BLACK THERAPY – L’allegra tristezza

Pubblicato il 03/04/2017 da

In un momento storico in cui il melodic death metal sembra conoscere una seconda (o terza?) giovinezza, tra le molte band nordiche trovano spazio anche i romani Black Therapy, definitivamente maturati con il secondo album “In The Embrace Of Sorrow I Smile”. Ai nostri microfoni per raccontarci la genesi dell’ultimo lavoro, insieme ad altre curiosità sulla storia della band, sono il chitarrista Lorenzo e il cantante Giuseppe.

CIAO RAGAZZI, E NUOVAMENTE COMPLIMENTI PER “IN THE EMBRACE OF SORROW, I SMILE”: AVENDOVI SEGUITO FIN DAGLI ESORDI, E’ EVIDENTE IL PERCORSO DI CRESCITA AVVENUTO IN QUESTI ANNI, COME LO RIASSUMERESTE AVENDOLO VISSUTO DALL’INTERNO?
Giuseppe:
“Ciao, grazie mille! Mi fa molto piacere che la nostra crescita venga notata e che tu ci abbia posto questa domanda. Sicuramente il nostro album di esordio era un lavoro molto acerbo e che lasciava solo intravedere del potenziale, ma è con il successivo EP ‘The Final Outcome’ che abbiamo iniziato a gettare le basi per ‘In The Embrace Of Sorrow, I Smile’. Penso che la differenza nella qualità del songwriting sia dovuta alla nostra crescita personale e alle varie esperienze fatte in ambito musicale”.

Lorenzo: “Dal punto di vista tecnico non ho nulla da aggiungere alle parole di Giuseppe; dal lato artistico e stilistico è chiaro che c’è stato cambiamento, ci rendiamo conto che gli ultimi due lavori sono meno estremi e violenti del primo album. Noi siamo esseri umani e Black Therapy è la nostra creatura: tutti gli esseri viventi, le cose e gli eventi sono per natura fenomeni dinamici, soggetti a mutazioni continue, credo che questa condizione stia a significare che nella band c’è ancora linfa vitale, movimento e voglia di fare ed esprimere”.

CHI VI SENTISSE PER LA PRIMA VOLTA SENZA CONOSCERVI, PROBABILMENTE PENSEREBBE SIATE ORIGINARI DEI PAESI NORDICI: AVETE MAI PENSATO DI AGGIUNGERE UN TOCCO PIU’ ‘MEDITERRANEO’ ALLA PROPOSTA, OPPURE LA VOSTRA IDEA E’ PROPRIO QUELLA DI RIFARSI ALLA CULTURA DEL NORD?
Lorenzo:
“Non siamo una band studiata a tavolino in un ufficio, la nostra idea della musica non è questa, nessuno di noi è qui per seguire uno stile piuttosto che un altro. Black Therapy è il risultato delle nostre esperienze, sensazioni, ascolti, influenze e fatti accaduti. Personalmente sono molto rispettoso delle tradizioni, ma non sono un tipo molto patriottico, non mi piacciono le bandiere e i confini, politici o geografici, mi sento abitante del mondo; sono stato affascinato e catturato da un certo tipo di musica e non mi interessa quale sia la sua provenienza, l’ho fatta mia, mi piace, la suono”.

Giuseppe: “Esattamente come dice Lorenzo, siamo rimasti affascinati da un certo tipo di musica e abbiamo scritto l’album melodic death che volevamo ascoltare, credo sia questo il punto importante”.

IL MOOD MALINCONICO DELL’ALBUM E’ EVIDENTE FIN DALLA COPERTINA E DAL TITOLO, ANCHE SE L’ACCENNO AL SORRISO FA UN PO’ DA CONTRALTARE: E’ UN TEMA RICORRENTE ANCHE NELLE LYRICS?
Giuseppe:
“La malinconia permea un po’ tutto l’album che, pur non essendo un concept, tratta dei temi ricorrenti: oscurità, disperazione, perdita, dolore. Ma non senza un barlume di speranza. Prendo ad esempio la title-track: è una canzone che parla dell’accettazione della sofferenza, del dolore e dei demoni interiori; farli ‘propri’ per riuscire ad andare avanti. O ancora, in ‘She, The Weapon’ una ragazza viene trasformata in un’arma ed è solo grazie alll’amore che riesce a salvarsi mantenendo la sua parte umana”.

LE VOSTRE INFLUENZE SONO EVIDENTEMENTE VERSO IL MELODIC DEATH METAL PIU’ CLASSICO, MA ALCUNI PASSAGGI (COME IN “SHE, THE WEAPON”), SI AVVERTONO INFLUENZE PIU’ MODERNE.
Lorenzo:
“A mio parere è molto importante che un disco non sia noioso, può sembrare banale ma non lo è. Premetto che come ascoltatore sono un tipo molto cocciuto, ascolto spesso musica che non mi piace, cerco di analizzare, capire cosa voleva trasmettere l’artista, cerco di passare sopra ai miei gusti riascoltando più e più volte lo stesso lavoro eppure a volte mi capita di fare fatica a mantenere l’attenzione per tutta la durata di un album. In alcuni casi possono essere scelte dell’artista, in altri gusti diversi da parte dell’ascoltatore e chi piu ne ha piu ne metta, ci sta tutto. Durante la composizione di ‘In The Embrace Of Sorrow, I Smile’ ci siamo chiesti come potevamo rendere il nostro disco piacevole e scorrevole pur mantenendo un filo conduttore tra l’atmosfera delle tracce e cosi abbiamo provato a farcire il nostro melodic death alternandolo con ritmi più serrati e tappetoni black metal, sfuriate di swedish e rallentamenti vicini al doom, urla strazianti e pianti solitari… ‘She, The Weapon’ è uno di questi esperimenti, ma all’interno del disco ce ne sono molti altri, noi ne siamo soddisfatti, speriamo il pubblico ne sia altrettanto!”.

