“The Theory Of Everything” segna il grande ritorno degli Ayreon dopo cinque anni dal loro ultimo disco. Ancora una volta la genialità di Arjen Lucassen si manifesta con canzoni piene di atmosfere, energia e pathos all’insegna del progressive rock di grande qualità. Parlare con Arjen Lucassen dà sempre molte soddisfazioni, poiché trattasi di una persona non solo geniale, ma molto loquace e disponibile a condividere con gli altri la sua visione della musica.
ARJEN, NONOSTANTE I CINQUE ANNI DI PAUSA CON GLI AYREON, NON SI PUO’ CERTO DIRE CHE IN QUESTO PERIODO DI TEMPO TU SIA RIMASTO CON LE MANI IN MANO.
“Hai ragione, io lavoro sempre, scrivo musica ogni giorno e da tempo immemore non vado in ferie (ride, ndR). In questi cinque anni ho dato vita al progetto Star One insieme a Russell Allen dei Symphony X, disco che mi ha dato davvero molte soddisfazioni. Successivamente ho pubblicato anche il mio secondo disco solista, ‘Lost In The New Real’, un lavoro eclettico che mi piace davvero moltissimo. Dopo il mio disco solista mi sono concentrato sul nuovo disco degli Ayreon, la sua realizzazione è durata molto, circa un anno e mezzo”.
QUANDO HAI INIZIATO I LAVORI SU “THE THEORY OF EVERYTHING”, AVEVI GIA’ CHIARA IN TESTA UN’IDEA SUL PERCORSO MUSICALE DEL DISCO?
“L’idea principale che avevo non appena ho iniziato a buttar giù le prime idee sui brani era semplicemente quella di realizzare un disco totalmente differente dal suo predecessore. ‘01011001’ era un disco molto dark, heavy, con influenze industrial e con un sacco di cantanti presenti. Questa volta ho ridotto il numero delle voci presenti, ma soprattutto ho voluto dare al disco una veste meno heavy, senza tutte le chitarre del lavoro precedente. A livello di testi, ho scritto una storia del tutto diversa dai precedenti album, mi sono lasciato tutto alle spalle e sono ripartito da zero. Infine ho lavorato con nuovi cantanti ed anche la maggior parte dei musicisti coinvolti appaiono per la prima volta su un disco degli Ayreon. Come vedi ci sono un sacco di novità. Chi ascolta ‘The Theory Of Everything’ troverà una maggior componente strumentale, ma il trademark della band è rimasto immutato”.
IL TITOLO “THE THEORY OF EVERYTHING” RICHIAMA UNA NOTA TEORIA DELLA FISICA. QUESTO E’ STATO IL TUO PUNTO DI PARTENZA?
“Vedi, la Teoria del Tutto è molto affascinante perché, pur essendo appunto una teoria ipotetica, spiegherebbe e collegherebbe insieme tutti i fenomeni fisici conosciuti dall’uomo. La mia storia però non parla di fisica, ma si concentra sui rapporti umani e sulle emozioni”.
AL MOMENTO DI CONCEPIRE IL TUO CONCEPT, HAI PENSATO SUBITO A QUALI MUSICISTI CHIAMARE OPPURE HAI SCELTO IN UN SECONDO MOMENTO?
“La prima cosa di cui mi sono occupato per la realizzazione del disco è stata comporre le musiche. Ho messo insieme tutte le mie idee, mi sono chiuso in studio ed ho iniziato a registrare una montagna di materiale. Solo nel momento in cui il songwriting si avvicina al termine comincio a pensare che tipo di storia raccontare. La musica mi dona ispirazione per scrivere una bella storia, solo a questo punto inizio a chiedermi quali musicisti sarebbero perfetti per interpretare i miei testi. In seguito, una volta definiti i cantanti, valuto quale ruolo affidare alle voci e quali parti far cantare”.
