Con i Lynyrd Skynyrd che appendono gli strumenti al chiodo in prima fila a raccogliere la torcia dei Re del southern rock ci sono di sicuro i Black Stone Cherry, che con “The Human Condition” si confermano in splendida forma. Un occhio all’amata terra natia del Kentucky e uno al radio rock americano e rieccoli qua, sempre uniti come fratelli, sinceri ed ispirati, evocando tanto i mostri sacri del genere quanto i Soundgarden o le formazioni capaci di riempire le grandi arene. In occasione del settimo album in studio, che ce li consegna come veterani della scena a un’età media che non si avvicina nemmeno ai quaranta, abbiamo raggiunto il chitarrista Ben Wells per farci raccontare dalla ‘tigre in gabbia’ i retroscena del disco, la situazione attuale dei membri del gruppo e i progetti per il futuro in questi periodi sfidanti.
COME VE LA SIETE CAVATA A SCRIVERE E REGISTRARE IL DISCO CON LE RESTRIZIONI DA COVID?
– Siamo andati in studio il 1o marzo, proprio al picco della pandemia. Ci siamo chiusi dentro lo studio per l’intero mese, riuscendo a terminare prima che iniziassero a verificarsi tutte le chiusure negli Stati Uniti. Ce l’abbiamo fatta per un pelo.
RINVIARE LA PUBBLICAZIONE E’ MAI STATA UN’OPZIONE, VISTO CHE NON POTRETE ANDARE IN TOUR NEL FUTURO PROSSIMO?
– Non abbiamo mai pensato di rinviare il disco, abbiamo scelto di pubblicare quest’anno perché volevamo un disco dei Black Stone Cherry nel 2020. Avevamo bisogno di un obiettivo in questo periodo e sappiamo che i nostri fan, allo stesso modo, volevano nuova musica. Penso sia una decisione corretta perché la gente ha bisogno di intrattenimento, ha bisogno di emozionarsi per qualcosa oggi più che mai.
AVETE APPROCCIATO LE REGISTRAZIONI IN UNA MANIERA PARTICOLARE O DIVERSA DAL PASSATO?
– Abbiamo cambiato solo il modo di registrare le parti di batteria. John Fred ha suonato su alcune bozze di riff, così da essere già immedesimato nella canzone. Noi successivamente abbiamo registrato basso e chitarra sulle sue tracce. Devo dire che ha funzionato molto meglio del solito, la soluzione ha creato più spazio e siamo riusciti a concentrarci a fondo.
MI SEMBRA CHE IL RISULTATO SIA UN PO’ PIU’ HEAVY DEGLI ULTIMI DISCHI, VICINO AI PRIMI CAPITOLI DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. SEI D’ACCORDO?
– Sono d’accordo, volevamo tornare sulle sonorità dei primi album con “Human Condition”. Sono felice che ci siamo riusciti, eravamo tutti in quello stato d’animo quindi è stato bello alzare gli ampli e riportare i riff sotto i riflettori.
HO LETTO CHE CANZONI COME “RINGIN’ IN MY HEAD” E “KEEP ON KEEPIN’ ON” SONO COMPOSIZIONI VECCHIE CHE NON SONO FINITE SUI VECCHI DISCHI. COME SONO TORNATE IN VITA?
– Abbiamo sempre amato quelle canzoni, per qualche motivo non sentivamo fossero adatte ai dischi precedenti. Di conseguenza scegliendo i pezzi per questo disco le abbiamo riportate alla luce, le abbiamo aggiornate un pochino ed eccole qui. Sono molto felice vengano finalmente pubblicate e possano avere oggi l’attenzione che hanno sempre meritato.
LE AVETE SOLO RIARRANGIATE QUINDI? ERANO GIA’ COMPLETE?
– Abbiamo cambiato la seconda strofa e il bridge di “Ringin’ In My Head”, il resto è uguale. “Keep On Keepin’ On” è praticamente stata completata… Cazzo dieci anni fa più o meno! Non abbiamo cambiato nulla di quella canzone.
QUINDI AVETE UN SACCO DI MATERIALE INEDITO O MAI TERMINATO NEL CASSETTO?
– Abbiamo una tonnellata di demo di roba vecchia e meno vecchia. Solo per il fatto che sia materiale datato non significa non sia buono. Peschiamo dal vecchio catalogo e vediamo cosa possiamo fare, se possiamo migliorare qualche canzone in qualche modo. Stavolta direi che abbiamo trovato le canzoni giuste.
QUANTO E’ IMPORTANTE, ANCHE A LIVELLO ECONOMICO, RIUSCIRE A PRODURRE AUTONOMAMENTE IL PROPRIO ALBUM?
