“Harbinger of Woe” ha segnato il ritorno dei Brodequin dopo un lungo periodo di silenzio.
Fa piacere ritrovare la death metal band americana con un disco di grande calibro, dato che già le opere dei primi anni Duemila – “Instruments of Torture”, “Festival of Death” e “Methods of Execution” – avevano generato un notevole interesse nella scena estrema, grazie a una proposta musicale estremamente serrata e asfissiante, combinata con testi e un immaginario incentrato sulle torture medievali.
“Harbinger of Woe” rappresenta inoltre una chiara evoluzione per i Brodequin, con un sound che mescola la loro tipica ferocia con alcuni nuovi elementi stilistici e con una maggiore maturità a livello di produzione. Oggi più che mai, vi è una sorta di narrativa oscura che si sviluppa lungo l’album, aggiungendo un elemento di profondità e complessità alla musica.
Partendo da questo riuscito ritorno discografico, abbiamo compiuto un viaggio a ritroso nel tempo per analizzare dal principio il nuovo capitolo della carriera del trio statunitense. Ci ha fatto da guida il bassista/cantante Jamie Bailey, da sempre il leader del gruppo, assieme a suo fratello Mike.
BENTORNATI! SAPEVAMO CHE QUESTO ALBUM SAREBBE ARRIVATO, MA COSA POSSONO ASPETTARSI DI TROVARE I FAN IN QUESTO RITORNO? LE ASPETTATIVE DEI FAN SONO SEMPRE ALTE, STABILITE STANDARD ELEVATI ANCHE PER VOI STESSI?
– Ciao e grazie! Sono d’accordo che le aspettative sono alte e che lo siano sempre con nuovo materiale. Sì, abbiamo degli standard quando si tratta di Brodequin. Che si tratti di musica o di opere d’arte a cui ci rifacciamo per la copertina e l’immaginario, vogliamo sempre che tutte queste sfaccettature siano rappresentative dell’obiettivo generale della band. Ci sforziamo di creare la musica più estrema possibile e vogliamo che l’intera presentazione sia una rappresentazione completa e valida della nostra identità.
DIAMO UNO SGUARDO INDIETRO ALLA VOSTRA CARRIERA: AVETE DECISO DI SCIOGLIERVI, PER FORTUNA TEMPORANEAMENTE, INTORNO AL 2008. RICORDI COSA VI PORTÒ A QUELLA DECISIONE?
– Senza entrare in tutti i dettagli, abbiamo dovuto far fronte a una serie di perdite nella nostra famiglia, tanto che io e Mike siamo tutto ciò che resta della nostra famiglia originale ed allargata. Non si è quindi trattato di una decisone presa a causa di stanchezza o altro. È stato qualcosa che abbiamo dovuto fare per pura necessità.
SIETE RIEMERSI INTORNO AL 2015: RACCONTACI DELLE PRIME SENSAZIONI ATTORNO ALLA REUNION; COSA VI HA SPINTO A RITORNARE DOPO QUALCHE ANNO DI PAUSA?
– Una volta che le cose si sono calmate rispetto alla situazione discussa in precedenza, abbiamo sentito di essere di nuovo in un posto dove potevamo dare alla band l’attenzione che meritava. Abbiamo sempre saputo che volevamo tornare sulla scena: una volta che ci siamo allontanati, è stato facile realizzare quanto impatto questa band avesse avuto sulla nostra vita. La sfida successiva è stata trovare il personale giusto per portare avanti ciò su cui Mike e io stavamo lavorando.
TUTTAVIA, CI È VOLUTO MOLTO TEMPO PER PUBBLICARE UN NUOVO ALBUM. COME AVETE LAVORATO NEGLI ULTIMI ANNI? È STATO DIFFICILE TORNARE A COMPORRE?
– Anche se sulle prime non eravamo convinti di essere attivamente coinvolti nella scrittura di un nuovo album, occasionalmente trovavamo del tempo per lavorare insieme. Mike ed io abbiamo suonato e composto per così tanti anni che è una cosa naturale per noi, quindi tornare a scrivere canzoni complete per un album non è stato difficile, tanto che ci è sembrato che avessimo iniziato esattamente da dove avevamo interrotto prima della pausa.
