BLACK MOTH – I segreti delle Veneri di cera

Pubblicato il 10/04/2018 da

Il terzo album degli inglesi Black Moth è stata una piacevolissima sorpresa: forti di un contratto con la Candlelight Records, questi ragazzi ci hanno consegnato un disco solidissimo, pieno di groove e capace di erigere un muro di suono potente e robusto. Se a questo si aggiunge un approccio intelligente e mai banale ai testi e alle tematiche trattate, il risultato finale non può che essere degno di approfondimento. Non ci lasciamo scappare, quindi, l’occasione di raggiungere Federica Gialanzè, attuale chitarrista dei Black Moth, e lo facciamo anche con una punta di orgoglio patriottico: Federica, infatti, è italiana ma vive ormai da sedici anni in Inghilterra. A lei la parola, dunque, per scoprire qualcosa in più sui Black Moth e il loro nuovissimo “Anatomical Venus”.

CIAO FEDERICA, BENVENUTA SU METALITALIA.COM E GRAZIE DEL TEMPO CHE CI STAI DEDICANDO. PRIMA DI PASSARE AD “ANATOMICAL VENUS” TI CHIEDEREI DI FARE UN PASSO INDIETRO. SO CHE SEI ENTRATA NELLA BAND TRE ANNI FA, QUANDO I PRIMI DUE ALBUM ERANO GIA’ STATI PUBBLICATI. TI VA DI RACCONTARCI UN PO’ CHI SONO I BLACK MOTH E COME SONO CAMBIATI GRAZIE AL TUO INGRESSO IN FORMAZIONE?
– Sono venuta a conoscenza dei Black Moth attraverso amici in comune e capitando per caso ad un loro concerto all’Underworld di Camden Town con Spiders e Danava in apertura. Sapevo chi fossero poiché Harriet (Bevan, cantante, ndR) avrebbe dovuto fare da guest ad un mio concerto del tributo ai Black Sabbath nel quale suono e questo ha fatto da trampolino di lancio al mio esordio nel gruppo. Harriet alla fine non è potuta venire a cantare quella sera, ma in compenso Jimmy Martin degli Angel Witch si è trovato a suonare “War Pigs” con me ed è stato proprio lui a suggerire il mio nome ai ragazzi nel momento in cui stavano cercando un chitarrista e, così, ricevetti un messaggio su Facebook dai Black Moth, chiedendomi di fare un’audizione. Era un momento di cambiamento per la band, la quale era alla ricerca di un sound un po’ più heavy, sia dal punto di vista compositivo, che a livello di produzione e penso di aver contribuito parecchio nel raggiungere quest’obbiettivo.

INIZIALMENTE LE VOSTRE INFLUENZE MUSICALI SI POTEVANO CERCARE NEI BLACK SABBATH, NEGLI STOOGES, MA ADESSO AVETE AGGIUNTO MOLTI COLORI DIVERSI ALLA VOSTRA MUSICA. COSA TI PIACE ASCOLTARE PER ALIMENTARE IL FUOCO DEI BLACK MOTH?
– Niente di troppo mirato, scrivere con i Black Moth è stato un processo abbastanza spontaneo e ci siamo sentiti in sintonia fin dal primo momento, che è anche il motivo per cui mi è stato chiesto di rimanere nella band dopo l’audizione; tuttavia ci tenevo particolarmente a far funzionare le due chitarre e a farle diventare uno dei punti di forza del gruppo e la mia ispirazione a livello di twin guitars viene da band come i Thin Lizzy e i Wishbone Ash…in un contesto ovviamente diverso. Io e Jim abbiamo deciso di coltivare questa cosa e il prossimo disco vedrà probabilmente ancora più armonie e sfumature di stampo heavy metal. Per il resto la vena grunge anni Novanta è ancora molto presente e ci piace che sia così.

PERSONALMENTE TROVO ECCEZIONALMENTE EFFICACE L’UNIONE DELLE CHITARRE CON LA VOCE DI HARRIET. NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI UN ELEMENTO TENDE A PREDOMINARE SULL’ALTRO, INVECE NEL VOSTRO CASO E’ COME SE LE LINEE MELODICHE SI RAFFORZASSERO A VICENDA. COME SI DICE ‘IL TUTTO E’ PIU’ DELLA SOMMA DELLE PARTI’.
– Sono d’accordo e penso che per la maggior parte sia merito di Harriet, che riesce il più delle volte a creare delle linee vocali che funzionano con qualsiasi cosa le sia proposta musicalmente. La sua voce e le sue melodie vocali erano uno degli elementi più accattivanti per me quando mi è stato chiesto di entrare nel gruppo ed è capitato poche volte che dovessimo riadattare parti strumentali per facilitarle il compito. E’ bello, fra l’altro, che le sue influenze siano abbastanza varie, ma prevalentemente anni ’60 e ’70 come Diana Ross, Bettie Davies e Grace Slick dei Jefferson Airplane.

