BULLET-PROOF – Born to raise… thrash!

Pubblicato il 18/10/2017 da

“Suonare, suonare, suonare”. E’ questa la missione dei Bullet-Proof, nuova realtà thrash che in questi ultimi mesi sta acquisendo un numero di consensi sempre maggiore. Dopo il buon esordio del 2015 targato “De-Generation”, ad aprile la band italo-slovacca ha alzato ulteriormente l’asticella della qualità grazie a “Forsaken One”. Grinta, tecnica, buona presenza scenica, i Bullet-Proof hanno ‘dalla loro’ la fortuna di poter mescolare l’esperienza di Richard Hupka e di Max Pinkle, alla voglia di emergere di Lukas Hupka (figlio di Richard) e di Federico Fontanari. Ed è proprio con i due membri della famiglia Hupka, oltre allo stesso Pinkle, che, muniti degli appositi giubbotti, entriamo nel mondo dei Bullet-Proof.

RAGAZZI, BENVENUTI SU METALITALIA.COM. DUNQUE, PARTIAMO DAGLI ALBORI E DAL VOSTRO MONICKER: “BULLET-PROOF”, LETTERALMENTE ‘ANTIPROIETTILE’. DA DOVE NASCE QUESTO NOME?
Richard: – Innanzitutto, grazie per l’intervista! Cosa dire? “Bullet-Proof” è spuntato all’improvviso. Eravamo alla ricerca di un qualcosa di adeguato ma ogni volta sembrava che il nome proposto non fosse quello giusto. Poi, dal nulla, Diego Polli, il bassista con il quale ho fondato il gruppo, se ne è uscito con questo “Bullet-Proof”. E stop, lo abbiamo bollato. Era il nome perfetto.

SE DOVESTE DEFINIRVI IN TRE PAROLE, QUALI AGGETTIVI USERESTI?
Richard: – Direi determinati, rock’n’roll e, visti gli ostacoli che abbiamo incontrato lungo la nostra strada… proprio antiproiettili!
Max: – Sinceri, affamati, diretti.

TRA LE CURIOSITA’ LEGATE ALLA VOSTRA BAND VI E’ SICURAMENTE IL FATTO CHE ALLA VOCE/CHITARRA CI SEI TU, RICHARD, E ‘ON THE DRUMS’ TUO FIGLIO LUKAS. LA DOMANDA E’ OVVIA: COSA SI PROVA A SUONARE IN FAMIGLIA?
Richard: – Credo che posso considerarmi fortunato! Ovviamente ci sono tante cose che ci dividono e in diverse situazioni, proprio per non destabilizzare il resto della band, il rapporto padre-figlio deve essere messo da parte. Parlando di musica, comunque, io e Lukas abbiamo un feeling comune che ci facilita molto nel suonare. Non solo, se sono tornato ‘on the road’ lo devo soprattutto a lui. Da quando ‘Luki’ ha cominciato a fare amicizia con la batteria, infatti, io ho praticamente ripreso in mano la chitarra, prima appesa al chiodo per tanti anni. Si tratta quindi di un’unione speciale di cui non posso che andarne fiero.
Lukas: – Per quanto mi riguarda è una sensazione che non posso – o forse non sono in grado – di descrivere. Credo però che se provate ad osservarci sul palco mentre suoniamo, noterete come la nostra unione, da ‘musicisti’, sia davvero particolare. Ci intendiamo al volo; basta uno sguardo di papà per capire se vuole allungare una nota, uno stacco o altro. E’ pur vero che mantenere lineare un rapporto così speciale non è sempre facile: sia io che lui abbiamo due caratteri forti e capita spesso di discutere anche, e soprattutto, in tema di musica.

AD APRILE E’ USCITO IL VOSTRO SECONDO ALBUM, “FORSAKEN ONE”: UNA PROVA CHE HA DATO BUONISSIMI FRUTTI. I RESPONSI, INFATTI, SONO STATI PIU’ CHE POSITIVI. COSA NE PENSATE?
Richard: – Devo dire che siamo molto soddisfatti! Volevamo un disco decisamente più ‘forte’ rispetto al precedente e, in una buona parte, lo abbiamo ottenuto. Siamo sulla buona strada; possiamo continuare in questa direzione verso il successore di “Forsaken One”!
Max: – E’ quasi sorprendente l’aver ricevuto così tante recensioni positive e altrettanti commenti favorevoli ricevuti “face to face” da varie persone incontrate durante i concerti. Questo è il miglior premio per una band! Mi auguravo che il lavoro svolto venisse apprezzato, visto anche l’impegno fornito da persone come Federico Pennazzato in fase di produzione del disco; e così è stato. Per questo è doveroso ringraziare la fan-base, che si sta pian pianino creando, per il continuo supporto. Senza di loro non saremmo niente, ed è soprattutto per questo motivo che è fondamentale cercare di migliorarsi, e nel contempo impegnarsi, senza cadere nel classico errore di accontentarsi di ciò che si è fatto, addormentandosi sui famosi allori.
Lukas: – Io ti rispondo in modo semplice e breve: sono fiero di ogni passo compiuto dai Bullet-Proof e già non vedo l’ora di entrare nuovamente in studio, magari ancora una volta con Federico Pennazzato, per poter spingere ancor di più il piede sull’acceleratore… fino al limite.

