Sono stati anni difficili per il Banco Del Mutuo soccorso, difficilissimi. Tra il 2014 e il 2015, infatti, ci hanno lasciato Francesco Di Giacomo, storica voce della band, e il chitarrista Rodolfo Maltese; mentre il leader e tastierista Vittorio Nocenzi è stato vittima di un’emorragia cerebrale che l’ha portato al coma. Un colpo del genere avrebbe segnato la fine per chiunque, ma Nocenzi, invece, si è ripreso e con una volontà sovrumana ha rifondato quasi da zero la sua band, arrivando quest’anno alla pubblicazione di un meraviglioso album di inediti, “Transiberiana”. Con molto piacere, dunque, abbiamo potuto raccogliere questa lunga intervista con Vittorio Nocenzi, che si è rivelato un interlocutore di rara profondità, che vive sì in un mondo che non gli piace affatto, ma che proprio per questo si sente ancora in dovere di dire la sua, con forza e convinzione, perchè, come ci ha ribadito lui stesso, “il Banco è un’idea che non puoi fermare”.
VITTORIO, TI CHIEDEREI DI PARTIRE FACENDO UN PASSO INDIETRO, PERCHÈ “TRANSIBERIANA” È IL NUOVO ALBUM DEL BANCO, MA È ANCHE IL RITORNO DOPO UN PERIODO TERRIBILE, IN CUI SEMBRAVA CHE DAVVERO CI FOSSE UNA MALEDIZIONE SUL BANCO DEL MUTUO SOCCORSO. COSA HA FATTO SÌ CHE DA QUEL MOMENTO DI ESTREMA SOFFERENZA NASCESSE “TRANSIBERIANA”?
– Ti rispondo con un estratto di una canzone di “Transiberiana”: “sotto la neve, campi di fragole germogliano”, c’è sempre una speranza che la vita vada avanti e deve essere l’ultimo, tra gli strumenti della vita, che l’uomo deve ammainare. Tutta la famiglia del Banco, come puoi immaginare, ha passato dei momenti orribili: la perdita di Francesco Di Giacomo e di Rodolfo Maltese è stato un colpo pazzesco, un dolore da mozzare il fiato. E poi mi ci sono messo anche io: emorragia cerebrale, coma… sembrava la maledizione di Montezuma, bum, tre mosse, Banco cancellato. E questa cosa, devo dire, mi ha dato abbastanza fastidio, perché mi sembrava un accanimento del destino un po’ eccessivo. Per carità, non c’è stata la volontà di nessuno, però ci sono molti modi perché succedano le cose e questo è stato davvero uno dei più pesanti da accettare. C’è stato quindi un lungo momento in cui ogni componente del Banco si è chiuso in sè stesso, cercando di elaborare i propri lutti, e ti assicuro che sto facendo un’eccezione nel parlarne così apertamente perché reputo che serva più pudore di quello che si usa in questi tempi. Il dolore e la morte sono diventati spettacolo, si fa audience su tutto e a me questa cosa disgusta. Siamo stati molto chiusi e silenziosi, perché ci sembrava giusto e rispettoso rispetto a tutto quello che ci era successo. Così mi sono ritrovato a sottopormi ad una sorta di autoterapia psicanalitica attraverso la musica, suonando “Il clavicembalo ben temperato” di Bach: non metterti a ridere, ma ti assicuro che il “periodo n°12 in Fa minore” è stato proprio come mettermi sul lettino dello psicanalista. Me lo sono suonato in loop, fino a quando non è iniziato a sparire il dolore.