“THE THEORY OF EVERYTHING” E’ COMPOSTO DA QUATTRO MACRO-CANZONI, A LORO VOLTA SPEZZATE IN BRANI PIU’ BREVI…
“Vedi, questa volta ho lavorato in modo molto diverso rispetto al passato per realizzare il disco. Di solito mi metto a suonare la chitarra, scrivo le idee per i vari pezzi e poi mi chiudo in studio a registrare. Per ‘The Theory Of Everything’ sono entrato in studio con una sola idea complessiva, ho iniziato a comporre e registrare la prima canzone, dopo il primo pezzo ne tiravo fuori un altro e li legavo e continuavo in questo modo. Alla fine mi sono trovato con una canzone di venticinque minuti! La stessa cosa è successa per gli altri tre macro-brani, ma credimi, non era nulla di studiato a tavolino. Mi sono semplicemente messo a suonare e le canzoni hanno cominciato a crescere a dismisura. Musicalmente tutte hanno lo stesso stile, non ci sono differenze particolari”.
SUL DISCO APPAIONO MUSICISTI LEGGENDARI CHE HANNO SCRITTO LA STORIA DEL PROGRESSIVE ROCK, COME RICK WAKEMAN, KEITH EMERSON, JOHN WETTON E STEVE HACKETT. HAI REALIZZATO UN SOGNO DI MOLTI FAN!
“Non solo, in primis ho realizzato un mio sogno! Per farti un esempio, ho sempre considerato Keith Emerson una sorta di Dio della tastiera, ascolto la sua musica da quando avevo dieci anni! Possiedo tutti i dischi degli Emerson Lake & Palmer, tutta la discografia degli Yes con Rick Wakeman! Dischi come ‘Journey To The Centre Of The Earth’ di Wakeman sono colonne portanti del rock a livello mondiale! Da quindici anni sto provando ad avere questi artisti tutti insieme su un mio disco, finalmente questo sogno si è avverato. Prima d’ora non c’ero mai riuscito, fortunatamente gli Ayreon in questi anni hanno aumentato la loro notorietà ed hanno venduto molti dischi, e questo mi ha facilitato le cose. Sai, musicisti leggendari come Keith Emerson sono sommersi di richieste di collaborazioni, sono persone molto serie e professionali e decidono in modo molto rigido come e con chi collaborare”.
SEI RIUSCITO A PORTARE QUESTE LEGGENDE NEL TUO STUDIO O AVETE LAVORATO A DISTANZA?
“L’unico di questi grandi nomi con cui ho potuto registrare insieme è stato John Wetton. Sono andato io in Inghilterra a registrare le sue parti per il disco. Sfortunatamente non ho mai incontrato Keith Emerson, alcuni mi hanno detto che in quel periodo stava in America o in Inghilterra, abbiamo lavorato a distanza. Ho incontrato Rick Wakeman un paio di volte e l’ho trovato una persona molto divertente, un vero genio musicale. Il suo sound è straordinario, i suoi dischi sono straordinari e il suo modo di comporre è straordinario, ho reso bene il concetto? Mi sono visto qualche volta anche con Steve Hackett e devo dire mi sono trovato molto bene con lui. Per me incontrare e parlare con queste leggende è stata una delle soddisfazioni più grandi. Ho sempre paura di dover incontrare i miei eroi, perché temo di trovare grandi musicisti, ma pessime persone che sfaterebbero tutto il loro mito ai miei occhi. In questi casi invece ho avuto le conferme che grandi musicisti possono essere grandi persone”.
DA ITALIANI, NON POSSIAMO CHE ESSERE ORGOGLIOSI DELLA TUA SCELTA DI DUE CANTANTI COME CRISTINA SCABBIA DEI LACUNA COIL E SARA SQUADRANI DEGLI ANCIENT BARDS.
