BORKNAGAR – Evoluzione ed introspezione

Pubblicato il 07/10/2019 da

Siamo rimasti pienamente soddisfatti da un lavoro della caratura di “True North”, un disco che rappresenta al tempo stesso la naturale evoluzione per una band che non ha mai fermato la sua ricerca musicale, ma anche la conferma di quelle caratteristiche che hanno reso grandi i Borknagar. Abbiamo raggiunto telefonicamente Øystein G. Brun, fondatore e principale compositore della band, per addentrarci meglio all’interno di questo ottimo lavoro. Ne è emersa una chiacchierata ricca di spunti, in cui il chitarrista ha potuto esplicitare meglio la sua filosofia di vita, che gli permette di spingersi sempre più in là, tenendo però sempre uno sguardo fisso sulla propria storia, il proprio passato e la sua individualità.

BENTORNATO SULLE NOSTRE PAGINE, ØYSTEIN, ARRIVIAMO SUBITO A PARLARE NEL NUOVO ALBUM, “TRUE NORTH”, MA PRIMA VORREMMO FARE UN PASSO INDIETRO: “WINTER THRICE” È STATO UN ALBUM DI SUCCESSO ED È STATO APPREZZATO PRATICAMENTE DA TUTTI. A DISTANZA DI QUALCHE ANNO, SEI ANCORA PIENAMENTE SODDISFATTO DI QUELL’ALBUM?
– A dir la verità non sono mai soddisfatto al cento per cento, però sono ancora convinto che sia davvero un buon album. È senza dubbio uno dei miei preferiti, uno di quelli che potrei ascoltare mentre vado in macchina, una cosa che non farei per una buona fetta dei miei lavori. “Winter Thrice”, invece, mi ha dato tante soddisfazioni e lo apprezzo ancora oggi.

IN QUESTI ULTIMI ANNI I BORKNAGAR HANNO DOVUTO AFFRONTARE UNA RIASSETTO IMPORTANTE DELLA LINE-UP. AVETE UN NUOVO CHITARRISTA, UN NUOVO BATTERISTA E ANCHE VINTERSORG HA PREFERITO ABBANDONARE. VUOI RACCONTARCI COSA E’ SUCCESSO?
– Vedi, dopo “Winter Thrice” siamo andati in tour, in Europa e in Sud America, abbiamo preso parte a tanti festival, e avevamo bisogno di prenderci una pausa. Almeno, io avevo bisogno di prendermi una pausa. Niente di trascendentale, giusto il tempo di stare un po’ a casa, occuparmi di un po’ di cose personali… A quel punto io, Simen (ICS Vortex, ndR) e Lars (Nedland ndR), che siamo un po’ il motore creativo della band, ci siamo seduti a parlare del nuovo album, cercando una direzione, mettendo giù le idee su quello che avremmo voluto realizzare. Uno degli obiettivi che ci siamo posti è stato quello di fare un passo in avanti sia come band in studio, ma anche come live band, cercando di suonare più spesso e in maniera ancora più professionale. Al tempo stesso ci stavamo rendendo conto di come ci fossero dei cambiamenti nell’aria: prendi Baard (Kolstad, il precedente batterista dei Borknagar ndR), lui era molto impegnato con i Leprous, in più aveva tutta una serie di altri impegni legati al mondo della batteria, progetti drum’n’bass… Non aveva tempo per stare nella band, ce lo aspettavamo. E in un certo senso lo stesso è successo anche con Jens (Ryland ndR) e Andreas (Vintersorg ndR). Andreas è stato molto male dopo l’incidente che ha avuto nel periodo precedente a “Winter Thrice”, ha subìto dei danni parziali all’udito in un orecchio; al tempo stesso ha anche ottenuto un lavoro molto importante in Svezia, in termini di responsabilità, come educatore: insegna ai ragazzi delle nozioni di programmazione informatica. Sarebbe stato molto difficile per lui conciliare questa vita con l’attività del tour e via dicendo. Ci siamo seduti a un tavolo per cercare di capire cosa volesse fare, ma a quel punto lui aveva già questo nuovo lavoro e voleva concentrarsi su quello. Infine, per quanto riguarda Jens, la questione è un po’ più personale, ma anche in questo caso non posso dire di essere rimasto sorpreso: si arriva semplicemente al punto in cui bisogna fare delle scelte tra continuare a fare musica oppure no, e quest’ultima opzione non la prendo nemmeno in considerazione. Pertanto siamo stati costretti a trovare una soluzione e ad andare avanti, ma senza nessun tipo di astio, la considero davvero come una transizione naturale.