Dopodiché è arrivata una richiesta da parte della Sony di curare tre ‘legacy edition’, rivisitando “Il Salvadanaio”, “Darwin” e “Io Sono Nato Libero”: ecco la “Transiberiana” parte da qui. Toccare quel materiale in un certo senso mi ha sconcertato: sono documenti che sono passati alla storia, la musica l’ho scritta quasi tutta io, i testi li ho scritti tutti io insieme a Francesco, quindi potevo considerare questo materiale come qualcosa di mio, farci quello che volevo… Sarebbe stato un errore drammatico, farlo. Perché mi sono accorto che, in realtà, io avevo centinaia di migliaia di co-autori, ovvero tutte quelle persone che, ascoltando quella musica, ne avevano fatto un loro punto di riferimento esistenziale, perché parlavano di scale di valori di riferimento che potevano contribuire a delle scelte di vita: in università, nel proprio lavoro, con il proprio compagno o compagna. Una canzone come “750.000 Anni Fa… L’Amore?” ha ispirato tante vere storie d’amore; un brano come “L’Evoluzione” ha ispirato tanti ragazzi, aiutandoli nell’indirizzare il proprio talento… Insomma, quei dischi erano materiale che non si poteva utilizzare ‘industrialmente’, era materiale di vita di migliaia di persone. Questa cosa un po’ mi ha spaventato, perchè ti senti addosso una grossa responsabilità, ovviamente. Quando mi sono messo al lavoro, quindi, mi sono reso conto che queste migliaia di co-autori, avevano diritto a una risposta: dovevo rimboccarmi le maniche e ripagare questo grande privilegio. E potevo farlo solo facendo il mio lavoro, quindi con un album completamente inedito: non importava quanto ci avrei messo o la fatica necessaria, lo dovevo fare. Questo è stato il primo motivo.
Il secondo motivo, invece, è che sono convinto che, finché il Banco continuerà a registrare dischi e a tenere concerti, la memoria di chi non c’è più continuerà a vivere, coccolata dall’affetto dei fan. Così, finché ci sarò io, anche Francesco e Rodolfo continueranno a salire sul palco assieme a me. Queste sono state le idee che mi hanno spinto a reagire, con la convinzione che il Banco è “un’idea che non puoi fermare” (citando l’omonimo album pubblicato nel 2014 ndR).
E ARRIVIAMO COSÌ AD UNA INCARNAZIONE, QUASI COMPLETAMENTE NUOVA, DEL BANCO…
– Esatto, a quel punto ho iniziato a ragionare sui musicisti. Ho individuato in Tony D’Alessio la voce giusta per il Banco, un’eredità che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque. Tony era già il cantante della band parallela al Banco di Filippo Marcheggiani, chitarrista del Banco ormai da venticinque anni, ed era venuto decine e decine di volte ai nostri concerti, era diventato un amico di Rodolfo, di Francesco, di tutti noi. Conosceva molto bene i nostri ragionamenti, la nostra dimensione umana, provata. Era uno che ormai faceva parte della famiglia del Banco. Quindi non è stata una scelta alla cieca, anche se, quando lo presento ai concerti, continuo a dire che c’è voluta una certa follia coraggiosa per raccogliere un’eredità del genere. Ma l’ha fatto con una ricca umanità, con umiltà e passione, riscaldata dall’amicizia che provava per Francesco e tutti noi. Accoglierlo per noi è stato naturale, gli ho solo posto una condizione: vietato, categoricamente, imitare in nessun modo Francesco. Quel Banco non esiste più, ce n’è un’altro, con me a fare da punto d’unione, ma chiunque arriva deve sottostare a delle regole precise: portare il proprio talento, il proprio impegno, facendo delle cose vere, credibili, che diano continuità al passato per scelta e non per opportunità. Per tutti noi questo è stato un punto fermo e credo che in “Transiberiana” si senta.
Poi abbiamo un Filippo Marcheggiani in grande spolvero: Filippo è cresciuto con noi, era entrato come secondo chitarrista a diciannove anni, venticinque anni fa. Oggi è un Chitarrista con la C maiuscola, dotato di grande talento, pieno di passione. Ci ha messo molto del suo e non ha mai suonato a questi livelli.
