ATLANTEAN KODEX – Fra mito e realtà

Pubblicato il 22/12/2019 da

La lunga gestazione di “The Course Of Empire” ha dato esiti proficui per i tedeschi Atlantean Kodex. Realtà di culto negli ambienti epic metal, la band si è fatta a lungo attendere prima di dare un successore all’acclamato “The White Goddess” e si è ripresentata ai suoi adepti con un album ancora più denso e sfaccettato degli eccellenti predecessori. La visione personalissima della materia heavy metal portata avanti da Manuel Trummer e i suoi compagni è stata tradotta in un disco traboccante di dettagli immaginifici, che immerge in ambientazioni storiche e mistiche attraverso una narrazione appassionata, colta e fremente. Un turbine emozionale non di facile decifrazione per chi mastichi sonorità così poco convenzionali all’interno del circuito heavy metal, ma che una volta comprese nelle modalità di svolgimento regalano sensazioni rare, difficilmente scovabili altrove. Eccoci allora a parlare approfonditamente di “The Course Of Empire” e di altri aspetti gravitanti attorno al mondo-Atlantean Kodex con il cantante Markus Becker, attualmente uno delle voci più distintive e talentuose nel panorama classic metal.

SONO TRASCORSI SEI ANNI TRA “THE WHITE GODDESS” E “THE COURSE OF EMPIRE”. IN QUESTO PERIODO, SI È PARLATO DI VOI SOLO IN OCCASIONE DI ALCUNE RARE ESIBIZIONI DAL VIVO. COME AVETE SVILUPPATO LE VOSTRE VISIONI MUSICALI DURANTE TUTTO QUESTO TEMPO? QUAL È, SE PENSI CI SIA, LA NOVITÀ PIÙ SIGNIFICATIVA CONTENUTA IN “THE COURSE OF EMPIRE”?
– Dopo l’uscita di “The White Goddess” abbiamo tenuto alcuni show in giro per l’Europa per circa due anni. Poi ci siamo fermati, per varie ragioni personali, e abbiamo suonato live solo in rare occasioni per un altro paio d’anni. Siamo arrivati al punto che non eravamo nemmeno sicuri se avessimo desiderio di continuare come Atlantean Kodex, ma infine lo spirito creativo è riemerso e Manuel ha iniziato a scrivere nuovo materiale. Questa musica è cresciuta e migliorata poco per volta, ci siamo accorti che avevamo per le mani qualcosa che meritasse di essere registrato. Stilisticamente, non penso ci siano grosse differenze con l’album precedente, anche se in fondo credo sia possa affermare che il suono sia più heavy e maestoso di quello di “The White Goddess”.

IL NUOVO ALBUM SEMBRA MOLTO CENTRATO SULLE LINEE VOCALI E SU ARRANGIAMENTI PIUTTOSTO COMPLESSI, CON MINORE ENFASI SULLE MELODIE DI CHITARRA E GLI ASSOLI. C’È STATO UN CAMBIAMENTO NELLA LINE-UP, CON L’INGRESSO DI CORALIE BAIER AL POSTO DI MICHAEL KOCH, PENSI CHE QUESTO AVVICENDAMENTO ABBIA MODIFICATO IL BILANCIAMENTO FRA I VARI STRUMENTI E IL MODO IN CUI COMPONETE?
– Non direi che in passato ci siamo focalizzati sugli assoli di chitarra, ma concordo sul fatto che le strutture di alcuni pezzi siano più complesse e meditate di quelle degli altri due album. Gli arrangiamenti vocali sono sicuramente più sofisticati di prima, abbiamo investito più tempo ed energie del solito per questo aspetto. L’ingresso di Coralie al posto di Michael non penso abbia inciso tantissimo sul nostro suono. Sul disco puoi sentire assoli di entrambi, mentre del songwriting si è occupato prevalentemente Michael, quindi la sua uscita a favore di Corali su “The Course Of Empire” non è stata così rilevante.

I VOSTRI TESTI PARLANO DI IMPORTANTI TEMI CULTURALI, COLLEGANDO PASSATO E PRESENTE: UTILIZZATE METAFORE E RIFERIMENTI AD ALTRE EPOCHE PER SPIEGARE COSA STA AVVENENDO NELLA NOSTRA SOCIETÀ. COME SI È MODIFICATO IL VOSTRO PENSIERO, LA VOSTRA VISIONE RISPETTO ALLE LIRICHE, NEL CORSO DEL TEMPO E QUALI SONO I TESTI DEL NUOVO ALBUM DI CUI SIETE PIÙ ORGOGLIOSI?
– I nostri testi sono scritti interamente da Manuel, quindi il mio sentimento a riguardo non è tanto di orgoglio quanto di ammirazione nei suoi confronti. Penso compia un lavoro favoloso nel collocare le parole giuste all’interno della musica. Manuel finora ha sempre tenuto più o meno lo stesso approccio ai testi, mischiando riferimenti culturali e fatti storici con tanti elementi immaginari e il risultato è questa stupenda narrazione, che si adatta perfettamente all’epicità del suono.

