Un anniversario importante, quello festeggiato nel 2020 dai Blind Guardian. “Imaginations From The Other Side” è un album imprescindibile, un concentrato perfetto di potenza, spirito epico, maestose melodie, il tutto calato in un universo di leggende ed eroi. La formazione teutonica ha deciso di celebrare questo evento con una ricca edizione, che vede il suo punto di forza nel live album registrato nel 2016, in cui la band si è cimentata nella riproposizione dell’intero album dal vivo. Con molto piacere, dunque, abbiamo raggiunto Hansi Kürsch per un’intervista che, prendendo spunto da uno dei brani migliori di “Imaginations From The Other Side”, vuole esplorare non solo il passato della band, ma anche il futuro, che vedrà presto regalarci un nuovo album in studio dopo l’esperimento orchestrale di “Legacy Of The Dark Lands”.
CIAO HANSI, INIZIAMO QUEST’INTERVISTA FACENDO UN PASSO INDIETRO NEL TEMPO, AI GIORNI PRECEDENTI ALLA REALIZZAZIONE DI “IMAGINATIONS FROM THE OTHER SIDE”. QUALI ERANO LE VOSTRE ASPETTATIVE PER IL NUOVO ALBUM E COME VI SIETE APPROCCIATI A QUESTO LAVORO DIVENTATO POI COSÌ IMPORTANTE PER VOI?
– Devo dire che avevamo delle aspettative molto elevate, perché “Somewhere Far Beyond” era stato un grande successo: avevamo portato a termine il nostro primo tour internazionale, che era culminato con la registrazione di “Tokyo Tales”, che a suo volta è stato un successo. Eravamo, quindi, molto motivati quando abbiamo iniziato le registrazioni di “Imaginations From The Other Side”: era un periodo in cui eravamo molto sicuri di noi, le cose stavano andando bene, i nostri fan ci supportavano, sapevamo di poter crescere ulteriormente come band, avevamo alle spalle un’etichetta importante e, soprattutto, avevamo un quantitativo enorme di idee. Una volta terminato il mixaggio di “Tokyo Tales”, abbiamo iniziato a concentrarci sulla composizione dei nuovi brani e, come saprai, su “Imaginations” ci sono molti elementi progressive. Non altrettanto progressive rispetto a quello che abbiamo fatto negli anni successivi, ma se fai un paragone con i nostri primi quattro album, la differenza è evidente. Abbiamo preso tutte queste idee e le abbiamo concentrate tutte insieme in un album: all’epoca avevamo uno studio di registrazione collegato alla sala prove e ci siamo praticamente trasferiti lì, lavorando sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno. Era uno scambio continuo di idee e le canzoni hanno avuto modo di svilupparsi nella maniera più rapida e naturale possibile. In un certo senso abbiamo anche catturato lo spirito di quegli anni: alcuni sono convinti che quello non fosse il momento più felice per il metal, dato che il grunge e l’alternative erano i generi che dominavano il mercato, ma questa non era una preoccupazione per noi. Eravamo dei metallari che avevano avuto successo, avevamo il giusto slancio ed eravamo convinti di poter realizzare un album anche migliore di “Somewhere Far Beyond”. A quel punto, nell’estate del 1994, abbiamo iniziato a lavorare alla produzione assieme a Flemming Rasmussen: avevamo cambiato produttore perché Kalle Trapp era un nostro buon amico, con un atteggiamento quasi paterno nei nostri confronti. Noi eravamo cresciuti, però, non avevamo più bisogno di un ‘padre’, che prendesse le decisioni per conto nostro, volevamo qualcuno che fosse in grado di guidarci ad un livello successivo.
HAI DETTO CHE AVETE RACCOLTO UN PO’ LO SPIRITO DEL TEMPO, MA CERTAMENTE QUEGLI ANNI NON SONO STATI I PIÙ SEMPLICI PER IL METAL CLASSICO. CERTO, DOPO POCHISSIMI ANNI, ANCHE GRAZIE A VOI, C’È STATO UN IMPORTANTE REVIVAL DEL GENERE. PENSO AI NOSTRI RHAPSODY, AGLI HAMMERFALL, AGLI EDGUY E A TANTE ALTRE GIOVANI FORMAZIONI POWER METAL ARRIVATE AL SUCCESSO, PERÒ NEL 1995 TUTTO QUESTO ANCORA NON C’ERA. NON È STATO DIFFICILE PER VOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA?