Infine c’è stata una vera e propria sorpresa, perché non è che le sorprese debbano sempre essere negative! Il destino mi ha fatto scoprire nel mio terzo figlio, Michelangelo, il più piccolo, il mio alter-ego musicale. È stata questa la molla che mi ha fatto tornare la passione, la voglia di rimettermi al lavoro, di passare ore e ore, 14-16 ore al giorno a scrivere e registrare. Pianista e batterista, cresciuto ovviamente a pane e Banco, non sapevo che avesse un vero talento per la scrittura musicale, sarà il DNA, non lo so: mi faceva sentire dei suoi brani e mi sembrava di averli scritti io, personalmente. Mi entusiasmavano, mi coinvolgevano, e quindi mi veniva spontaneo metterci su le mani, per contribuire insieme con lui: è partito come un gioco, come una comunicazione padre-figlio, e invece si è trasformata in una vera scrittura a quattro mani, da cui è nata la “Transiberiana”.
Sempre all’interno della famiglia del Banco, poi, abbiamo avuto l’opportunità di chiedere a Paolo Logli, romanziere, sceneggiatore, autore del nostro unico videoclip, di prendere in mano l’altra parte dell’eredità di Francesco, i testi. Paolo ci ha conosciuto quando era ragazzo e da allora è diventato un nostro amico, conosce bene i nostri testi, la nostra scrittura. Anche con lui è successo quello che è accaduto con Tony: la naturalezza di riuscire a percorrere la stessa strada senza dover chiedere mai perchè.
La “Transiberiana” è nata così, e poi, come succede sempre anche ai sarti, arriva il momento di provare il vestito: il sarto disegna l’abito, lo prova sul suo modellino, sceglie il materiale, lo taglia, lo cuce, ci lavora tanto, ma finché non lo prova la persona per cui è stato fatto, non sa se ha fatto davvero un buon lavoro o meno. Io, dopo aver scritto la musica con Michelangelo, i testi con Paolo, cantate le linee melodiche affinché Tony potesse impararle, non potevo sapere come sarebbe stato il risultato finale, finchè non sono arrivati gli altri ragazzi con chitarre, basso e batteria. Fino a quel momento non potevo stare tranquillo, dovevo vedere se quello che avevo scritto sarebbe diventato loro e devo dire che, quando è successo, sono stato l’uomo più felice del mondo, perché l’hanno fatto in maniera totale, con una passione, un talento e una potenza che, secondo me, si sente quando uno ascolta il disco.
HAI PARLATO DI TONY D’ALESSIO. PERSONALMENTE MI RICORDAVO DI LUI PER LA SUA PARTECIPAZIONE AD X FACTOR CON LA SUA BAND, GLI APE ESCAPE…
– Pensa che io non l’ho mai visto là. Io lo conoscevo dai concerti, come amico del Banco e cantante della band di Filippo.
ECCO, PERÒ NE APPROFITTO LO STESSO PER FARTI QUESTA DOMANDA. CAPITA MOLTO SPESSO CHE COLORO CHE ESCONO DA UN TALENT SHOW FINISCANO PER AFFOSSARE DEFINITIVAMENTE LA PROPRIA CARRIERA, INDIPENDENTEMENTE DAL LORO TALENTO. NON TANTO PERCHÈ I TALENT SIANO ‘IL MALE’, MA PERCHÈ UNA VOLTA USCITI DA LÌ SEMBRA CHE NON CI SIA UN VERO INTERESSE DA PARTE DELLA DISCOGRAFIA DI CREARE DELLE VERE E PROPRIE CARRIERE. QUAL È IL TUO PARERE SU QUESTO MONDO?
