Un Tobias Sammet in vena loquace è il sogno di tutti i giornalisti metal. Il simpaticissimo frontman, quando è in vena di parlare, cosa che in genere succede spesso, è infatti dotato di uno spirito e un’arguzia rari, che permettono sempre allo scribacchino di turno di raccogliere risposte inattese a tutte le domande che gli vengano fatte, risultando sempre chiacchierate estremamente interessanti. Proprio in questo stato d’animo lo abbiamo trovato in occasione della telefonata per la promozione del nuovo ‘Ghostlights’, e come previsto, il carismatico compositore tedesco ci ha deliziato di simpatiche risposte riguardanti il processo compositivo e la creazione di personaggi per le complesse trame delle varie saghe Avantasia. Unica controindicazione? Il tempo non è mai sufficiente a fare tutte le domande che ci si era prefissati…
CI PARLI DELLE TEMPISTICHE E DELLE MODALITÀ DI REGISTRAZIONE, COMPOSIZIONE E PRODUZIONE DI QUESTO NUOVO ALBUM? E’ STATO UN LAVORO PENSATO A LUNGO O SI PUO’ DIRE CHE “GHOSTLIGHTS” SIA NATO IN MANIERA PIUTTOSTO ISTINTIVA?
“In realtà ho cominciato a comporlo, a registrarlo e a produrlo più o meno tutto nello stesso tempo! Dovrei aver cominciato a fare le prime incisioni e contemporaneamente a buttare giù le prime parti nell’autunno del 2014, da lì il tutto si è mosso in maniera piuttosto fluida. La storia ha cominciato a formarsi, e l’unico paletto in quel caso fu che si doveva trattare della seconda parte del concept iniziato con ‘The Mystery of Time’. Sotto l’aspetto musicale stavolta ho lavorato tanto con Sasha Paeth, abbiamo composto assieme parecchie musiche per i vari brani. Il tutto si è mosso in maniera piuttosto caotica, per la verità. In poco tempo mi sono trovato a scrivere le liriche di un brano, pensare la linea vocale per un altro, scegliere un cantante per un altro ancora e a riascoltare un pezzo già finito, registrato e quasi mixato! Una cosa veramente caotica, te l’assicuro. Però, devo ammettere che il processo è stato anche estremamente rilassante, per contro. Non avevamo pressioni di sorta, non avevamo alcuna deadline temporale, non avevamo nemmeno un piano su come produrre l’album… semplicemente l’abbiamo fatto, e abbiamo visto come veniva! Pensa che quando abbiamo deciso di darci da fare seriamente e ci siamo imposti le scadenze da rispettare… abbiamo scoperto che l’album era praticamente già pronto!”.
HAI PARLATO DEL CONTINUO DEL CONCEPT DI “THE MYSTERY OF TIME”, DISCO PERÒ CHE NELLA SUA STRUTTURA PIUTTOSTO LINEARE SI DISTANZIAVA ABBASTANZA DALLA STORYBOARD APERTA E LIBERA DELLA TRILOGIA CHE L’AVEVA PRECEDUTO. SU QUALE STRUTTURA SEI RIMASTO STAVOLTA? QUELLA PIÙ LINEARE DI “THE MYSTERY OF TIME” O QUELLA PIÙ METAFORICA CHE AVEVI ADOTTATO PER LA SAGA DI “THE SCARECROW”?