UNO DEGLI ELEMENTI CHE HA CONTRIBUITO A QUEST’OTTIMA RESA E’ ANCHE L’ECCELLENTE LAVORO IN STUDIO, CHE VALORIZZA OGNI STRUMENTO E CREA UN NOTEVOLE ‘WALL OF SOUND’. COM’E’ STATA L’ESPERIENZA IN STUDIO? SOPRATTUTTO PER TE CHE NON AVEVI ANCORA REGISTRATO CON LA BAND.
– E’ stata un’esperienza completamente diversa devo ammettere. Innanzitutto, per la prima volta, mi è capitato di lavorare con un produttore anzichè uno studio engineer. Quindi tante cose sono state cambiate e scritte al momento, totalmente fuori dalla mia comfort zone. In passato mi sono ritrovata a dover registrare 24 tracce di chitarra e ad ammazzarmi di prove per arrivare in studio ‘pronta’. Questa volta, nonostante il panico iniziale di non sapere come alcuni pezzi si sarebbero sviluppati, è stato un processo bellissimo. Stare lì insieme a sperimentare suoni, a scrivere assoli, a cambiare arrangiamenti… E’ sicuramente una cosa che ci ha legato ancora di più a livello personale. Andy Hawkins in compenso è un vero e proprio genio del suono e ha reso il processo ancora più bello ed efficace. D’altra parte, avendo lavorato con band come i The Damned, Maximo Park e Hawk Keys, le aspettative erano alte da entrambe i lati e adoriamo la sua schiettezza anche nel dirci se una cosa gli fa totalmente schifo! Una volta realizzato il tutto, la registrazione è poi stata consegnata nelle mani di Russ Russell (Napalm Death, Dimmu Borgir) per il mixing finale… Non poteva che uscire il ‘wall of sound’ da te citato. Siamo veramente soddisfatti di tutto il team dietro ai Black Moth e l’intenzione è di continuare con lo stesso anche sul prossimo disco.

LA COPERTINA DELL’ALBUM E’ UN’IMMAGINE MOLTO POTENTE CHE, PERO’, ASSUME ANCORA PIU’ SIGNIFICATO SE ACCOMPAGNATA DA UNA SPIEGAZIONE. HO LETTO CHE SI TRATTA DI UN MODELLO DI CERA USATO IN ANATOMIA NEL DICIOTTESIMO SECOLO.
– Esattamente. Quando abbiamo iniziato a scrivere musica per questo disco non avevamo ancora un’idea molto chiara di come si sarebbero sviluppati i testi o se avesse avuto un tema specifico. Il tutto è nato da un libro, “Anatomical Venus” di Joanna Ebenstein. Harriet è venuta a conoscenza di questo libro e ha tratto ispirazione da esso. E’ una raccolta di fotografie da tutto il mondo, le quali raffigurano modelli in cera a grandezza naturale, il cui scopo, nel tardo XVIII secolo, era lo studio dell’anatomia del corpo femminile. La cosa inquietante di questi modelli è l’inutile lussuria e bellezza nella raffigurazione dei corpi. Alcune di queste donne erano adornate da collane di perle, capelli umani e avevano sguardi fieri, a volte tristi o addirittura in estasi. Erano concepiti solo ed esclusivamente come modelli di continua dissezione umana verso le donne da parte di uomini. Per Harriet è stata una specie di metafora che ha aperto le porte ad un discorso più ampio e che va a toccare gli studi di psicoterapia che ha intrapreso, più l’interesse generale nella psicologia femminile e nell’esperienza di essere donna. La canzone “Severed Grace”, in particolare, è la voce di questi modelli, come se prendessero vita e invitassero a rimuovere tutti i loro strati, per poi dimostrare che non c’è nulla da scoprire sulle donne, al di là della loro anatomia… A meno che non siano loro stesse a svelarti i propri segreti! L’immagine che abbiamo scelto ci è piaciuta molto perchè, al di sotto di questi strati, c’è della materia grigia… Oltre al fatto che ottenere la licenza per altre veneri di cera si è rivelato molto piu’ difficile di quanto avessimo anticipato.

