BEHERIT – Il ritorno della luna

Pubblicato il 03/05/2025 da

Mai completamente assenti, ma nemmeno realmente attivi, stavolta i Beherit sono tornati per davvero. In pompa magna, soprattutto dal vivo, con festival e date sold out e un interesse rinnovato.
Cult band per eccellenza, i Nostri rappresentano davvero un fenomeno particolare nel panorama metal di ieri e di oggi per molti motivi. A voler elencarne solamente alcuni, diremmo la paternità assolutamente involontaria di buona parte degli stilemi di quello che chiamiamo war metal, l’appartenenza anche abbastanza impropria all’esplosione del black metal dei primi Novanta, la svolta apparentemente irrazionale verso elettronica e dark ambient e, ultimo ma non meno importante, un disco come “Drawing Down The Moon”, che tutt’ora detta regole proprie nel campo dell’estremo.
Per coloro che non avessero seguito le vicende dei finlandesi, i Beherit hanno indossato molteplici maschere nel tempo: dopo quella intransigente del black metal primordiale, c’è stata quella elettronica, quella dark ambient e perfino quella noise.
I Beherit sono, che piaccia o no, un vero faro nella musica estrema e senza compromessi. In attesa di vederli sui palchi italici in quel di Milano fra meno di un mese, abbiamo avuto la possibilità di parlarne col leader di sempre, Nuclear Holocausto Vengeance, o più semplicemente Marko Laiho.

DIREI CHE POSSIAMO INIZIARE DA QUALCOSA DI MOLTO SEMPLICE… PERCHÉ ADESSO? I BEHERIT, RUOTANDO PRINCIPALMENTE ATTORNO A TE, SONO SEMPRE STATI ATTIVI  IN QUALCHE MODO, MA SONO ANCHE STATI SPESSO LONTANI DALLE SONORITÀ DEGLI INIZI E SI SONO ESIBITI DAL VIVO MOLTO POCO. PERCHÉ QUINDI HAI SCELTO QUESTO MOMENTO PER IN QUALCHE MODO CELEBRARE I PRIMI PASSI DEL GRUPPO?
(sorride, ndR) La nostra attività live non è iniziata proprio adesso, perché in fondo a fine anni ’80 abbiamo suonato alcuni show – forse una quindicina in tutto – solo in Finlandia e in contesti molto piccoli, tra le cinquanta e le cento persone al massimo. Poi, con il tempo molte cose sono cambiate, come saprai: il nostro interesse si è spostato verso la musica elettronica. Ad un certo punto, la band si è riformata – ai tempi di “Engram” – per sviluppare nuovamente il lato più metal dei Beherit e suonare dal vivo. Subito dopo le registrazioni, però, io ho intrapreso un lungo viaggio in Oceania e i piani sono cambiati nuovamente, perché non avevo più la motivazione necessaria.
Perché ora? Semplicemente perché stiamo invecchiando e ho pensato che se non ci mettiamo a suonare dal vivo ora, probabilmente non lo faremo più in futuro. È un buon momento, ho diverse idee che ritengo buone per portare ancora avanti il suono dei Beherit nel modo più corretto. Oltre a questo, è anche un modo per ringraziare tutti i fan che abbiamo nel mondo per il supporto che hanno dato al gruppo nel corso del tempo. Quando Yosuke (boss della Nuclear War Now! e organizzatore dello show di comeback dei Beherit in quel di Tokyo, ndR) ci ha proposto di partecipare al festival giapponese, tutto è cominciato nel modo migliore. Da quel momento in poi non abbiamo suonato in chissà quanti posti, e non ho intenzione di farlo, ma per adesso mi ritengo soddisfatto.

QUANDO AVETE INIZIATO CREDO CHE NON FOSSE PREVISTO UN SUCCESSO E UN INTERESSE DA PARTE DELLE PERSONE DI QUESTO TIPO, VISTA LA VOSTRA PROPOSTA COSÌ ESTREMA. COME LO VIVI?
– È un’opportunità speciale. Io sono sempre stato abituato a dimensioni underground per i miei concerti, perfino ai ‘secret show’. Sapere che il locale di Tokyo sia andato sold out in fretta, un posto con una capienza di milletrecento posti circa, mi ha veramente stupito. Avevamo fatto uno show di dimensioni più ridotte in Finlandia giusto per testarci, d’altronde non abbiamo mai suonato davvero con continuità nella prima parte di carriera. Improvvisamente, però, mi sono ritrovato ad amare l’atmosfera e le vibrazioni che ti danno le esibizioni sul palco. Ho avuto la possibilità di esprimere le mie emozioni davanti alle persone ed è stato veramente bello. In definitiva, sono realmente felice di aver ricominciato a suonare dal vivo.