NEL PRIMO LAVORO “DE-GENERATION” SIETE STATI ACCOSTATI AI MEGADETH. CON “FORSAKEN ONE”, OLTRE AD UNA BUONA DOSE DI THRASH, AVETE ABBRACCIATO SONORITA’ DI MATRICE PIU’ CLASSICA. UNA SCELTA FATTA A TAVOLINO OPPURE IL TUTTO E’ NATO AL MOMENTO?
Richard: – Il primo disco aveva quell’atmosfera, perché in quel preciso momento ‘sentivo’ la musica in un determinato modo. Non si tratta di cose volute o cercate. Ovviamente i Megadeth sono tra i miei gruppi preferiti, ma non intenzionalmente mi metto a scrivere musica simile alla loro! Sarebbe piuttosto ignorante. Ed il secondo album, analogamente a “De-Generation” è nato in un altro momento della vita, vivendo e dovendo confrontarmi con altri problemi, in un lasso di tempo più ampio. Ecco perché, di conseguenza, risulta diverso.
Lukas: – Credo sia un’evoluzione della stessa band determinata dai momenti vissuti da ognuno di noi. Una cosa è sicura: per quanto mi riguarda voglio spingermi ad essere ancora poco più ‘cattivo’.

PARLIAMO ORA DELLA TITLE-TRACK: UNA CANZONE PARTICOLARE, DAL TEMA ABBASTANZA INTIMO ED ANCHE ‘FASTIDIOSO’ COME PUO’ ESSERE QUELLO DELLA RELIGIONE. COSA POTETE DIRE A RIGUARDO?
Richard: – Il testo di “Forsaken One” l’ho scritto mentre guardavo il film “The Passion” di Mel Gibson. Ho voluto tuttavia, che il concetto della canzone andasse oltre quello religioso di un Cristo abbandonato. La mia intenzione era quella di rappresentare quello che può accadere ad ognuno di noi nel corso della propria vita, nel suo piccolo mondo. Spesso, infatti, ci si trova a dover affrontare situazioni non facili, che ci portano a dover compiere scelte critiche, poco vantaggiose, anche dolorose, pur di accontentare qualcun altro, nel nome di interessi superiori, non sempre corretti.
Lukas: – Una canzone scritta all’ultimo minuto. Cinque giorni prima di entrare in studio, infatti, è nata una discussione con mio papà (giusto per rimarcare quanto detto prima) circa un pezzo inserito nella tracklist dell’album: non mi piaceva e non volevo registrarlo. Dalla discussione e dai jam successivi è nato praticamente il main riff di “Forsaken One”. Da lì si sono aggiunti gli altri riff, la parte secondo me più ‘megadethiana’, gli assoli e via dicendo. Una gran canzone, con un groove potentissimo.

DURANTE L’ESTATE AVETE SUONATO PARECCHIO DAL VIVO. COME E’ STATA LA RISPOSTA DEL PUBBLICO?
Richard: – Generalmente il pubblico risponde bene, mi sembra. Ma è una domanda che dovresti fare a quelli che ci vengono vedere, non a me!
Max: – Il pubblico, durante un’esibizione, dà o toglie sicurezza. E’ sufficiente vedere gente stufa o silenziosa, che subito l’energia che riesci a trasmettere diminuisce creando così un circolo vizioso. Per fortuna questo non ci è mai successo, anzi, spesso è tanto vero il contrario che certi nostri concerti, a partire dal release party, sono stati un vero dialogo fra noi e le persone venute ad ascoltarci. A volte c’è più movimento ed entusiasmo, altre un po’ meno, ma nel complesso devo dire che i complimenti ci sono sempre arrivati, da tanti o pochi, e questo vuol dire che abbiamo convinto almeno qualcuno fra tutti. Se parliamo di quantità, credo che tutto sommato non possiamo lamentarci, di sale completamente vuote non ce ne sono ancora capitate, per fortuna.

