Era il gennaio del 2020 quando il cordialissimo Markus ‘Makka’ Freiwald si rese disponibile per un’intervista al nostro sito. Tema dell’incontro telefonico: la sua espulsione dai Sodom insieme al chitarrista Bernemann, la successiva creazione di un nuovo gruppo chiamato Bonded ed il relativo debutto “Rest In Violence”, un prodotto genuino, ben suonato e che, quasi inaspettatamente, riversò sulla band appena formata interessanti responsi. Una rampa di lancio sfortunatamente bloccatasi nell’immediato con l’arrivo della pandemia, andando quindi a tarpare le ali ai piani di Bernemann e soci. Da quel mese sono trascorsi quasi due anni e, nonostante la parola ‘virus’ continui imperterrita a circolare per il globo, i Bonded si sono rimessi in moto esplodendo tutta la propria rabbia con “Into Blackness”, album rilasciato all’inizio dello scorso novembre che va a bissare, se non addirittura a superare, il buonissimo risultato ottenuto con il disco d’esordio. Questa volta, in una sorta di intervista doppia, tra una bottiglia di whiskey e segnali di un forte legame di amicizia, abbiamo avuto la fortuna di parlare proprio con Bernemann ed il vocalist del gruppo di Dortmund, Ingo Bajonczak. Buona lettura!
RAGAZZI BENVENUTI: IL VOSTRO PRIMO ALBUM “REST IN VIOLENCE” FU UNA PIACEVOLISSIMA SORPRESA; IL NUOVO “INTO BLACKNESS” HA AVUTO IL MEDESIMO SUCCESSO TANTO DA FINIRE TRA GLI ‘HOT’ ALL’INTERNO DELLA SEZIONE DEDICATA DEL NOSTRO SITO. COM’E’ STATO TORNARE A FARE MUSICA DOPO DUE ANNI A DIR POCO DELICATI COME QUELLI APPENA TRASCORSI?
Bernemann: – Puoi bene immaginare quanto stavamo aspettando il momento di poter tornare nuovamente ‘on the road’, con la possibilità di salire su un palco e condividere coi fan questa passione (l’intervista è stata rilasciata lo scorso 10 novembre, prima che le nuove restrizioni annullassero alcune date dei Bonded previste per la fine dell’anno in Germania, ndr). Dopo due anni così, tutto questo è semplicemente fantastico per noi musicisti e per la musica in generale.
Ingo: – Non posso che essere d’accordo con Bernemann. E’ stato un momento difficile per tutti noi, in tutto il pianeta, e lo è ancora, ma noi cerchiamo di guardare avanti con vibrazioni positive verso il futuro. Avevamo pubblicato un primo album che, come hai detto anche tu, aveva ricevuto e critiche positive in tutto il mondo. Avremmo voluto promuoverlo e mostrare la sua potenza anche nella versione live ma purtroppo è arrivata la pandemia che ha chiuso tutte le porte. Una situazione che purtroppo ha colpito tutte le band, noi compresi e, come noi, tutti quei gruppi che avevano appena pubblicato un disco con la volontà di portarlo in giro. Si spera quindi che, per “Into Blackness” le cose possano andare un po’ meglio.
IN EFFETTI, NEL GENNAIO 2020, TUTTO ERA PRATICAMENTE PRONTO PER PORTARE IN TOUR “REST IN VIOLENCE”.
Bernemann: – Siamo riusciti solamente a suonare nella data prevista per il release party dell’album. Avevamo già schedulato diversi show ed eravamo tutti molto gasati. Poi è arrivato il lockdown bloccando tutto il tour prima ancora che iniziasse. E’ stato un disastro: registrare un disco, pubblicarlo e non poter promuoverlo; questo è, senza alcun dubbio, una vera delusione. Però devo aggiungere anche una cosa: alla fine ognuno di noi ha un proprio lavoro e, fortunatamente, pur nel caos generale che si è creato in quel momento, nessuno lo ha perso. Non siamo una band che dipende dalla musica, ricavando quindi il proprio sostentamento da essa; per queste band, immagino, le cose hanno preso una piega ancor peggiore.