“THE COURSE OF EMPIRE” È MOLTO DENSO E COSTRUISTO ATTRAVERSO UNA FORTE STRUTTURA NARRATIVA, COSÌ CHE SI HA UNA MINOR ENFASI SUI CHORUS RISPETTO AL PASSATO. COME COMBINATE MUSICA E PAROLE PER OTTENERE QUESTA PODEROSA PROGRESSIONE IN OGNI BRANO, RICERCANDO ALLO STESSO TEMPO UN’ATMOSFERA EPICA E SACRALE?
– A questa risposta sarebbe più adatto a rispondere Manuel, dal mio punto di vista non sono d’accordo sul fatto che vi sia minore focalizzazione sui chorus. Ritengo piuttosto che non siano così lampanti e immediati da cogliere come poteva accadere, ad esempio, in “Sol Invictus” o “Heresiarch”, ma ascoltando la risposta del pubblico ai nostri ultimi concerti, considerato il sing-along percepito per le nuove canzoni, mi pare che abbiano il medesimo potenziale per catturare l’attenzione e far cantare chi ci ascolta.

QUALE È STATA LA CANZONE PIÙ DIFFICILE DA COMPLETARE? I VOSTRI PEZZI SONO DEI GRAN TOUR DE FORCE, SUPPONGO CHE A VOLTE NNON SIA SEMPLICE METTERE OGNI DETTAGLIO AL POSTO GIUSTO E POSSANO INSORGERE DEI DUBBI…
– La canzone che ha richiesto più tempo per essere ultimata è “Chariots (Descending From Zagros)”. Le idee principali e le melodie base, opera del nostro bassista Florian, esistevano già da parecchio. Lui e Manuel hanno provato varie volte a mettere assieme tutte le diverse parti, a dargli un senso compiuto, ma prima che si arrivasse a una canzone vera e propria è passato molto tempo. Per qualche motivo, i vari segmenti di musica non si incastravano tra di loro. Ma non credere, nessuna canzone di “The Course Of Empire” ha avuto una gestazione facile!

LA PARTE VISUALE DELL’ALBUM È MAESTOSA COME VOSTRA ABITUDINE: QUESTA VOLTA AVETE OPTATO PER UN DISPINTO DI MARIUSZ LEWANDOWSKI, MENTRE PER IL BOOKLET VI SIETE NUOVAMENTE AFFIDATI ALLO STILE DA MONACOA AMANUENSE DI KODEX BARBARICUS. COME SIETE ARRIVATI AL DISEGNO DI LEWANDOWSKI? QUALE TIPO DI SUGGERIMENTI AVETE DATO A BENJAMIN HARFF (KODEX BARBARICUS) PER IL BOOKLET?
– Manuel aveva diverse idee per il cover artwork, alla fine si è rivolto verso quello di Lewandowski. Quando ce l’ha mostrato, siamo stati subito d’accordo con lui che sarebbe stata la scelta ideale per la copertina. Emana l’epos glorioso che trasuda a sua volta da testi e musica. Per il booklet, abbiamo semplicemente consegnato a Ben i testi e gli abbiamo dato carta bianca, non ha bisogno di alcun altro indirizzamento da parte nostra. È una delle persone più talentuose e assieme modeste che conosca.

DOPO QUASI QUINDICI ANNI DI ESISTENZA DEGLI ATLANTEAN KODEX, QUALI PENSI POSSA ESSERE IL VOSTRO POSTO ALL’INTERNO DELL’UNIVERSO HEAVY METAL? QUAL È IL SEGNO PIÙ PROFONDO CHE AVETE LASCIATO SULLA SCENA?
– Non saprei darti una risposta precisa, ma credo che abbiamo percorso molta strada considerando la limitatezza di tempo e risorse con cui abbiamo sempre dovuto fare i conti. Non siamo musicisti professionisti, siamo dei fan, gli Atlantean Kodex sono un hobby, abbiamo dimostrato che anche nell’industria musicale attuale è possibile spingersi a certi livelli, facendo tutto da sé e lavorando con persone che credono in te e sono entusiaste di quello che fanno, come Enrico della Cruz Del Sur o Sven della Vàn Records. Guardando alle recensioni ricevute dai nostri tre album, mi pare che qualcosa di buono l’abbiamo fatto. Mi pare che abbiamo colmato un certo vuoto esistente nel genere epic metal: quando abbiamo iniziato a suonare assieme, l’epic metal era difficilmente riconosciuto, era un genere un po’ desueto, posso affermare che l’abbiamo aiutato a rialzarsi e ad acquisire valore.

