirsi prima di noi. Per questo primo tour avremo i Morbus Chron, che sono un gruppo che apprezzo moltissimo, mentre per le date italiane abbiamo scelto gli Hour Of Penance”.
QUANDO ABBIAMO PARLATO PRIMA DEL NOSTRO FESTIVAL, “AT WAR WITH REALITY” DOVEVA ANCORA ESSERE REGISTRATO. LO AVEVI DESCRITTO COME UN LAVORO DIVERSO DA “SLAUGHTER OF THE SOUL”: CONFERMI QUESTA TUA IMPRESSIONE? SEI CONTENTO DI COME E’ VENUTO?
“Sì, siamo tutti più che soddisfatti del risultato finale e sì, sono convinto che sia il successore più azzeccato per ‘Slaughter…’. E’ un disco che ha la sua identità, che non copia esattamente qualcosa del nostro vecchio repertorio, pur prendendo certamente le mosse dai primi dischi”.
PENSI CHE I FAN LO APPREZZERANNO?
“Spero e credo di sì. Le prime reazioni da parte della stampa specializzata sono molto confortanti. Alla fine, questo disco è nato essenzialmente per soddisfare noi stessi, ma, come ovvio, non posso che essere felice del fatto che anche chi ci segue lo trovi valido. Penso che potrà mettere d’accordo sia i fan dei primi album che coloro che stravedono solo per ‘Slaughter…’. Il suono è forse più vicino a ‘Terminal Spirit Disease’, ma questo era solo una sorta di EP, mentre ‘At War With Reality’ è un disco vero e proprio, con tanti elementi e diversi umori”.
IL DISCO HA TUTTA L’ARIA DI ESSERE UN CONCEPT…
“Sì, ed infatti lo è. Volevo che il nostro ritorno fosse qualcosa di profondo e speciale sotto tutti gli aspetti. L’argomento alla base è molto complesso e lungo da sviscerare, ma sostanzialmente si tratta di un concept sul genere letterario chiamato realismo magico, da tempo assai popolare soprattutto in Sudamerica e America Latina. Ho letto parecchi romanzi di questo filone, fino ad arrivare a studiarlo. Si tratta di un genere molto particolare, dove realtà e fantascienza si intrecciano continuamente sullo sfondo di paesaggi rurali, foklore e tradizioni antiche. E’ stato molto gratificante lavorare a questi testi e, successivamente, al lato grafico del disco. La copertina è la rappresentazione grafica del testo della title track, ma all’interno del booklet potrai trovare un dipinto per ogni brano. L’intero ‘pacchetto’ è stato curato nei minimi particolari; come dicevo, volevamo che il disco fosse perfetto sotto ogni punto di vista”.
L’ASSENZA E’ STATA LUNGA E MOLTI VI ASPETTERANNO AL COSIDDETTO VARCO. “SLAUGHTER OF THE SOUL” HA LASCIATO IL SEGNO…
“Sì, e, come ho sempre detto, faccio un po’ fatica a capire il perchè (ride, ndR). Amo ‘Slaughter…’, ma all’epoca per noi era essenzialmente il frutto di un periodo stressante. Venivamo da un tour andato allo sfascio dopo poche date, i rapporti fra noi erano tesi ed eravamo tutti nervosissimi. Componemmo queste canzoni molto arrabbiate e le registrammo senza guardarci attorno, stando esclusivamente concentrati sui nostri strumenti, senza badare ad alcun tipo di input esterno. E’ il nostro lavoro più scarno e diretto, quello più feroce senza ombra di dubbio. Credo che sia stato il nostro umore del periodo e la nostra foga in fase di registrazione a fare la differenza. Un’alchimia che non potrà mai essere replicata, visto che oggi siamo persone diverse, in situazioni completamente diverse. ‘At War…’ è un album più ragionato e profondo, dove puoi rintracciare l’intera gamma delle nostre tipiche soluzioni. Non c’è solo furia cieca: c’è spazio per malinconia, groove, atmosfera…”.
QUAL E’ IL PRIMO BRANO CHE AVETE COMPOSTO? QUELLO CHE VI HA FATTO PENSARE “OK, QUESTO POTREBBE ESSERE IL PUNTO DI PARTENZA PER UN NUOVO ALBUM DEGLI AT THE GATES”…
“Il primo brano è stato ‘The Book Of Sand (The Abomination)’. Anders ha scritto e registrato la musica a casa sua, poi ha inviato il file a me e a Jonas e ci ha chiesto di fargli sapere cosa ne pensavamo. Entrambi ne siamo rimasti a dir poco entusiasti. Da lì a chiedergli di mandarci altro il passo è stato breve. Anders aveva da poco pubblicato il suo primo album solista e aveva evidentemente voglia di dedicarsi nuovamente al metal. Ha impiegato circa otto mesi per comporre la struttura base di una ventina di nuove canzoni; Jonas nel mentre ha contribuito con varie altre idee, mentre io mi sono dedicato alle linee vocali e ai testi. Guardandomi indietro, credo che non avremmo potuto trovare incipit migliore di ‘The Book…’: è la canzone che più di ogni altra, fra quelle nuove, mette in mostra le varie sfaccettature del nuovo album. Ci ha fatto capire che potevamo ancora comporre musica del genere”.