“Conosco Cristina da diverso tempo, avrebbe dovuto cantare nel ruolo di Passion sul disco ‘The Human Equation’ del 2004. A causa di suoi impegni con la band, però, non riuscimmo a collaborare insieme. Ho pensato subito a lei per il nuovo disco e questa volta siamo riusciti ad incastrare i nostri impegni perfettamente. Adoro il lavoro fatto da Cristina, la sua performance è stata fantastica. Mi piace molto il fatto che la musica che suona Cristina è molto diversa da ciò che propongo io, per me lavorare insieme è stata una bellissima sfida, abbiamo proposto qualcosa di davvero ed entusiasmante. Cristina è una persona vera, molto emozionale, non c’è davvero nulla di falso in lei ed ha cantato benissimo. Per quanto riguarda Sara, stavo cercando una cantante per il ruolo di The Girl, ma non riuscivo a trovare nessuna che mi convincesse al cento per cento. Un giorno, un fan degli Ayreon mi mandò qualcosa come quaranta link di band con cantante donna ed io iniziai ad ascoltare. All’inizio non trovai nulla di interessante, ma quando ascoltai gli Ancient Bards rimasi molto colpito dalla voce di Sara, era perfetta per me. La contattai e le chiesi se aveva registrazioni di canzoni di diversi stili da farmi sentire. Sara mi mandò delle canzoni pop cantate da lei, le trovai stupefacenti! Infine le inviai un pezzo strumentale degli Ayreon, chiedendole di cantarci sopra. Quando è venuta nel mio studio, ci siamo trovati benissimo ed abbiamo lavorato in modo molto proficuo. Per me Sara possiede un grande talento”.
TRA LE FONTI CHE TI HANNO INFLUENZATO DURANTE LA SCRITTURA DI “THE THEORY OF EVERYTHING”, HAI NOMINATO FILM COME “A BEAUTIFUL MIND” E “RAIN MAN”…
“E’ vero, perché quando ho deciso di realizzare un disco incentrato su una sorta di figura di genio, ho guardato molti film sull’argomento. Credo di averne visti oltre venti! I due film che hai citato mi hanno particolarmente colpito e si sono rivelati una grande fonte di ispirazione”.
I TUOI DISCHI SONO SEMPRE UNO DIVERSO DALL’ALTRO, QUESTA PER TE E’ L’ESSENZA DEL PROGRESSIVE ROCK?
“Progressive per me significa avventura, ma non necessariamente qualcosa di nuovo. Credo che sforzarsi a tutti i costi di cercare soluzioni nuove, non sempre sia una cosa buona. Per me è importante, come dicevo, lo spirito avventuriero del termine, che porta il musicista in un’altra dimensione. Nei miei dischi penso ai vari musicisti coinvolti, alle atmosfere, alle storie ed al risultato globale”.
ARJEN, TU SEI UN POLISTRUMENTISTA. QUANDO COMPONI QUALE STRUMENTO PREFERISCI UTILIZZARE?
“Diciamo che utilizzo maggiormente le chitarre per costruire la struttura dei pezzi. La chitarra da sempre è il mio strumento principale, mentre invece non mi reputo un grande tastierista, dovrei lavorare molto per approfondire la mia conoscenza dello strumento. Compongo praticamente tutto con la chitarra, ma mi piace molto utilizzare anche il sintetizzatore”.
SARA’ POSSIBILE UN GIORNO VEDERE GLI AYREON DAL VIVO CON TUTTO IL LORO CAST?
“Ti confesso che ogni giorno ricevo mail dai fan che mi chiedono di suonare dal vivo. Io li capisco e in passato ho risposto di no con le scuse più disparate, dai problemi logistici all’indisponibilità dei cantanti. Però la verità è questa: io sono un produttore ed un compositore, questo sono e questo è ciò faccio. Non mi piace andare in tour e non mi piace socializzare con le persone, magari in sala prove. Non sopporto di perdere tempo viaggiando da un paese all’altro per fare concerti. Mi considero un recluso, adoro creare la mia musica, le storie in studio, ma non girare mezzo mondo per suonare”.