TUTTI QUESTI CAMBIAMENTI HANNO AVUTO DELLE RIPERCUSSIONI SULLA COMPOSIZIONE DELLE CANZONI?
– No, non posso dire che tutto questo abbia influito sulla composizione, per il semplice fatto che le canzoni sono state scritte prima che tutto questo accadesse. La fase di scrittura risale a poco tempo dopo “Winter Thrice”, ma quello che abbiamo fatto dopo questi cambiamenti è stato lavorare il più possibile per rafforzarci come band: ad esempio, quando abbiamo registrato le parti di batteria, abbiamo passato molto tempo in studio, scambiandoci idee e suggerimenti. Anche i nuovi membri del gruppo (Bjørn Dugstad Rønnow e Jostein Thomassen, ndR) hanno avuto la massima libertà nel fornire il loro contributo durante le registrazioni. E tutto questo nasce proprio da queste nostra decisione di dare nuova linfa alla band: aggiungere nuovi componenti, crescere come band e permettere a ciascuno di loro di lasciare la propria impronta. È davvero molto importante per noi. È anche una questione che va oltre l’essere dei musicisti in studio, ma che comprende anche l’amicizia: questi due ragazzi sono ottimi musicisti, ciascuno con il proprio stile riconoscibile, estremamente professionali, ma soprattutto delle splendide persone, che mettono il cuore in quello che fanno e questa per me è la cosa più importante. Ecco perché sono davvero soddisfatto di come siano andate le cose: nella band c’è una bella atmosfera e questo si riflette nel lavoro che abbiamo fatto sull’album e nei concerti che seguiranno.

NEL CORSO DEGLI ANNI HAI MESSO LA TUA SCRITTURA AL SERVIZIO DI GRANDISSIME VOCI. QUANDO TI TROVI A SCRIVERE UNA CANZONE, MODIFICHI IL TUO APPROCCIO SULLA BASE DI CHI POI DOVRÀ CANTARLA, OPPURE TU TI OCCUPI SEMPLICEMENTE DI SCRIVERE LA MUSICA ED E’ POI COMPITO DEL CANTANTE ‘INSERIRSI’ NEL MIGLIORE DEI MODI?
– Direi più quest’ultima, nel senso che personalmente, quando scrivo, lo faccio isolandomi completamente, nella maniera più assoluta. Non faccio ragionamenti sui media, l’etichetta, niente che possa condizionarmi. Per me tutto il processo di scrittura, non so come spiegarti, è qualcosa di estremamente personale: l’ho sempre fatto così, in totale isolamento. È come se entrassi all’interno di una bolla creativa, ma questo è possibile solo nella prima parte, quando sto componendo la struttura generale delle canzoni. In un secondo momento, una volta preparate le prime demo, si arriva ad una fase successiva, in cui tocca al resto della band ‘entrare’ nelle canzoni. E anche questa è una fase molto importante, perché loro devono poter avere lo spazio per portare il loro contributo. Questa volta il contributo della band è stato ancora più significativo del solito, perché, come ti dicevo, abbiamo lavorato come un tutt’uno. Certo, io ho sempre composto la mia musica per conto mio, e lo stesso hanno fatto Simen e Lars, perché la fase di scrittura partiva da lontano, ma tutto ciò che è venuto dopo, i tentativi, il processo di produzione, di editing, la registrazione, è stata realizzata davvero con una maggiore unità. Io ho le mie idee e la mia concezione di musica, ma sono anche convinto che avere un’idea in più sia molto meglio che averne una in meno: ci capita spesso di avere fin troppe melodie, tantissimi spunti, ma è estremamente più facile andare poi a sottrarre qualcosa che risulterebbe in eccesso, piuttosto che dover forzare nella canzone una soluzione raffazzonata solo per riempire un buco.

