BEDSORE – Amori perduti

Pubblicato il 16/12/2024 da

Con un sound che intreccia in maniera sempre più arguta progressive rock, death metal e influenze di avanguardia italiana, i Bedsore stanno riuscendo a ritagliarsi un posto unico nel panorama musicale contemporaneo.
La loro ultima opera, “Dreaming The Strife For Love”, appena pubblicata da 20 Buck Spin, si presenta come un viaggio concettuale ricco di riferimenti letterari, commistioni innovative e, soprattutto, un forte legame con la tradizione culturale italiana. Ispirato all’enigmatico romanzo rinascimentale “Hypnerotomachia Poliphili”, l’album del gruppo romano esplora le dimensioni del sogno, dell’amore e della ricerca interiore, trasportando l’ascoltatore in un’esperienza emotiva e sonora densa di contrasti e stratificazioni.

Con la band, siamo andati ad approfondire il loro percorso di maturazione e il processo creativo dietro brani che fondono teatralità, elementi sinfonici e passaggi di pura intensità metallica, senza dimenticare le sfide affrontate nel bilanciare generi così diversi.

IL TITOLO “DREAMING THE STRIFE FOR LOVE” SUGGERISCE UNA BATTAGLIA INTERIORE LEGATA ALL’AMORE. QUALI SIGNIFICATI PERSONALI O UNIVERSALI VOLETE TRASMETTERE CON QUESTO ALBUM?
– Sin dalla sua gestazione abbiamo considerato “Dreaming the Strife for Love” un racconto al di fuori del tempo, un’opera trasversale che tenta di sfuggire alle interpretazioni culturali e quindi per sua essenza unificante. Cercando di mettere insieme i pezzi del viaggio di Polifilo — a cui si ispira questo lavoro — abbiamo finito per riunificare anche i nostri.
“Dreaming the Strife for Love“ maschera dietro i suoi temi universali le nostre esperienze e sensazioni di prima mano, talvolta fin troppo intime per essere raccontate senza il filtro delle parole di qualcun altro: è cosi che quindi parlando dell’amore e del tentativo di brandirlo raccontiamo di una ricerca personale, di un continuo slancio verso il raggiungimento di qualcosa di altro, di superiore — forse per noi proprio rappresentato in ultimo da questa release.
Non ci resta che darvi il benvenuto nel viaggio di Polifilo, che è anche un po’ il viaggio di tutti noi.

SAPPIAMO CHE VI SIETE APPUNTO ISPIRATI A “HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI”. COME AVETE TRASPOSTO L’ATMOSFERA DI QUESTO ANTICO LIBRO RINASCIMENTALE IN MUSICA? CI SONO ELEMENTI DEL TESTO CHE HANNO INFLUENZATO DIRETTAMENTE LA VOSTRA SCRITTURA MUSICALE?
– Esattamente! Come abbiamo accennato, il concept album si ispira alle vicende narrate nell’Hypnerotomachia Poliphili — letteralmente “Battaglia d’Amore in Sogno di Polifilo”. Il sogno-dentro-al-sogno polifilesco, arricchito dalle sue visioni strabilianti e incomprensibili e dai suoi scenari atipici, ha rappresentato una vera e propria sfida di traslitterazione musicale.
Abbiamo cercato di volgere a nostro favore la complessità del romanzo, trasformandola in un punto di forza per il nostro progetto. Questo si riflette in alcune scelte artistiche fondamentali, divenute pilastri del nostro sound: l’impiego di una tavolozza timbrica trasversale e ibrida, fra orchestra e suoni sintetici; l’utilizzo di leitmotiv ricorrenti, che si trasformano in accordo con le trasformazioni mirabolanti dell’Hypnerotomachia; le strutture musicali, che ripercorrono liberamente l’odissea di Polifilo; e infine la voce in italiano, lingua originale dell’opera e autentica chiave di volta dell’intero lavoro. Considerando la ricchezza del testo e l’intricato storytelling, non poteva che essere naturale comporre “Dreaming the Strife for Love” in questa chiave didascalico-narrativa.
Ne è uscito un album a nostro parere ricco di interconnessioni — multiple e innegabili — tra amore, sogno, magia, italianità… c’è, tuttavia, un’ultima connessione, forse la più simbolica: quella tra la nostra band e questo straordinario romanzo. A suggerircela è stato proprio Timo Ketola (RIP), durante le sessioni di lavoro sui bozzetti per “Hypnagogic Hallucinations” qui a Roma, città fondamentale per l’intero percorso iniziatico.
L’elefante obeliscoforo scolpito da Gian Lorenzo Bernini, che spicca su Piazza della Minerva, rappresenta infatti il portale per entrare in questo mondo, la manifestazione terrena di tutto ciò. È proprio qui, nella nostra città, che inizia il nostro viaggio…

