BROWBEAT – Lezione di violenza

Pubblicato il 11/05/2019 da

Congelati per più di un decennio, i Browbeat tornano a movimentare con il loro groove hardcore metal metal quella scena che in molti anni non ha saputo trovare dei validi sostituti. Una storia che abbiamo già sentito altrove e, nelle stesse modalità, si ripete a casa nostra in maniera sintomatica. Andiamo ad analizzare la situazione nelle risposte a quattro mani di M.V. e Luca ‘Cocco’ Cocconi, da sempre colonne portanti nella storia di questa dominante band emiliana, oggi pronta a riversare nuovamente la sua energia sui palchi.

15 ANNI DA “AUDIOVIOLENCE” E UNA DECINA DALLO STOP DELLE ATTIVITÀ. COME MAI I BROWBEAT SONO TORNATI?
– Durante questi dieci anni, ognuno di noi è stato, e lo è tuttora, coinvolto in altri progetti musicali, io e Cocco, in quanto membri storici dei Browbeat, sentivamo comunque la voglia e il dovere di ritornare sulle scene. Dopo che è stato annunciato il ‘No Salvation Reunion Tour’, abbiamo riscontrato molta curiosità, un grande entusiasmo e la risposta dei fan sui social e ai concerti è stata veramente molto positiva. Questo ci ha dato lo stimolo decisivo per continuare l’attività live e pubblicare materiale nuovo a distanza di tanto tempo dall’ultimo album.

COSA È CAMBIATO NELL’HARDCORE METAL IN QUESTO PERIODO? TU TI SENTI CAMBIATO?
– Secondo noi questo tipo di hardcore purtroppo in Italia sembra quasi totalmente morto. Il periodo migliore è sicuramente stato da metà anni ’90 fino alla metà degli anni 2000 perché si era formato un vero e proprio giro di band e amanti del genere che andavano numerosi e carichi di energie ai concerti. Diciamo che l’unico cambiamento che si può riscontrare in noi è che siamo più esperti, abbiamo più responsabilità e alcuni di noi anche famiglia ma ti possiamo assicurare che lo spirito e la passione sono rimasti esattamente come una volta.

BRENDAN SCHIEPPATI HA DETTO CHE MOLTI GRUPPI HARDCORE METAL, TRA CUI GLI STESSI BLEEDING THROUGH O I LIONHEART, SONO TORNATI IN ATTIVITÀ PERCHÈ NON C’ERA NESSUNO IN GRADO DI RACCOGLIERE LA LORO EREDITÀ. CHE NE PENSI? VALE ANCHE PER I BROWBEAT?
– Possiamo dire che non hanno tutti i torti perché le migliori band che spaccano tutt’ora, soprattutto dal vivo, si sono formati nei primi anni 2000 o addirittura negli anni ’90. Le band nuove che fanno questo genere e che spaccano veramente sul palco e come scrittura di canzoni ci sono, ma si contano veramente sulle dita di una mano. Quando abbiamo deciso di riunirci, non ci siamo assolutamente posti il problema perché abbiamo esclusivamente deciso di riprendere esattamente quello che avevamo interrotto 11 anni fa, ma con maggiore maturità e consapevolezza.

PROBABILMENTE PER GLI ASCOLTATORI PIÙ GIOVANI I BROWBEAT SONO UN NOME NUOVO. COME CI SI SENTE A DOVER IN UN CERTO SENSO RICOMINCIARE DACCAPO?
– Siamo consapevoli che il pubblico attuale è molto – per non dire completamente – diverso da quello che avevamo 15/20 anni fa. E’ cambiata la società, è cambiato il modo di ascoltare la musica, ci sono i social network, YouTube e quindi per noi è come un nuovo inizio. Dalla nostra parte però abbiamo molta più esperienza e ancora tanta voglia di stare su un palco. Nel corso degli anni ci siamo guadagnati il rispetto e l’affetto di fan e amici esclusivamente grazie alla nostra umiltà, perseveranza e capacità di trasmettere emozioni ai nostri concerti. Questi sono i nostri punti di forza che cercheremo di sfruttare per stare al passo con i tempi e risultare credibili anche alle nuove generazioni.

