Vent’anni sono un’infinità, è vero. Ma vent’anni volano, anche. E come ogni cosa relativa che si rispetti, l’attesa per un nuovo capitolo discografico dei marchigiani Aydra è stata sia brevissima che lunghissima.
La pubblicazione di “Leave To Nowhere”, ‘solamente’ il terzo disco sulla lunga distanza della storica formazione techno-death metal, ha scosso l’underground dalle fondamenta, in quanto è con una line-up rinnovata e con un piglio deciso e feroce che Mauro Pacetti, voce, leader, anima e unico membro fondatore rimasto, si è sobbarcato tutti sulle spalle e si è lanciato in questa seconda vita. L’album suona fresco, potente e moderno, ma allo stesso tempo ha quel sano gusto rètro che tanto contraddistingue le band che hanno una cospicua fetta di carriera alle spalle, per non dire di anni di esistenza.
E’ proprio con Mauro che ci siamo fatti una bella chiacchierata, giusto per capire le intenzioni degli Aydra, una fresca ‘new entry’ dell’annata metallica 2024.
CIAO MAURO, E UN GROSSO BENTORNATO AGLI AYDRA! VENT’ANNI DALLA VOSTRA ULTIMA PUBBLICAZIONE DI INEDITI SONO QUASI UNA VITA, DA DOVE COMINCIARE PER RIASSUMERLI? VUOI RACCONTARCI IN BREVE COSA SUCCESSE DOPO L’USCITA, NEL 2004, DI “HYPERLOGICAL NON-SENSE”?
– Ciao Marco, e innanzitutto grazie per questa intervista e per il bentornati! Dopo l’uscita di “Hyperlogical Non-Sense” emersero alcune divergenze di opinione sulla gestione della band, che portarono alla separazione da Nicola Raffaeli, il nostro batterista. Tale perdita influì pesantemente sulla promozione dell’album, soprattutto perché trovare un sostituto all’altezza non era semplice, dato il livello tecnico richiesto dai nostri brani.
Poco dopo, Andrea Mastromarco (l’allora bassista, ndr) decise di intraprendere un nuovo percorso con Medici Senza Frontiere, mentre Francesco Olivi (chitarrista, ndR) si trasferì in Australia per motivi di lavoro. Nel 2008 nacque mia figlia e, di fronte alla diaspora che aveva coinvolto la band, decisi di mettere da parte gli Aydra per dedicarmi alla famiglia.
Nel 2012, tuttavia, Andrea Mastromarco, rientrato da alcune missioni in Africa, mi propose di rimettere insieme la band. Sebbene inizialmente fossi titubante, accettai, deciso a preservare l’essenza della nostra musica. Coinvolgemmo Luca e Giuseppe alle chitarre, musicisti talentuosi con cui avevamo un rapporto di amicizia, e Marco Bianchella alla batteria, un vero fuoriclasse noto per la sua precisione straordinaria. Insieme iniziammo un lavoro intenso, ristudiando nei minimi dettagli i brani di “Icon Of Sin” e “Hyperlogical Non-Sense” per trasmettere a tutti il mood distintivo degli Aydra.
Prima di partire per una nuova missione, Mastromarco ci lasciò un dono prezioso: la canzone “Leave To Nowhere”, che divenne il primo pezzo su cui lavorammo con la nuova formazione. Con questo assetto, affrontammo diverse date live e una tournée nei Balcani con gli Infernal Poetry. Al ritorno, decidemmo di iniziare a comporre nuovo materiale, gettando le basi per il futuro del gruppo.
CATAPULTIAMOCI VELOCEMENTE NEL 2024, O APPENA QUALCHE TEMPO ADDIETRO, PER CAPIRE UN PO’ MEGLIO COME SEI RIUSCITO A METTERE INSIEME UNA FORMAZIONE NUOVA DI ZECCA. COME È NATA, IN PRATICA, LA NUOVA LINE-UP E QUANDO AVETE REALIZZATO CHE FOSSE IL MOMENTO GIUSTO PER FAR USCIRE UN NUOVO DISCO?
