In un mondo sempre più tecnocratico, deumanizzato e schiavo delle macchine, non potrebbe essere che una creatura cibernetica come Author & Punisher a rappresentare l’evoluzione distopica dell’essere umano nel suo rapporto col mondo. Il progetto dell’ingegnere/musicista californiano, permettendo a un unico uomo di suonare contemporaneamente tutta una seria di innovativi macchinari in grado di riprodurre suoni musicali (o presunti tali), ci porta da tempo in una realtà fantascientifica assai inquietante e disturbata. Oggi, tutta quella ostilità pare un attimo fermarsi e concedere spazio a intrusioni melodiche e un respiro, un’ariosità, inconsuete per il personaggio-Tristan Shone. Il quale, avvalendosi di numerosi ospiti e un chitarrista fisso al suo fianco, ha dato alla luce il suo disco più accessibile con “Krüller”, opera che abbandona in parte lo squassante, torbido, pressante massacro degli album precedenti per concedersi a sonorità contaminate, ampie, atmosferiche secondo un’ottica che richiama tanto il puro industrial, quanto la darkwave e l’ambient. Accompagnando questa sensibilità più tenue a una pesantezza metal ancora prestante, vigorosa e nitida nel suo sviluppo. A pochi giorni dal suo passaggio a Milano, eccoci all’appuntamento per una chiacchierata con Tristan medesimo sugli ultimi passi compiuti.
ORMAI MANCA POCO ALL’INIZIO DEL TOUR EUROPEO (L’INTERVISTA SI È SVOLTA A METÀ MARZO, NDR), È TUTTO PRONTO?
– Sì, sono appena tornato da un breve tour sulla costa ovest degli Stati Uniti, adesso stiamo ultimando gli ultimi preparativi per il tour europeo. Sono sedici date, se non ricordo male, partiremo dalla Polonia, per concludere in Finlandia. Nel mezzo, ci sarà anche un concerto in Italia, a Milano.
COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DI NUOVO, RISPETTO AI TOUR PRECEDENTI? NUOVE MACCHINE, ALTRI MUSICISTI…?
– Ci sarà un chitarrista, nell’ultimo album ci sono molte parti di chitarra e non ne potevo fare a meno, così da avere anche uno show più movimentato. Userò un nuovo microfono, avrò altra apparecchiatura mai usata prima e in questo caso si tratta di prototipi della mia nuova compagnia, Drone Machines. Si tratta di macchinari costruiti apposta per “Krüller”, mai utilizzati in precedenza per i live.
PASSANDO ALLORA A “KRÜLLER”, TUTTA QUESTA MELODIA, LA PRESENZA DI OSPITI E IL TONO PIÙ RILASSATO, HANNO FATTO SÌ CHE SIAMO IN PRESENZA DI FORTI CAMBIAMENTI NEL TUO STILE. NON PARLEREI PROPRIAMENTE DI UNA RIVOLUZIONE, CERTAMENTE IL DISTACCO RISPETTO AL PASSATO CI PARE EVIDENTE…
– Forse la prima riflessione da parte mia, su dove sarei potuto andare col nuovo album, riguarda l’utilizzo della voce. Considerate le pause dovute alla pandemia, mi sono andato a riascoltare alcune registrazioni dei miei live. Ho avuto l’opportunità di studiare meglio quello che funzionava e quello che poteva essere migliorato. Ho pensato che si potessero togliere una parte delle distorsioni sulla voce, renderla meno aggressiva. Se ci pensi, anche “Krüller” è molto pesante, molto metal; le voci, assieme alle chitarre, riescono a dargli un suono più ampio, avvolgente. Non volevo che la mia voce fosse sempre arrabbiata, come poteva succedere con gli album precedenti.
RESTANDO SULLA VOCE, CHE IN EFFETTI È UNO DEGLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI DI “KRÜLLER”, TI SENTI PIENAMENTE A TUO AGIO IN QUESTA NUOVA DIMENSIONE, OPPURE CI È VOLUTA MOLTA FATICA E IMPEGNO PER RITROVARTI IN QUESTA NUOVA VESTE, COME UN CANTANTE CHE UTILIZZA IN PREVALENZA VOCALIZZI PULITI E SOFT?