Come accennato, da qui in poi la parte più difficile è stata trovare le persone giuste con cui lavorare.
QUANDO COMPONETE NUOVE TRACCE, COME VALUTATE LA QUALITÀ DELLA VOSTRA MUSICA? QUALI SONO I VOSTRI CRITERI PER OTTENERE UNA BUONA CANZONE DEI BRODEQUIN?
– Ci sono alcuni elementi che sappiamo saranno presenti in ogni canzone che creiamo. Sappiamo che ci sarà molta velocità, quello è un dato di fatto.
La struttura del brano inizia con un’idea di riff o con un pattern di batteria scritto da Mike. Sebbene sia il chitarrista, ha un grande orecchio per le percussioni e scrive molti riff attorno a ciò che sente nella sua testa per la batteria. Inoltre, Mike tende spesso a programmare molte sezioni di batteria, sulle quali poi registrerà alcune idee per i riff. Dal canto mio, tutte le parti di chitarra che scrivo vengono sempre rifinite e aggiornate da Mike. Può prendere quello che gli porto ed elevarlo a un livello a cui io non avrei mai pensato.
Una volta che abbiamo un’idea generale di quella che pensiamo sia una buona canzone, la registriamo. È una registrazione demo approssimativa, ma la ascoltiamo molte volte per capire dove vogliamo veramente modificare qualcosa. Se non supera alcuni ascolti, lo scartiamo e andiamo avanti. Dobbiamo tutti avere la stessa opinione sulla canzone, altrimenti tocca cestinarla e passare oltre.
“HARBINGER OF WOE” SUONA UN PO’ PIÙ ‘APERTO’ RISPETTO AI DISCHI PRECEDENTI: IMMAGINO CHE LA PRODUZIONE C’ENTRI QUALCOSA, MA DIREI CHE ANCHE I RIFF SUONANO UN PO’ PIÙ RAFFINATI E CI SONO ACCENNI DI MELODIA QUA E LÀ. COME DESCRIVERESTI LA VOSTRA EVOLUZIONE MUSICALE RISPETTO AI DISCHI PRECEDENTI?
– Sono d’accordo, la produzione è un grande passo in una direzione più professionale. In passato eravamo molto più limitati dai fondi che avevamo a disposizione per registrare e dalla tecnologia dei piccoli studi in cui andavamo. Inoltre, come hai detto, i riff presentano questa volta anche un tocco di melodia: abbiamo sperimentato con delle formule mai tentate in passato.
Penso che questa evoluzione sia stata un processo naturale per noi. In molti aspetti è una mossa logica rispetto al precedente album “Methods of Execution”. Credo che ci siano molti elementi in “Harbinger of Woe” che avremmo potuto esplorare anche se avessimo avuto modo di comporre qualcosa subito dopo “Methods…”.
PER LA MAGGIOR PARTE DELLE BAND, L’ORIGINALITÀ È PRIMA PRECEDUTA DA UNA FASE DI APPRENDIMENTO E, SPESSO, DI EMULAZIONE DI ALTRI ARTISTI. COM’È STATO PER VOI? COME DESCRIVERESTI LA VOSTRA CRESCITA COME BAND E LA TRANSIZIONE VERSO UN VOSTRO STILE?
– Come hai detto, c’è un periodo di apprendimento dove spesso finisci per emulare le tue ispirazioni. Sono sicuro che in una certa misura lo abbiamo fatto tutti. Per noi il periodo di apprendimento è stata una bella esperienza. Mike e io abbiamo composto insieme per un paio d’anni prima di ritrovarci con una formazione solida. Poi si è trattato di imparare alcune cose su come si lavora con gli altri. Molte persone non si rendono conto di tutte le cose che servono per far funzionare una band. Ogni membro ha le proprie responsabilità e orari personali “fuori band”. Imparare a gestire tutto ciò è stata la prima sfida.
