BECOMING THE ARCHETYPE – Araldi dell’Apocalisse

Pubblicato il 27/11/2022 da

Dopo una lunghissima assenza su queste pagine (ed una, leggermente minore, dalle scene musicali), sono tornati finalmente in attività i Becoming The Archetype, che nel 2022 hanno dato alla luce “Children Of The Great Extinction”, un più che buon comeback album che sicuramente avrà solleticato il palato di chi li aveva conosciuti a metà anni 2000, in piena esplosione metalcore, con l’ancora imbattuto esordio “Terminate Damnation”. Erratissimo, però, piazzarli semplicemente nel misero calderone delle band nate in e sopravvissute a quel periodo d’oro per mosh in tae-kwon-do style e breakdown a più non posso: i BTA erano e sono rimasti innanzitutto un gruppo progressive extreme metal, ed il loro nuovo lavoro è giunto a testimoniarlo chiaramente. E’ con il chitarrista, tastierista, cantante (per le voci pulite), nonché fondatore, ‘Count’ Seth Hecox, che siamo andati a tastare il polso al combo americano…

CIAO SETH! NON INTERVISTIAMO I BECOMING THE ARCHETYPE DALL’EPOCA DI “THE PHYSICS OF FIRE”, USCITO NEL 2007. SONO PASSATI DAVVERO TANTI ANNI, EPPURE IN PRATICA VI TROVIAMO AL PUNTO DI PARTENZA, CON UNA FORMAZIONE RIUNITA E UN DISCO CHE GUARDA INDIETRO. COME SIETE GIUNTI A QUESTO NUOVO INIZIO?
– Effettivamente è davvero parecchio tempo! Siamo arrivati fin qui attraverso un cammino lungo e tortuoso. E come hai scritto, la nostra è proprio una band che si è riunita appieno: Jason (Wisdom, basso e voce growl, ndR), ‘Duck’ (Brent Duckett, batteria, ndR) ed io ci siamo ritrovati per lavorare assieme per la prima volta nell’arco di dieci anni. Siamo tre dei quattro membri originali dei Becoming The Archetype che scrissero i nostri primi due lavori, “Terminate Damnation” (2005) e “The Physics Of Fire” (2007). Abbiamo discusso un sacco di volte riguardo se e come tornare, ma trovavamo sempre mille ostacoli davanti a noi. Alla fine li abbiamo superati tutti e dopo un viaggio che definirei torturante siamo qui con voi per farvi ascoltare il nostro nuovo disco!

IN MODO CURIOSO – MA ANCHE FORSE OVVIO – SEMBRA CHE SIA STATA PROPRIO LA PANDEMIA A FARVI CRESCERE DENTRO LA FORZA E LA VOLONTA’ NECESSARIE AD EFFETTUARE INFINE L’AMBITO PASSO. QUANTA COLPA HA QUESTO TERRIBILE PERIODO NELL’AVER RIUNITO LA BAND?
(Ride, ndR) Sì, sicuramente ha avuto un ruolo, è indubbio. Devo dirti che, da quando abbiamo iniziato timidamente a parlare della reunion in formazione quasi originale, sono ormai trascorsi sette anni, quindi la pandemia da un lato ha rallentato di diversi mesi alcuni processi che stavano prendendo forma lentamente, come ad esempio il provare e lo scrivere tutti assieme in sala prove; dall’altra parte, però, ci ha dato più tempo per lavorare individualmente sulle nostre parti e idee, dandoci anche un buon margine per curare maggiormente tutte quelle cose (la logistica che ruota attorno ad un gruppo) che solitamente vanno in secondo piano rispetto alla musica. Insomma, diciamo che è stata croce e delizia.