UN’IMPORTANTE QUALITÀ DEGLI ATLANTEAN KODEX È CHE DATE LA SENSAZIONE DI ASCOLTARE QUALCOSA DI SACRO, DANDO UN’INTERPRETAZIONE QUASI ECCLESIASTICA DELL’EPIC METAL. DA COSA SCATURISCE QUESTO BISOGNO DI SUONARE COSÌ SOLENNI? CI SONO INFLUENZE FUORI DAL METAL CHE HANNO CONDIZIONATO QUESTO FEELING?
– Le nostre influenze musicali provengono da uno spettro molto ampio, dal rock anni ’70 al black metal. Molte di queste influenze non sono immediatamente percepibili nella nostra musica, ma giocano un ruolo importante nel definire la nostra identità come band. Fuori dalla musica, ci sono tante altre cose che permeano il nostro essere come gruppo, fatti storici, riferimenti letterari e molto altro. Inoltre promana dagli Atlantean Kodex un pizzico di malinconia, che farei risalire alle opere letterarie di Tolkien.

SE GUARDI ALL’HEAVY METAL DI OGGI, QUALI SONO LE COSE CHE PREFERISCI E GLI ASPETTI CHE NON RIESCI A CAPIRE O SOPPORTARE?
– Non sono un grande fan del cosiddetto ‘modern metal’, o di quello definito nu o groove metal, e nemmeno sono appassionato delle power metal moderne. Ma è una semplice questione di gusto, che non c’entra nulla col fatto che ne capisca qualcosa di questi generi. Razionalmente, comprendo i recenti sviluppi avuti dall’heavy metalm ma questo non vuol dire che mi piacciano. Forse è che faccio parte di un’altra generazione e non ne capisco il linguaggio. Mi piace invece che vi siano tante giovani band che cercano di preservare lo spirito degli anni ’80, alcuni di loro sono eccellenti musicisti e stanno creando ottima musica. A volte alcuni di questi gruppi si concentrano troppo sul voler essere anni ’80 a tutti i costi, negli atteggiamenti e nell’outfit, a scapito magari dell’attenzione per le scrittura delle canzoni.

MANUEL TRUMMER È PROFESSORE ALL’UNIVERSITÀ DI REGENSBURG E INSEGNA STUDI ANTROPOLOGICI, SE HO BENE INTESO DAL SITO DELLA SUA UNIVERSITÀ. QUANTO INFLUISCONO I SUOI STUDI NEL FORMARE LA VISIONE E LO STILE MUSICALE DEGLI ATLANTEAN KODEX? POSSIAMO INTERPRETARE L’EVOLUZIONE DEL VOSTRO SOUND COME UN RIFLESSO DI QUELLO DI CUI MANUEL SI OCCUPA PER LAVORO?
– Sono sicuro che il lavoro di Manuel e tutti gli studi di cui è appassionato interagiscono con la visione sonora e concettuale degli Atlantean Kodex. Magari non consapevolmente, ma inconsciamente tutto ciò ha un suo ruolo.

GLI ATLANTEAN KODEX HANNO UNA FORTE FAN BASE NELL’UNDERGROUND, POTETE ESSERE CONSIDERATI UNA VERA E PROPRIA CULT BAND, COME ACCADUTO PER ALTRE FORMAZIONI EPIC METAL DEGLI ANNI ’80 E ’90. QUALI SONO LE QUALITÀ CHE SECONDO TE HANNO TOCCATO I CUORI DEI METALHEAD EUROPEI?
– Come ho accennato prima, le nostre canzoni hanno riempito un vuoto in una certa nicchia sonora, non esplorata per lungo tempo. Inoltre siamo ben radicati nella scena metal underground e molti dei festival in cui abbiamo suonato in passato li frequentiamo assiduamente come fan. Questo ritengo ci dia una certa credibilità nell’ambiente.

QUALI SONO I TEMI STORICI IN CUI SIETE MAGGIORMENTE COINVOLTI E DEI QUALI FINORA NON AVETE AVUTO MODO DI PARLARE NEI DISCHI DEGLI ATLANTEAN KODEX?
– Eh, al momento non saprei nemmeno dirti se ci sarà un altro album dopo “The Course Of Empire”. Lasciaci prima vedere che cosa abbiamo in mente di fare per il futuro…

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