– È stata una transizione dura da affrontare. Sono stato abituato a urlare ed essere aggressivo per la maggior parte del tempo con la voce, anche quando la musica diventava più atmosferica. Mi sono dovuto esercitare molto, cercare di prendere confidenza con altri aspetti della mia vocalità che prima trascuravo. Sì, ci è voluta tanta pratica, provavo a cantare in modo diverso, mi registravo, risentivo quello che avevo fatto, cercando ogni volta di migliorare. Sono entrato talmente bene nella parte, adesso, che mi viene quasi da evitare le parti più rabbiose quando canto (risate, ndR).
QUAL È LA PRIMA CANZONE CHE HAI COMPOSTO E HA DATO LA DIREZIONE PER “KRÜLLER”?
– La prima canzone composta è “Drone Carrying Dread”, si basa su un pattern molto semplice, una combinazione di synth e ritmi disegnati col drum-controller. Da lì si è creato proprio un nuovo suono per me, il tema principale della canzone è stato lo spunto cardine dal quale far partire tutte le altre idee che senti nel disco. È stata una progressione naturale, dal primo seme piantato con “Drone Carrying Dread” il resto si è sviluppato da sé. Mi sono accorto subito che quello che stavo suonando mi piaceva e che stavo andando in una direzione interessante. Ho percepito lo stesso feeling che provo quando suono dal vivo, momenti in cui mi preoccupo quasi di nulla, mi immergo nel flusso sonoro e lo lascio scorrere: è tutto perfetto, non ho altro per la testa se non lasciarmi coinvolgere da quanto sto suonando. La stessa cosa l’ho sentita nelle prime fasi di realizzazione dell’ultimo album.
UN’ALTRA IMPORTANTE NOVITÀ È QUELLA DELLE CHITARRE, SUONATE DA PHIL SGROSSO DEGLI AS I LAY DYING. QUANDO HAI CAPITO CHE AVRESTI VOLUTO AVERE LE CHITARRE SUL TUO DISCO E CHE DOVESSERO RAPPRESENTARE UNA PARTE FONDAMENTALE DEL SUONO DI AUTHOR & PUNISHER?
– All’inizio si è trattato di una semplice prova, giusto per capire cosa ne sarebbe saltato fuori. Avevo in mente di suonare una cover di “Glorybox” dei Portishead, allora ho chiesto a Phil, che oltre ad essere il mio manager è anche un grande amico, se potesse aiutarmi e suonare qualcosa sul nuovo disco. In un primo momento ero titubante all’idea di introdurre le chitarre: considerato che suonavo già qualcosa di molto heavy, aggiungere anche la pesantezza delle chitarre mi pareva eccessivo. Invece hanno portato tanta melodia, si sono rivelate complementari ad altre macchine, ai sintetizzatori. A quel punto è diventato inevitabile avere le chitarre anche dal vivo, visto quanto sono diventate centrali adesso per Author & Punisher.
CI SONO ALTRE COLLABORAZIONI IN “KRÜLLER”, PER I NOMI COINVOLTI DIREI CHE LE PIÙ IMPORTANTI SONO QUELLE CON DANNY CAREY E JUSTIN CHANCELLOR DEI TOOL. COME SEI ARRIVATO A COLLABORARE CON LORO E COSA PENSI ABBIANO AGGIUNTO AL SUONO DI AUTHOR & PUNISHER?
– Già quando tenemmo assieme alcune date nel 2020 abbiamo suonato assieme un pezzo dal vivo, è accaduto per cinque/sei concerti, durante il tour australiano. Ci siamo trovati per alcune prove dopo l’uscita di “Beastland”, e ci siamo detti che sarebbe stato bello fare qualcosa assieme. Così è nata la collaborazione per “Centurion”. Si è trattato anche di una coincidenza di tempistiche: con la pandemia in atto, tanti musicisti avevano più tempo disponibile del solito, da qui si sono aperti spazi per collaborazioni che altrimenti difficilmente si sarebbero potute concretizzare.
C’È MOLTA DARWAVE NEL NUOVO ALBUM, UN TOCCO ATMOSFERICO GIÀ PRESENTE NELLA TUA PASSATA DISCOGRAFIA E ORA ANCORA PIÙ ACCENTUATO. VORREI SAPERE QUALI SONO LE TUE PRINCIPALI INFLUENZE DA QUESTO PUNTO DI VISTA, IN PARTICOLARE NELL’ISPIRARTI LE COMPOSIZIONI DI “KRÜLLER”.