– La nuova formazione degli Aydra si è consolidata nel 2013, in seguito a una serie di concerti che avevamo intrapreso per rafforzare il lavoro svolto l’anno precedente. Nel 2012 ci eravamo dedicati a rielaborare il mood della band, integrando i nuovi musicisti e ritrovando l’identità che ci aveva sempre contraddistinto.
Durante la succitata tournée nei Balcani con gli Infernal Poetry,l’idea di scrivere nuovo materiale ha iniziato a prendere forma. Da quel momento, con calma e senza fretta, abbiamo iniziato a trovarci per comporre le nuove canzoni.
Il nostro mantra era chiaro: preservare l’identità unica degli Aydra. Ho sempre creduto che la band dovesse essere più della semplice somma delle sue parti, un’entità con un proprio carisma e un sound distintivo.
Il lavoro è stato impegnativo: non ci siamo limitati a riarrangiare e studiare le vecchie composizioni, ma abbiamo cercato di rimanere fedeli al concetto fondante della band, ovvero il trovare un giusto equilibrio tra complessità tecnica e brutalità sonora. Ogni membro della formazione ha contribuito in modo determinante, portando la propria esperienza musicale e mettendola al servizio di un obiettivo comune, scrivere nuove pagine della storia degli Aydra mantenendo una continuità stilistica che fosse sì fedele al nostro passato ma proiettata verso il futuro.
IN QUESTO LUNGHISSIMO LASSO DI TEMPO, LA SCENA METAL, ESTREMA E MENO ESTREMA, È CAMBIATA RADICALMENTE, ATTRAVERSANDO RIVOLUZIONI TECNOLOGICHE, INFORMATICHE, DI MARKETING E PERFINO UNA PANDEMIA MONDIALE. COME VI TROVATE A RIPRESENTARVI AL VIA DA QUASI ‘NEOFITI’ DELLA SITUAZIONE?
– Rientrare dopo vent’anni è stato come affrontare un nuovo debutto, con tutte le emozioni e le sfide che comporta. La scena musicale è cambiata radicalmente rispetto ai nostri esordi. Oggi le dinamiche promozionali ruotano intorno ai social media, allo streaming e a un mercato discografico che appare sempre più frammentato. Abbiamo dovuto adattarci e imparare a gestire piattaforme come Spotify, Bandcamp e Instagram, strumenti che non esistevano o erano agli albori nei primi anni 2000.
Se un tempo i flyer, le fanzine e le riviste cartacee erano i principali mezzi per raggiungere il pubblico, oggi è fondamentale padroneggiare l’arte della comunicazione digitale per restare visibili e rilevanti. Allo stesso tempo, queste nuove tecnologie ci hanno offerto opportunità che non erano immaginabili ai tempi. Ora possiamo raggiungere un pubblico globale con pochi click, connetterci direttamente con i fan e monitorare in tempo reale l’impatto della nostra musica.
Per un progetto come “Leave To Nowhere”, che racconta una storia universale, questa capacità di diffusione è stata cruciale. Ci ha permesso di presentare il nostro lavoro a persone di tutto il mondo, abbattendo le barriere geografiche e culturali.
Ovviamente affrontare questo nuovo panorama non è stato privo di difficoltà. Essere musicisti oggi significa gestire in prima persona molti aspetti del proprio progetto: dalla promozione sui social alla creazione di contenuti, fino all’interazione continua con il pubblico. È un lavoro che richiede tempo e competenze, ma ci ha anche permesso di avere un controllo diretto sulla nostra immagine e sulle nostre scelte artistiche.
La pandemia mondiale ha aggiunto un ulteriore livello di complessità. La mancanza di eventi live e la chiusura dei locali ci hanno costretto a ripensare completamente il modo di promuovere la nostra musica. Tuttavia, questa pausa forzata è stata anche un’occasione per concentrarci sulla creazione di contenuti digitali, come video playthrough, interviste e post dedicati al concept dell’album.
Ripresentarci come ‘neofiti’ in un contesto così diverso è stato stimolante. Nonostante le difficoltà, ci siamo sentiti rinvigoriti dall’energia e dall’entusiasmo del pubblico, vecchio e nuovo, che ha accolto il nostro ritorno. Questo processo ci ha insegnato a combinare l’esperienza e la maturità accumulata negli anni con una mentalità aperta verso le innovazioni, permettendoci di affrontare il futuro con fiducia e determinazione.