IL CONTRASTO TRA PASSIONE E ORRORE EMERGE CHIARAMENTE NEL SOUND DELL’ALBUM. ESISTONO ALTRE POLARITÀ CHE AVETE CERCATO DI ESPLORARE?
– Passione e orrore sono certamente un binomio centrale della veste narrativa di questo lavoro. “Dreaming the Strife for Love” prova a raccontare questa dicotomia, anche se l’orrore scaturisce, per paradosso, dalla grandiosità delle mirabilia polifilesche che lasciano impotenti chi ne è testimone.
Inoltre, questo senso di smarrimento — di awe — ci smuove un po’ per timore un po’ per stupore a guardare cosa c’è oltre, come un continuo cliffhanger, richiamando senza dubbio lo stesso spirito di intraprendenza di Polifilo, che continua ad andare avanti una prova dopo l’altra nonostante i pericoli, ricercando l’amore e se stesso. A pensarci bene infatti, quest’album è anche un inno alla ricerca — che sia declinata in quella dell’amore puerile o divino, della maturazione interiore, della qualità, poco conta. Si tratta di un fil rouge che sicuramente è alla base dell’intera esplorazione che abbiamo seguito.

AVETE SCELTO DI CANTARE IN ITALIANO IN UN ALBUM COSÌ AMBIZIOSO E CONCETTUALE. QUALI SFIDE E VANTAGGI AVETE RISCONTRATO NELL’USARE LA VOSTRA LINGUA MADRE IN UN CONTESTO INTERNAZIONALE E COME PENSATE CHE INFLUISCA SUL LEGAME EMOZIONALE CON L’ASCOLTATORE?
– Intanto lasciaci dire che è stata una scelta estremamente spontanea e che è scaturita nel momento in cui Jacopo si è approcciato a cantare i testi: l’espressività di una lingua come l’italiano, la ricchezza del lessico e la grande varietà di sfumature di significato che essa permette rispetto all’inglese ci hanno subito fatto capire che era la strada giusta per questo lavoro, e forse per la band in generale.
Il fatto che l’album fosse poi ispirato ad un testo italiano ha completato il quadro, in una cornice perfetta. Sicuramente è stato più semplice cercare di far funzionare le metriche, trattandosi della nostra lingua madre, e così anche nel donare teatralità alle parti in maniera genuina. Speriamo solo che non rappresenti in qualche modo una barriera per chi non conosce la lingua: per questo infatti abbiamo pensato perlomeno di mantenere in inglese i titoli dei singoli brani e dell’album.
Questa scelta infatti va intesa come un riappropriarsi delle proprie radici culturali e musicali, mantenendo però un carattere fortemente orientato all’apertura e all’internazionalità. Del resto, una delle band che più ci ispira, gli Area International Pop Group, pur essendo italiana, ha fatto della contaminazione e dello scambio culturale una delle chiavi più importanti della sua discografia.

NEL DISCO CONVIVONO APPUNTO ELEMENTI PROG ROCK E METAL. QUALI SFIDE AVETE AFFRONTATO NEL BILANCIARE QUESTI DUE GENERI E FARLI CONVIVERE ARMONIOSAMENTE? DA DOVE SIETE PARTITI PER COMPORRE QUESTI NUOVI BRANI?
VI È UN LAVORO DI SQUADRA ALLA BASE DELLA COMPOSIZIONE, CON, AD ESEMPIO, UNO DI VOI CHE TENDE A PROPORRE LE SOLUZIONI PROGRESSIVE E UN ALTRO CHE SUGGERISCE QUELLE PIÙ METAL? OPPURE VI È UN SOLO COMPOSITORE PRINCIPALE DIETRO A INTERE CANZONI?