BEH, ALLORA, A COSA IMPUTI QUESTO CAMBIAMENTO NEI CONFRONTI DI MUSICA ED ATTITUDINE COSÌ ESTREMA  COME LA TUA? COSA È CAMBIATO DAVVERO? LE PERSONE, IL MERCATO…
– I cambiamenti sono stati tantissimi dagli anni Novanta, inutile negarlo. Lo so bene anche perché non ho seguito la scena metal per molti, molti anni e quindi avverto davvero le differenze! Sono davvero migliaia le band ora e tutto è diverso anche grazie ad internet. È impossibile quasi anche confrontare questi tempi con quelli del tape trading.

TI SEI MOSSO STILISTICAMENTE FRA IL DEATH, IL BLACK, L’ELETTRONICA PIÙ O MENO VIOLENTA, MA È POSSIBILE IDENTIFICARE ANCHE VARI RITORNI A STILI PRECEDENTI NEL CORSO DEL TEMPO. NON POSSIAMO DIRE QUINDI CHE CI SIANO FASI COMPLETAMENTE ‘CHIUSE’ DELLA CARRIERA DEI BEHERIT, NON TROVI? COME TI RELAZIONI CON GLI STILI MUSICALI?
– Non so davvero cosa scriverò in futuro, però sono molto soddisfatto della diversità che si può respirare nella nostra produzione musicale. Non sono qui solo per far divertire le persone, io creo musica che in qualche modo mi viene da dentro. Quindi, che sia dark ambient o noise o black metal, è autentica. Non ho perciò bisogno di inquadrare la mia band in uno stile preciso, sia esso il black metal o qualsiasi altro. È una grande opportunità, tra l’altro. Negli anni Novanta e Duemila ho lavorato in negozi di musica (si riferisce al lavoro presso la Spinefarm, storica etichetta finlandese al tempo indie, ndR) e il mio lavoro era quello di dividere e organizzare i dischi: (inizia a gesticolare divertito, ndR) questo era heavy metal, quello era thrash e così via. Oggi, riprendendo il concetto detto prima, è praticamente impossibile e ci sono definizioni spesso lunghe e complesse per definire gli stili. E francamente, sono contento così, non ho alcun bisogno di inscatolare la mia band in un preciso spazio musicale.

CHE TIPO DI FEEDBACK IMMEDIATO AVETE AVUTO QUANDO DA “DRAWING DOWN THE MOON” SIETE PASSATI AI DISCHI PIÙ SPERIMENTALI? SARANNO ANCHE STATI TEMPI DIFFERENTI, SENZA INTERNET, MA LA ROTTURA STILISTICA È STATA IMPORTANTE…
– I feedback ci misero mesi ad arrivare, ovviamente, perché era un mondo comunicativamente molto differente da quello di adesso. Già “Drawing Down The Moon” non fu così ben accetto, al tempo, a dir la verità. Tra l’altro, il black metal stesso si stava spostando verso sonorità più melodiche tipo i Cradle Of Filth, e i Beherit non erano così celebri, tra l’altro. Non che me ne fregasse granché, sia chiaro (ride, ndR).

BEH, PERÒ DEVI AMMETTERE CHE LA FINLANDIA HA UN SUO MODUS OPERANDI ARTISTICO SPESSO MOLTO COERENTE, BASTI PENSARE AI PERCORSI DI BARATHRUM O ARCHGOAT, MOLTO LIGI AD UN STILE BEN RICONOSCIBILE, MENTRE VOI AVETE BEN SCIOCCATO IL VOSTRO PUBBLICO CON UN DISCO COME “ELECTRIC DOOM SYNTHESIS”…
(ridacchia, ndR) Probabilmente un sacco di persone sono rimaste deluse, ma posso garantirti che c’è una parte dei nostri fan che apprezza di più i lavori elettronici e più difficili. D’altronde, nel giro dei fan black metal il dark ambient è apprezzato, quindi da un certo punto di vista non siamo poi usciti così tanto dal seminato originale. Secondo me non c’è bisogno di essere per forza “true metalhead” per essere estremi, ci sono molti stili musicali che possiamo definire misteriosi, mistici od occulti.

ALCUNE DOMANDE SULLA LEGGENDA BEHERIT, ORA, VISTO CHE IN INTERNET SI LEGGE UN PO’ DI TUTTO. PER PRIMA COSA: È VERO CHE LA PARENTESI MUSICALE A NOME THE LORD DIABOLUS NACQUE DALLA NECESSITÀ DI EVITARE PROBLEMI CON LA PRIMA ETICHETTA DELLA BAND, LA FAMOSA (O FAMIGERATA) TURBO?
– Assolutamente sì! Non ci pagarono alcuna royalty e avevamo paura che potessero acquisire i diritti anche di altra musica, perciò decisi di cambiare moniker per non dar loro la possibilità di stampare altri CD o vinili a nome Beherit. Non credo comunque sia rimasto un grande segreto per molto a lungo!

SECONDO: IL TUO PROGETTO GOATVULVA (RECENTEMENTE RISTAMPATO, PIUTTOSTO SORPRENDENTEMENTE) CON TEMATICHE LEGATE AL PORNO RIMARRÀ SOLO UN RICORDO DI UN FOLLE PASSATO O…
(ride di gusto, ndR) Credo proprio rappresenti un certo passato sepolto, fatto di sbronze e registratori a cassette… mi sono realmente stupito che a qualcuno sia interessato ristampare il tutto in CD!

