BEAST IN BLACK – Dal futuro con amore

Pubblicato il 25/11/2021 da

In un periodo storico dalle connotazioni quasi distopiche, per via della situazione al limite dell’incredibile ancora in corso, un album musicale che ci riporti con la mente a quelle ambientazioni futuristiche e/o simil-fantascientifiche tipiche di determinati prodotti come film, videogiochi o fumetti non può che rappresentare una più che piacevole distrazione. Il terzo album dei finlandesi Beast In Black, “Dark Connection”, rappresenta perfettamente la tipologia di ascolto di cui gli estimatori di automobili volanti, innesti cibernetici e città iper-tecnologiche hanno bisogno per proiettare la propria mente in un contesto ideale, senza risparmiare sulle luci al neon ovviamente. Il tutto sempre mantenendo intatta quella componente metallara necessaria a fornire una goduria non solo estetica, ma anche musicale.
In questa sede, possiamo vantarci di essere in compagnia dell’uomo cui si deve non solo la svolta cyberpunk dei Beast In Black, ma la loro stessa esistenza, nonché la loro scalata al successo dopo appena pochi anni dalla formazione. Sarà proprio lui, il simpatico chitarrista Anton Kabanen a rispondere alle nostre domande su una delle formazioni più popolari degli ultimi anni. Buona lettura!

CIAO ANTON, È UN PIACERE AVERTI CON NOI, VORRESTI INIZIARE DESCRIVENDOCI IL PROCESSO CREATIVO INTERCORSO TRA “FROM HELL WITH LOVE” E “DARK CONNECTION”?
– Ciao ragazzi! Ammetto di aver l’abitudine, prima di dedicarmi a un nuovo album, di andare a rispolverare quanto fatto nelle produzioni precedenti, incluse alcune soluzioni messe da parte, e parliamo di circa quindici anni di lavoro. Nel frattempo, lascio che nuove possibilità prendano forma, finché non mi ritrovo con una lista di ameno una ventina di canzoni, per poi concentrarmi ovviamente sulle migliori, partendo da quella che trovo più idonea a rappresentare la opener del disco. Il risultato sarà un po’ come un ibrido tra il vecchio e il nuovo, che verrà poi sottoposto anche agli altri membri della band. La parte più lunga tuttavia non risiede tanto nel songwriting, che può variare a seconda del brano, quanto nei testi, che in questo caso hanno richiesto oltre sei mesi di lavoro per trovare la giusta carica creativa e musicale, e questo nonostante il tema fosse già ben delineato; trattandosi di un argomento dalle molteplici sfaccettature, è di importanza cruciale sapere bene su quali parti andare a focalizzarsi. Tutto rigorosamente senza dimenticare l’enfasi per la naturalezza con cui i suddetti testi sarebbero poi stati cantati, senza nessuna sillaba fuori posto.

COME MAI HAI SCELTO PROPRIO UN TEMA CYBERPUNK?
– Oh beh, innanzitutto perché per me rappresenta quasi una sorta di comfort zone, dal momento che si tratta di un tema che ho già abbondantemente trattato in passato, e per l’esattezza nei primi due album dei Battle Beast. Naturalmente si tratta di un contesto che mi ha sempre affascinato, e nel caso dei Beast In Black è anche qualcosa di nuovo, nonché il principio di qualcosa destinato a proseguire in futuro, in quanto è molto probabile che anche il prossimo album su cui lavoreremo farà sfoggio di tematiche simili.

SE TU DOVESSI MENZIONARE DEI PRODOTTI DICIAMO ‘POP’ DA CUI HAI TRATTO ISPIRAZIONE, QUALI SAREBBERO IN QUESTO CASO?
– Sicuramente, come del resto suggerito anche dalla opener del disco, uno dei prodotti che è inevitabile prendere come ispirazione è il celebre film “Blade Runner”, ma nel mio caso personale vi è anche una forte componente di anime giapponesi: tra questi menzionerei “The Third”, “Alita”, “Cyber City Oedo 808” e altri. Lascio fuori in questa sede “Ghost In The Shell” in quanto, pur avendo sempre influenzato le mie derive mentali in fase compositiva, in “Dark Connection” non sono presenti brani ispirati direttamente da esso. Al contrario, quelli che ho nominato in precedenza risultano a loro modo presenti all’interno della tracklist, insieme anche ad altri.

SARESTI IN GRADO DI POSIZIONARE DEI BRANI AL DI SOPRA DEGLI ALTRI?
– Sebbene possa sembrare un cliché ribadire che non vi sia alcun brano superiore ad un altro in termini di importanza, devo ammettere che è proprio così. Potrei, volendo, dire che la tal composizione mi ha esaltato particolarmente, o che l’altra è riuscita a coinvolgermi nel momento in cui ci ho riversato i temi sopracitati, ma alla fine il risultato sarebbe il medesimo. La cura per i dettagli risulta sempre gestita con la stessa minuzia, senza alcuni momenti a prevaricare sugli altri. Preferisco essere fiero dell’album intero, anziché di un episodio singolo.