– “Dreaming The Strife For Love” possiede una dimensione narrativa che in altre circostanze verrebbe definita ingombrante, specie nell’ottica di un lavoro musicale. Per questa ragione ci è sembrato più adatto prediligere un flusso musicale libero, che contribuisse a dare una sensazione di ‘progressive’ all’opera. Di conseguenza, la successione di momenti metal e di picchi emotivi di matrice prog rock va soprattutto letta sotto questo profilo narrativo, dove in questa stessa alternanza si rispecchia il dispiegarsi del racconto polifilesco.
Ci siamo impegnati affinché “Dreaming the Strife for Love” risultasse un album compositivamente originale e inedito, in una commistione di generi fatta non tanto di adiacenze o accostamenti, ma di vere compenetrazioni di idee musicali. Al netto del fatto che alcuni di noi sono specializzati nello studio della composizione, il lavoro di scrittura musicale è stato compiuto da Jacopo e Stefano, in una reciproca ispirazione in cui i ruoli si sono via via scambiati e alternati. L’arrangiamento finale è stato poi gestito da tutti e quattro i membri, equamente coinvolti come band.

I RIFERIMENTI ALLA SCENA PROG ANNI ’70, COME GOBLIN E DEVIL DOLL, SONO EVIDENTI. COSA SIGNIFICA PER VOI RIPRENDERE E RIELABORARE QUELLA TRADIZIONE MUSICALE ITALIANA?
– Si tratta indubbiamente di riprendere un discorso interrotto negli anni ‘70 e solo in parte affrontato dalle band odierne. Sentiamo di poter ripercorrere al meglio questo background italiano, o perlomeno sentiamo di poterlo fare in maniera più spontanea rispetto a tanta altra musica.
Siamo grandissimi fan delle avanguardie musicali, che cercano di coniugare passato e futuro, come vasi comunicanti temporali che scambiano perennemente il proprio contenuto. Non è soltanto una questione di pura esplorazione sonora: cerchiamo di esprimere il nostro mondo interiore che è inevitabilmente fatto delle nostre tradizioni e conoscenze più radicate, e non solo a livello musicale, viste poi le connessioni con il romanzo veneziano.

AL DI LÀ DEGLI OMAGGI ALLA TRADIZIONE NOSTRANA, L’USO DEL DODICI CORDE, DEI SYNTH, DEGLI ORGANI E, IN GENERALE, DI UNA STRUMENTAZIONE MOLTO AMPIA RIPORTA A TUTTO L’IMMAGINARIO PROGRESSIVE DI UNA VOLTA.
COSA CERCATE DI COMUNICARE ATTRAVERSO QUESTA SCELTA ‘VINTAGE’ E IN GENERALE QUALI ELEMENTI DEI ’70 VI AFFASCINANO DI PIÙ?

– Non ci sentiamo di definirla una scelta aprioristicamente ‘vintage’. Non è un qualcosa legato solamente all’estetica, che comunque di certo ci affascina: essa trova ragione nella possibilità di raggiungere una palette timbrica più espressiva — cosa che infatti abbiamo fatto anche tramite l’uso di timbri acustici come sax, trombe e flauti — e nel fatto ancor più fondamentale di poter toccare con mano la strumentazione in nostro possesso. Questo aiuta ed influenza incredibilmente la scrittura compositiva.
La dimensione tattile, il semplice giocare con i potenziometri, sperimentare sbagliando le accordature, è una fonte di apprendimento infinitamente più tangibile dell’utilizzo di un elemento virtuale e raggiungibile solo attraverso un medium: ciò, almeno, nella nostra esperienza e secondo i nostri pattern di apprendimento. Ogni strumento musicale apre ad un micromondo compositivo nuovo e differente nel modo in cui ci si approccia alla sua tecnica ed espressività.
Così il nastro di un mellotron, il corpo vibrante di una dodici corde, il mordente di un filtro ladder Moog lasciano tutti un segno indelebile nell’esperienza compositiva. Ed ognuno mette in luce le proprie peculiarità e limiti. Indubbiamente questa era una prassi comune negli anni ‘70 dove la musica conservava, o meglio presentava per la prima volta, una varietà così estesa di suoni nuovi. Non siamo quindi contrari all’avanguardia, cerchiamo solamente di vivere quelle stesse sensazioni rapportate ad oggi e attraverso la nostra strumentazione.
Permettici di concludere con un esempio tangibile di quanto appena spiegato. La sezione centrale di “A Colossus, an Elephant, a Winged Horse; the Dragon Rendezvous” rappresenta uno dei momenti di massimo climax emotivo dell’album, il punto di svolta all’interno del nostro viaggio.
Qui la composizione prende forma ispirandosi a un particolare strumento: il nostro Farfisa Compact del 1964, carico di magia e potenza misteriosa. Sfiorando la tastiera e sperimentando i suoi timbri, si è immediatamente rivelata una palette sonora infinita, che ci ha condotti verso una visione chiara di ciò che volevamo creare: qualcosa che si colloca a metà tra le orchestre di Nino Rota in “Roma” (Federico Fellini) e la filarmonica romana in “Tutti Morimmo a Stento” di Fabrizio De André, ma filtrato attraverso il sogno e il potere sintetico — seppur analogico — del Farfisa.