INIZIAMO A SVISCERARE “LEAVE TO NOWHERE” DAGLI ASPETTI SPESSO CONSIDERATI, A TORTO, SECONDARI: AD ESEMPIO L’ARTWORK, DAVVERO PREGEVOLE E RIUSCITISSIMO. CE NE VUOI PARLARE IN MODO PIÙ APPROFONDITO? E COME SI COLLEGA AL RACCONTO NARRATO NEL DISCO?
– L’artwork di “Leave To Nowhere” è opera di Luca Morici, un artista marchigiano nonché grande amico, che condivide con noi la passione per il metal, essendo anch’egli un chitarrista. Ho scoperto quest’opera durante una mostra a cui ero andato con la mia compagna. Passando davanti al dipinto, intitolato “Delirio”, sono rimasto letteralmente folgorato. Mi colpì immediatamente per la sua forza espressiva, tanto che non ho potuto fare a meno di scattare una foto e inviarla subito agli altri ragazzi della band con un messaggio: “Ho trovato la copertina”.
In quel momento stavamo ancora lavorando alla composizione dei brani, ma l’opera mise d’accordo tutti all’istante. Dopo qualche mese, la mia compagna contattò Luca e acquistò il dipinto da lui. A quel punto gli chiesi se avremmo potuto utilizzarlo per l’album. Mentre stavo cominciando a scrivere i testi, mi resi conto di quanto fosse perfetto per rappresentare il concept del disco: il dipinto, con la sua intensità visiva, trasmette un senso di sofferenza, smarrimento e angoscia che sono al centro della narrazione del lavoro. Luca accolse con entusiasmo l’idea, e io ne fui felicissimo.
Guardando oggi la copertina, sono ancora convinto che non avremmo potuto trovare nulla di più adatto per rappresentare l’anima dell’album. In un certo senso richiama anche la rinnovata veste degli Aydra, essendo quasi una reinterpretazione della copertina del nostro primo album, “Icon Of Sin”. È un legame tra passato e presente, un segno della nostra evoluzione ma anche della nostra continuità. Sono profondamente grato a Luca per questa collaborazione, che ha aggiunto un valore inestimabile al progetto.
“LEAVE TO NOWHERE” È, APPUNTO, UN CONCEPT ALBUM, FRA L’ALTRO TRATTANTE UN ARGOMENTO PARECCHIO ATIPICO PER UN ALBUM DI METAL ESTREMO, OVVERO LA STORIA E LE PERIPEZIE DI UN MIGRANTE. ANCHE QUI HAI CARTA LIBERA E SOPRATTUTTO PENSIERO LIBERO PER PRESENTARLO A PIACIMENTO…
– “Leave To Nowhere” è un concept album che esplora un tema tanto attuale quanto drammatico: il viaggio di un migrante, un percorso segnato da sofferenza, speranza e un senso di smarrimento profondo. L’idea è nata dalla volontà di affrontare una tematica che non solo colpisce emotivamente, ma che ci interroga anche come esseri umani. Abbiamo voluto raccontare una storia universale, dando voce a chi spesso rimane invisibile agli occhi del mondo.
Il concept è nato in modo naturale, ma è stato profondamente influenzato dalle esperienze personali vissute nel tempo. I racconti di Andrea Mastromarco, che ha trascorso anni in missione con Medici Senza Frontiere in alcune delle zone più difficili del mondo, hanno avuto un impatto determinante. Le sue testimonianze sulle condizioni disperate di chi è costretto a fuggire dalla propria terra hanno acceso in noi la necessità di raccontare queste storie. Allo stesso modo, il mio passato di attivista militante al CSA Kontatto, dove ho avuto modo di confrontarmi con realtà di emarginazione e lotta, ha contribuito a dare forma e significato a questo progetto.
L’album segue le fasi del viaggio di un migrante che fugge dall’Eritrea, un paese dove il regime dittatoriale obbliga i cittadini a un servizio militare infinito, rendendo chiunque tenti di scappare un disertore.