AVETE LASCIATO DA PARTE PARECCHIO MATERIALE?
“Sì, come dicevo, all’inizio avevamo circa venti brani su cui lavorare. Poi abbiamo deciso di concentrarci su una quindicina: due pezzi sono rimasti fuori dalla tracklist ufficiale, ma potrete trovarli come bonus track in alcune edizioni dell’album. Abbiamo anche inciso una cover dei Sacrifice. Il resto è negli archivi di Anders e Jonas, pronto ad essere rivisitato se e quando avremo voglia di comporre un altro disco”.
IL DISCO E’ MOLTO DENSO, SEMBRA CHE ABBIATE STUDIATO ACCURATAMENTE ANCHE L’ORDINE DEI PEZZI…
“Il nostro obiettivo è sempre stato quello di comporre un album. Un album solido dall’inizio alla fine. Io e Anders abbiamo una mentalità vecchia scuola: per noi un album deve garantire un’esperienza completa all’ascoltatore, un’esperienza il più avvincente possibile. Il music business odierno richiede singoli, anche perchè gli ascoltatori attuali hanno sempre meno pazienza e desiderio di approfondire le qualità di un artista. La gente ascolta musica online mentre fa altro. A noi questo non interessa, sapevamo che volevamo offrire qualcosa che avesse un significato nel suo insieme. Abbiamo guardato alla tracklist come guardiamo ad un puzzle: ogni cosa doveva avere un suo preciso posto”.
HO NOTATO CHE IL LOGO CHE COMPARE SULLA COPERTINA DEL DISCO E’ QUELLO GIA’ PRESENTE SU “WITH FEAR I KISS THE BURNING DARKNESS”. VI E’ UN MOTIVO PARTICOLARE DIETRO QUESTA SCELTA? PERCHE’ NON QUELLO DI “SLAUGHTER…” O QUELLO MOLTO “ARTISTICO”, CON LE FINESTRE, DEI PRIMISSIMI LAVORI?
“Personalmente trovo che ‘At War…’ abbia più di qualcosa in comune con ‘With Fear…’. Con le dovute differenze di stile e di produzione, penso che i due dischi posseggano la stessa atmosfera. La musica è molto profonda e lo svolgimento della tracklist è stato valutato con enorme accortezza. Non nego che quell’album è in assoluto il preferito della nostra discografia tra i membri della band”.
PENSI CHE “AT WAR WITH REALITY” AVRA’ LO STESSO IMPATTO SULLA SCENA METAL DI UNO “SLAUGHTER OF THE SOUL”?
“Non credo, in quanto oggi il pubblico ascolta con sempre meno attenzione e si distrae facilmente, anche nei riguardi di un gruppo considerato storico come il nostro. Ci sono moltissime uscite ogni mese e il pubblico è assai più vasto rispetto ad una volta; l’ascoltatore medio ha meno ‘cultura’ e passione rispetto a venti anni fa. Inoltre, ovviamente, il classico suono At The Gates non è più una novità: credo che negli anni sia stato notevolmente codificato. Tante formazioni ci hanno citato come un’influenza. In ogni caso, mai dire mai: ‘Slaughter Of The Soul’ è veramente esploso solo due o tre anni dopo la sua pubblicazione. Quando uscì venne considerato un buon disco death-thrash, ma come tanti altri…”.
“AT WAR WITH REALITY” E’ STATO REGISTRATO NEGLI STUDIO FREDMAN DI GOTHENBURG, MA MIXAGGIO E MASTERING SONO STATI CURATI DA JENS BOGREN DEI FASCINATION STREET STUDIOS (AMON AMARTH, KATATONIA). VI SONO PARTICOLARI ANEDDOTI DA RACCONTARE SUL PROCESSO DI REGISTRAZIONE?
“No, devo dire che il tutto si è svolto in maniera assolutamente lineare. Ci tenevamo a registrare a Gothenburg, dato che i Fredman sono da sempre degli ottimi studi e volevamo fare tutto con calma, stando vicini alle nostre case. La scelta di mixare e masterizzare in separata sede è stata dettata dalla qualità delle recenti produzioni di Jens: lui è bravissimo a dare ai suoi dischi un suono chiaro e allo stesso tempo lontano da quelle atmosfere digitali che puoi rintracciare in vari dischi metal di oggi. Ci tenevo ad avere un suono tutto sommato organico e Jens ha fatto un grande lavoro. Non so dirti quanto conoscesse la nostra vecchia discografia, ma è riuscito a cogliere in pieno lo spirito della band”.
VEDI GLI AT THE GATES REGISTRARE UN ALTRO ALBUM IN TEMPI TUTTO SOMMATO BREVI?
“Vedremo… alla fine, come dicevo, abbiamo alcune bozze di brani pronti. Al momento però la nostra mente va alla promozione di questo disco, ai tour che affronteremo in Europa, negli USA e magari in Asia e Sudamerica. Ho già detto che non vogliamo passare mesi in tour, quindi ci vorrà del tempo per ‘coprire’ ogni territorio. Credo che avremo modo di tirare le conclusioni tra un paio d’anni. Oggi siamo molto contenti e sarebbe troppo facile dire ‘sì, potremmo registrare un altro album in tempi brevi’, ma meglio fare le cose con calma e dare al gruppo e al disco tempo a sufficienza per maturare”.