IL MESSAGGIO DEI VOSTRI CONTENUTI LIRICI E’ SEMPRE STATO IMPORTANTE NEL CORSO DELLA VOSTRA CARRIERA. RISPETTO A QUANDO USCI’ “TERMINATE DAMNATION”, IL MONDO IN CUI VIVIAMO E’ DECISAMENTE PEGGIORATO: VENTI DI TERZA GUERRA MONDIALE, PANDEMIA, MINACCE NUCLEARI, CRISI CLIMATICA, DISTORSIONI SOCIALI, FAKE NEWS, CANALI MEDIATICI RIDICOLI…INSOMMA, TANTO MATERIALE! DA DOVE AVETE COMINCIATO PER CREARE IL CONCEPT ALBUM CHE GIACE DIETRO A “CHILDREN OF THE GREAT EXTINCTION”?
– E’ vero, hai ragione, e tutte queste realtà tremende vengono approcciate nel corso del disco. Uno dei miei versi favoriti recita: “trovarsi davanti alle più infinite paure esistenziali“. Non pensi che rifletta benissimo la situazione in cui viviamo? Siamo tutti in balia di paure, terrori esistenziali, sia che siano collettivi (la crisi climatica, l’ascesa dei neofascismi), sia che siano individuali (l’agonia dell’essere mortali, la preoccupazione per la mancanza di prospettive future, la difficoltà di dare un senso alla propria vita). Trattare tutti questi temi nel corso di un album singolo sarebbe stato troppo, è chiaro. Quindi Jason ha optato per un approccio lirico particolarmente affascinante, ovvero quello di proporre delle verità facendole passare per bugie. E’ una tecnica molto usata nella fiction in generale e funziona sempre bene, in quanto se uno comunica il proprio punto di vista in modo chiaro, limpido, spesso questo viene travisato o male interpretato, o addirittura non considerato. Ma se nascondi la tua verità, la tua idea all’interno di una narrativa, di una storia – nel nostro caso all’interno di un’epica avventura spaziale – allora chi riceve sarà in grado di comprendere ed interagire più facilmente e pienamente con il messaggio da trasmettere.

NELLE NOTE BIOGRAFICHE VIENE CHIARAMENTE ESPLICITATA LA VOSTRA VOLONTA’ DI PORTARE I FAN INDIETRO NEL TEMPO, AI FASTI DELL’ACCLAMATO “TERMINATE DAMNATION”. IL RISULTATO FINALE, PERO’, PARE ANDARE OLTRE QUEL DISCO: INFATTI IN “CHILDREN…” CI TROVIAMO DI FRONTE AD UNA MUSICA MULTISTRATO, CON ARRANGIAMENTI E ORCHESTRAZIONI RICCHISSIMI, MOLTEPLICI PARTI DI CHITARRA, VOCI CHE SI SOMMANO COSTANTEMENTE. COME AVETE FATTO, DUNQUE, A FAR CONVIVERE LA VECCHIA ATTITUDINE DEL GRUPPO CON LE VOSTRE PIU’ RECENTI ABILITA’ COMPOSITIVE E STRUMENTALI?
– Abbiamo effettivamente avuto decine di conversazioni tra di noi a riguardo di quale incarnazione dei Becoming The Archetype stavamo per portare a nuova luce. Se avessimo fatto un nuovo disco con i membri originali, quale era della band saremmo andati a dissotterrare? Siamo infine giunti alla conclusione, unanime, che la formazione che suonò su “Terminate Damnation” unita al processo compositivo e alla qualità di produzione che avemmo per “Dichotomy” (terzo disco, uscito nel 2008, ndR) sarebbero stati l’ideale. Il nostro produttore, Nate Washburn, membro dei My Epic e già produttore esperto, è stato fondamentale in far accadere tutto ciò. Ha capito le nostre mire in pieno e non solo ha prodotto e mixato l’album esattamente come lo volevamo, ma è stato anche un chitarrista aggiunto per il gruppo, aiutandoci a scrivere, sviluppare idee e registrare le canzoni in modo da esprimere proprio quello che stavamo cercando.

