“The Mandrake Project” segna il ritorno discografico di Bruce Dickinson dopo una pausa durata quasi vent’anni e, ancora una volta, il cantante è riuscito a stupirci con un album eclettico, capace di raccogliere tanti stili diversi e che, siamo sicuri, farà discutere molto.
Ogni canzone dell’album ha una sua anima, anzi, talvolta più di una. Heavy metal, hard rock anni Settanta, passaggi al limite del prog, orchestrazioni sinfoniche, atmosfere acustiche ed intime… E Dickinson sembra davvero assaporare questo momento di totale libertà artistica, firmando uno dei suoi album meno convenzionali.
Non sapevamo bene cosa aspettarci all’idea di fare una chiacchierata con una personalità forte come quella di Dickinson, ben noto per essere un interlocutore senza peli sulla lingua, invece ci siamo trovati di fronte ad un artista assolutamente affabile ed amichevole, ben felice di addentrarsi nei dettagli del suo lavoro ed entusiasta del risultato finale.
“TYRANNY OF SOULS” E’ STATO PUBBLICATO NEL 2005, SONO PASSATI QUASI VENT’ANNI DAL TUO ULTIMO LAVORO SOLISTA E NEL MENTRE GLI IRON MAIDEN SONO ANCORA IN PIENA ATTIVITA’. COME MAI HAI DECISO CHE ADESSO ERA ARRIVATO IL MOMENTO DI INCIDERE UN NUOVO ALBUM?
– In realtà avevo già deciso di farlo nel 2014, avevo già contattato Roy (Roy Z, chitarrista e produttore di Dickinson, ndr), mi sembrava il momento giusto non solo per registrarlo ma anche per promuoverlo come si deve. Avevo del tempo a disposizione e, considerando che all’epoca di “Tyranny Of Souls” non ero potuto andare in tour, mi sembrava una buona occasione.
Avevo già una mezza dozzina di canzoni più o meno pronte, scritte in momenti diversi, e quindi andai a Los Angeles per vedere come svilupparle. Ad esempio, “Shadow Of The Gods” è stata scritta più o meno all’epoca di “Tyranny Of Souls”, mentre “Sonata” l’ho composta venticinque anni fa, più o meno.
A queste due aggiungi “If Eternity Should Fail”, “Face In The Mirror”, “Resurrection Man”, “Mistress Of Mercy” e “Rain On The Graves”, questa era la nostra base di partenza, più qualche altra canzone che alla fine abbiamo scartato. Abbiamo lavorato per un po’ su questi pezzi e abbiamo registrato una prima demo di “If Eternity Should Fail”, che inizialmente sarebbe dovuto essere anche il titolo dell’album. I problemi sono arrivati subito dopo la pubblicazione di “The Book Of Souls” (l’album degli Iron Maiden del 2015, ndr), perché prima ho avuto il cancro e questo mi ha bloccato per un anno intero, poi i due anni successivi sono stato molto preso con i Maiden e infine i tre anni di lockdown.
In pratica quando ho potuto vedermi di nuovo con Roy erano passati sette anni! Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti… aspetta, dove eravamo rimasti? Per prima cosa, quindi, abbiamo scritto due canzoni nuove, ovvero “Afterglow Of Ragnarok” e “Many Roads To Hell”, le prime due sul disco, e questo ci ha dato un nuovo punto di partenza per iniziare il nostro viaggio musicale. L’unica eccezione è data proprio da “Sonata”: quello che puoi sentire è rimasto praticamente immutato rispetto a ciò che avevo scritto venticinque anni fa. Le parti vocali sono state improvvisate una sera in studio, senza testo, senza una melodia prestabilita e l’80% di quello che ho cantato quella sera è finito sul disco.
HAI CITATO “IF ETERNITY SHOULD FAIL”, CHE PERO’ NON E’ PIU’ DIVENTATO IL TITOLO DEL TUO NUOVO DISCO, MA UNA CANZONE DI “THE BOOK OF SOULS”.