ABBIAMO APPREZZATO MOLTO LA VOLONTA’ DI STACCARSI DALLO STEREOTIPO DELLE COSIDDETTE ‘FEMALE FRONTED BAND’. DEFINIZIONE ABUSATA CHE FINISCE, IMPROPRIAMENTE, PER ESSERE CONSIDERATO UN GENERE MUSICALE. CREDO, INVECE, CHE LA VOSTRA POSIZIONE IN MERITO SIA BEN DIVERSA E CHE MERITI ATTENZIONE. COSA VUOI DIRCI AL RIGUARDO?
– Siamo più o meno inorriditi e stanchi di sentir ancora parlare di ‘female fronted’ perché, in effetti, non significa assolutamente nulla! Non è un genere, è una definizione pigra e riduttiva… E non descrive nulla di una band. Oltretutto direi che al giorno d’oggi ci sono abbastanza band con donne e che questa cosa non è poi così sorprendente come se facessimo qualcosa fuori dall’ordinario! E penso lo stesso tema si possa applicare in tutti i campi, non solo nella musica, ma purtroppo è una battaglia continua: ho amiche nel campo della finanza, degli sport estremi o in posizioni manageriali che sono costantemente soggette a discriminazioni, pregiudizi o addirittura molestie sessuali, oppure osannate all’inverosimile per aver intrapreso una carriera che appartiene predominantemente a un popolo maschile!

ALLO STESSO TEMPO, PERO’, QUESTO APPROCCIO NON NEGA ASSOLUTAMENTE LA FEMMINILITA’ ESPRESSA, AD ESEMPIO, DALLA SPLENDIDA VOCE DI HARRIET.
– Alla fine siamo cio’ che siamo e siamo anche molto fiere di esserlo. Sia io, che Harriet, che molte altre ragazze che lavorano nell’industria musicale (con le quali fra l’altro abbiamo formato un gruppo su Facebook) condividiamo in parte la stessa esperienza e, tutte noi, abbiamo in un qualche modo condiviso un passato nel quale abbiamo fatto di tutto per soffocare la nostra femminilità, per la paura di non essere accettate in un contesto fortemente maschile… Invece, crescendo e probabilmente scoprendo la nostra identità ed individualità, consideriamo ora la femminilità parte integrante di noi e una cosa che va celebrata: la voce di Harriet e la sua performance sul palco ne è sicuramente un esempio. Penso, inoltre, che il contrasto fra musica pesante e voce femminile sia interessante.

IN PARTE NE ABBIAMO GIA’ PARLATO: DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, QUALI SONO I TEMI SU CUI SI MUOVE “ANATOMICAL VENUS”?
– I temi sono abbastanza vari, ma correlati allo stesso tempo. Alcuni brani sono stati scritti in collaborazione con Jessica Green, una vecchia amica di Harriet, che, appassionata di poesia, ha scritto un libro di poesie a scopo personale che ci ha catturato molto. Harriet, essendo sempre più immersa nel suo corso di psicoterapia, ha trovato abbastanza difficile continuare a scrivere testi sulle basi degli album precedenti, i quali erano un insieme di storie di umorismo nero e sarcasmo. Soprattutto dopo aver esplorato, giorno dopo giorno, i lati più oscuri della mente umana è sicuramente diventata più ricettiva riguardo alle sue esperienze personali. I testi di “Anatomical Venus” sono proprio un mix di esperienze personali ed estratti di poesie di Jessica Green, le quali hanno contribuito a creare un equilibrio vagamente più romantico e variano da inni alla luna, alla riflessione sulle veneri utilizzate come strumenti maschili al fine di comprendere le donne; dal dolore e ai rischi che comporta amare, alla vendetta di donne schierate in difesa di altre donne che hanno subito ingiustizie; dall’epidemia e il mondo malato dei social media, fino ad arrivare all’ultima traccia, “Pig Man” (forse il nostro prossimo singolo, ma nulla di confermato per ora), ispirata da un libro di Jesse Behring intitolato “Perv”, che parla della caccia alle streghe a New Haven e di questi ragazzi chiamati “Pig Men”, che erano contadini o popolani, i quali furono scoperti a fare sesso con animali da cortile. La convinzione era che stessero cercando di generare una progenie satanica, che avrebbe poi portato Satana sulla Terra. Alcuni furono perfino giustiziati per questo…