COME VI DIVIDETE IL SONGWRITING, A QUESTO PUNTO? C’E’ QUALCUNO CHE PUO’ VENIR CONSIDERATO IL COMPOSITORE PRINCIPALE? RACCONTACI QUALCOSA IN MERITO ALLE REGISTRAZIONI…
– Abbiamo lavorato più o meno come succedeva per gli altri dischi, abbiamo più di una persona che viene coinvolta nel processo di stesura e arrangiamento di un brano. Io scrivo molto, è vero, ma le canzoni prendono vita quando proprio Nate ci mette mano, rifinendo i riff e sistemando la struttura stessa del pezzo. Per questo lavoro ha anche proprio scritto diversi riff e in definitiva ha fatto quel lavoro ‘da collante’ che in passato avevano svolto gli ex membri della band, ti parlo di Jon Star, Alex Kenis e Daniel Gailey. Questi ultimi due, fra l’altro, sono proprio ospiti in “Children Of The Great Extinction” con qualche assolo, e ti cito di nuovo Nate, perché chiaramente non poteva non essere special guest anche lui. Per quanto riguarda i testi, sono opera di Jason, che ha registrato anche tutte le voci scream e growl. Io e lui abbiamo lavorato sulle voci dell’album per quasi due anni, studiando, scrivendo e provando a distanza, in quanto viviamo in due zone diverse. Questo ci ha molto stimolato, soprattutto a spingerci oltre i nostri limiti.

CI PUOI DESCRIVERE I TRE MOMENTI SALIENTI, SIA DAL PUNTO DI VISTA MUSICALE CHE DA QUELLO LIRICO, DELLA STORIA NARRATA NEL DISCO?
– Con piacere! Direi che le tracce 1, 4 e 10 sono per me i punti chiave dell’album e della storia.
“The Dead World” introduce piano piano la band e fa ben capire che siamo tornati, dando anche il la alla storia. Per prima senti una chitarra, poi arriva la batteria, poi entra il basso, qualche arrangiamento di tastiera e per ultime le voci. Un inizio in crescendo.
“The Calling”, al quarto posto, predispone il tono, l’umore delle canzoni seguenti, che descrivono bene quel vuoto, quella desolazione di cui abbiamo parlato prima: i terrori sovvenenti nel proseguire lungo l’esistenza e i modi con cui luce, aria e respiro ci fanno andare avanti con un briciolo di speranza. Questi brani centrali hanno anche elementi stilistici di cui siamo sempre andati orgogliosi: una decisa contrapposizione di parti più quiete e altre più brutali (un po’ come i vecchi Opeth), contenuti lirici intensi, assoli di chitarra e strutture più progressive.
“The Sacrament”, come ultima traccia, tira le somme del tutto grazie alla sua lunghezza e alla sua epicità, un po’ come era successo nei nostri lavori precedenti. Utilizzando melodie e orchestrazioni, ho preparato il terreno per il capitolo finale della storia, che ci porta definitivamente al cospetto della speranza. Perché mentre resta il fatto che non ci siano garanzie che alla fine le cose andranno per il verso giusto, noi abbiamo il dovere di aggrapparci alla credenza che una redenzione, un perdono sia possibile, che il lieto fine alla fine arriva veramente, anche se il momento che viviamo nel presente é così orribile da rendere difficile anche il solo comprenderlo.

EFFETTIVAMENTE IL MOOD GENERALE DI “CHILDREN OF THE GREAT EXTINCTION” E’ APOCALITTICO, EPICO, COME SE STESSIMO PER AFFRONTARE UN’IMMINENTE CATASTROFE O UNA MINACCIA GLOBALE. E OLTRETUTTO DAN SEAGRAVE HA DIPINTO UN ALTRO PICCOLO CAPOLAVORO A MO’ DI COPERTINA. QUALI SONO LE EMOZIONI CHE VOLEVATE ESPRIMERE E TRASMETTERE ATTRAVERSO TUTTO IL PACKAGING DEL LAVORO?
– Dan Seagrave è semplicemente il migliore, non c’è storia. Fin dai tempi di “Terminate Damnation” Dan ha svolto un lavoro egregio sulle tele che poi sarebbero diventate l’aspetto visuale e grafico della nostra musica. L’avevamo sempre seguito e l’abbiamo sempre seguito, i suoi lavori sono magnifici, ovviamente anche quelli per i masterpiece di altre storiche band. Come hai intuito, ci ha aiutato a dare vita alla natura epico-apocalittica della storia che abbiamo narrato attraverso la musica. Il titolo, che significa ‘I Figli della Grande Estinzione’, reca con sé la somma di tutte le tematiche trattate: l’estinzione è appena avvenuta, nel nostro caso si trattava di qualcosa di imminente e perciò inevitabile; ma già dal suo esito sono nati dei figli, dei sopravvissuti. E la speranza risorge dalle paure che essi devono affrontare.