– I talent sono un po’ come il web: non sono né buoni né cattivi, dipende dall’uso che ne fai. Se utilizzi Internet per ampliare il tuo campo di conoscenze, è fantastico, un miracolo, una cosa meravigliosa; se lo utilizzi per sparare le tue stupidaggini, i tuoi livori, i tuoi rancori diventa una cosa pericolosa, dannosa e deleteria. Se i talent show venissero inseriti in una società in cui la cultura musicale svolge un ruolo di valore, sarebbero preziosissimi; ma se i talent vengono condotti in una nazione in cui le case discografiche non fanno più talent scouting, non hanno più produzioni artistiche interne, proseguono a raschiare il barile soltanto da un punto di vista industriale e non curano più le proposte musicali… Sai, quando ho cominciato io, ormai tanti anni fa, ho iniziato in una delle più grandi case discografiche d’Italia, la RCA. Aveva uno stuolo di produttori interni, gli studi di registrazione all’interno del proprio stabilimento, si poteva permettere di produrre quello che oggi fanno i talent, ma all’interno di una struttura che avrebbe seguito e supportato l’artista, dalla concezione del disco, alla registrazione, fino allo stampaggio, alla distribuzione e alla promozione. Dalla A alla Z, la casa discografica adottava l’artista per un suo progetto. Oggi questo mondo non esiste più, tra pirateria, album scaricati… è un mercato che è morto.
Una nazione come la nostra, da un punto di vista di cultura musicale, è rimasta indietro cent’anni: siamo fermi alle glorie dell’opera lirica dell’Ottocento. Ti faccio questo esempio, che è ridanciano, ma fa una fotografia: se io in Germania mi incontro con il signor Franz e lui mi chiede che lavoro faccio, io rispondo ‘musicista’. E lui subito mi risponde “ooh, maestro! E di che musica si occupa”. Occhi luminosi, curiosità, rispetto e deferenza. Stessa scena in Italia, non importa se Palermo o Milano: questa volta parlo con il signor Francesco. “Vittorio, lei che lavoro fa?”, “Il musicista”, rispondo io. “Noo, noo, intendo proprio di lavoro!”. Questa è la fotografia della considerazione che ha l’italiano medio nei confronti della musica: ne riconosce solo la sua funzione di intrattenimento, quando invece è un mondo dove si specchia l’anima della gente. Tu puoi fare amicizia con perfetti sconosciuti perché amate la stessa opera lirica, ti senti immediatamente accomunato di spirito, una sorta di fratellanza, di sensibilità. Puoi parlare con i giovani di qualunque cosa se si parla attraverso la musica. È un miracolo, una delle cose più belle inventate dall’Uomo e noi la usiamo, come facciamo per tutti i nostri beni culturali, con una cialtroneria, un’ignoranza… Ma ti sembra possibile che nelle scuole si insegni la musica ancora con quel pezzo di plastica a forma di flauto? In Germania, nelle scuole pubbliche, si insegna musica con il violino, il clarinetto, il violoncello, non il flauto di plastica! In Germania facemmo la nostra prima tournée nel 1975, con i Gentle Giant, e suonavamo nelle ‘musikhalle’, degli auditorium dall’acustica perfetta. Invece noi, a Roma, fino a pochi anni fa, eravamo condannati a sentire qualunque spettacolo musicale nei palazzetti, con un riverbero vergognoso. Lì invece già nel ’75, quasi cinquant’anni fa, ogni città aveva una ‘musikhalle’, perfettamente attrezzata: tapis roulant per scaricare le attrezzature e portarle sul palco, senza dover fare tutto a mano. Quando i nostri tecnici li videro rimasero senza parole: “Anvedi sti tedeschi…”. Sul fondo della sala, le pareti erano scorrevoli, così se c’era un evento rock con tanta gente si usava lo spazio intero, se c’era il concerto di musica classica, solo una parte, per dare sempre la giusta sensazione di calore, sia al pubblico che all’artista sul palco. Certo è una nazione che anche a livello di storia… è vero noi abbiamo avuto l’opera lirica, ma loro hanno avuto Bach, Beethoven, Schubert, Schumann, Mozart, Haydn… e mi fermo se no dovrei stare qua tre ore. Quindi, per concludere la risposta alla tua domanda che non era semplice né banale: quando un talent show si inserisce in un contesto culturale così carente, si trasforma in un semplice spettacolo televisivo, assolutamente deleterio. Fa quello che fa anche Sanremo: mostra, di un mondo variegato e sfaccettato come quello della produzione musicale, soltanto un aspetto, quello dell’intrattenimento. Tutto diventa kitsch, ciarpame, paccottiglia, niente a che vedere con la musica vera, che veniva definita da Leonardo Da Vinci, “sorella della pittura, perché figurazione dell’invisibile”.