PARLIAMO QUINDI DEL NUOVO ALBUM: UN DISCO CHE AL SUO INTERNO CONTIENE UNA SORTA DI MINI-CONCEPT ISPIRATO AL LIBRO “THE DIVISION OF THE DAMNED” DI RICHARD RHYS JONES. COSA POTETE RACCONTARCI IN MERITO ALLA GENESI DI “INTO BLACKNESS”?
Ingo: – Paradossalmente, proprio a causa del lungo stop concertistico, abbiamo avuto più del tempo del previsto per la fase di pre-produzione così da arrivare in studio con le idee ben chiare. Ed è stato in questo lasso di tempo, mentre scrivevamo le varie canzoni, che ho sviluppato l’idea di inserire nell’album il mini-concept a cui facevi riferimento. Volevamo dare una risposta a coloro che, una volta assorbito il primo lavoro, erano curiosi di capire se avremmo proseguito su quella strada: da qui la nostra intenzione di mostrare alla gente che siamo di nuovo qui a prenderli a calci in culo (risate, ndr)!
QUALI SONO IN DEFINITIVA I PEZZI DI “INTO BLACKNESS” CHE PREFERITE E CHE IN SEDE DI REGISTRAZIONE VI HANNO DATO MAGGIOR SODDISFAZIONE?
Ingo: – Diciamo che in studio si crea spesso una sorta di lotta nel corso della registrazione dei vari pezzi proprio in base ai gusti che ognuno prova nei confronti di questo o quell’altro brano. E questo avviene anche per decidere quali saranno poi i pezzi che dovranno finire realmente all’interno del disco. Personalmente, le tre canzoni che preferisco in assoluto sono “Into The Blackness Of A Wartime Night”, che va a richiamare anche il titolo dell’album, con i suoi stacchi più estremi e melodici, “Destroy The Thing I Love” e la conclusiva “The Eyes Of Madness”.
Bernemann: – Ci credi che i miei brani preferiti cambiano ogni volta che me lo si chiede? Mi piace molto “Ill-Minded Freak”: è un po’ insolita, con delle linee vocali e delle melodie particolari che la rendono più speciale delle altre. Così come “Final Stand”: mi piace parecchio, è molto frenetica, con quei richiami punk. E poi, facendo un salto estremo, adoro “Destroy The Thing I Love This”, la canzone più lenta dell’intero album; mi piace questo contrasto stilistico tra pezzi molto veloci ed altri decisamente più cupi e cadenzati. Però ricordati: se domani mi rifarai la domanda, dopo aver ascoltato nuovamente l’album, ti darò una risposta diversa. A parte gli scherzi, sono davvero contento del risultato finale del disco, in tutta la sua completezza.
AGGANCIANDOMI A QUESTA TUA AFFERMAZIONE, UNO DEGLI ELEMENTI VINCENTI DI “INTO BLACKNESS” E’ PROPRIO LA VARIETA’ DEGLI EPISODI, MAGGIORE RISPETTO AL PRECEDENTE “REST IN VIOLENCE”. SIETE D’ACCORDO?
Ingo: – Assolutamente! Siamo riusciti a creare un insieme di pezzi rapidi ed aggressivi, altri con un andamento più da midtempo sino a brani quasi doom, dark, come per esempio “Destroy The Thing I Love This”; un po’ alla “Orgasmatron” dei Motorhead, non so se hai presente? Ci sono diversi livelli sonori anche all’interno di un unico pezzo: ecco perché è necessario dare più di un ascolto alla stessa canzone, proprio per carpire le diverse dinamiche presenti.
RIMANENDO IN TEMA, AVETE GIA’ DECISO QUALI PEZZI PORTERETE ON STAGE?