L’ASCOLTO DI “TRUE NORTH” CI HA LASCIATO LA SENSAZIONE DI UN RITORNO AL PASSATO, CHE, PERÒ, NON VIENE VISSUTO IN SENSO NOSTALGICO. UN PO’ COME QUANDO SI COMPIE UN LUNGO VIAGGIO PRIMA DI TORNARE A CASA: DA UNA PARTE TUTTO È FAMILIARE, MA DALL’ALTRA LE ESPERIENZE ACCUMULATE DURANTE IL VIAGGIO CI RENDONO COMUNQUE PERSONE DIVERSE.
– Sì, mi pare una descrizione calzante, mi ci ritrovo. Vedi, quando ci siamo trovati a ragionare sulla direzione per il nuovo album abbiamo effettivamente pensato di tornare un po’ al passato della band, ma ti dico di più, questa cosa in realtà l’abbiamo sempre fatta, abbiamo sempre tenuto uno sguardo a quello che era stato il percorso della band fino a quel momento. Quello che abbiamo fatto è stato andare a cercare le migliori qualità dei nostri vecchi album, non certo con l’idea di copiare noi stessi, ma più nell’ottica di scavare sempre più a fondo nella nostra storia musicale. Per la copertina è stato qualcosa di simile: per la prima volta dopo tanto tempo volevamo un’immagine reale come artwork: quella che vedi è una vera montagna, un luogo reale, che puoi andare a visitare, camminarci sopra, toccarlo. La stessa cosa era capitata con il primo album e volevamo catturare un po’ quell’atmosfera. Al tempo stesso, però, per me è estremamente importante fare un passo avanti, evolvere come musicista, provare cose nuove, spingere il mio limite sempre un po’ più in là. La cosa può sembrare paradossale, ma di fatto più cerco di spingermi oltre, di andare avanti, e più mi ritrovo a scavare nel profondo del mio essere, per cercare la motivazione per cui faccio quello che faccio. Vedi, inizio ad essere un uomo di mezz’età, ho quarantaquattro anni, potrei tranquillamente decidere di smettere di fare questa vita, probabilmente vivrei in maniera più tranquilla se smettessi di fare musica, concentrandomi sull’avere una casa, una famiglia… andrebbe bene, non ho davvero bisogno di tutto questo. Eppure c’è sempre qualcosa che mi spinge a fare musica, è una parte troppo grande della mia vita. Ecco quindi che mi ritrovo in questa strana situazione in cui l’andare avanti, l’evoluzione, è strettamente legata alla ricerca interiore, del mio passato, dell’innocenza della gioventù, per ritrovare sempre quella sensazione che avevo quando ho dato vita a questa band tanti anni fa. Al tempo stesso, però, quando diventi più vecchio e raggiungi una certa esperienza come musicista – siamo arrivati ormai all’undicesimo album e abbiamo girato il mondo così tante volte – il tuo sguardo si allarga, inizi a guardare le cose più in profondità e anche questo è un aspetto che voglio portare nella mia musica. Voglio che, quando ascolti “True North”, tu percepisca che stai ascoltando una band che è in giro da parecchio, che abbiamo ancora una parte di quell’innocenza, che siamo sempre la stessa band, ma che stiamo anche scalando una nuova montagna, scoprendo nuovi orizzonti.

TI VA INVECE DI SPENDERE QUALCHE PAROLA SU, “THE FIRE THAT BURNS”, IL PRIMO SINGOLO SCELTO?
– Certo, questa è stata l’ultima canzone che ho scritto per l’album e, a dir la verità, non ero sicuro che l’avremmo utilizzata, perché quando abbiamo ultimato tutta la fase di scrittura ci siamo trovati tra le mani qualcosa come un’ora e mezza di musica, per una quindicina di canzoni. Per forza di cose, quindi, abbiamo dovuto fare delle scelte, ma “The Fire That Burns” è una canzone nata con estrema facilità, molto semplice nella struttura, con quel senso di innocenza di cui ti parlavo. Ha un qualcosa di basilare, che ti riporta all’essenza di una band come i Borknagar e quindi non abbiamo dovuto fare altro che completarla. Ne è uscita una bella canzone e adesso fa strano pensare che è stata ad un passo dall’essere cestinata. Per fortuna non è andata così.