Si parte dal deserto (“Black Skin and Red Sand”), un luogo ostile e inospitale, fino ad arrivare ai campi libici (“Make Slaves”), dove uomini e donne subiscono abusi e vengono trattati come merce. La narrazione prosegue con la difficile traversata del Mediterraneo (“Lost Between Two Lands”), un momento cruciale dove il confine tra la vita e la morte si fa labile, per poi giungere all’Europa, dove, invece di trovare salvezza, queste persone si scontrano con detenzioni nei centri di permanenza temporanea (“Forever Hide”) e, spesso, con il ritorno forzato al punto di partenza (“They Waste a Throne”). Il tragico epilogo è rappresentato in “Three Minutes Walk”, che racconta la condanna a morte del protagonista. La penultima traccia, la title-track, è un brano strumentale che riassume in musica tutto il viaggio, lasciando all’ascoltatore la libertà di interpretare le emozioni trasmesse.
Questo titolo riflette il significato più profondo dell’album: partire senza sapere se si arriverà mai da qualche parte, abbandonare tutto per cercare un futuro che, spesso, rimane un miraggio. Abbiamo scelto questa storia perché crediamo sia necessario portare l’attenzione su una realtà spesso ignorata o banalizzata.
Il metal estremo è un genere che si presta perfettamente a raccontare storie di sofferenza e resistenza, e volevamo sfruttare la sua potenza espressiva per sensibilizzare il pubblico su un tema di grande rilevanza sociale. Non è un album politico, ma umano. Il nostro obiettivo non è schierarci, ma invitare all’empatia, alla comprensione di ciò che si cela dietro i numeri e le statistiche. Ogni migrante ha un volto, una storia, una lotta.
Speriamo che questo disco possa essere un mezzo per ascoltarli e riflettere. L’esperienza personale e il vissuto di Andrea, insieme al mio attivismo passato, ci hanno dato la prospettiva e l’urgenza di affrontare questo tema in maniera autentica e sentita.
A LIVELLO SONORO, INVECE, POSSIAMO DIRE CHE IL DISCORSO INTRAPRESO NON SI DISCOSTA MOLTO DA QUANTO FATTO NELLA PRIMA PARTE DELLA VOSTRA CARRIERA. FORSE L’IMPATTO GENERALE È MENO NEVROTICO E SPIAZZANTE DI QUANTO UDIBILE SUI VOSTRI PRIMI LAVORI, L’ESPERIENZA E LA MATURITÀ VI HANNO CONFERITO UNA CERTA DOSE DI AUTOCONTROLLO, MA CHIARAMENTE LA PROPOSTA È QUANTO MAI AGGRESSIVA E TERREMOTANTE. CE NE PARLI UN PO’ SUI GENERIS, ANCHE PER RINVERDIRE LA MEMORIA DI CHI VI HA SOLO SENTITO NOMINARE IN PASSATO?
– A livello sonoro “Leave To Nowhere” rappresenta una naturale evoluzione rispetto ai nostri primi lavori, mantenendo intatta l’anima tecnica e brutale che ha sempre contraddistinto gli Aydra, ma con un approccio più maturo e riflessivo. Se nei primi album il nostro stile poteva risultare più nevrotico e imprevedibile, qui l’esperienza e la consapevolezza acquisita nel tempo ci hanno permesso di incanalare l’energia in una forma più controllata ma non meno devastante.
Il sound è ancora radicato nel technical death metal, con quella combinazione di complessità e aggressività che ci è sempre stata cara. Le strutture dei brani sono articolate, ma mai gratuitamente complicate: ogni passaggio, ogni cambiamento di tempo e ogni riff è pensato per servire la narrazione e le emozioni che vogliamo trasmettere. C’è un equilibrio che abbiamo cercato di raggiungere tra la potenza sonora e il mood evocativo, tra le parti più veloci e serrate e quelle più atmosferiche e introspettive.
Un aspetto che ci ha guidati durante la composizione è stato il desiderio di mantenere una continuità stilistica con il nostro passato, ma senza limitarci a replicare ciò che avevamo già fatto. Abbiamo lavorato per affinare il nostro sound, integrando le influenze e le esperienze musicali che ognuno di noi ha maturato negli anni.