Bernemann: – Sì, faremo cinque o sei canzoni. Porteremo in tour i brani migliori di “Rest In Violence” e una cinquina tratti dal nuovo album. Ci sarà sicuramente “Lilith, Queen Of Blood”, “Watch While The World Burns”, “Into The Blackness Of A Wartime Night”, “Division Of Blood” e “Holy War”.
INGO, DAL PUNTO DI VISTA VOCALE, ALCUNI PEZZI HANNO TONALITA’ MOLTO ALTE RISPETTO AL TUO CANONICO TIMBRO, SELVAGGIO E GREZZO. COME TI SEI TROVATO IN SEDE DI REGISTRAZIONE, VISTO CHE ALLA FINE IL RISULTATO E’ STATO PIU’ CHE BUONO?
Ingo: – Grazie, ad essere onesti è stata un’idea del nostro produttore Cornelius Rambadt. Lui è un grande appassionato di black metal. Pure io sono cresciuto con questo genere ma a dirla tutta, ora come ora, non ho più tanta familiarità con esso. Cornelius ha invece spinto per la ricerca di linee vocali più aggressive con tonalità più alte, un po’ alla Dani Filth per intenderci. “Davvero dovrei provare a cantare in questo modo” gli ho detto? Abbiamo provato e… Dai, non è andata male, no?
IN “REST OF VIOLENCE”, PROPRIO NELLA TITLETRACK, AVETE AVUTO COME OSPITI BOBBY ‘BLITZ’ DEGLI OVERKILL E CHRISTIAN ‘SPEESY’ GIESLER, EX BASSISTA DEI KREATOR. PER “INTO BLACKNESS” NON AVETE PENSATO AD UN’ALTRA SOLUZIONE SIMILE?
Bernemann: – Diciamo che la collaborazione per “Rest In Violence” è nata in modo del tutto naturale: avevo incontrato Bobby dopo uno spettacolo degli Overkill, parlando con lui della nostra nuova band, si è offerto spontaneamente di cantare sul pezzo che dava il titolo all’album. E una medesima situazione si è verificata con Speesy: entrambi sono nostri amici; ecco perché si è trattato di un momento unico, speciale. Da parte nostra non ci mettiamo a cercare persone.
Ingo: – Inutile negare che è stato fantastico avere come ospiti due figure importanti e storiche all’interno del genere thrash. Un vero onore. Tuttavia questo non deve diventare una routine, altrimenti diventerebbe una sorta di copione già scritto, quasi noioso. Nulla vieta che in futuro l’esperienza potrebbe ripetersi ma, come detto da Bernemann, quello di “Rest In Violence” è stato un episodio davvero singolare e, mi ripeto, assolutamente fantastico.
COME EVIDENZIATO IN SEDE DI RECENSIONE DI “INTO BLACKNESS” IL VOSTRO E’ UN THRASH CHE SICURAMENTE SI RIFA’ ALLA MATRICE OLD-SCHOOL DEL GENERE TUTTAVIA, CI SONO ELEMENTI MODERNI CHE GLI DANNO UN SENSO DI PARTICOLARITA’ ANDANDO QUINDI A CREARE UN QUALCOSA DI PERSONALE. AVETE REALIZZATO SOLO DUE ALBUM: POSSIAMO COMUNQUE PARLARE DI UN ‘SUONO BONDED’?
Bernemann: – Sì, ne sono sicuro; è così ai miei occhi. Abbiamo il nostro stile, e lo è stato fin dal primo momento, molto chiaramente. E la differenza tra i Bonded ed un’altra thrash metal band sta nel maggior tasso melodico che abbiamo voluto inserire all’interno dei vari pezzi. Nei riff, nelle linee vocali: così da costruire un contrasto tra brutalità, da una parte, e melodia dall’altra. Questo è il tipo di musica che ho sempre amato, questa è la musica che facciamo.