“Tra le due, direi che siamo più vicini a ‘The Scarecrow’ piuttosto che a ‘The Mystery Of Time’. Ecco, hai detto giusto, quel disco aveva una sua linearità cronologica che qui più o meno manca. Più che di una vera e propria storyboard, per ‘Ghostlights’ parlerei una sorta di ambientazione. Come un setting. Puoi vedere qui tutto quello di cui si parlava nel disco precedente come una sorta di cornice all’interno della quale si inquadrano le varie canzoni di questo lavoro. Su “The Mystery Of Time” si parlava di un Inghilterra vittoriana un po’ fantastica, e la troviamo anche qui, ma essa veniva raccontata in una maniera appunto piuttosto cronologica, cosa che tu giustamente hai interpretato per una forse eccessiva linearità del racconto. Su ‘Ghostlights’, ho optato per una scelta diversa in realtà perché… avevo tante cose da raccontare! Volevo dipingere così tanti messaggi, e ritrarre così tante situazioni, che per forza di cose ho dovuto lasciare andare le briglie un po’. Mi sono dovuto staccare dalla scansione cronologica che imbrigliava il precedente capitolo per dare spazio al messaggio. L’idea è sempre quella di parlare di un particolare scienziato agnostico il quale, deriso da altri scienziati, trova la maniera di manipolare il tempo; e di parlare di questa macchina in grado di farlo. Da qui è nata poi l’idea di oscure macchinazioni da parte di qualcuno per manipolare il ritmo stesso della vita delle persone, accelerandolo. Costringendo ognuno ad avere sempre meno tempo, costringendo l’umanità a ritmi frenetici e innaturali. Da qui ho voluto analizzare gli effetti che questo aumento del ritmo della vita poteva avere sulla gente… sai, esaurimenti nervosi, stanchezza e incapacità addirittura di fermarsi un attimo a realizzare sul perché si stanno facendo le cose, di capire cosa ha veramente senso nella vita. Ed ecco, come vedi, l’intero racconto è diventato un romanzo che però non è più tale. La storyboard è scomparsa, è rimasto il setting, la storia generale, e il messaggio che volevo trasmettere. Per questo le dodici canzoni di ‘Ghostlights’ descrivono solo alcuni aspetti e alcuni momenti dell’intera storia, ed è anche il motivo per cui il disco è in effetti più destrutturato rispetto al capitolo precedente”.
QUESTO METODO NARRATIVO ERA L’UNICO SECONDO TE ADATTO A NARRARE QUESTA STORIA?
“Sì, ne sono sicuro. Ma sai cosa? Ognuna di queste dodici canzoni può anche vivere da sola. Può avere un suo senso e un significato anche se non viene affiancata dalle altre, anche non ascoltate in fila mantengono intatta identità e coerenza. E’ un risultato di cui sono felice, non comune a molti concept, e tutto sommato posso dire di averlo cercato anche attivamente, soprattutto nelle ultime fasi di definizione dell’album. Alla fine, il mio scopo non era più quello di scrivere una novella, cercavo più un lavoro… proprio come questo”.
ANCHE L’APPROCCIO MUSICALE È UN PO’ DIVERSO, PERO’ MENTRE “THE MYSTERY OF TIME” ERA UN ALBUM PIÙ CINEMATICO, PIÙ IN STILE ‘MOVIE SCORE’ CON TUTTI I SUOI CORI, SU “GHOSTLIGHTS” NOTIAMO UN RITORNO A SONORITÀ MENO GONFIE, PIÙ DIRETTE. ANCHE QUESTO È DOVUTO AL MODO IN CUI SI È SVILUPPATA LA TRAMA, VISTO CHE ANDIAMO NELLA DIREZIONE OPPOSTA?