IL TEMA RICORRENTE DEL DISCO SONO I ‘NUOVI SCHIAVI’, SPERSONALIZZATI E SFRUTTATI DALLE MODERNE LOGICHE DI LAVORO. E’ UNA BATTAGLIA PERSONALE?
– Il mondo del lavoro dipendente, dalla grande crisi economica del 2008, è diventato una vera e propria giungla perché lo stato ha dato la possibilità ai datori di lavoro di offrire contratti lavorativi da fame al limite del ricatto. Questa crisi successivamente si è rivelata un pretesto di sfruttamento del lavoro a condizioni inaccettabili. Non si tratta di una situazione in particolare vissuta da qualcuno di noi, ma una vera e propria presa di coscienza dopo mesi di ricerche di informazioni su scala mondiale da parte del nostro cantante M. V. che ha scritto tutti i testi.

L’ALBUM È STATO SCRITTO INTERAMENTE DA LUCA COCCONI ED M.V.: QUANTO TEMPO AVETE DEDICATO ALLA STESURA DEI PEZZI?
– L’album è stato scritto, arrangiato e registrato in 6/7 mesi. Il nostro chitarrista “Cocco”, che è il principale compositore ha curato tutta la parte musicale, dalla scrittura alla produzione dell’album, mentre io mi sono occupato dei testi e delle metriche vocali. Abbiamo fatto un grosso lavoro di pre-produzione dove è stato curato ogni minimo dettaglio e sistemato le parti di ogni singolo strumento. Successivamente ci siamo rinchiusi per una decina di giorni all’Audiocore Studio per registrare e mixare l’album. Siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto.

QUAL ERA IL VOSTRO OBIETTIVO QUANDO AVETE INIZIATO A SCRIVERE?
– L’obiettivo era quello di creare un disco con un sound moderno ma mantenendo nel riffing la nostra attitudine hardcore/metal 90’s style che ci ha sempre caratterizzato fin dal nostro disco di esordio “No Salvation”. In questi 10 anni abbiamo maturato diverse esperienze dal punto di vista musicale e anche i nuovi membri hanno portato le proprie idee e influenze all’interno della band. Credo proprio che questo mix di esperienze sia il punto di forza del nuovo album! “Remove The Control” è un disco scritto e suonato con cuore e rabbia, cercando di non seguire le mode, mettendo in evidenza alcuni problemi della nostra società come lo sfruttamento sul lavoro.

TI VA DI SPENDERE QUALCHE PAROLA PER L’INTERESSANTE ARTWORK DEL DISCO?
– L’artwork è stato disegnato da un nostro amico artista che si chiama Stefano Mattioni e che ringraziamo. Abbiamo dato a lui tutti i testi delle canzoni e poi ha elaborato questa copertina che abbiamo approvato fin da subito perché rappresenta la chiave di lettura del concept dell’album. Abbiamo voluto attribuire al protagonista dell’immagine il ruolo di un povero lavoratore ormai al limite della pazzia e dell’esasperazione che cerca invano di rimuovere e distruggere ogni tassello che costituisce il grande occhio del sistema lavorativo e non solo, che controlla, sfrutta e manovra la nostra esistenza.

CHI È PAOLA TURCHI? COME MAI AVETE DECISO DI INSERIRE UN BRANO COME “NOTHING MORE AND NOTHING LESS” NELLA TRACKLIST?
– Paola Turchi è una pianista e compositrice ed è la moglie del cantante. Lei aveva già collaborato anche per i nostri primi due album, dove si era occupata di piccoli campionamenti e intermezzi di tastiera e qui lei ha scritto e suonato la parte di pianoforte. Il pezzo in questione è un intermezzo che abbiamo voluto collocare esattamente in mezzo all’album un po’ per spezzare l’atmosfera rabbiosa e incalzante delle canzoni. Si tratta di un campionamento tratto dal film “I, Daniel Blake” di Ken Loach, che è un regista inglese che apprezziamo particolarmente, soprattutto per le tematiche sociali affrontate nei suoi film, che si sono rivelate esattamente in tema con il concept dell’album.

QUANTO SONO IMPORTANTI ATTITUDINE ED INTEGRITÀ PER I BROWBEAT? PENSI CHE QUESTI VALORI SI SIANO IN QUALCHE MODO DISPERSI NEI GRUPPI DI OGGI?
– Sulla base di esperienze passate ci sentiamo molto più forti, decisi, consapevoli e senza dubbio sappiamo quello che vogliamo. Crearsi una propria identità e avere una coesione all’interno della band è molto importante e rende il tutto più credibile anche agli occhi dello spettatore che viene ai tuoi concerti. Si percepisce molto la differenza tra una band che suona tanto per e una band compatta che è sul palco per divertirsi e trasmettere il proprio messaggio. Ci sono un sacco di nuove band che spesso però preferiscono farsi i selfie su Instagram piuttosto che cercare di sviluppare queste cose che vanno di pari passo con la parte musicale. Non sto dicendo che farsi le foto sia uno sbaglio, la parte social adesso è molto importante per la visibilità, ma continuo a pensare che chi fa buona e vera musica prima o poi venga premiato! Questo è un grosso peccato perché alcune di queste band hanno del potenziale ma appena devono affrontare delle difficoltà non danno continuità al progetto e si sciolgono.