COME MAI HAI VOLUTO INCLUDERE DUE COVER AUDACI COME QUELLA DI “BATTLE HYMN” DEI MANOWAR E “THEY DON’T CARE ABOUT US” DI MICHAEL JACKSON?
– Per quanto riguarda la prima, semplicemente si tratta di una grandissima canzone da parte di una delle mie band preferite, anche se a proporla è stato il nostro cantante Jannis Papadopoulos, ottenendo immediatamente la mia assoluta approvazione. Sappiamo che il pubblico dei Manowar non è dei più semplici, ma ci auguriamo che la scelta possa fare la felicità tanto della loro community, quanto della nostra e magari di chi ci conosce ancora poco. Per noi il rispetto di un brano scritto da qualcun altro è fondamentale nel momento in cui decidiamo di inserirne uno all’interno di un album, e se non sapessimo di poter fornire una resa personale e nel contempo coerente eviteremmo. Avere una voce come quella di Jannis dalla nostra ci rende la vita più facile anche in questi casi. Per quanto riguarda il brano di MJ, vale un discorso simile, anche perché le sue soluzioni peculiari la rendono straordinariamente vicina al nostro stile.

UNA DELLE CARATTERISTICHE PIÙ APPREZZATE DEI BEAST IN BLACK, MA ANCHE DEI BATTLE BEAST, È LA CAPACITÀ DI SUONARE MODERNI E OLD-SCHOOL ALLO STESSO TEMPO. COSA NE PENSI DI QUESTO RISULTATO, IN PARAGONE ANCHE CON CHI INVECE SCEGLIE DI DOVER NECESSARIAMENTE SUONARE ALLA VECCHIA MANIERA?
– Ho sempre apprezzato la possibilità di pensare fuori dai binari, o comunque fuori dai limiti imposti dalle sonorità e dai generi con pochi compromessi. Come certo ben saprai, non si è ancora superato totalmente il vizio di dare priorità al filone d’appartenenza di un’opera, anziché alla sua qualità effettiva o alla sua capacità di funzionare in maniera perfettamente sensata senza un’etichetta appiccicata sopra; e questo vale non solo per la musica, ma anche per quadri, sculture, eccetera. Non c’è niente di male nel prefissarsi dei confini oltre i quali non sfociare, anzi alcune band riescono a spaccare di brutto suonando old-school, ma trovo oltremodo limitativo il tarparsi le ali nel momento in cui si ritiene potenzialmente interessante un inserto, che poi non verrà mai inserito perché chi di dovere ha promesso a se stesso, o non si capisce bene a chi, di essere puro e immacolato nel songwriting. Bisognerebbe imparare a essere naturali, genuini e spontanei a prescindere.

CREDI SAREBBE POSSIBILE UNA COLLABORAZIONE DEI BEAST IN BLACK ALL’INTERNO DI UN FILM, UN VIDEOGIOCO O UNA SERIE TV?
– Assolutamente sì! Personalmente vorrei che i Beast In Black col tempo si differenziassero dallo stereotipo della band che semplicemente immette un disco sul mercato, accompagnato magari da qualche video tutto sommato slegato dal tema portante, con un tour seguente e così via. Se osservi ad esempio i video dei nostri singoli, ti accorgerai che essi servono a raccontare la storia contenuta all’interno del testo, più che a fornire banalmente una cornice per il rilascio di un pezzo in rete. Allo stesso modo, mi piace la possibilità di adottare delle soluzioni stilistiche coerenti, come realizzare delle clip animate in stile anime, o addirittura in pixel art come alcuni videogiochi più o meno vintage, con personaggi credibili anche in un contesto esterno a quello musicale. Mi piace pensare che tutto questo possa aprirci delle porte potenzialmente interessanti da varcare in futuro, in linea con quelli che sono i nostri stilemi artistici.

COSÌ PER RIDERE, COSA NE PENSI DI “CYBERPUNK 2077”?
– Essendo più che altro un appassionato di videogiochi vintage ammetto di non averci ancora giocato, ma credo si tratti di un’opera con alle spalle un’idea mastodontica e assolutamente in linea coi miei gusti e coi temi che amo trattare e vivere all’interno di un prodotto. Peccato che il gioco sia uscito palesemente rotto e troppo in anticipo rispetto a quello che sarebbe dovuto essere un lavoro di ottimizzazione e rifinitura molto più lungo, che ha inevitabilmente portato ai problemi di cui si è fatto un gran parlare nell’ultimo anni. Peccato, speriamo possa essere in qualche modo recuperabile in toto.

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