– Più che la darkwave o la synthwave, seguo molto la scena elettronica, diciamo dalla fine degli anni ’90, partendo dalla scena drum’n’bass dell’epoca. Poi ho allargato gli orizzonti alla dubstep, al trip-hop. Stili musicali che mi hanno influenzato per la pesantezza della mia musica, per l’approccio vocale e per alcuni altri dettagli. Mostro il mio rispetto e il mio omaggio a quei suoni proprio con la cover di “Glorybox”. I Portishead sono stati un gruppo importantissimo per la mia formazione musicale. Durante la pandemia, invece, mi sono ritrovato ad ascoltare molto reggae, proprio quello delle origini del genere, le sonorità giamaicane. Mi sono accorto che mi rilassavano molto.
PARLANDO APPUNTO DI SONORITÀ ‘RILASSATE’, UNA CANZONE CHE EMERGE DAL NUOVO ALBUM È “MAIDEN STAR”. COSA TI HA PORTATO A UNA CANZONE COSÌ SOFFICE E PACATA?
– Mi sono sentito quasi imbarazzato, quando ho provato a scrivere la linea vocale di questa canzone, perché mi sono accorto che mi stava venendo troppo rilassata, calmissima. Ho pensato la stessa cosa delle liriche, non sembravano neanche le mie. Mi sembrava quasi di aver scritto una canzone emo, non mi riconoscevo più! Poi ho pensato che quel tipo di voce poteva anche riferirsi a cose come i Torche, che in quel momento stavo ascoltando parecchio. Ho cercato di rendere le voci più dirette, un poco più impattanti: alla fine credo di essere arrivato a un buon compromesso rispetto alla prima versione delle linee vocali. Sai, il periodo della pandemia, soprattutto la prima parte, è stato traumatizzante. Nell’estate del 2020, come reazione a quanto stava accadendo, ho finito per esplorare altri aspetti del sound e così sono scaturiti alcuni inattesi cambiamenti. Nel contempo ho riflettuto sulle tematiche survivaliste e post-apocalittiche, che tutta quella situazione andava a suggerire o amplificare. Ho preferito in fondo un approccio non-violento alla questione, lasciando in secondo piano la parte dura e cruda del mio sound.
CI SONO COMUNQUE IN “KRÜLLER” CANZONI PESANTI E DIRETTE, PENSO SOPRATTUTTO A UNA TRACCIA COME “INCINERATOR”, CHE PORTA CON SÉ ANCHE LE ARMONIE E LA MUSICALITÀ DEL RESTO DELL’ALBUM. COME HAI LAVORATO SU QUESTO BRANO E COME SEI RIUSCITO A FAR DIALOGARE AL MEGLIO LE PARTI PIÙ MASSICCE CON QUELLE PIÙ ATMOSFERICHE?
– Potremmo quasi interpretarla come una canzone dove affronto tematiche sociali e politiche. Osservo alcune dinamiche che stanno accadendo nel mondo, soprattutto qui negli Stati Uniti. Parlo di come si rapportano le istituzioni con le persone, alle battaglie per i diritti umani, per il rispetto delle minoranze, al modo in cui le persone cooperano e si fanno forza per affermare le loro idee, e le reazioni che le grandi istituzioni nazionali e internazionali hanno nei loro confronti. Mi soffermo anche sull’estremismo di alcune associazioni, di derive che purtroppo qui negli Stati Uniti stanno aumentando. È per questo che ci sono così tanti contrasti in “Incinerator”, momenti heavy e momenti tranquilli, a rappresentare le lotte, le contrapposizioni che si vedono nella nostra società su moltissimi temi. Diciamo che questo rappresenta anche i contrasti che ho avuto dentro di me durante l’estate del 2020, con tutti gli sconvolgimenti che stavano accadendo in quel periodo.
PASSARE AD UNA LABEL COME LA RELAPSE, CON UNA SUA IDENTITÀ METAL MOLTO FORTE, HA CONTRIBUITO A FARTI SENTIRE PIÙ INSERITO NELLA SCENA METAL, RISPETTO AI PRIMI DISCHI, QUANDO ERI CONSIDERATO UN’ENTITÀ PRETTAMENTE INDUSTRIAL, QUINDI UN’EMANAZIONE DI QUELLA SCENA?
– A dire il vero non mi sono mai sentito pienamente parte del mondo industrial. Al di fuori di Godflesh e Ministry non ho mai ascoltato molto industrial, ad essere sincero. Anche quando ho suonato in contesti dedicati all’industrial, non mi sono mai sentito pienamente a mio agio, era come se fossi un poco fuori posto. Sto meglio quando ho a che fare con suoni e ambienti rivolti al doom, allo stoner, gli ambienti più metal fanno più al caso mio. Mi piace molto l’ebm, infatti vado in tour con Mvtant, che arriva proprio da quel contesto. È una specie di mix tra i primi Godflesh e linee vocali alla Cocteau Twins, con atmosfere dance molto soft.