– L’idea per questa canzone era di ispirarci ai fumetti del Dr. Strange: avevo già pensato di realizzare un fumetto su questa storia ed è così che sono nati i personaggi del Dr. Necropolis e del Professor Lazarus. A quel punto ho mandato la demo a Steve (Harris, ndr) per chiedergli cosa ne pensasse e se ci fosse qualcosa che potesse sembrargli utile per i Maiden.
A lui piacque molto quella canzone e io gli dissi che non c’erano problemi e che l’avremmo usata per la band, ma ho sempre voluto riprenderla in mano e farne una mia versione.
“THE MANDRAKE PROJECT” E’ UN ALBUM DAVVERO MOLTO VARIEGATO, OGNI CANZONE HA UN SUO STILE PECULIARE E SENTIAMO MOLTE INFLUENZE DIVERSE NON SOLO RISPETTO A QUELLO CHE FAI ABITUALMENTE CON I MAIDEN, MA ANCHE RISPETTO AL RESTO DELLA TUA DISCOGRAFIA SOLISTA. E’ UNA RICERCA CONSAPEVOLE, OPPURE QUESTA VARIETA’ E’ FIGLIA DEL FATTO CHE LE CANZONI SONO NATE IN MOMENTI MOLTO DIVERSI E DISTANTI?
– Sì, è qualcosa che cerco espressamente. Che senso avrebbe fare un disco solista se tutto fosse uguale a qualcosa che hai già fatto in passato se non addirittura simile ad un lavoro degli Iron Maiden?
So che ci sono persone che non riescono a capire perché qualcuno possa voler ascoltare qualcosa di diverso dagli Iron Maiden. Sono una minoranza, ma una minoranza rumorosa. Non posso accontentare tutti e non è questo il lavoro che deve fare un artista. Il tuo compito è creare qualcosa di speciale e poi le persone ne saranno attratte, oppure no.
Sì, questo disco è più eclettico, più eccentrico, più vario in termini musicali e nel mio modo di cantare, ma resta comunque un disco heavy e sfido chiunque a non divertisti ascoltandolo!
DIVERSE CANZONI SONO STATE SCRITTE INTERAMENTE DA TE, SIA MUSICA CHE TESTI. COME COMPONI LA MUSICA? SO CHE TI DILETTI A SUONARE LA CHITARRA…
– Sì, so suonare la chitarra e un po’ le tastiere. Più la chitarra, devo dire, mentre sono un disastro al pianoforte…
PERO’ L’HAI FATTO, HAI SUONATO IL PIANOFORTE SU “EMPIRE OF THE CLOUDS” (SEMPRE DA “THE BOOK OF SOULS”, NDR)!
– E’ vero, ma ritengo quella parti di pianoforte ingenue, infantili, robotiche (ridacchia, ndr)… Sono terribili, perché davvero non sono capace. Dissi a Steve, “perché non chiamiamo un vero pianista per suonare questa canzone?”. Io non so suonare questo cazzo di piano! Ma lui mi disse di no, che non voleva chiamare qualcuno di esterno alla band e io gli risposi, “perché no! Conosco un bravissimo pianista, si chiama Mistheria e farebbe un lavoro egregio su questa canzone”.
Insomma, alla fine la registrai in MIDI, che appartiene a una generazione passata rispetto alla tecnologia di Pro Tools che stavamo usando per l’album e questo ha contribuito a dargli un suono così artificiale.
Sarebbe potuta venire molto meglio, quella parte… Comunque, tornando alla tua domanda: quando scrivo sul piano, per me è come un quaderno degli appunti. Mi serve per avere un’idea di massima, una linea melodica su cui poi lavorare: è il caso di “Fingers In The Wounds”, che ho scritto proprio al piano.
Poi ho chiesto a Roy di costruirci sopra i riff di chitarra e quando è arrivato Mistheria gli ho chiesto di metterci una marea di tastiere, ad un certo punto mi sembrava di ascoltare qualcosa degli Evanescence, con queste tastiere maestose. Messa così, nel mezzo dell’album, uno rimane spiazzato, è come bere un drink a metà del pasto per rinfrescarti il palato.