AVETE DI RECENTE GIRATO UN VIDEO PER LA TITLE-TRACK, IN CUI SIETE RAPPRESENTATI COME MARIONETTE: QUANTO E’ IMPORTANTE AL GIORNO D’OGGI UN VIDEO PER LA PROMOZIONE, IN UN CONTESTO IN CUI LA FRUIZIONE MUSICALE E’ SEMPRE PIU’ ‘LIQUIDA’?
Giuseppe:
“Il videoclip resta ancora secondo me uno degli elementi più importanti per la promozione di una band. Se non conosci una band, prima ancora di andare ad ascoltare un loro album su una piattaforma di streaming, vai a vedere il loro videoclip. È il modo in cui ti presenti e credo che il primo impatto sia molto importante. Per questo li curiamo sempre molto e devo dire di essere soddisfattissimo del lavoro svolto da Sanda Movies, con cui già avevamo collaborato per ‘Mad World’”.

RECENTEMENTE ABBIAMO ASSISTITO ALLE POLEMICHE PER GLI SHOW ANNULLATI DEI DESTRUCTION, CHE HANNO IN QUALCHE MODO RIACCESO I RIFLETTORI SULE DIFFICOLTA’ DEL SUONARE METAL IN ITALIA, AL DI FUORI DEI SOLITI NOMI NELLE GRANDI CITTA’: AVENDO GIRATO IN ITALIA E ALL’ESTERO, CHE IDEA VI SIETE FATTI?
Giuseppe:
“Lasciando da parte le polemiche riguardo a concerti a cui non ero presente e su cui non metto bocca, posso dire che su territorio italiano ci sono sicuramente molte difficoltà che all’estero non sono presenti, o sono presenti solo in maniera minore. E non mi riferisco alla scarsa professionalità, sia all’estero sia in Italia puoi trovare chi lavora bene come chi lavora male; il grosso problema è la mancanza di spazi adeguati, in particolare se parliamo di metal estremo. Quante sono le venues in cui è possibile esibirsi in Italia? Poche, molto poche. Se a questo aggiungiamo una totale mancanza di supporto da parte dei media nazionali, è facile capire che una band italiana, anche quando meritevole, arranchi molto di più rispetto ad una tedesca/svedese che sia. Bisogna lavorare sodo per colmare questo divario e noi ci rimbocchiamo le maniche cercando di non perdere nessuna opportunità”.

DOPO L’ESORDIO CON LA REVALVE, SIETE PASSATI SOTTO L’EGIDA DELLA APOSTASY RECORDS: COME VI STATE TROVANDO, E CHE RESPONSI AVETE AVUTO DAL MERCATO ESTERO?
Giuseppe:
“Ci stiamo trovando molto bene, Apostasy è un’etichetta che si occupa quasi esclusivamente di death melodico nelle sue varie sfaccettature ed è quindi perfettamente in target per noi. Inoltre avere un’etichetta tedesca è sicuramente una marcia in più: se abbiamo ricevuto molto più riconoscimento all’estero non è solo per la qualità del nuovo album, ma anche grazie alla buona promozione dell’etichetta ed alla sua rete di distribuzione, che comprende anche EMP. Abbiamo ricevuto unicamente recensioni positive dalla stampa estera, alcune con dei veri e propri votoni che ci hanno quasi colto alla sprovvista (risate, ndR), e siamo anche finiti nella top ten degli album death metal di Amazon.de, un traguardo non da poco per una band come la nostra”.

IN UN CONTESTO COME QUELLO ATTUALE, DOVE SI PUO’ RAGGIUNGERE GLI ASCOLTATORI IN TUTTI I MODI (PIATTAFORME DI STREAMING, PORTALI, SOCIAL, ETC), QUANTO E’ ANCORA IMPORTANTE IL SUPPORTO DI UNA LABEL ‘TRADIZIONALE’?
Giuseppe:
“Credo sia importantissimo e nel nostro caso non avremmo potuto chiedere di meglio. Come appunto hai detto, ci troviamo in un contesto in cui siamo bombardati da tantissime proposte musicali, fruibili attraverso qualsiasi canale. Il mercato è saturo e ciò che veramente aiuta una band ad uscire fuori dal mucchio non è solo la qualità, ma il supporto e la promozione da parte della giusta label”.

UNA CITTA’ COME ROMA, COSI’ COME L’ITALIA IN GENERALE, E’ SICURAMENTE RICCA DI FASCINO E STORIA IN OGNI ANGOLO: I POSTI IN CUI VIVETE HANNO QUALCHE INFLUENZA SU QUELLO CHE COMPONENTE COME MUSICISTI?
Giuseppe: “Sicuramente il posto in cui ho vissuto e vivo mi ha in qualche modo plasmato come persona, e di conseguenza ciò che scrivo nei miei testi deve molto all’ambiente che mi circonda”.

Lorenzo: “I Black Therapy sono nati nella periferia romana tra una borgata e un residence di case popolari abbandonato a se stesso, è una realtà molto diversa dall’immagine che in genere le persone si fanno quando si parla di Roma. Soprattutto all’inizio per me e Daniele (Rizzo, ex chitarrista e co-fondatore, ndR) la magnificenza e l’eleganza del centro storico facevano parte di un mondo d’elite dal quale noi eravamo fuori, lo vedevamo come una macchina mangia-soldi a discapito delle zone come la nostra. Tutto ciò non mette in dubbio il fatto che apprezziamo molto le bellezze artistiche della nostra città e che anzi, ci piacerebbe se fossero messe a disposizione di tutti e fossero mantenute e difese”.

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.