Ingo: – Vi è un’altra cosa da sottolineare, che sicuramente ha inciso fortemente sulla costruzione di questa band. Nessuno di noi è nuovo nella scena thrash: Bernemann ha suonato per ventidue anni con i Sodom, Makka ha condiviso con lui questa esperienza per otto anni, Chris suona con i Suicidal Angels e pure io sono nel giro da più di venticinque anni. Avevamo quindi un bagaglio tecnico e personale di tutto rispetto: a questo si aggiunge l’atmosfera che si è venuta subito a creare tra di noi sin dal primo momento in cui ci siamo incontrati. Quando stai bene insieme ad altre persone, ci scappa sempre una risata, del sano umorismo: componenti fondamentali in una band. Del resto il nostro monicker non è casuale. Una passione musicale che si è trasformata poi in amicizia: ed è questo, credo, che definisce la nostra musica e ci differenzia dalle altre band. Siamo tedeschi sì, ma non entriamo nel filone delle tipiche thrash metal band tedesche, abbiamo più un carattere internazionale. Ti dirò di più: quando scrivono, come è avvenuto in alcune recensioni, che non suoniamo il tipico thrash metal tedesco, per me è solo un complimento. Noi vogliamo solamente fare musica: senza seguire un modello tedesco, o svedese o altro; solo del thrash metal e “Into Blackness” e ciò che è uscito dalle nostre intenzioni.
BERNEMANN, COSA SONO I BONDED PER TE: UNA SORTA DI RIVINCITA PERSONALE O LA TESTIMONIANZA DELLA PASSIONE CHE PROVI PER QUESTO GENERE DI MUSICA?
Bernemann: – Non ci sono spiegazioni: questo è quanto. Non puoi fare musica solo per una tua rivincita o vendetta personale. Amo fare musica, ho sempre amato farla; ed è una figata. Ho una band fantastica, ci piace suonare e sarebbe ancor più bello poterlo fare dal vivo. Abbiamo purtroppo vissuto dei momenti non così facili: per carità, è divertente trovarsi in studio per registrare ma alla lunga la cosa diventa anche un po’ noiosa, no? Non ti senti una vera band finché non vai in tour e incontri i ragazzi, i fan e magari ti bevi una birra con loro. E’ questo ciò che conta, è questa la mia passione; non vi è nulla da spartire con rivincite o vendette.
CHE E’ POI IL SEGRETO FINALE DI QUESTA MUSICA: E CIOE’ IL LEGAME INTIMO CHE SI CREA TRA LA BAND SUL PALCO ED IL PUBBLICO.
Ingo: – Esatto, è una combinazione che non ha eguali. Siamo un thrash metal band e vogliamo vedere le persone davanti al palco impazzire; voglio sentire l’odore del sudore e vivere appieno lo scambio di energia con i fan.
DUE DOMANDE EXTRA-BONDED PER BERNEMANN: IL PROSSIMO 26 NOVEMBRE LA BMG PUBBLICHERA’ UN’EDIZIONE SPECIALE DI “M-16” DEI SODOM PER CELEBRARE AL MEGLIO IL VENTESIMO ANNIVERSARIO DALLA SUA PUBBLICAZIONE. QUAL E’ IL TUO GIUDIZIO A RIGUARDO?
Bernemann: – Ottimo, è un grande album. Ricordo molto bene quel periodo: un momento positivo per la band; davvero divertente. Abbiamo viaggiato in Thailandia, Cambogia, Vietnam con una serie di avventure che ricordo molto volentieri. Un grande album: canzoni giuste al momento giusto, come “M16” che ha trovato spazio in sede live sino ai giorni nostri.
COSA PENSI INVECE DELLA NUOVA ERA DEI SODOM?