Man mano che siamo andati avanti, tutto il resto si è sistemato e non ha richiesto molto sforzo. Sapevamo di voler avere un’identità diversa da quella di molte band che uscivano in quel periodo. Il mio interesse per la storia ci ha poi fornito l’opportunità di attingere a temi ed estetiche all’epoca inesplorati.
COSA TRATTATE A LIVELLO LIRICO IN QUESTO DISCO? QUALCOSA DI SPECIALE O DIVERSO DA PRIMA? L’ARTWORK SEMBRA ADERIRE AL SOLITO CONCEPT SULLA TORTURA MEDIEVALE…
– Nel complesso, affrontiamo i temi di sempre. Questa volta, però, invece di informare semplicemente il lettore sulla tecnica di tortura o sul metodo di esecuzione, ho deciso di provare a dipingere un quadro più avvolgente. Ci sono alcune canzoni in cui c’è, per così dire, uno scambio di prospettiva tra il condannato e l’inquisitore o boia. Ho anche utilizzato diverse fonti per intrecciare vari fili narrativi e dare più spessore alle storie.
LE COSE SONO CAMBIATE UN PO’ DAGLI ESORDI DEI BRODEQUIN – E VORREI AGGIUNGERE DELLA UNMATCHED BRUTALITY RECORDS, DATO CHE GESTIVATE QUESTA ETICHETTA – CON IL FILE SHARING PRIMA E SUCCESSIVAMENTE LE PIATTAFORME DI STREAMING CHE HANNO PRATICAMENTE DISTRUTTO IL VECCHIO MODELLO DI BUSINESS DELLA VENDITA DI DISCHI. QUAL È LA TUA OPINIONE SU QUESTO FENOMENO?
– Ci sono elementi buoni e cattivi in questi esempi, come del resto in molte altre cose nel mondo. Da un lato, la condivisione e lo streaming di file sono modi rapidi e convenienti per far arrivare la tua musica a un maggior numero di persone. Naturalmente, come tutti sappiamo, interi album di molte band vengono piratati e divulgati in vari siti e server, i pagamenti sullo streaming sono notoriamente scarsi ed è molto difficile sapere quante copie del tuo album sono state effettivamente vendute a causa di download non autorizzati, ecc.
Ma, per essere onesti, un’altra cosa che distrugge il vecchio modello sono i costi folli di spedizione. Attualmente, spedire un CD dagli Stati Uniti in Europa costa più di sedici dollari: non molte persone sono disposte a pagare una cifra così elevata. Lo capisco, è pazzesco e per anni abbiamo subito una perdita cercando di mantenere le spese abbordabili per i nostri fan. Fortunatamente ora, con Season of Mist, i fan europei hanno la possibilità di ordinare il nostro merch ed evitare gli alti costi di spedizione dagli Stati Uniti, mentre i fan americani possono ottenerla dall’ufficio nordamericano di SoM.
QUAL È LA TUA OPINIONE RIGUARDO ALLA CRESCENTE SCENA UNDERGROUND?
TUTTI SANNO CHE È DIFFICILE EMERGERE DAVVERO E DIVENTARE ‘NOTI’, ANCHE CON INTERNET. ALCUNI SOSTENGONO CHE SIA UNA BUONA COSA CHE LE BAND ABBIANO PIÙ CONTROLLO SUL PROPRIO MATERIALE, MENTRE ALTRI RITENGONO CHE QUESTO PROCESSO DI LIBERA PUBBLICAZIONE SATURI IL MERCATO.
QUALI SONO I TUOI PENSIERI?
– È un misto di correnti di pensiero. Penso che oggi le band probabilmente abbiano più o meno lo stesso controllo sulla propria musica che avevano prima che Internet diventasse la forza dominante. È molto più semplice diffondere rapidamente la musica a molte persone, ma spesso questa finisce per essere pubblicata sui siti gratuitamente. Quindi si perdono potenziali vendite: anche se le commissioni derivanti da streaming e download non sono così buone, con la pirateria si perde comunque denaro che avrebbe potuto essere investito in merchandise.