TORNANDO A “KRÜLLER”, UNA DELLE PRIME CARATTERISTICHE SI NOTANO È LA SUA LENTEZZA: È STATO INTENZIONALE AVERE UN RITMO COSÌ COMPASSATO, OPPURE SI È TRATTATO DI UN SEMPLICE RIFLESSO DELLO STILE MUSICALE CHE STAVI AFFRONTANDO?
– In fondo non ho mai suonato musica veramente veloce, questo perché per come è strutturato Author & Punisher non sarei fisicamente in grado di suonare veloce, non ho una batteria pre-sequenziata, più di tanto non posso velocizzare i miei movimenti e quindi la musica tende a non avere ritmi troppo pressanti. Anche nei miei ascolti, ho sempre prediletto artisti che non si basavano sulla velocità, fossero i Godflesh, i Neurosis, Phil Collins (risate, ndR). Mi piacciono molto anche le ballad, per dire. La combinazione di queste cose fa sì che non suono veloce. Se ascolti “Misery”, lì puoi percepire quale sia il ritmo massimo a cui sono in grado di suonare: oltre, non posso andare. Un’altra canzone che per me è difficile affrontare live è “Centurion”, è dura riuscire a tenere tutto sotto controllo e suonarla al meglio.
I TESTI AFFRONTANO TEMATICHE TRATTE DALLE “PARABLE SERIES” DI OCTAVIA E. BUTLER: PERCHÈ TI SEI INTERESSATO A QUESTE OPERE E COME LE HAI TRASFERITE NEI TESTI DI AUTHOR & PUNISHER?
– Si tratta di romanzi di fantascienza distopica, dove sono tratteggiate condizioni che in qualche misura andavano a rispecchiare quello che si stava vivendo durante la pandemia: restrizioni, forte controllo governativo, distanziamento, l’affermarsi di alcuni movimenti estremisti, con idee quasi fasciste, una forte aggressività che andava aumentando in tutta la società. Qui negli Stati Uniti sono cresciuti molto i survivalisti, questi personaggi che pensano che debbano attrezzarsi per le catastrofi e cercando di essere pronti ad ogni evenienza. Li vedevi girare coi loro van, i loro truck, spesso armati, era una visione per nulla rassicurante. La cosiddetta ‘prepper culture’ è diventata sempre più diffusa durante la pandemia. Diciamo che mi sembrava di entrare in uno scenario alla “Mad Max”, e qui in California del sud, con il richiamo del deserto, questa sensazione diventa ancora più forte. Ecco, a me i film catastrofici piacciono anche, certamente non mi ci vorrei trovare in mezzo, vivere quel tipo di ambiente in prima persona!
IN QUESTO SCENARIO, COME SI COLLEGA A TUTTO QUESTO IL COLORATO ARTWORK DELL’ALBUM?
– Riflette essenzialmente quanto affrontato durante “Drone Carrying Dread” e “Maiden Star”: un robusto truck, un camion americano, che solca il deserto pieno di tutto quello che dovrebbe servire per sopravvivere in condizioni estreme. Una sintesi della situazione che stavo osservando qua nella California del sud nell’estate 2020. Si respirava un’atmosfera violenta, la volontà latente di voler sopraffare il prossimo, di sovrastarlo, pur di avere una speranza di salvezza.
COME ULTIMA DOMANDA, VOLEVO CHIEDERTI QUALCHE INFORMAZIONE AGGIUNTIVA SU DRONE MACHINES, LA TUA COMPAGNIA DEDICATA ALLA CREAZIONE DI MACCHINARI SONORI DI TUA PROGETTAZIONE. COSA OFFRI CON LA TUA AZIENDA?
– Si tratta di una piccola compagnia, che realizza controller, software per drum-machine, synth, microfoni, installazioni, tutti apparecchi derivati da quello che uso io per i miei album e i live. I materiali impiegati sono di diverso tipo: alluminio, acciaio, pietra, legno, calcestruzzo, plastica. Per adesso siamo partiti abbastanza cauti, non c’è un investimenti iniziale altissimo, di questi tempi tutto costa tanto e bisogna soppesare bene le proprie mosse. Vediamo come andrà, se avremo fortuna e questa cosa avrà successo.