Bernemann: – Non ho una vera opinione. Era il piano di Tom quello di tornare al suono degli anni ’80, per suonare più vicino al periodo “Agent Orange”; ma questo non era il mio modo di intendere la musica; non è il mio stile. Non voglio star fermo a rimirare il passato. Rispetto quando i fan amano ascoltare i classici, li capisco. Finché sono stato nella band, abbiamo sempre proposto un 50% del vecchio materiale e un 50% di nuovo materiale. Tuttavia Tom voleva sempre più roba vecchia scuola nel set e sono rimasto deluso perché abbiamo avuto grandi e ottimi risultati nel recente passato, come “M-16” e “Decision-Day” per esempio. Perché dovrei dimenticare le nuove canzoni e prestare attenzione solo al vecchio materiale? Non ho mai voluto dimenticare i classici, ovviamente no. Sono importanti e sapevo che ai fan piacevano, ma sono rimasto deluso e questo è stato il motivo per cui Tom ha deciso di dare un taglio netto alla band. Non sono arrabbiato: sono rimasto deluso per un po’, ma ad un certo punto bisogna proseguire. Sono un musicista molto creativo e voglio guardare avanti: non dimenticare il vecchio stile, le vecchie canzoni, ovviamente, ma voglio scrivere nuovo materiale; questo mi tiene in vita, e questo mi fa lavorare. E’ la mia motivazione: cercare nuovi riff per creare nuove canzoni.
A PROPOSITO DI PASSIONE PER L’HEAVY METAL: QUAL E’ STATA LA PRIMA CANZONE IN ASSOLUTO CHE AVETE ASCOLTATO E CHE VI HA FATTO DIRE “OH MIO DIO, VOGLIO ASSOLUTAMENTE ASCOLTARE QUESTA MUSICA”?
Bernemann: – Oh, me la ricordo eccome e non era una canzone così heavy. Avevo tredici anni: possedevo già parecchi vinili. Un giorno ascoltai i Queen: l’album era “A Day at the Races” ed a un certo punto partì “Tie Your Mother Down”. C’è un gong all’inizio e poi arriva Brian May con questo riff di chitarra (Bernemann imita il riff canticchiandolo, ndr). Sono andato completamente fuori di testa: è stata la prima volta che la musica mi stava prendendo a calci in culo; non lo dimenticherò mai questo giorno. Ero seduto a mezzo metro dal mio divano e ascoltavo quella canzone davanti a questo chitarrista. Quella è stata la miccia che mi ha fatto scattare la voglia di diventare un musicista.
Ingo: – Mio padre era un fan della musica rock e sono cresciuto con questo ricordo d’infanzia, quando mio padre era a casa e durante il fine settimana preparava la colazione per la famiglia. E così un sabato mattina mi sono svegliato con il suono degli ZZ Top: mio padre li amava e questi episodi si ripetevano spesso a casa. Naturalmente, tra le band metal che ho ascoltato all’inizio ci sono ovviamente gli Iron Maiden, tuttavia la prima canzone che mi ha davvero fatto immergere in questo suono speciale è stata “Metal Heart” degli Accept, con quei toni di chitarra di heavy metal classico davvero poderosi.
E ALLORA, A CHIUSURA DI QUESTA CHIACCHIERATA, COME VOGLIONO LE MIGLIORI INTERVISTE DOPPIE, AVETE LA POSSIBILITA’ DI DIRE QUELLO CHE VOLETE AL VOSTRO COMPAGNO DI BANCO; UN QUALCOSA CHE NON GLI AVETE MAI DETTO SINORA! PER CUI, FATEVI AVANTI!
Bernemann: – Ah, ah, un messaggio per Ingo? Ricordati di portare una buona bottiglia di whiskey sabato prossimo. Stiamo registrando un video per il prossimo singolo e allora trascorreremo tutta la giornata insieme per cui… Porta il whiskey!
Ingo: – Promesso Bernemann, ho una buonissima bottiglia di Caol Ila, semplicemente fantastico. Ed ora tocca a me: ricorda bene quello che ti sto per dire. Rimani sempre come sei ora!
Bernemann: – Grazie Ingo, ci proverò! Farò del mio meglio.