“Non saprei, ma non me la sento di confermarti che l’album sia musicalmente più lineare. Lo ritengo più ‘heavy’, quello sì, ma non lineare nel senso di ‘semplice’, se capisci quello che intendo. Certo c’è meno presenza di orchestrazioni e un uso dei cori forse più meditato, ma ‘Ghostlights’ rimane la mia opera più grossa, lunga ben settanta minuti, e penso che sia anche la più piena. Ha dei brani diretti, una buona fruibilità e un approccio più metal, forse per questo dici che è più lineare, però ha anche molto livelli diversi di lettura. Se l’ascolti con attenzione, scopri che tutti i silenzi, tutte le scelte più scarne, tutti i passaggi all’apparenza semplici in realtà vogliono dire qualcosa di più. E’ un album che ad ogni ascolto ti regala qualcosa di nuovo. O almeno lo spero! Ho sentito dei commenti al riguardo come al solito molto vari. C’è chi mi ha detto che il disco è più heavy, c’è chi mi ha detto che è più power, ma in fondo chi può dirlo? Dopotutto entrambi gli album hanno pezzi veloci, entrambi hanno pezzi power ed entrambi hanno lunghe suite orchestrali. L’unica differenza tangibile che io ci vedo e di cui ti parlo è nella produzione, che nel caso di ‘The Mystery of Time’ era molto classica, molto rock oriented, mentre in quest’album è decisamente più metal. Sai, quando mi chiedete queste cose, io cerco sempre di capire cosa intendete, e in genere non voglio essere in disaccordo perché di sicuro avete un idea più chiara della mia, anche perché io non ho mai analizzato un mio lavoro sotto questo punto di vista. Io posso valutare queste differenze di cui mi parlate solamente a posteriori. Per cui, che devo fare? Mi fido! (ride, ndR) No dai, scherzi a parte, spero che tu comprenda che non sono il genere cercato o le differenze dallo scorso album a guidarmi in una direzione piuttosto che l’altra. Ad ogni modo, di sicuro ‘Ghostlights’ ha un sound più netto e definito, quello possiamo dirlo”.
PERÒ IN GENERE IL CONFRONTO CON GLI ALBUM PRECEDENTI È SPESSO UTILE PER STABILIRE NUOVE SFIDE, PER CERCARE DI RAGGIUNGERE QUALCOSA CHE NON SI È MAI FATTO PRIMA. TI CHIEDO A QUESTO PUNTO SE PER “GHOSTLIGHTS” È STATO COSÌ… QUAL’È STATA LA NUOVA SFIDA CHE TI SEI POSTO CON QUEST’ALBUM?
“Ahaha, sei malefico! Beh, ti risponderò che in realtà sono una persona molto noiosa e non mi sono cercato alcuna nuova sfida, almeno non volontariamente! E’ vero, non ne ho cercate. Vedo il comporre la mia musica come un dono: il dono di poter trarre ispirazione continuamente e da ogni dove, ed il dono di saperla trasformare in musica godendoci nel farlo. Per me, il tempo passato a comporre e a lavorare alla mia musica è il premio di quanto faccio, e me lo faccio bastare. Tu mi chiedi se il nuovo album è il risultato di una missione (usa la parola ‘the quest’, ndR) ma io ti dico che l’album piuttosto è lo scopo (‘the purpose’, ndR). Non ho cercato l’ispirazione per comporre ‘Ghostlights’, è il disco stesso ad essere il risultato dell’ispirazione che mi è arrivata. Per spiegarti, non so mai dove il lavoro mi porterà e non posso quindi pormi delle sfide al riguardo che non siano il solo realizzare un album che mi soddisfi il più possibile e che mi diverta nel farlo. Poi, di ‘sfide’ su ‘Ghostlights’ ce ne sono state parecchie, ma non me le sono certo cercate”.
VORREI CHIEDERTI SE TROVI IMPORTANTE DIPINGERE UNA PARTE DI TE, O ANCHE TUTTO TE STESSO, ALL’INTERNO DI UNO O PIÙ DEI PERSONAGGI DELLE VARIE SAGHE DI AVANTASIA. QUANTO DI TOBIAS SAMMET C’È, AD ESEMPIO, SU ‘GHOSTLIGHTS’?
“Certamente ci sono parti di me in ogni personaggio della saga. Io scrivo e compongo i pensieri e le azioni di questi individui, e quindi in qualche modo mi immedesimo sempre in loro, anche per capire cosa possono appunto pensare o fare in un dato contesto. Per ‘Ghostlights’ però non è così facile dirtelo. In alcuni passaggi, il personaggio principale è molto naif su alcune faccende, e alcuni suoi pensieri o comportamenti non collimano certo con i miei. In genere, qualsiasi personaggio che compongo trattiene una parte della mia personalità, ma ognuno di loro ha anche aspetti diversi che mi servono solo per la trama e che non c’entrano niente con me come persona. Ad esempio il personaggio di ‘Ghostlights’ ha alcune idee troppo idealistiche su alcune faccende, cosa che io non sono. Queste idee che lo portano poi a farsi domande che io ho tradotto in canzoni, ma sono domande che per dire io non mi farei mai. Ecco, diciamo che questi personaggi sono di sicuro ispirati dal mio modo di vedere le cose, ma poi non si comportano per forza come dei cloni di Tobias Sammet”.