– No, non credo che sia stato un periodo così difficile: c’erano davvero tante formazioni che facevano questo genere di musica e non pochi magazine ad occuparsene, e anche in Italia, se ci pensi, ce n’erano parecchi. Qui in Germania ne avevamo almeno sette/otto. Non è stato un periodo così negativo: certo, Bruce Dickinson aveva lasciato gli Iron Maiden e molte delle band più grosse non riuscivano più a mantenere quegli standard di qualità che li avevano portati al successo, per le ragioni più disparate, ma la scena underground era florida: c’eravamo noi, i Gamma Ray, gli Iced Earth, tutte formazioni che in quegli anni hanno iniziato a crescere fino a raggiungere il massimo successo. Tieni anche presente che all’epoca eravamo dei veri metallari, non ascoltavamo altri generi musicali, quindi anche il successo del grunge o dell’alternative non ci ha mai toccato, perché semplicemente quel tipo di musica non ci interessava. Anche nel momento del loro massimo successo commerciale, non siamo stati tentati di integrarne alcuni elementi nel nostro sound. Tanti nuovi ascoltatori si sono avvicinati alla musica dura proprio grazie al grunge o all’alternative, ma questi non erano minimamente interessati alle sonorità classiche come le nostre, che venivano considerate come qualcosa di vecchio, di superato. È stato questo, probabilmente, a lasciare questo retrogusto amaro, ripensando a quel periodo, nella mente di chi invece queste sonorità le ama e le ha sempre seguite, ma ti assicuro che la scena era viva e vegeta anche allora.
“IMAGINATIONS FROM THE OTHER SIDE” È STATO ANCHE L’ULTIMO ALBUM IN CUI HAI SUONATO IN PRIMA PERSONA IL BASSO. VUOI RACCONTARCI COME SEI ARRIVATO A DECIDERE DI APPENDERE LO STRUMENTO AL CHIODO PER CONCENTRARTI SOLO SULLA VOCE?
– Sì, una volta terminate le registrazioni di “Nighfall In Middle-Earth” siamo partiti per il tour e quella è stata la prima volta che mi sono ritrovato solo nel ruolo di cantante: quel primo periodo è stato difficile, sì, più di quanto mi aspettassi, soprattutto perché non avevamo avuto abbastanza tempo per fare le prove prima di imbarcarci nel tour. Già quando avevamo registrato “Somewhere Far Beyond” mi ero reso conto di come fosse difficile riuscire a gestire le parti vocali, dei testi e anche le linee di basso, soprattutto dal vivo. La composizione dei brani di “Imaginations From The Other Side”, infatti, è stata realizzata interamente senza pensare al basso, che non ha mai un ruolo predominante, tranne pochissime eccezioni, come l’introduzione di “The Script For My Requiem”. Ma non è stata una scelta consapevole, quasi non ci ho fatto caso, ero completamente concentrato sulle parti vocali, non avevo tempo per fare pratica con il basso, tanto che, quando arrivammo al momento delle registrazioni, mi resi conto di essere decisamente fuori allenamento. Registrare il basso è stato quindi molto più difficile del solito, credo che alla fine il risultato finale sia accettabile, ma praticamente le ho suonate quasi senza mai provarle. Anche quando finimmo le registrazioni, non spesi abbastanza tempo nel fare pratica con il basso e quando arrivò il momento di andare in tour, mi resi conto di non essere abbastanza bravo. Il tutto era diventato troppo complicato, perché era cambiata la struttura delle nostre canzoni, con la voce che spesso era una controparte della musica e il basso avrebbe dovuto seguire più la musica che non la voce. La qualità generale dei nostri concerti stava iniziando a subire questa situazione ed è stato allora che presi la decisione definitiva: questa situazione non si sarebbe dovuta ripetere mai più.
PASSIAMO QUINDI AL PIATTO FORTE DI QUESTA RIEDIZIONE, OVVERO LA PERFORMANCE DAL VIVO DELL’ALBUM REGISTRATA NEL 2016. ALL’EPOCA ANCHE NOI AVEVAMO AVUTO OCCASIONE DI ASSISTERE AD UNA DI QUESTE DATE, A MILANO DURANTE IL BATTLEFIELD METAL FEST. TI VA DI PARLARCI DI QUESTO LIVE ALBUM?