ARRIVIAMO QUINDI A PARLARE DEL NUOVO ALBUM: UNA DELLE COSE CHE MI HA COLPITO IN “TRANSIBERIANA” È LA SCELTA DEI SUONI, CHE SONO MODERNI, SPESSO DURI, MAI COMPIACIUTI O NOSTALGICI…
– Sarebbe stato un cliché, una cosa già vista, uno scimmiottare il passato. Il prog è nato come anarchia nei confronti del luogo comune, della banalità. Fare il verso a noi stessi sarebbe stato grottesco. Noi volevamo essere noi stessi nello stile, ma assolutamente con un sound dei giorni nostri. Oggi ho sessantasette anni, vivo in un mondo completamente diverso, che non mi piace per niente, ma devo usare i suoni di oggi, perché io sto comunicando il mio oggi, non sto celebrando il mio passato. Voglio vedere il mio futuro e per farlo parto dall’oggi. La scommessa quindi era ambiziosa, perché dovevamo dare contemporaneamente continuità alla nostra storia, dando comunque spazio alla contemporaneità. Come l’abbiamo fatto? Con dei suoni moderni che però si appoggiano su architetture (il concept album) che vengono dal passato, dalle nostre radici.
ANCHE LA FRUIZIONE DELLA MUSICA È CAMBIATA MOLTO, SOPRATTUTTO FRA I PIÙ GIOVANI, ABITUATI AD AVERE UN’OFFERTA VASTISSIMA A PORTATA DI UN CLICK.
– Completamente diversa: cinquant’anni fa aspettavi quel disco e solo quel disco. Andavi al negozio e quando finalmente arrivava, chiamavi 7-8 amici, ci si ritrovava a casa di uno, si metteva il disco sul piatto, spegnevi la luce e si faceva il rito dell’ascolto condiviso. Questi nuovi metodi di fruizione, con questa scelta sterminata, fa sembrare tutto come al supermercato. Un po’ di questo, un po’ di quello. Si torna al discorso di prima, è una questione di cultura. Il sapere di non sapere, che è la prima forma di conoscenza. Invece oggi l’idraulico vuole sedersi allo stesso tavolo dell’epidemiologo a parlare di vaccini. Tu preoccupati che non mi esca l’acqua dal lavandino! Abbiamo sdoganato il tuttologo-presuntuoso-ignorante. Con tutto il rispetto per gli idraulici, che, anzi, ce ne fossero! Ecco perché c’era bisogno di un disco come “Transiberiana”, per poter fare il mio piccolo lavoro, di voce del coro che canta fuori dal coro. Il Secondo Millennio ha avuto le masse al suo centro, sono convinto che il Terzo Millennio debba invece rimettere al centro l’individuo: serve un nuovo Umanesimo, un nuovo Rinascimento, che riparta dall’individuo nella sua magnifica unicità, senza farsi bruciare il cervello dagli integralismi e dai populismi fanatici, che invece hanno sempre distrutto.
IL NOSTRO PORTALE, COME SI PUÒ INTUIRE DAL NOME, SI OCCUPA DI MUSICA HEAVY…
– E allora vogliamo parlare un po’ di queste chitarre di “Transiberiana”?
ESATTO! VOLEVO CHIEDERTI ESATTAMENTE QUESTO: AVETE OPTATO PER DELLE CHITARRE ELETTRICHE CHE NON SARANNO METAL MA, INSOMMA, POCO CI MANCA!