TERZO: QUESTE ANIMOSITÀ FRA SCENA NORVEGESE E FINLANDESE? TUTTE LEGGENDE?
– No, non del tutto. Ad un certo punto sono davvero volate minacce, ma io ero già pronto ad allontanarmi dalla scena. La corrispondenza di Euronymous era ampia anche in Finlandia e credo davvero che qualcuno abbia esagerato con le minacce. La storia la sappiamo tutti, ma non mi è mai interessato! Eravamo tutti stupidi e giovani…

VISTO CHE IL CONCETTO È GIÀ USCITO PIÙ VOLTE, COSA VUOLE DIRE “ESSERE ESTREMI” E “MUSICA ESTREMA” PER TE?
– Ci sono tanti tipi di ‘estremismo’. Il mio background è stato per tanto tempo legato anche al punk/hardcore, anche se oggi è musica che non ascolto più moltissimo. Non sento più i blast-beat e la musica velocissima come estrema. Ho un approccio più minimalista a riguardo. Ultimamente sto ascoltando tanto gli Skinny Puppy o l’ambient. Riguardo al metal estremo, non ascolto quasi mai quello contemporaneo, non fa per me. A quel punto, riprendo in mano qualche vecchio disco dei Bathory dalla mia collezione, quello so che di sicuro non mi deluderà. 

LE PAROLE “BLACK METAL” CHE SIGNIFICATO HANNO E HANNO AVUTO PER TE?
– Non uno specifico. Nei primissimi volantini dei Beherit abbiamo usato le parole death metal e non black metal, a dir la verità. Poi abbiamo iniziato ad usare black metal. Non ho mai creduto suonassimo realmente affini ai norvegesi e ancora meno simili al black metal di oggi. Al tempo era tutto nuovo – diciamocelo – e c’erano un sacco di band che invece non erano altro che speed/thrash estremizzato, altre erano piene di influenze death metal. Di sicuro il black metal autentico doveva essere completamente autoprodotto e primitivo, come i gruppi della Cogumelo Records o quelli del Sud America in generale. È abbastanza credibile pensare che molte di queste band fossero black metal anche solamente perché non sarebbero state in grado di suonare nessun altro stile estremo! Lo definirei quasi terrorismo musicale!

COME VEDI I TUOI VECCHI DISCHI ORA? SODDISFATTO? LI ASCOLTI ANCORA?
– Non mi relaziono col passato con difficoltà. C’è molto del materiale del primissimo periodo che mi piace ancora molto, in particolare l’atmosfera di “Drawing Down The Moon”. Oggi non scriverei mai canzoni come quelle, ma allora quei pezzi rappresentavano un riflesso di chi ero io e di come mi sentivo. Non è un caso che la maggior parte della scaletta che proponiamo ora venga proprio da quel disco. In ogni caso, suoniamo estratti anche da “The Oath Of Black Blood” e qualcuno da “Engram”. 

COSA PENSI DELLA PRODUZIONE MODERNA? CREDI CHE QUESTO TIPO DI SUONI AIUTINO CIÒ CHE TU CHIAMI ATMOSFERA E VIOLENZA MUSICALE, OPPURE NO? HAI GIÀ CITATO BATHORY, MINIMALISMO MUSICALE, SARCOFAGO…
– Per risponderti, non uso attrezzatura moderna per suonare dal vivo. E ho smesso di avvalermi di Pro Tools e simili cinque anni fa. Sono ritornato completamente all’analogico. Ovviamente a volte devo utilizzare il pc per la registrazione, ma non punto ad avere produzioni perfette. Non sono un’amante dei re-take e delle prove infinite!

CONCLUDIAMO COSÌ: AL TEMPO NON ME NE RENDEVO CONTO, MA LE RIPETIZIONI OSSESSIVE E LE CARATTERISTICHE DI “DRAWING DOWN THE MOON” NON ERANO SOLO BLACK METAL. C’ERA GIÀ IL SEME DEL TUO PERCORSO NELLA MUSICA ELETTRONICA, IN QUEL DISCO. LA SVOLTA DEI BEHERIT AVEVA UN SUO SENSO GIÀ ALLORA. CHE DICI, SONO COMPLETAMENTE IMPAZZITO?
– Ascoltavo già da anni Coil o Frontline Assembly. Oltre a questo, in quel periodo c’era molto di più del black classico, come sperimentazione: pensa agli stili di Necromantia o Mortuary Drape. Ho sempre voluto creare musica in qualche modo ‘differente’ da uno stile dominante. Senza internet, eravamo molto più liberi di sperimentare secondo me. Pensa agli Abruptum e alle loro follie. Trovo che la sperimentazione musicale sia passata in secondo piano al giorno d’oggi, a scapito di prodotti perfetti e ottimizzati. Le persone sono libere di fare ciò che vogliono, ma secondo me manca l’approccio coraggioso alla sperimentazione, tante volte. 

 

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