Al contrario per “Mistress Of Mercy” volevo un suono più grezzo, più punk, con la band che doveva darci dentro e spaccare tutto, ma io l’ho scritta sulla chitarra acustica!
C’E’ UNA CANZONE CHE CI HA PARTICOLARMENTE SORPRESO ED E’ “RESURRECTION MAN”, TI VA DI DIRCI COME E’ NATA?
– Per “Resurrection Man” avevo scritto la strofa, l’intro e il ritornello, ma mancava quella chitarra in stile Dick Dale, o Quentin Tarantino. Quella parte è nata per caso, ho premuto per errore il pulsante del tremolo sulla chitarra e quell’effetto mi ha fatto impazzire, perché sembrava di sentire un pezzo surf rock in un film come “Kill Bill”…
DA ITALIANO, MI VIENE DA DIRTI CHE CI HO SENTITO ANCHE UNA CERTA ATMOSFERA ALLA ENNIO MORRICONE…
– Ohh, non osavo dire Morricone! Lo adoro! Non potrei mai compararmi a lui, gli porterei l’acqua con le orecchie, davvero, è incredibile! (Nella nostra conversazione, Bruce dice “I would lick his shoes”, cioè letteralmente ‘gli leccherei le scarpe’, ndr) Impossibile paragonarsi a lui. Ma l’idea era quella, un’atmosfera da spaghetti western.
Una cosa simile mi è capitata con “If Eternity Should Fail”: se prendi le tastiere che senti nella versione dei Maiden, quelle vengono direttamente dalla demo che avevo fatto e le suono io.
La mia idea era di avere delle trombe mariachi, in puro stile Morricone, ma in quel momento ero nel salotto di Roy, avevo la tastiera e quel suono non sembrava esattamente una tromba, l’idea era di metterne una vera, dopo, con gli shaker e quei suoni tipo serpente a sonagli. Ma Steve mi disse che quelle tastiere gli piacevano e che voleva tenerle così e non se n’è fatto più niente.
Quando poi Roy ha ripreso in mano la canzone per rivisitarla, mi ha suggerito di sostituire la tromba con un flauto peruviano: a me l’idea è piaciuta, abbiamo fatto suonare il flauto a questo musicista suggeritomi da Roy e poi abbiamo aggiunto quelle percussioni che puoi sentire nella versione finale.
ANCHE “SHADOW OF THE GODS” E’ UNA DELLE CANZONI CHE CI SONO PIACIUTE DI PIU’, UN’ATMOSFERA MOLTO EPICA, QUASI DA COLONNA SONORA.
– E devi sentire come suona in Atmos, il mix aggiunge tutta un’altra profondità! Non tutte suonano così bene, ad esempio “Many Doors To Hell” non ha molto di diverso dalla versione stereo, ma con “Shadow Of the Gods”…wow!
Quella canzone è stata scritta all’epoca di “Tyranny Of Souls” e in origine doveva far parte di quel progetto mai andato in porto dei Three Tremors, con me Rob Halford e Ronnie James Dio. La canzone quindi è nata con l’idea di avere tre cantanti, con una parte corale finale in cui avremmo cantato tutti e tre.
Poi tutto il progetto è sfumato e questa canzone è rimasta nel cassetto, ma sapevamo che prima o poi l’avremmo pubblicata… Certo, non immaginavo che sarebbe stato diciannove anni dopo! La nuova versione è stata in parte rimaneggiata, anche nei testi che rimandano ad alcuni passaggi del fumetto, per quanto questo non sia un vero e proprio concept album.
ECCO, PUOI SPIEGARCI MEGLIO QUESTA COSA? NON E’ UN CONCEPT ALBUM MA ALLA BASE C’E’ UNA STORIA, CHE POI RACCONTI ANCHE ATTRAVERSO IL FUMETTO.