FEDERICA, VISTO CHE STO AVENDO IL PIACERE DI PARLARE CON TE, NON POSSO NON CHIEDERTI QUALCOSA SUL TUO ESSERE UN’ITALIANA ALL’ESTERO. NON SO DA QUANTO TEMPO TU VIVA IN INGHILTERRA, MA TI VA DI DIRCI BREVEMENTE COME E’ STATO PER TE CHE VIENI DAL NOSTRO PAESE, TRASFERIRTI E RITROVARTI QUINDI A SUONARE IN UNA BAND INGLESE?
– Suonare in gruppi inglesi o di altre nazionalità è stato particolarmente difficile dal punto di vista linguistico, almeno per i primi anni. Non tanto per la mia capacità di esprimermi ma per via delle differenze culturali che sicuramente influiscono sul modo di comunicare. Per il resto è un’ esperienza che rifarei daccapo. Sono partita sedici anni fa con un’amica, che è fuggita dopo tre giorni e per qualche motivo sono riuscita, nella mia testardaggine, a stare qui… Mi manca casa. La cosa più difficile per me è stare lontana dalla mia famiglia e vedere i miei genitori diventare anziani e miei fratelli adulti e perdermi tappe fondamentali delle loro vite. Inoltre, solo negli ultimi anni, posso dire di aver coltivato delle amicizie un po’ più intime. La musica mi ha sicuramente aiutato in questo, essendo Londra una città difficile e grande, che a volte lascia poco spazio ai rapporti umani, ma sono comunque affezionata ad essa… E’ ormai il mio habitat e le opportunità che ho avuto qui non mi sarebbero capitate stando in Italia.

CON “ANATOMICAL VENUS” SIETE APPRODATI AD UN’ETICHETTA DI TUTTO RISPETTO COME LA CANDLELIGHT. COM’E’ STATO L’INCONTRO CON LORO E COME VI TROVATE?
– Essendo da alcuni anni con NHS (New Heavy Sound), abbiamo deciso di comune accordo che, per portare la band ad un livello successivo, sarebbe stato ideale appoggiarsi ad una label più grossa, anche solo per il licensing. New Heavy Sound ha sempre fatto ciò che poteva per far crescere il gruppo e questa collaborazione ha funzionato anche per loro. E’ stata Spinefarm a contattarci, chiedendo di poter ascoltare i primi demo del disco e dopo alcuni mesi è arrivata l’offerta Spinefarm/Candlelight. Di sicuro avere una major alle spalle ci sta aiutando, anche se purtroppo questa collaborazione è stata uno dei motivi per cui l’uscita del disco è stata rimandata di un sacco di mesi. Immagino per via di tante procedure che dovevano essere filtrate attraverso la Universal, in particolare la fase contrattuale e, infine, la produzione del vinile che è un processo veramente lunghissimo!

SAREI CURIOSO DI CHIEDERTI UN PARERE SULLE PIATTAFORME DI STREAMING, TIPO APPLE MUSIC O SPOTIFY. CREDI CHE SIA UN’OPPORTUNITA’ PER LA DISCOGRAFIA OPPURE NO?
– Purtroppo credo che a questo punto sia una specie di evoluzione alla quale tutti dobbiamo adattarci. Ho odiato questa cosa per diversi anni e mi sono sempre rifiutata di scaricare musica da siti torrent per rispetto verso il lavoro di musicisti e produttori, ma ammetto che Spotify e Apple Music sono dei mezzi che utilizzo regolarmente e che sono stati veicoli di tanta musica che ho scoperto. Ho molta nostalgia comunque di quando la musica non era così accessibile poichè la si apprezzava di più. Sono una grande fan dell’artwork e del fatto che il prodotto finale sia composto anche da quello. La scelta di un artista o di un grafico non può essere ridotta ad una miniatura su un computer. La digitalizzazione ha forse cambiato l’industria discografica rendendo il mercato completamente saturo! Senza menzionare il fatto che per i musicisti diventa sempre più improbabile avere un riscontro economico e vedo sempre più band che distruggono le proprie esistenze ed investono tutto ciò che hanno per qualcosa che rimarrà per sempre un hobby…

QUALI SARANNO INVECE I PROSSIMI PASSI NELL’IMMEDIATO FUTURO DEI BLACK MOTH?
– Per il momento siamo in cerca di un tour per promuovere il disco. Festival possibilmente… Ci sarà qualche annuncio a breve. E iniziare a costruire le fondamenta per il prossimo disco.

GRAZIE ANCORA PER IL TUO TEMPO E LASCIO A TE LE ULTIME PAROLE PER CONCLUDERE L’INTERVISTA COME PREFERISCI!
– Spero di cuore di suonare in Italia poiché è sempre un’emozione tornare a casa e ringrazio Metalitalia.com per l’opportunità di parlare di questo disco nella mia lingua nativa!

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