Detto ciò, è bello vedere la scena crescere con una schiera continua di nuove band. Ma è appunto vero che oggi è più difficile farsi notare. Soprattutto dopo tutti i problemi legati al Covid, sembra che ci sia un’eccessiva saturazione di band in tour. La situazione è un po’ disorientante, ma, dal canto mio, preferisco avere un’ampia scelta di concerti e di uscite anziché poco o nulla da cui poter scegliere.
SECONDO TE, I VALORI DELLA MUSICA METAL SONO CAMBIATI DAGLI ANNI ’90 O DA QUANDO AVETE INIZIATO A OGGI?
– In una certa misura c’è stato un cambiamento. Naturalmente Internet gioca un ruolo importante in questo. Vedo molte persone a cui non piace una tal band e che trovano necessario prendersi il tempo per postare quanta più negatività possibile su quella band. Non capisco davvero quel comportamento. Se non mi piace una band o un programma televisivo, semplicemente non lo ascolto né lo guardo. Non trovo utile parlare male di qualcosa, e di certo non credo che la mia opinione sia così importante da doverla condividere a ogni costo.
C’è poi un certo livello di competitività tra gruppi che non c’era alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, quando stavamo iniziando. In generale, c’era molto supporto da parte di altre band: ci si aiutava offrendo consigli sulle etichette, condividendo gli show, ecc. Non sto dicendo che non esista adesso, ma non lo vedo così tanto come allora.
I VOSTRI PRIMI TRE DISCHI SONO MOLTO CONSIDERATI DAI FAN DEL DEATH METAL: RIPENSANDO ALLA DISCOGRAFIA INIZIALE, FARESTI QUALCOSA DI DIVERSO OGGI? QUAL È IL TUO ALBUM PREFERITO TRA “INSTRUMENTS…”, “FESTIVAL…” E “METHODS…”?
– Questa è una domanda difficile, perché mi piacciono tutti. “Festival…” è un capitolo in cui ci siamo davvero messi alla prova con la velocità, quindi rappresenta ancora oggi qualcosa di speciale per me. Ma sceglierei “Instruments…”. Ci sono alcune canzoni in quell’album che suoniamo ancora oggi: si tratta dei nostri piccoli classici. Inoltre, è l’album che ha dato inizio a tutto. Se quell’album non fosse mai uscito, non avremmo avuto tutti gli album successivi. Quindi, a questo riguardo, non posso dire che cambierei nulla di nessuno di loro, poiché tutti a loro modo hanno dato il loro contributo nel farci raggiungere il punto in cui siamo oggi.
CONOSCI QUALCOSA DELLA SCENA DEATH METAL ITALIANA? QUALI SONO I TUOI GRUPPI PREFERITI?
– Oh sì, mi vengono subito in mente Devangelic e Putridity, oltre ovviamente a Hideous Divinity e Hour of Penance. Non posso dire di avere una conoscenza approfondita del vostro panorama, ma queste band mi piacciono molto.
IMMAGINO CHE VI SENTIATE MOLTO FORTUNATI AD AVER RAGGIUNTO QUESTO LIVELLO DI CONSIDERAZIONE E DI SUCCESSO (UNDERGROUND) CON LA BAND, QUALCOSA CHE OVVIAMENTE ERA SOLO UN SOGNO ALL’INIZIO. QUALI SONO ANCORA I SOGNI DA REALIZZARE CON QUESTO NUOVO DISCO?
– Sì, è fantastico essere riconosciuto per aver fatto qualcosa che ti piace e sicuramente in principio non avrei mai potuto pensare che molte persone in tutto il mondo si sarebbero divertite quanto noi ad ascoltare i nostri sforzi.
Ci piacerebbe suonare in alcuni paesi in cui non siamo mai stati prima, prendere parte ad alcuni festival a cui non abbiamo mai suonato e fare nuove amicizie. Ci auguriamo che il nuovo disco ci esponga a persone che non ci hanno mai ascoltato prima. E che alla fine apprezzino il disco tanto quanto noi!