– Nel 2014 avevamo pensato di fare un concept album, ma arrivati alla fine del lockdown, avevo sviluppato l’idea del fumetto e la storia sarebbe stata raccontata lì, non avevo bisogno di raccontarla daccapo nell’album, mi avrebbe dato dei limiti perché se scegli la strada del concept album tutto deve essere coerente con la storia; sarebbe stata una spina nel fianco.
L’album doveva essere una storia musicale e non letteraria. Nell’album ci sono i personaggi del fumetto, ma cerco di non nominarli troppo per nome, ognuno poi potrà interpretare la storia come meglio crede, mi piace che ci siano diversi gradi di interpretazione: uno può restare in superficie e godersi lo stesso il disco, oppure andare sempre più a fondo, anche con il supporto del fumetto.
PASSIAMO INVECE A PARLARE DELLE DATE DAL VIVO. COSA POSSIAMO ASPETTARCI DALLA SCALETTA DEI TUOI CONCERTI? SUONERAI SOLO IL MATERIALE SOLISTA O INTEGRERAI ANCHE QUALCHE CANZONE DEL REPERTORIO DEGLI IRON MAIDEN?
– No, ormai ho a disposizione sette album solisti, non c’è davvero necessità di avere una versione tarocca dei Maiden, c’è già quella originale, ne faccio parte e suoniamo già abbastanza!
La tentazione, al limite, è quella di inserire una sola canzone dei Maiden, ma lo farei solo a patto di suonarla in maniera molto diversa dalla versione originale. Non avrebbe veramente senso finire a fare la cover band, chi paga il biglietto è venuto a vedere me e a sentire le mie canzoni da solista.
Piuttosto ora stiamo ragionando su cosa andare a pescare dai miei dischi solisti: avendo Roy dal vivo, vorrei concentrarmi sui dischi in cui suona lui (l’intervista è stata registrata il 29 gennaio, prima che Dickinson annunciasse l’abbandono di Roy Z come chitarrista per il tour, ndr).
Quindi ci sarà “Tears Of The Dragon”, ovviamente, mentre non suonerò niente da “Skunkworks”. Non perché non ami quel disco, anzi, prossimamente tornerò a Los Angeles per remixarlo e farne una versione Atmos, ma mi concentrerò soprattutto su “The Chemical Wedding”, “Accident Of Birth”, qualcosa da “Tyranny Of Souls” e il nuovo album.
Un tour da solista è un modo completamente diverso di esibirmi: non abbiamo mostri, non abbiamo fuochi d’artificio, lo spettacolo quindi ruoterà solo intorno alla musica. Con i Maiden suoniamo tutte le sere la stessa scaletta, perché è funzionale allo show e ci sono così tanti tasselli che devono muoversi al giusto momento: le luci, i fondali, i fuochi, gli effetti… Non avendo queste restrizioni, mi piacerebbe poter cambiare.
Lo show di Roma non sarà uguale a quello di Vicenza, una grossa parte sì, ovviamente, ma ci dovrebbe essere uno spazio dove poter ascoltare qualcosa di diverso: una sera potrebbe essere “Jerusalem”, quella dopo “Navigate The Seas Of The Sun” e via dicendo. Vedremo meglio quando inizieremo le prove del tour, non vedo l’ora.
ABBIAMO VISTO CHE LA FORMAZIONE DEL TOUR PREVEDE UNA SOLA CHITARRA, PENSI CHE QUESTO POSSA INFLUIRE SUGLI ARRANGIAMENTI? (IL 16 FEBBRAIO DICKINSON HA POI ANNUNCIATO L’INGRESSO IN FORMAZIONE DI DUE NUOVI CHITARRISTI, CHE ANDRANNO A SOSTITUIRE ROY Z, MA LASCIAMO COMUNQUE LA DOMANDA PER COMPLETEZZA DEL DISCORSO, NDR)
– No, non penso che questo influirà sugli arrangiamenti e gli assoli che venivano suonati da due diversi chitarristi, potrà farli Roy, o magari Mistheria con la sua keytar. In generale al posto di avere le armonizzazioni di due chitarre, avremo chitarra e tastiere: il tessuto musicale sarà un po’ diverso e non vedo l’ora di sentire il risultato finale.