– A noi piace produrre i nostri dischi perché abbiamo sempre saputo esattamente come vogliamo che suoni. Siamo stati fortunati a lavorare con grandissimi produttori in passato, ma oggi non ha senso per noi spendere un mucchio di soldi per un produttore quando sappiamo dove mettere le mani in studio. Noi quattro siamo totalmente coinvolti in qualsiasi cosa facciamo. Negli ultimi tempi abbiamo solo bisogno di essere lasciati in pace e lavorare tra di noi.
UN PRODUTTORE NON FA SOLO QUELLO. SIETE ANCHE IN GRADO DI ESSERE CRITICI VERSO IL VOSTRO LAVORO E MOTIVARVI A VICENDA?
– Abbiamo imparato a motivarci e ad essere critici verso noi stessi e i nostri compagni. Durante le sessioni di “The Human Condition” probabilmente l’abbiamo fatto più di ogni altra volta. Abbiamo raggiunto la consapevolezza di essere tutti nella stessa squadra, lavorando tutti per lo stesso obiettivo. Ci spingiamo il più possibile tra di noi, a volte anche oltre. Dobbiamo e vogliamo ottenere le migliori performance. Autoproduzione significa responsabilità.
VISTO IL PERIODO PARTICOLARE E LO STRESS, LE SESSIONI SONO STATE COMUNQUE SCORREVOLI?
– E’ andato tutto abbastanza liscio. Non c’è nessuno che litiga. Sicuramente ci sono discussioni, anche accese, ma tutto nasce dalla passione che tutti abbiamo per raggiungere lo stesso fine. Lo studio di registrazione per noi è un posto molto creativo e d’ispirazione.
COME AVETE SCELTO DI COVERIZZARE GLI ELECTRIC LIGHT ORCHESTRA?
– Amiamo Jeff Lynn e tutto quello che ha scritto. Amiamo gli ELO. Ascoltiamo sempre “Don’t Bring Me Down” sul tour bus ed è talmente una grande canzone che abbiamo preferito modificarla il meno possibile – abbiamo aggiunto solo un paio di assoli alla fine, suonandola in maniera un po’ più pesante. E’ un pezzo grandioso, tutti lo amano e allo stesso tempo non ci sono tante cover in giro, di conseguenza abbiamo pensato potesse essere una scelta saggia.
NON AVETE MAI SOSTITUITO UN MEMBRO DELLA BAND E SEMBRATE MOLTO LEGATI. SIETE RIUSCITI A VEDERVI IN QUESTO PERIODO DI LOCKDOWN?
– Siamo fratelli. Un pochino siamo riusciti a vederci perché fortunatamente viviamo tutti molto vicini. Ci siamo visti brevemente in diverse occasioni ed è stato molto bello per noi perché ci manca moltissimo quello che facciamo per vivere. Come diciamo sempre siamo in primo luogo amici, in secondo luogo una band. Mettere la nostra amicizia prima degli affari è stata la chiave del nostro successo.
PARLIAMO DI “LIVE FROM THE SKY”: PERCHE’ AVETE SCELTO DI MANDARE IN STREAM UNA PERFORMANCE REGISTRATA?
– E’ la nostra versione dei concerti in streaming. L’abbiamo registrato la scorsa settimana ed è stato davvero molto bello ritrovarsi a suonare di nuovo dopo otto mesi. E’ stato registrato ed ora lo stanno editando e mettendo insieme, verrà trasmesso il 30 ottobre, il giorno in cui uscirà il nuovo disco (N.d.R.: l’intervista è datata 22 ottobre). Perché un concerto pre-registrato? Si tratta semplicemente di limitazioni tecniche, in questo modo siamo sicuri di poter offrire la migliore esperienza possibile senza noiosi e problematici inconvenienti legati alla diretta. Volevamo farla a modo nostro, è essenzialmente un concerto dal vivo solo che non si tiene in diretta.
CHI HA AVUTO L’IDEA DELLE “CHERRY CHATS”? PENSI CONTINUERETE A FARLE ANCHE QUANDO LE LIMITAZIONI SARANNO RIMOSSE?
– Ci siamo divertiti molto a interagire coi nostri ascoltatori. Penso che continueremo a farle sì. Volevamo stare connessi durante la quarantena, non solo tra di noi ma anche coi nostri fan. E’ stato bello parlare con componenti di altri gruppi, condividere storie. Penso ai fan sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a noi.
QUAL E’ LA PEGGIOR CANZONE DEI BLACK STONE CHERRY IN CIRCOLAZIONE?
– La peggiore? Non saprei proprio. Non ho mai pensato se ce n’è una. Se non siamo particolarmente convinti di una canzone questa non finirà mai su un album!
NEL 2021 CI SARA’ IL VENTESIMO COMPLEANNO DEI BLACK STONE CHERRY: STATE PREPARANDO QUALCOSA PER FESTEGGIARE?
– Sono sicuro che qualcosa faremo, compatibilmente con quello che ci sarà consentito fare. Speriamo di poter organizzare qualcosa di grosso.