VOI SIETE/ERAVATE NOTI PER ESSERE UNA BAND FERVIDAMENTE CRISTIANA. IN TUTTI QUESTI ANNI DI PAUSA, COME SONO CAMBIATE LE VOSTRE CONVINZIONI RELIGIOSE, SE ESSE L’HANNO FATTO IN QUALCHE MODO?
– Ti posso dire che le nostre convinzioni religiose sono maturate abbastanza. Nel 2005 i nostri testi erano tremendamente superficiali e molto, molto diretti. Quando sentimenti e comprensioni più profonde sono emerse nel corso delle nostre vite e nelle fedi individuali di ognuno di noi, allora abbiamo iniziato a capire il mondo e noi stessi in maniera più approfondita, più pregna di sfumature. Oggi sono un pastore luterano e il mio principale lavoro al di fuori della band è quello di stare vicino alle persone che stanno attraversando periodi bui e cupi della loro esistenza. La maggior parte delle conversazioni si incentrano sul timore della morte incombente, oppure sul venire a patti con il dolore causato dalla perdita di un proprio caro. La vita va avanti, anche se è permeata di tragedia. La crescita deve passare attraverso gli alti e bassi della vita. Questi concetti sarei stato incapace di esprimerli o solamente discuterne quando i BTA erano ancora dei giovani musicisti, eppure ora sono diventati il pane della mia esistenza e i miei più stretti compagni di cammino.

POSSIAMO PIU’ O MENO CORRETTAMENTE SUPPORRE CHE I BECOMING THE ARCHETYPE SIANO TORNATI PER RIMANERE? STATE COMPONENDO GIA’ NUOVO MATERIALE? E CHE PIANI AVETE PER IL FUTURO?
– Be’, al momento nulla è certo! Stiamo facendo un passo per volta. Già avere un nuovo album scritto, registrato e pubblicato è stata un’impresa non da poco. Ora ci stiamo prendendo un momento di riflessione e vediamo cosa accadrà. Siamo stati invitati a qualche festival, quindi cercheremo di fare un po’ di concerti, sia qui negli States che da voi in Europa. Non siamo in grado di fare dei tour completi come la maggior parte delle band, per cui, se sarà il caso, valuteremo se scrivere un nuovo disco. Abbiamo scoperto, nell’intero processo che ha portato a “Children Of The Great Extinction”, che non è poco l’interesse attorno ai BTA e anche dentro noi stessi la voglia di misurarci con del nuovo materiale è buona. Non è utopia, ecco, un prossimo full-length dei Becoming The Archetype.

DURANTE QUESTA LUNGA DECADE DI SILENZIO, AVETE CONTINUATO A SEGUIRE LA SCENA O LE SCENE METAL? CI PUOI NOMINARE I NOMI DI TRE BAND CHE TI HANNO SORPRESO IN POSITIVO?
– Lo confesso, non mi sono tenuto molto aggiornato sul metal negli ultimi dieci anni. Ma posso dirti che conservo con cura le tablature delle band che più apprezzavo tempo fa, e che di queste ho seguito la discografia non appena un nuovo lavoro usciva. Ad esempio i norvegesi Extol, che hanno pubblicato il loro comeback album, un ottimo ritorno, mi è piaciuto molto! I Mastodon, sebbene non apprezzi proprio tutti i brani, hanno continuato a sfornare ottima musica. Così come i Demon Hunter, che erano stati nostri compagni di etichetta prima del nostro scioglimento; il loro cantante, Ryan Clark, è stata la persona che ci ha scoperto e ci ha segnalato alla Solid State Records, per la quale uscì “Terminate Damnation”. Ha fatto numerose ospitate nei nostri lavori passati e l’abbiamo ‘convocato’ anche per l’ultimo. Siamo grati e debitori nei confronti di tutte le magnifiche formazioni che hanno reso la scena metal un meraviglioso luogo virtuale in cui vivere. Noi continueremo ad esistere e combattere per tenere alto il nome della loro eredità.

 

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