– È qualcosa che in origine non sarebbe nemmeno dovuta accadere. Avevamo realizzato “Beyond The Red Mirror”, a cui era seguito già un lungo tour di successo, poi, però, abbiamo ricevuto un’offerta per suonare una nuova serie di date in Nord America. Eravamo un po’ stanchi e non eravamo particolarmente entusiasti all’idea di suonare ancora una volta lo stesso show che avevamo portato in tour già così a lungo e, quindi, abbiamo iniziato a vagliare delle altre opzioni. È stato allora che ci è venuto in mente di suonare tutto “Imaginations From The Other Side”, Sapevamo che tutte le canzoni dell’album erano adattabili dal vivo e sapevamo di poter riuscire a prepararci, nonostante il poco preavviso. Abbiamo quindi allestito questo set per il tour in Nord America e dopodiché, come hai ricordato, abbiamo fatto anche tappa in Europa, tra cui Milano, alcuni festival in Germania, e qualche altra data selezionata. È stata una bella esperienza, le persone si sono divertite molto, alcuni erano quasi commossi sapendo di poter finalmente ascoltare per intero questo disco dal vivo dopo vent’anni e passa. Ed è stato anche molto divertente per noi sul palco. Questo è probabilmente l’ultimo album che si presti con una certa facilità ad un’operazione di questo tipo: tutte le canzoni sono intense ma, in un certo senso, facilmente adattabili dal vivo. Soprattutto per quando riguarda le linee vocali, sono impegnative ma posso comunque arrivare a ‘graffiare’ un po’ senza per questo rovinarle. Ad esempio, se volessimo fare la stessa cosa con “A Night At The Opera”, sarebbe più difficile, perché lì la maggior parte delle linee vocali è su un registro acuto e per riuscire a riprodurlo dal vivo avrei bisogno di abbassare la tonalità, una cosa che si può fare, naturalmente, ma è un approccio diverso rispetto a quello che abbiamo usato per “Imaginations”. È un album che funziona sotto diversi aspetti e in diverse situazioni e in ognuna rivela qualcosa di bello. Questa è la sua magia. L’abbiamo fatto e abbiamo deciso di registrare alcune date, tra cui quella di Oberhausen, che è stata anche filmata (ed è questo il motivo principale per cui è stata scelta). Per cui, quando è arrivato il venticinquesimo anniversario dell’album, abbiamo pensato che sarebbe stato bello pubblicare questo live album.
QUALI SONO LE CANZONI DELL’ALBUM PIÙ SODDISFACENTI DA CANTARE PER TE?
– Devo essere onesto e la faccio facile: le due canzoni più soddisfacenti da cantare sono anche le più facili! Una è “The Past And Future Secret”, che si muove in un range vocale più accessibile, anche nelle sue parti più intense, e l’altra, leggermente più difficile, ma comunque accessibile, è “And The Story Ends”, che tra l’altro è anche la mia preferita in assoluto, soprattutto dal vivo. Mi piace come il pubblico reagisce, come partecipa nel coro, è un piacere cantarla e non mi mette in difficoltà come altri pezzi.
PER ESEMPIO?
– Ad esempio “Bright Eyes”, che può essere estremamente gratificante, quando riesco a cantarla nel migliore dei modi, ma che risulta sicuramente più difficile per via delle parti più acute. Un’altra parte difficile è il ritornello di “Imaginations From The Other Side”, ma per fortuna grazie all’aiuto del pubblico non devo preoccuparmi di cantarlo sempre per intero!
MA SÌ, CERCHIAMO DI DARE UNA MANO QUANDO POSSIAMO… (RISATE, NDR)
– Ah, certo, e soprattutto in Italia, per me è come essere in vacanza. I due Paesi più partecipi su questa canzone sono sicuramente l’Italia e la Spagna. E poi a voi piace tantissimo “Nightfall”, che è un altro brano dove l’aiuto del pubblico è fondamentale. Anche “I’m Alive” ed “Another Holy War” sarebbero difficili nelle loro parti più acute, ma come ti dicevo, quest’album più essere facilmente adattato, in modo da non mettermi troppo in difficoltà.
È PROPRIO DI OGGI LA NOTIZIA DELLA MORTE DI KEN HENSLEY (L’INTERVISTA SI È TENUTA IL 5 NOVEMBRE, NDR), UN ARTISTA INCREDIBILE CHE ANCHE VOI AVETE OMAGGIATO CON LA COVER DI “THE WIZARD”. TI VA DI CONDIVIDERE UN PENSIERO SU QUESTO MUSICISTA INDIMENTICABILE?