Per esempio, la precisione chirurgica di Marco Bianchella alla batteria, registrata tutta senza trigger e in un’unica take, dà al disco un’energia autentica e umana, mentre le chitarre di Luca Calò e Giuseppe Cardamone creano un intreccio perfetto tra tecnicismi, melodie e pura brutalità. Nonostante l’evoluzione, la componente terremotante del nostro stile rimane intatta. Vogliamo che l’ascoltatore si senta travolto dall’impatto sonoro, ma anche che sia immerso in un viaggio emozionale e narrativo.
Ogni brano è pensato per colpire, non solo fisicamente, ma anche a livello emotivo, cercando di rendere tangibili i temi profondi che affrontiamo nel concept dell’album. Per chi non ci conoscesse o ci avesse solo sentito nominare in passato, “Leave To Nowhere” è un album che rappresenta al meglio ciò che gli Aydra sono oggi: una band tecnica, aggressiva e appassionata, capace di coniugare complessità e brutalità con una maturità che non tradisce mai la nostra identità. È il ponte tra la nostra storia e il nostro futuro.
TI LASCIO LA PAROLA PER DESCRIVERE A TUO PIACERE LE TRE TRACCE PIÙ RAPPRESENTATIVE DI “LEAVE TO NOWHERE”.
– “Three Minutes Walk” è il brano di apertura dell’album e rappresenta il tragico epilogo della storia narrata. Abbiamo scelto di iniziare dalla fine, ribaltando la struttura narrativa tradizionale, per catturare subito l’ascoltatore con un impatto emotivo devastante. Musicalmente è un pezzo intenso e drammatico, costruito su riff possenti e atmosfere oscure, che evocano il senso di inevitabilità e condanna del protagonista. Le sezioni ritmiche alternano momenti pesanti e cadenzati a esplosioni improvvise, mentre le linee vocali sono tra le più feroci del disco, amplificando la disperazione del racconto. Il testo descrive i tre minuti che separano il protagonista dalla morte, un momento in cui tutto sembra immobile, ma in realtà il peso di una vita intera si riversa in quegli istanti.
“Black Skin And Red Sand” è un brano che racconta il passaggio del protagonista attraverso il deserto, un luogo che simboleggia non solo un ambiente ostile e mortale, ma anche la lotta interiore tra la speranza e la resa.
Musicalmente, è uno dei pezzi più aggressivi dell’album. Le ritmiche sono serrate e ipnotiche, con riff taglienti e un drumming che spinge costantemente al limite. I cambi di tempo sono frequenti e imprevedibili, riflettendo la natura imprevedibile e crudele del deserto stesso. Le chitarre costruiscono una trama sonora abrasiva e inquietante, accompagnata da linee di basso profonde che aggiungono un ulteriore strato di intensità. I testi evocano immagini vivide: la sabbia che brucia, il sole implacabile e il senso di isolamento totale. È un pezzo che cattura la brutalità fisica e mentale dell’attraversamento, lasciando l’ascoltatore senza respiro.
“Lost Between Two Lands” rappresenta uno dei momenti centrali del concept, la traversata del Mediterraneo.
È un brano che vive di contrasti, alternando momenti lenti e atmosferici, che evocano l’immensità e l’incertezza del mare, a esplosioni di violenza sonora che riflettono il pericolo e la paura costante.
La struttura del pezzo è volutamente dinamica: inizia con un’introduzione malinconica e quasi sognante, per poi svilupparsi in una tempesta sonora, con riff dissonanti e ritmiche spezzate che comunicano tensione e instabilità. Le sezioni vocali sono particolarmente intense, passando da un tono narrativo a urla viscerali che incarnano la disperazione e la speranza di chi affronta il mare. Le atmosfere create dalle chitarre, insieme a linee di batteria potenti ma fluide, danno al pezzo una sensazione di movimento costante, come onde che si infrangono e si ritirano. Il testo parla del confine tra due mondi, due vite, e del limbo in cui si trova il protagonista, sospeso tra la possibilità di una nuova esistenza e la minaccia della morte imminente.