FERNANDO RIBEIRO DEI MOONSPELL, UNA DELLE PERSONE PIÙ PROFONDE CHE MI SIA CAPITATO DI INCONTRARE, MI DISSE UNA VOLTA CHE NELLO SCRIVERE UNA CANZONE, UN ARTISTA PASSA ATTRAVERSO DUE DISTINTE FASI: UNA FASE EGOISTICA, IN CUI SI METTE QUANTO PIÙ DI SE STESSI SI PUO’ IN UNA CANZONE, E UNA FASE COMUNICATIVA, NELLA QUALE SI PENSA INVECE AL MODO DI COMUNICARE QUANTO COMPOSTO AGLI ALTRI. PENSI CHE QUESTO MODELLO TI SI ADDICA?
“Penso di sicuro che come artista si debba essere egoisti. Perché quando perdi il tuo egoismo nell’arte, ecco quello è il momento in cui si diventa un diverso tipo di artista, un attore nelle mani di altre persone. Sai, molta gente, anni fa, fu scontenta della direzione che avevamo preso con ‘Vain Glory Opera’. Perché era diverso da ‘Kingdom Of Madness’. Si disse che era troppo commerciale, che ci eravamo venduti al filone power che aveva successo ai tempi. Poi uscì ‘Theatre Of Salvation’ che era troppo pretenzioso; ‘Vain Glory Opera’, ecco, quello sì che era bello! E ‘Mandrake’ dopo… che cagata!, mica come quel capolavoro di ‘Theatre Of Salvation’. Ecco cosa succede quando ascolti gli altri: non fai più nulla di nuovo. Oppure perdi la tua identità. E’ per questo che dico che bisogna essere egoisti come compositori, perché è la cosa più onesta che tu possa fare per te stesso e per chi ti ascolta. Poi, se interpreto bene il pensiero di Fernando, lui dice che occorre cercare il modo giusto di comunicare quello che hai creato. Posso anche essere d’accordo, ma in quella fase secondo me è comunque importante non scendere a compromessi. Anche quando si da una forma alle idee, non le cambierei solo per far sì che la gente le accetti. Non si baciano culi, qui. Lo so che con questa frase suono un po’ troppo ‘true metal’, ma la penso davvero così. Ammetto che esiste questa ‘fase due’, la comunicazione, anche perchè la formula giusta per comunicare la tua idea risiede comunque in scelte di incisione e post-produzione, però ritengo sia importante non usare questa seconda parte come scusa per cambiare il tiro di quanto composto”.
EHI, IL TEMPO È DAVVERO VOLATO! HO SPAZIO SOLO PER UN ULTIMA DOMANDA. È DIVERSO ESSERE FRONTMAN SUL PALCO DEGLI EDGUY E SU QUELLO DEGLI AVANTASIA?
“Non credo. Anzi, stavolta ti so rispondere senza dubbi: no. Sono la stessa persona su ambo i palchi. Vedo più differenze in studio, quello sì. Ma solo perché con Avantasia faccio tutto io, mentre con gli Edguy ogni passo è un compromesso tra cinque persone, anche se lo stesso mi occupo sempre io di tante cose. Con gli Edguy c’è però sempre una continua condivisione tra noi, cosa che in Avantasia manca. Sul palco però credo di essere sempre la stessa persona. Ecco, negli Edguy forse ho molto tempo per scherzare con la gente, per fare il buffone presentando i vari brani, con Avantasia non ho la possibilità di fare questo. Alla fine sul palco con me ci sono Michael Kiske, Jorn Lande, Ronnie Atkins, Bob Catley, tutti grandi frontman, che sanno fare bene il loro lavoro quindi, beh, ci si spartisce i ruoli e ognuno può presentare a modo suo il pezzo o l’artista successivo”.