TRA L’ALTRO POCHI GIORNI DOPO LA SUA PUBBLICAZIONE, LA CANZONE È FINITA IN TESTA ALLA PLAYLIST DI SPOTIFY DEDICATA ALLA MUSICA ESTREMA. A QUESTO PUNTO NON POSSO FARE A MENO DI CHIEDERTI UN PARERE SU QUESTE PIATTAFORME DI STREAMING.
– Che ti posso dire? Io sono un po’ idealista quando si tratta di musica: voglio che la mia musica venga ascoltata in tutto il mondo. E in questo senso penso che queste piattaforme siano grandiose: non appena il disco viene pubblicato, tutti quanti posso ascoltarlo immediatamente. Questa accessibilità è una bella cosa, mi piace l’idea di fondo, perché io credo nella musica. Credo fortemente che la musica sia più che semplice ‘musica’: credo che sia un linguaggio universale, qualcosa che può essere di conforto al mondo, capace di creare legami… In questa prospettiva non posso non amare questi servizi. Certo, come musicista… Diamine, spendiamo un sacco di energie per creare la nostra musica: non penso che le persone si rendano davvero conto di quanto lavoro ci sia dietro alla creazione di un disco e qualche volta potrà darti un po’ fastidio il fatto che da tutto questo non ci si ricavi un soldo (ride, ndR)! Soprattutto da Spotify: le cose ora vanno un poco meglio, ma qualche anno fa la cosa era follia pura, era ridicola. Adesso invece va un po’ meglio, principalmente per un fatto quantitativo: ormai abbiamo un catalogo piuttosto vasto, con tante canzoni.. È un po’ come un rivolo che scorre, piano piano, un poco per volta, e intanto il livello dell’acqua sale. Certo, ancora niente rispetto all’enorme quantitativo di lavoro necessario per realizzare un album: ecco perché ti dà fastidio. È il mio lavoro, la mia musica, la mia anima, il mio cuore. Credo che ogni musicista avrebbe diritto ad una fetta più grande di questa torta, ma così va il mondo. Quindi per tornare alla domanda: ci sono cose buone ed altre meno, ma in generale il mio giudizio rimane positivo: quello che conta è la possibilità di far arrivare a tutti la mia musica e questo è fantastico. Mi piacerebbe avere solo qualche vantaggio economico in più.

UN ALTRO BRANO CHE CI HA COLPITO MOLTO È “WILD FATHER’S HEART”. COSA PUOI DIRMI SULLA NASCITA DI QUESTA CANZONE?
– Sarebbe una lunga storia, ma cerco di fartela breve. È una canzone molto personale: ho perso mio padre, tempo fa, e il suo funerale è stato esattamente il giorno prima della pubblicazione di “Winter Thrice”. È stato un periodo assurdo: da una parte ero nel pieno dell’attività promozionale per il nuovo album, facevo interviste e ricevevo un grande consenso per il nuovo lavoro, splendide recensioni; dall’altra, invece, stavo attraversando una delle più grandi crisi esistenziali della mia vita, stavo perdendo mio padre. Non sappiamo ancora oggi quale sia stata la causa esatta della sua morte, lentamente ha smesso di respirare, abbiamo fatto tutto il possibile ma senza successo. Non potevo fare altro che fare avanti e indietro dall’ospedale, cercando di rendermi utile in qualche modo. Una notte non riuscivo a dormire ed ero al limite: mi sono seduto e ho scritto quella che poi è diventata “Wild Father’s Heart”, è stato il mio modo per gestire questo stato d’animo. Anche il testo, in un certo senso, parla del suo spirito: è stato mio padre a trasmettermi l’amore per la Natura e ad insegnarmi a vedere la sua bellezza. Questa canzone nasce quindi in suo onore, ma non solo, è dedicata anche a tutti coloro che hanno uno spirito libero, che sanno essere aperti al mondo.