I CANALI PROMOZIONALI, COME DEL RESTO TANTE ALTRE COSE, SI SONO PROFONDAMENTE MODIFICATI NEL CORSO DEGLI ANNI. COME VI TROVATE A DOVER GESTIRE MOLTE PIÙ COSE IN PRIMA PERSONA (IMMAGINO) RISPETTO A TANTI ANNI FA?
– Negli ultimi anni, i canali promozionali sono cambiati radicalmente, e oggi tutto ruota intorno ai social media, alle piattaforme di streaming e a una gestione più diretta e personalizzata della comunicazione con il pubblico. Per una band come la nostra, che ha vissuto un’epoca in cui le riviste cartacee e il passaparola erano gli strumenti principali, adattarsi a questa nuova realtà non è stato semplice.
Oggi ci troviamo a dover gestire molti più aspetti in prima persona: dalla creazione di contenuti per i social media all’interazione diretta con i fan, fino alla promozione su piattaforme come Spotify, Bandcamp e YouTube. È un lavoro impegnativo, ma necessario per mantenere viva e visibile la nostra musica in un panorama così competitivo.
In questo percorso, un ruolo fondamentale è stato svolto da Gabriele della Rude Awakening Records, che ha creduto in noi e nel nostro progetto sin dall’inizio. Gabriele non è solo un discografico, ma un vero e proprio alleato, una figura indispensabile per promuovere “Leave To Nowhere” e diffondere la nostra musica.
La sua esperienza e dedizione ci hanno permesso di raggiungere un pubblico più ampio, superando barriere che da soli sarebbe stato difficile abbattere. Ha curato la distribuzione fisica e digitale dell’album, organizzato collaborazioni con fanzine e webzine, e ci ha guidato in ogni aspetto della promozione, offrendoci idee e supporto pratico. Grazie al suo lavoro instancabile, il disco ha ottenuto visibilità non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, facendoci arrivare a orecchie che forse non avremmo mai raggiunto. Siamo profondamente grati per tutto quello che ha fatto e continua a fare per noi. In un momento storico in cui molte band si trovano a navigare da sole in un mare di promozione digitale, avere una persona come Gabriele al nostro fianco fa davvero la differenza. Il suo impegno non si limita alla semplice distribuzione: è parte attiva della nostra visione, condividendo con noi ogni passo di questo viaggio. Senza di lui, il ritorno degli Aydra non sarebbe stato lo stesso.
IN QUESTE DECADI DI VOSTRA ASSENZA, MOLTI TREND SI SONO SUSSEGUITI ALL’INTERNO DELLA SCENA METAL IN GENERALE. SONO CURIOSO DI SAPERE SE QUALCUNA DI TALI TENDENZE TI HA AFFASCINATO IN MODO PARTICOLARE.
– In questi anni lontani dalle scene, abbiamo osservato da spettatori come il panorama metal si sia evoluto, attraversando una moltitudine di trend e sottogeneri. Alcuni ci hanno affascinato più di altri, lasciandoci spunti e influenze che, in modo naturale, si sono sedimentate nel nostro modo di concepire la musica.
Un trend che ci ha particolarmente colpito è stato quello del progressive metal e del technical death metal moderno, che ha saputo portare la complessità musicale a un livello ancora più raffinato. Band come Obscura, Gojira e Beyond Creation hanno dimostrato come sia possibile unire tecnica e brutalità con una profondità emotiva e concettuale che non si limita a impressionare, ma coinvolge. Questi approcci hanno sicuramente stimolato la nostra voglia di lavorare sull’equilibrio tra la complessità tecnica e l’intensità emotiva, due caratteristiche che abbiamo sempre cercato di coltivare negli Aydra.
Ci ha anche affascinato l’uso sempre più diffuso dell’elettronica e della sperimentazione sonora, soprattutto in generi estremi. Pur rimanendo fedeli a un approccio più tradizionale e organico, è stato interessante vedere come alcune band abbiano saputo integrare queste componenti senza snaturare la potenza del metal. È un elemento che, se ben dosato, riesce a creare atmosfere davvero uniche. Un altro aspetto che ci ha colpito è stata la crescita di band che abbracciano temi più concettuali e profondi, utilizzando il metal come veicolo per raccontare storie o affrontare questioni sociali, esistenziali e filosofiche. È qualcosa che sentiamo molto vicino al nostro modo di intendere la musica, e che ci ha motivati a sviluppare il concept di “Leave To Nowhere”.