IL MIX ESPERIENZA-GIOVINEZZA VI HA PORTATO AD ESSERE UNA DELLE REALTA’ THRASH PIU’ INTERESSANTI DEL MOMENTO. QUAL’E’ IL VOSTRO OBIETTIVO?
Richard: – Ci lusinghi con queste parole! Il nostro obiettivo? Come credo di qualunque altro gruppo: suonare, suonare e suonare! È per questo che si fa una band, giusto? Ovviamente non suoniamo a tutti costi. Facciamo degli investimenti per la registrazione del disco, la sua distribuzione, la promozione, eccetera. Le trasferte costano e, se vuoi che la gente apprezzi ciò che fai non basta soltanto saper suonare, devi anche portarti magari un fonico che, giustamente, ha un prezzo. Vuoi anche avere delle foto, un bel video e tutto ciò è a carico della band. Di conseguenza vogliamo, a condizione che ci sia chiaramente l’interesse per ciò che facciamo da parte del pubblico, che ci ritorni qualcosa per lo sforzo fatto. Evitiamo quindi di suonare gratis; cosa che dovrebbero fare tutte le band. Molti non condividono questa nostra scelta, pensano che ‘te la tiri’: so che la situazione non è rosea per nessuno, tuttavia meglio niente che andare in perdita continuamente. Alla fine penso che il riconoscimento economico di una band sia l’unico modo di sopravvivenza: ho visto molti gruppi, anche validi, costretti a smettere perché economicamente si rovinavano, e non certo perché non avevano più voglia di suonare.
Max: – Migliorare: chiaro e semplice. Personalmente quello che mi soddisfa di più di quest’esperienza è assaporare il progresso a livello strumentale, di sicurezza sul palco, di capacità compositiva in studio, e anche nei rapporti personali fra di noi. Unisci a tutto questo le esperienze che fai suonando ed il gioco è fatto: conoscere i fan, le altre band, i musicisti, incontrare persone e condividere con loro la nostra musica, fare festa assieme. L’obiettivo, per come la vedo io è continuare a vivere questo, cercando possibilmente di fare sempre del nostro meglio per fare contenti chi ci segue e pure noi stessi, senza perdere per strada la sincerità e la passione. L’ultimo dei miei pensieri è la fama o la posizione ‘di prestigio’ nel music-business, che lascio a chi si sente VIP: io mi sento uno ‘stronzo qualsiasi’ che si sta impegnando a vivere la propria passione al meglio, senza bisogno di tante menate pretenziose.

UNA BAND TRICOLORE MA IN REALTA’ INTERNAZIONALE (Richard e Lukas sono slovacchi mentre Max Pinkle e Federico Fontanari sono italiani, ndr). DA SEMPRE SI SOSTIENE CHE DIFFONDERE IL VERBO METAL IN ITALIA E’ COSA ASSAI ARDUA. COME E’ LA SITUAZIONE IN SLOVACCHIA?
Richard: – Parlando di metal, in Slovacchia è probabilmente peggio che in Italia. Però, se solo ti sposti nella vicina Repubblica Ceca è tutto completamente diverso. Ed è così da sempre; sin dai tempi della Cecoslovacchia unita. E lo si vede oggi giorno: lì i festival funzionano benissimo e arriva gente da tutta l’Europa. In Slovacchia invece, pure quest’anno hanno annullato alcuni concerti già in fase di prevendita, proprio per lo scarso interesse nei loro confronti.

PROMOSSI AL DEBUTTO, CONFERMATI ALLA SECONDA PROVA. SAI BENISSIMO CHE A BREVE VI TROVERETE DI FRONTE LA FATIDICA PROVA DEL NOVE, IL FAMOSO TERZO ALBUM. CI STATE GIA’ PENSANDO?
Richard: – Speriamo bene! Al momento l’interesse principale è di continuare la ‘diffusione’ di questo disco. Ovvio che non abbandoniamo l’idea di comporre nuovi pezzi. Si tratta ogni volta di nuova sfida: la musica, infatti, è per prima cosa emozione e quindi deve convincere innanzitutto chi la scrive. Se la band è convinta, allora si è sulla buona strada; puoi far ascoltare e valutare le canzoni a qualche amico, così da avere un feedback immediato di quanto prodotto. Fatto questo puoi pensare alle registrazioni. Ma andiamo con ordine: per prima cosa voglio fare il prossimo disco, e poi un altro ancora (ride, ndR)
Max: – Ci sono sempre dei passaggi obbligati per una band, in particolare la promozione di un disco prende il suo tempo e concentrazione, ed è anche un momento estremamente divertente, se devo dirla tutta. Però la composizione arriva quando vuole, perché segue l’ispirazione (sembra una frase fatta, ma è proprio così), quindi ogni momento è buono per far nascere materiale per il prossimo album. Certo, dovrà essere una bomba, vista anche l’altissima qualità dei lavori che si sentono oggigiorno, e non sarà banale né scontato riuscirci! Ma ci riusciremo!

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