– Per coerenza, devo essere sincero: a me il metal in generale non fa impazzire, però ne amo il vigore, la visceralità… Avevo così tanta rabbia in corpo per quello che era successo, che avevo proprio bisogno delle chitarre elettriche! Non ho mai fatto un disco del Banco con così tante chitarre; avevo bisogno della forza dirompente delle chitarre elettriche, a patto che queste non rinunciassero ad essere varie, fuori dai cliché. Per esempio in “Eterna Transiberiana”, Filippo Marcheggiani ha inserito una chitarra col tremolo che sembra uscire da un film di Tarantino, che trovo bellissima, con la leva. Invece ne “L’Imprevisto” ci sono queste chitarre ‘ba-ba-bam’, che hanno un’anima metal. Tra le tante pazzie musicali che ho creato, ho anche messo in piedi una sorta di orchestra elettrica di cinquanta elementi: c’erano dodici chitarre elettriche, cinque tastiere, due batterie, due bassi e un coro di venti persone. E sai cosa gli ho fatto suonare? La “Messa Da Requiem” di Mozart, con le chitarre a fare la parte degli archi, evitando come la peste il suono distorto, perché se metti dodici chitarre elettriche con la distorsione, viene fuori solo una colata di cemento, avrebbero ucciso qualunque altra parte. Ne è uscita una registrazione bellissima, che non ho ancora pubblicato, ma lo farò, appena ne ho il tempo. Quello che non mi piace, invece, è quando le chitarre sono solo lì a picchiare, tipo frullini, tutte uguali. La chitarra elettrica, invece, ha una capacità timbrica, non dico infinita, ma quasi!
A ME SONO PIACIUTI MOLTISSIMO ANCHE GLI INTERVENTI DI BALALAIKA…
– Grazie! Ci tenevo tantissimo alla balalaika mandolinata! Ma dimmi, perché ti sono piaciuti così tanto?
PERCHÈ LA BALALAIKA HA QUESTO SUONO CRISTALLINO CHE FUNZIONA BENISSIMO NEL RICREARE LE ATMOSFERE DELLA “TRANSIBERIANA”. È UNO STRUMENTO CHE TI RIPORTA SUBITO A QUELLE DISTESE RICOPERTE DI NEVE. ANCHE PER L’ORIGINE DELLO STRUMENTO, IMMAGINO…
– Ti posso dire una cosa? Ci sei andato vicino, ‘fuocherello’! Hai detto bene, tu senti la balalaika e vedi quella distesa, ma quello che ti fa scaturire questa visione, quando ascolti questi suoni acustici antichi, appartenenti alla civiltà preurbana, preindustriale, è che subito ti portano in una civiltà rurale, quella dalla quale discendiamo tutti. Ti ritrovi in un mondo diverso: hai mai visto quel bellissimo film di Ermanno Olmi, “L’Albero Degli Zoccoli”? Raccontava la Pianura Padana, quei grandi cascinali dei piccoli paesi, con dieci-quindici famiglie raccolte. Erano comunità profondamente umane, che avevano tradizioni, canti, storie, carne e sangue. Quel suono di balalaika ti riporta a quella dimensione emotiva: ti fa venire un nodo in gola, di nostalgia. Questo è un altro dei motivi per cui sono voluto salire su questo treno.
HO LETTO ANCHE UN BELL’ANEDDOTO SULLE CHITARRE USATE NEL DISCO. TI VA DI RACCONTARCELO?
– La delicatezza degli attuali chitarristi, Filippo Marcheggiani e Nicola Di Già, si è espressa in un modo che mi ha colpito e commosso molto: sono andati dalla vedova di Rodolfo Maltese e l’hanno pregata di dare loro le chitarre acustiche di Rodolfo, per adoperare proprio quegli strumenti su questo disco. Mi è piaciuto scriverlo anche nelle note del libretto, perchè penso sia una cosa che vada comunicata. Il Banco prosegue, ma chi non c’è più, continua ad esserci con noi.