Ci siamo sentiti meno attratti, invece, da trend più effimeri o commerciali, come la diffusione di alcune sonorità più ‘plastificate’ o la ricerca eccessiva di melodie accattivanti a scapito dell’intensità e dell’autenticità. Per noi il metal deve mantenere una sua integrità e restare una forma d’arte che parla all’anima, senza compromessi. In generale, il nostro approccio è stato quello di osservare, ascoltare e prendere ispirazione da ciò che risuonava con il nostro spirito, senza però abbandonare mai la nostra identità. È un processo di apprendimento e adattamento che ci ha permesso di tornare con un album che sentiamo autentico, ma al passo con i tempi.
OGGIGIORNO È SEMPRE PIÙ FONDAMENTALE DARE UN RISCONTRO LIVE A QUANTO PRODOTTO IN STUDIO E, D’ALTRA PARTE, È ANCHE SEMPRE PIÙ DIFFICILE E COSTOSO ORGANIZZARE TOUR DI UN CERTO LIVELLO. COME VEDI IL VOSTRO FUTURO SOTTO QUESTO ASPETTO E COSA BOLLE IN PENTOLA?
– Oggi più che mai il live è fondamentale per creare un legame autentico con il pubblico, trasformando la musica in un’esperienza fisica ed emozionale. Dopo anni lontani dai palchi, per noi tornare a suonare dal vivo rappresenta una sfida, ma soprattutto un’opportunità straordinaria per riscoprire il lato più viscerale e diretto della nostra arte. Sappiamo bene quanto sia diventato complesso e costoso organizzare tour di un certo livello, specialmente per band underground o indipendenti come la nostra. Tuttavia, siamo fermamente convinti che il live sia il cuore pulsante di una band metal. È lì che la nostra musica prende vita, davanti al pubblico, in un’atmosfera di pura condivisione. Per questo ci siamo posti l’obiettivo di tornare sul palco con un approccio mirato e ben organizzato, valorizzando ogni singola occasione.
Abbiamo già fissato alcune date chiave per il 2024, a partire dal concerto di presentazione del nuovo album, il 13 dicembre al Circolo Dong di Macerata (l’intervista si è svolta nei mesi precedenti, ndr). Sarà un evento speciale dedicato a Chuck Schuldiner e ai Death, in cui avremo l’onore di essere co-headliner insieme ai Gory Blister e ai Crepuscolo.
Questo appuntamento segnerà il nostro ritorno sulle scene in grande stile, non solo per celebrare la nostra musica, ma anche per rendere omaggio a una leggenda che ha influenzato profondamente il nostro percorso. L’evento sarà replicato il 21 dicembre a Roma, in un’altra serata speciale che vedrà sul palco, oltre ai Gory Blister, anche gli Exiled On Earth.
Guardando al futuro, il nostro obiettivo principale è partecipare a quanti più festival metal possibile nel 2025, sia in Italia che all’estero. Crediamo che i festival siano un’occasione unica per entrare in contatto con un pubblico più ampio e condividere il palco con altre grandi band della scena. Colgo l’occasione per lanciarvi un appello: sarebbe un sogno poter partecipare al Metalitalia.com Festival, e invitiamo chiunque fosse interessato a una nostra esibizione a contattarci.
Siamo tornati e pronti a portare la nostra energia su nuovi palchi, ovunque ci sia un pubblico desideroso di vivere la nostra musica dal vivo. Per noi il futuro sul palco è un ritorno alle origini, ma con una consapevolezza e una maturità rinnovate. Ogni concerto sarà più di una semplice esibizione: sarà un’esperienza da vivere insieme al pubblico, un momento per immergersi completamente nel viaggio di “Leave To Nowhere”. È lì, sul palco, che la musica respira davvero, ed è lì che vogliamo essere.