– Non lo sapevo… E’ una notizia che mi rende molto triste. Assieme ai Deep Purple, gli Uriah Heep sono una delle mie band hard rock preferite. Ken Hensley ha scritto delle cose meravigliose, come “July Morning” o “The Wizard”. E’ stato davvero paragonabile ad un mago. Inoltre ha fatto una cosa che poche persone, me compreso, avrebbero il coraggio di fare: si è fermato e ha lasciato gli Uriah Heep quando erano al culmine del successo e questo denota un grande carattere. Un musicista ed un compositore incredibile. E’ davvero una perdita tragica per tutti. Non ho avuto mai il piacere di incontrarlo di persona, l’unico membro della band con cui ho avuto il piacere di parlare è stato Mick Box, parecchi anni fa. Ho avuto l’onore di intervistarlo per conto di Rock Hard e mi è sembrata una persona molto positiva, con i piedi per terra. Lui è l’altro peso massimo quando si parla di Uriah Heep, colui che ha portato avanti la band per tanti anni, anche se ovviamente dal vivo continuano a suonare molto materiale composto da Ken Hensley. Hanno scritto della musica incredibile, senza tempo. Non importa se “Lady In Black” è stata scritta cinquant’anni fa, quando la ascolti ha quella naturalezza che la rende attuale ancora oggi. Sono grato a Ken Hensley per la musica meravigliosa che ha condiviso con tutti noi.
TORNANDO ALL’ALBUM, UNA COSA CHE CI HA SPIAZZATO È STATO VEDERE COME ABBIATE SCELTO LA VERSIONE REMIXATA E RIMASTERIZZATA DEL 2012 PIUTTOSTO CHE QUELLA ORIGINALI. COME MAI QUESTA SCELTA?
– È stata una decisione del tutto spontanea. Ne abbiamo parlato con la nostra etichetta e considerato che questa è la versione più attuale dell’album, abbiamo scelto questa. Inoltre c’è anche una questione di coerenza all’interno dell’album, perché volevamo pubblicare “System’s Failing”, che non esiste in una versione mixata da Flemming Rasmussen, perché all’epoca avevamo già terminato i lavori sull’album e ci siamo limitati a registrarla, senza nessuna post-produzione. Aveva più senso quindi utilizzare il nuovo mixaggio, più attuale, più moderno.
RECENTEMENTE ABBIAMO AVUTO MODO DI ASCOLTARE ANCHE UN ASSAGGIO DEL NUOVO ALBUM, CON IL BRANO “VIOLENT SHADOWS”. TI VA DI RACCONTARCI QUALCOSA SU QUESTO PEZZO E MAGARI ANCHE QUALCHE ANTICIPAZIONE SUL NUOVO ALBUM?
– È una canzone molto spontanea, come d’altra parte sarà tutto il nuovo album. Spontaneo nel senso che si tratterà di un album molto intenso, con elementi essenziali per ogni canzone e meno ‘affollato’ rispetto a “Legacy Of The Dark Lands”. Quell’album per me è da considerarsi come la fine di un’era per i Blind Guardian, quello che ascolterete con il prossimo album sarà l’inizio di qualcosa di nuovo. Non sappiamo dove ci porterà, ma ci siamo voluti dare un limite rispetto al numero di elementi presenti nelle canzoni. Ci stiamo focalizzando sugli strumenti chiave del sound dei Blind Guardian. Certo, ci saranno alcune orchestrazioni, degli effetti, tracce stratificate di chitarre e voci, ma ci siamo dati una regolata, in modo da trovare nuova ispirazione e provare delle nuove strade. Ci sarà un buon numero di canzoni veloci e metalliche, ma il tutto senza suonare come se fosse il periodo precedente al 1999. Ci saranno degli ingredienti che abbiamo già sperimentato per “At The Edge Of Time” o “A Twist In The Myth”, ma in una direzione ancora più metal.
HAI CITATO “LEGACY OF THE DARK LANDS”, UN ALBUM CHE HA AVUTO UNA GENESI LUNGHISSIMA E SU CUI AVETE SPESO MOLTE ENERGIE. ORA CHE È PASSATO UN PO’ DI TEMPO DALLA SUA PUBBLICAZIONE, SEI ANCORA PIENAMENTE SODDISFATTO DEL RISULTATO FINALE? È VICINO A CIÒ CHE AVEVATE IN MENTE QUANDO AVETE DECISO DI IMPEGNARVI IN UN LAVORO STRUMENTALE?