NON SI PUÒ DIRE CHE LA VOSTRA EVOLUZIONE SIA STATA REPENTINA, VISTO CHE DAL DEMO ALLO SPLIT CON I MORTAL INCARNATION, PASSANDO PER “HYPNAGOGIC HALLUCINATIONS”, È EVIDENTE UN PROCESSO DI MATURAZIONE VERSO LIDI SEMPRE PIÙ PROGRESSIVI E MENO DEATH METAL IN SENSO TRADIZIONALE. COME DESCRIVERESTE IL VOSTRO PERCORSO? GUARDANDO INDIETRO, VI È QUALCOSA CHE OGGI FARESTE DIVERSAMENTE?
– Pensandoci bene, l’idea musicale su cui si fonda la band non è cambiata molto negli ultimi sei anni, anzi è rimasta pressoché simile. Quello che invece è successo è che è stato necessario del tempo — dei passi intermedi — e della cura perché essa prendesse forma nel modo in cui volevamo.
Con questo non vogliamo dire che le precedenti release fossero dei beta-test, dato che entrambe possiedono, al contrario, un’identità ben precisa in cui tutt’ora ci riconosciamo; nella propria naturalezza sia “Hypnagogic Hallucinations” che lo split rappresentano punti di passaggio fondamentali e dei quali non cambieremmo nulla, specie se si considera come sono stati accolti nella scena metal.
Tuttavia, con “Dreaming the Strife for Love” per la prima volta ci sentiamo soddisfatti e rappresentati al cento per cento in un lavoro musicale, dalla sua concezione alla sua realizzazione fin nelle ultime fasi. Se c’è una cosa che come band abbiamo imparato è ridurre lo scarto tra il progetto e la forma finale.

RICOLLEGANDOCI ALLA DOMANDA PRECEDENTE, PENSATE CHE L’ELEMENTO DEATH METAL VERRÀ DEL TUTTO ABBANDONATO IN UN FUTURO? NEL FRATTEMPO, COSA SPERATE CHE I FAN DEL DEATH METAL O DEL METAL IN GENERALE TROVINO DI INTERESSANTE E COINVOLGENTE IN “DREAMING THE STRIFE FOR LOVE”?
– Non possiamo sapere con certezza come si evolverà il nostro linguaggio musicale. D’altronde, quattro anni fa non avremmo immaginato questa evoluzione – o forse si? – ma siamo abbastanza sicuri che la componente metal non scomparirà, almeno se la intendiamo nella sua accezione trasversale. Crediamo che questa sia una delle basi fondamentali del nostro sound, e il motivo per cui forse risulta così variegato e dibattuto è anche questo dualismo. Allo stesso tempo, il metal è un genere che si presta ad essere interpretato e contaminato davvero in molti modi.
Crediamo anzi che il suo futuro risieda proprio nella capacità di fondersi con generi più o meno affini, dove più si allontana più sembra diventare originale, come succede in casi dove il metal sembra apparentemente scomparire ma invece c’è.
“Dreaming the Strife for Love” è sicuramente un disco autentico, non facile da metabolizzare al primo ascolto, ma che deve invece sedimentare, proprio come si fa con un sogno. E proprio come in una fantasia onirica, i fan potranno vederne lentamente affiorare — e speriamo apprezzare — il vigore timbrico, le travolgenti cavalcate e le danze frenetiche, le texture armoniche intricate e le voci teatrali. Tutti questi elementi impersonificano la battaglia d’amore, la ricerca, il sogno… il nostro augurio è che tutti quanti possano infine cogliere tanto le sfumature musicali quanto quelle intime ed umane che questo disco racchiude.