Vorrei staccarmi un po’ dalla formula della due (o tre) chitarre, basso e batteria, e tornare a quella formula che prevede un tastierista rock, un virtuoso che spacca, un po’ alla Jon Lord (lo storico tastierista dei Deep Purple, ndr), che è un mio eroe. E onestamente credo che Mistheria abbia tutte le carte in regola per coprire questo ruolo.
PRIMA HAI CITATO “SKUNKWORKS”, UN DISCO CHE AL MOMENTO DELLA SUA PUBBLICAZIONE HA RICEVUTO TANTISSIME CRITICHE, PER POI ESSERE IN PARTE RIVALUTATO CON IL PASSARE DEL TEMPO. COME VALUTI QUELL’ESPERIENZA A POSTERIORI?
– E’ sempre quel discorso della minoranza rumorosa, che concepisce un solo modo di fare musica e non accetta di staccarsi mai da quella. Lo rispetto, siamo in un mondo libero, se li rende felici, va bene così.
“Skunkworks” è stato un tentativo di fare le cose in modo diverso: per me voleva dire cantare e scrivere i testi in maniera differente, perché stavo finendo in una trappola, che era quella di usare sempre lo stesso stile e anche le stesse parole, quelle che mi veniva naturale cantare.
Ho provato a sperimentare invece qualcosa che non fosse confortevole per me. All’epoca la ferita di aver lasciato i Maiden era ancora aperta, ricevevo delle cose fuori di testa, non dico minacce di morte, ma delle vere e proprie lettere di odio sì. Quando uscì l’album c’erano persone che mi scrivevano dicendo che avrebbero comprato ogni copia dell’album solo per bruciarle, ma perlomeno avevo creato delle reazioni.
E’ peggio quando ti dicono ‘”ma sì, è ok”. No, qualcuno l’ha amato, qualcuno l’ha odiato, va bene, lo accetto, ma almeno ho fatto qualcosa di sincero. Ma sono sicuro che prima o poi le persone prenderanno in mano quell’album, a mente fredda, lo riascolteranno e si accorgeranno che è un gran bel disco! Alex Dickson, il chitarrista, è magnifico, fuori scala!
Semplicemente non ha funzionato il nostro essere una band: volevamo cose diverse, loro volevano esplorare ancora di più mentre io volevo andare da un’altra parte, quindi dopo un solo album ci siamo separati. Ho amato tantissimo anche lavorare con Jack Endino (il produttore, ndr), un vero gentleman e un fanatico dei Rainbow di Ritchie Blackmore. E’ stato un pioniere del grunge a Seattle, e poi adorava i Rainbow, Dio, i Deep Purple… Lavorare con noi per lui è stato un po’ un punto di incontro tra queste due anime.
BRUCE, UN’ULTIMA DOMANDA, UN PAIO D’ANNI FA AVRESTE DOVUTO SUONARE UN CONCERTO A BOLOGNA…
(Bruce non aspetta nemmeno la fine della domanda, che, appunto, verteva sulla cancellazione dello show di Bologna a causa dell’allerta meteo, e si fa molto serio, ndr) – Oh, sì sì, mi ricordo, è stata una serata di merda e siamo molto dispiaciuti per quello che è successo.
Però si tratta di decisioni che dipendono dalle forze dell’ordine, dalla polizia e dai vigili del fuoco: ci hanno avvisato che la situazione non era sicura e che avrebbero dovuto far evacuare l’area. Non potevamo farci molto ma a prescindere bisogna considerare che non sarebbe stato giusto mettere a repentaglio la vita delle persone.
Ma ci è spiaciuto molto, naturalmente. Non sapevamo come comportarci il giorno dopo, eravamo a disagio, anche se tutti sono stati molto comprensivi nei nostri confronti.