VORREI ANCHE FARTI UNA DOMANDA SUL TEMA DEL VIAGGIO, UNA METAFORA CHE APPARTIENE ALLA VITA DI TUTTI, MA FORSE ANCORA DI PIÙ AI MUSICISTI, CHE SONO DEI VIAGGIATORI PER ANTONOMASIA.
– Hai centrato in pieno il punto. Anche perché la meta di questo viaggio non è la costa del Mar del Giappone; la meta del viaggio è il viaggio in sè. E quando con la Transiberiana arriviamo di fronte all’oceano, che succede? “Oceano: Strade Di Sale”. Le correnti marine ci fanno capire che il viaggio non è finito, ma cambiamo soltanto mezzo. Anche da un punto di vista metaforico, nel viaggio della vita: io non ho una fede religiosa, ma non posso assolutamente escludere che al termine del viaggio di questa vita non ne cominci un altro. Forse dovrò cambiare mezzo di trasporto, dal treno alla nave. È quello che pensavano anche tutti i nostri antenati, dagli Egizi, ai Greci, ai Romani.
E POI C’E IL TEMA DELLA LIBERTÀ. L’ALBUM SI CHIUDE CON UN VERSO CHE DICE “E ORA PRENDO IL MARE, LIBERO” CHE CI RIPORTA A “IO SONO NATO LIBERO”, IL VOSTRO CELEBRE ALBUM DEL 1973.
– Per i malati del Banco (che sono tanti!), ci sono un sacco di rimandi, a “L’Evoluzione”, ad esempio, il primo brano di “Darwin”, con quel verbo ‘arabescando’. Tornando alla domanda, sì, penso che ci stiano omologando forzatamente. In Siberia c’erano 250 diverse etnie, popoli diversi con le loro musiche, la loro cultura, che sono stati massificati e russificati in maniera violenta. Già dai tempi degli Zar, la Siberia veniva usata come luogo di emarginazione, per il suo essere ai limiti del vivibile. Ci sono luoghi dove la temperatura quotidiana è di -70°C, una cosa quasi inimmaginabile. Nei gulag i prigionieri prendevano i compagni morti e li spingevano sulle pareti, quasi a voler fare una sorta di imbottitura per proteggersi dal freddo. Delle cose pazzesche. E allora ti viene in mente “Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico”, che abbiamo scritto quando c’è stato il colpo di stato in Cile, dove uccisero il Presidente Allende.
GRAZIE MILLE, VITTORIO, UN’ULTIMA DOMANDA OBBLIGATORIA: “TRANSIBERIANA” AVRÀ UN TOUR DI SUPPORTO, IMMAGINO. COSA DOBBIAMO ASPETTARCI? VERRÀ RIPROPOSTO L’ALBUM NELLA SUA INTEREZZA, O SI TRATTERÀ DI UNA SCALETTA PIÙ TRADIZIONALE?
– In questo momento siamo ancora molto presi dalla comunicazione del nuovo album, ma stiamo già facendo le prove per il live act. Serve del tempo per prepararci bene, anche per il fonico sarà un impegno notevole riuscire a mixare il suono dal vivo. Il suono è importante, non è una confezione: è l’acqua nella quale nuota la musica. Il suono è un tutt’uno con l’idea musicale, senza il suono giusto l’idea musicale viene tradita. I timbri devono essere curati anche dal vivo, se no ti ritrovi a tradire non solo le aspettative del pubblico, ma i contenuti del progetto stesso. Allora ci sarà bisogno di prove lunghe, preparate, tecnologicamente supportate in maniera adeguata. Mi aspetto quindi una lunga tournée teatrale che partirà però in autunno. Quest’estate faremo dei concerti, ma piuttosto che suonare male “Transiberiana”, suoneremo un repertorio storico, stratosferico e infinito, che è quello del Banco. C’è solo l’imbarazzo della scelta.