INFINE VORREMMO CHIEDERTI DUE PAROLE ANCHE PER “VOICES”, CHE CREDO SIA OPERA DI LARS, GIUSTO?
– Sì, ha scritto lui la struttura base di questa canzone, che è nata in maniera particolare: lui aveva in mente la melodia vocale, ma mancava la musica. Così abbiamo deciso di inserire solo una nota prolungata e lui ci ha cantato sopra questa melodia che aveva in testa. Poi ha registrato alcune demo di chitarra che io poi ho completato e pian piano abbiamo aggiunto tutto il resto. Penso che sia una canzone speciale, soprattutto questa linea vocale è davvero splendida: ha qualcosa di universale, non importa se sei abituato ad ascoltare musica classica, hip hop o metal, se la ascolti ti cattura in un certo senso.

LA PRODUZIONE DI “TRUE NORTH” E’ MOLTO PULITA E LEVIGATA. QUAL E’ LA TUA POSIZIONE RISPETTO A COLORO CHE PENSANO CHE ALLA MUSICA ESTREMA DEBBA SEMPRE ACCOMPAGNARSI UN SOUND PIU’ CRUDO E GREZZO?
– Mi spiace dirlo, ma a me sembra un discorso senza senso. Lavoro in studi di registrazione da quando ero ragazzo, ora possiedo uno studio professionale, ho lavorato per altre band, occupandomi di mixaggio e masterizzazioni, e questa discussione ogni tanto salta fuori: cos’è un sound ‘raw’? Vuol dire semplicemente che suona male? È una questione di onestà: dire che un disco ha suono crudo, ‘necro’, underground, sono tutte definizioni che non vogliono dire niente. Ci sono tante band che fanno grandi discorsi, vogliamo essere underground, il black metal degli anni Novanta, bla bla bla. Va bene, ma ne siete davvero convinti? Siete onesti o si tratta di una facciata? Le chitarre suonano bene? La batteria suona bene? Mi interessa che la totalità dell’espressione del sound si adatti perfettamente alla musica. Questo è l’importante. Non mi interessa che sia un sound pulito o quant’altro. Mi piace lavorare sulla mia musica affinché questa comunichi quello che io voglio comunicare, la mia visione: questo comporta una produzione pulita e levigata? Benissimo, nessun problema per me. Tutto il resto non è importante, non mi interessa.

E’ PASSATO UN PO’ DI TEMPO DALLE ULTIME DATE ITALIANE DEI BORKNAGAR. AVREMO LA POSSIBILITÀ DI VEDERVI SUONARE DAL VIVO NEL PROSSIMO FUTURO?
– Lo spero davvero! Stiamo finalizzando un breve tour per il mese di dicembre ma sfortunatamente credo che non ci saranno date in Italia per quel periodo, tuttavia stiamo cercando delle opzioni per il nuovo anno. Credo che faremo parecchie date in Europa l’anno prossimo. Vedremo, l’intenzione sicuramente c’è.

ØYSTEIN, UN’ULTIMA DOMANDA. IMMAGINA DI POTER TORNARE INDIETRO NEL TEMPO, INCONTRARE IL GIOVANE TE, AGLI INIZI DELLA CARRIERA DEI BORKNAGAR: QUALE CONSIGLIO TI DARESTI?
– Oh, questa è buona! (ci pensa per qualche secondo, ndR) Penso che mi direi di fare quello che poi ho fatto. Mi direi: “sii te stesso, lavora duro e tieniti stretto ciò che ti ha fatto iniziare a fare musica”. Perché nel corso degli anni arrivano tante cose: questioni di business, alti e bassi, interessi che vanno e che vengono, ma quello che importa davvero è questo: lavorare sodo e aggrapparsi alla propria identità. Tutto qui.

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