– Non voglio sembrare esagerato, ma devo dire che, dopo averci lavorato così a lungo, l’album è andato addirittura oltre le mie aspettative. Sono convinto che questo sarà uno di quegli album di cui si parlerà tra dieci, quindici, vent’anni, esattamente come oggi siamo qui a parlare di “Imaginations From The Other Side”. Da un certo punto di vista siamo arrivati molto vicino a quell’idea che avevamo in mente all’inizio, e al tempo stesso siamo cresciuti nel corso del tempo, andando a migliorare la performance finale. Il modo in cui l’orchestra ha suonato le partiture, il modo in cui mi sono approcciato alle linee vocali, tutto è andato oltre le mie più rosee aspettative, un balzo qualitativo incredibile, il più grande dai tempi di “Nightfall In Middle-Earth”. In termini di performance lo considero il nostro picco, forse anche per quanto riguarda la composizione: d’altra parte un lavoro che ha richiesto vent’anni per essere completato deve essere giustificato da una qualità altrettanto elevata. Credo che la bellezza di questo lavoro sarà più chiaro quando finalmente potremo portarlo in scena dal vivo. Per ovvi motivi, in questo momento non sono in grado di dirti quando questo avverrà e in questo momento la nostra priorità è la pubblicazione del nuovo album, ma abbiamo intenzione di farlo.
TEMPO FA AVETE ANNUNCIATO PER IL 2021 UNA SERIE DI DATE IN GERMANIA IN CUI DOVRESTE SUONARE PER INTERO “SOMEWHERE FAR BEYOND”. VISTA L’ATTUALE SITUAZIONE, STATE GIÀ IPOTIZZANDO DI DOVER CAMBIARE I PIANI PER IL FUTURO?
– E’ una domanda difficile… Cerco di farla breve: è un’eventualità che dobbiamo considerare e che, purtroppo, sta diventando sempre più probabile con il passare delle settimane. Una cosa che non ci aspettavamo, soprattutto quando abbiamo annunciato quelle date, alla fine di agosto. Le cose sembravano migliorare e ci aspettavamo di poter tornare alla normalità in tempi brevi. L’idea di dover annullare tutte le date del prossimo anno è dolorosa, senza dubbio, ma visto che siamo ancora concentrati sui lavori per il nuovo album la cosa, per noi, potrebbe non essere così drammatica. Ovviamente speriamo di riuscire a suonare e non voglio pensare ad un annullamento già adesso, credo che dovremo aspettare almeno marzo/aprile prima di arrivare a prendere una decisione così drastica. Nel mentre continuiamo a scrivere e a comporre nuovo materiale: abbiamo già a disposizione abbastanza materiale per il nuovo album e potenzialmente anche per un altro ancora. Speriamo che le cose migliorino in fretta e se proprio dovremo rinunciare ai concerti per il 2021, speriamo di poter recuperare nel 2022.
I BLIND GUARDIAN HANNO SPESSO ATTINTO DA GRANDI SAGHE LETTERARIE FANTASY PER I PROPRI TESTI. PENSO OVVIAMENTE A TOLKIEN, AL CICLO ARTURIANO, FINO AD ARRIVARE ALLA SAGA DI ELRIC O AL CICLO DI “DRAGONLANCE”. A QUESTO PUNTO CHIUDIAMO L’INTERVISTA CON LA CLASSIFICA DELLE CINQUE MIGLIORI SAGHE FANTASY SECONDO HANSI KÜRSCH…
– Allora, io sceglierei “Le Nebbie di Avalon”, di Marion Zimmer Bradley, che è stata d’ispirazione per “A Past And Future Secret”. Poi direi la serie de “La Torre Nera” di Stephen King, ”Il Signore Degli Anelli” per quanto riguarda J.R.R. Tolkien. Poi invece sceglierei qualcosa di più moderno, come Patrick Rothfuss e la sua trilogia “Le Cronache Dell’Assassino Del Re” ed, infine, “Le Cronache Della Folgoluce” di Brandon Sanderson, che ho utilizzato per scrivere il testo di “Final Warning”, per l’album dei Demons & Wizards, e mi ha ispirato anche per “Violent Shadows”.