Artista: Bedsore | Fotografa: Benedetta Gaiani | Data: 16 giugno 2023 | Venue: Traffic Live | Città: Roma

PROSSIMAMENTE SARETE IN TOUR IN EUROPA CON I FULCI, ALTRA APPREZZATA REALTÀ DEL PANORAMA ITALIANO. SIETE INOLTRE ANCHE COMPAGNI DI SCUDERIA, AVENDO LORO FIRMATO PER 20 BUCK SPIN PER LA PUBBLICAZIONE DELL’ULTIMO ALBUM. COSA VI ASPETTATE DA QUESTA ESPERIENZA?
– C’è una grande stima fra le due band, sia a livello artistico che per quanto riguarda l’approccio ad esplorare il nostro background culturale italiano — nel loro caso cinematico — dagli anni ‘70 ad oggi. Di certo il fatto di essere compagni di etichetta testimonia la via chiara tracciata da 20 Buck Spin, riconfermata ora con il nostro nuovo album.

CON UN ALBUM CHE ESPLORA SONORITÀ COSÌ VARIEGATE, PENSATE CHE “DREAMING THE STRIFE FOR LOVE” POSSA APRIRVI LE PORTE A CONTESTI LIVE NUOVI, MAGARI FESTIVAL PROG O SPAZI PIÙ LEGATI ALLA SCENA ALTERNATIVA? VI INTERESSA ESPLORARE QUESTO TIPO DI PALCOSCENICI?
– Come abbiamo già ribadito, le nostre origini affondano nella scena metal, pertanto continueremo a suonare e ad esibirci in questi contesti con molto piacere e confidenza.
Tuttavia, hai ragione nel dire che la proposta presentata in “Dreaming the Strife for Love” potenzialmente può abbracciare un pubblico più trasversale e onestamente ci piacerebbe farlo. Festival come Roadburn, Desertfest ma anche Night of the Prog o addirittura Arctangent sarebbero dei palcoscenici perfetti per intercettare potenziali amanti del genere e di questa release.

COME LA VOLTA PRECEDENTE, CI TROVIAMO A FARE QUESTA INTERVISTA VERSO LA FINE DELL’ANNO. CEDIAMO QUINDI ALLA TENTAZIONE DI CHIEDERVI QUALI SIANO AL MOMENTO I VOSTRI ALBUM PREFERITI DEL 2024 E PERCHÉ.
– Per quest’anno il nostro disco preferito è senz’altro “La Fine non esiste” dei leggendari prog rocker romani Semiramis. Al di là del valore musicale dell’album, è proprio come dice il titolo, un ponte tra epoche e stili che conferma quanto la loro influenza rimanga viva e attuale. È speciale trovare in loro una spinta creativa così forte, perché è anche questo che tiene viva la musica: dialogo tra passato e presente.
Vedere tornare ad inizio anno una delle band che con “Dedicato a Frazz” (1973) ha ispirato il nostro nuovo album così tanto, e tornare ad avere una rilevanza discografica ci ha spinto ancora di più ad inseguire il nostro sogno. A fine anno speriamo che “Dreaming the Strife for Love” possa chiudere il cerchio, soprattutto se porterà avanti queste radici in modo moderno e attuale.
Qui di seguito una carrellata di altri dischi che sono, secondo noi, degni di una menzione:

Oranssi Pazuzu – “Muuntautuja””
Black Curse – “Burning in Celestial Poison”
Spectral Voice – “Sparagmos”
Julie Christmas – “Ridiculous And Full Of Blood”
Hail Spirit Noir – “Fossil Gardens”
Dreamless Veil – “Every Limb Of The Flood”
Rezn – “Burden”
Wormwitch – “Wormwitch”
Crippled Black Phoenix – “The Wolf Changes Its Fur But Not Its Nature”
Nick Cave and the Bad Seeds – “Wild God”
Dool – “The Shape Of Fluidity”
Le Orme – “Il Leone e la Bandiera”
L’Uovo di Colombo – “Schiavi del Tempo””
Uncle Acid and the Deadbeats – “Nell’Ora Blu”
Immortal Bird – “Sin Querencia”
Kariti – “Dheghom”
Tribulation – “Sub Rosa in Aeternum”
Chapel of Disease – “Echoes of Light”
Delving – “All Paths Diverge”
Unto Others – “Never, Neverland”

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