I GRUPPI ITALIANI POSSONO COMPETERE CON GERMANIA, UK O USA, A TUO PARERE?
– Secondo noi ci sarebbero delle band che possono tranquillamente tener testa ai gruppi stranieri, ma sono veramente troppo poche. Pensiamo che alla maggior parte dei gruppi italiani metal e hardcore manchi quella marcia in più e quella mentalità che hanno ad esempio gli americani. In Italia ci sono un sacco di musicisti molto bravi, ma quando si tratta di suonare dal vivo non sono in grado di tenere il palco, essere energici e suonare bene contemporaneamente, come fanno la maggior parte dei gruppi stranieri. Diciamo che manca un po’ la cosiddetta ‘cazzimma’, ma soprattutto la passione.

PARLIAMO STRETTAMENTE DI METAL E HARDCORE: GLI ITALIANI SONO ESTEROFILI? TU LO SEI?
– Noi siamo cresciuti principalmente con la musica americana e straniera in generale, anche perché il divario purtroppo quasi sempre risulta incolmabile per le ragioni che abbiamo detto prima. Però ripetiamo che ciò nonostante in Italia ci sono band metal e hardcore molto valide che senza dubbio meriterebbero un maggior supporto e seguito da parte degli amanti italiani del genere. La nostra critica va soprattutto alla scarsa partecipazione della gente ai concerti di band italiane degli ultimi anni.

NON AVETE MAI AVUTO PAURA DI ESSERE POLITICIZZATI, QUINDI TI CHIEDO: C’È DAVVERO UN’EMERGENZA RAZZISMO IN ITALIA?
– Non abbiamo mai avuto questo timore. Il cantante M. V. ha sempre trattato nei suoi testi questioni socio-politici italiane e mondiali con totale libertà. Pensiamo che il razzismo in Italia ci sia sempre stato, solo che adesso gente al governo che sproloquia come Salvini ha legittimato lo psicolabile razzista italiano medio a commettere atti di intolleranza e razzismo spesso contro la legge. E poi é risaputo che i mass media in determinati periodi pompano maggiormente certe notizie di cronaca, come piccoli episodi di intolleranza, a volte esagerando e a volte inventando. Pensiamo principalmente che il razzismo è una piaga sociale su scala mondiale.

I MACHINE HEAD SONO SEMPRE STATI ACCOSTATI AI BROWBEAT E IMMAGINO SIANO UNO DEI VOSTRI PUNTI DI RIFERIMENTO: COSA PENSI DI “CATHARSIS” E DEL FATTO CHE, PER LA SECONDA VOLTA, LA BAND SI SIA DISTRUTTA COMPLETAMENTE?
– I Machine Head che negli anni ’90 sono stati una delle mie band preferite, e un grosso punto di riferimento per i Browbeat, avevano a mio parere personale perso tutta la loro attitudine e la loro rabbia già dal terzo album “The Burning Red”. Un disco che se lo vedi dal punto di vista temporale/commerciale può essere stato anche azzeccato, ma non sono i Machine Head! Dove sono finiti i riff spaccaossa di “Davidian”, “Old”, “Ten Ton Hammer”, le atmosfere di “Down To None” o “Violate”? Con il passare del tempo poi sono diventati più ‘heavy’ nel sound, ma non li ho più seguiti tanto. I primi due album rimangono un capolavoro. Robb Flynn come li ha creati probabilmente li ha anche distrutti!

COSA AVETE IN PROGRAMMA PROSSIMAMENTE?
– Vogliamo suonare il più possibile ovunque, anche perché penso che la dimensione live sia attualmente la migliore promozione per una band e ti da la possibilità di conoscere e interagire con nuovi fan e vendere merchandise. È bello e positivo non smettere mai di sognare anche alla nostra età, ma siamo anche consapevoli che i tempi sono radicalmente cambiati rispetto al passato ma noi andremo avanti a muso duro pieni di energia ed entusiasmo cercando di prenderci più soddisfazioni possibili con questo nuovo album.

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