Dopo la recensione de “Il Giorno Dei Campanelli”, ultima fatica dei Canaan, abbiamo colto l’occasione per fare quattro chiacchiere con Mauro Berchi, mastermind della band milanese (oltre che della Eibon Records). Il risultato è una lunga intervista in cui parliamo con un immenso conoscitore e scopritore di musica, una persona che è stata tra le prime a portare l’underground metal estremo in Italia (lasciando anche il segno con una band seminale come i Ras Algethi), per poi allontanarsene gradualmente ma in modo sempre più marcato. Questo ultimo disco dei Canaan è, forse, il più carico di sofferenza e dolore e, come abbiamo scritto in fase di recensione, trasmette tutto questo all’ascoltatore, causando una sorta di overdose di emozioni cupe e opprimenti. Raramente l’impatto musicale di una band è così emozionalmente violento da riuscire a far male, raramente un disco diventa ‘pericoloso’ per la salute mentale di chi lo ascolta, ma – quanto succede – si crea un’ alchimia nera e densa che rende impossibile smettere di ascoltare. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Mauro: buona lettura!
“IL GIORNO DEI CAMPANELLI” È USCITO ORMAI DA QUALCHE MESE. SEI SODDISFATTO DEL RISULTATO?
“Non saprei. Non l’ho ancora mai ascoltato. A giudicare dal fatto che molta gente ha reagito al disco dicendomi: ‘e fatti una cazzo di risata ogni tanto!’ penso che potrei ritenermi soddisfatto. Mission accomplished”.
I TESTI SONO MOLTO INTENSI. DA DOVE TRAI L’ISPIRAZIONE E COSA VUOI TRASMETTERE A CHI LI ASCOLTA ?
“Sai quando vai da uno strizzacervelli e quello ti dice che il modo migliore per esorcizzare una paura è parlarne (e si fanno anche pagare fior di soldoni per produrre queste perle di saggezza)? I testi che scrivo sono conversazioni con me stesso su argomenti con i quali mi scontro ogni giorno e che in un modo o nell’altro trovo scomodi. Non intendo trasmettere alcunchè: metto solo nero su bianco quello che mi passa per la testa. Il che non è generalmente piacevole”.
MUSICALMENTE, INVECE, MI È SEMBRATO CHE LA BASE SIA SOSTANZIALMENTE UN MIX TRA DARK AMBIENT E ELETTRONICA, SOPRATUTTO QUELLA DEGLI ANNI OTTANTA. SEI D’ACCORDO?
“Nel corso degli anni ho cambiato più volte il metodo compositivo. Agli inizi per comporre un nuovo brano partivo quasi sempre da riff di chitarra, poi sono passato alle tastiere ed al basso. In ultimo ho basato quasi tutto su droni e sequenze elettroniche, costruendo le canzoni attorno a ‘non-strutture’ anziché basarmi su melodie e/o schemi riconoscibili. Per come funziona attualmente il mio cervello, questo è il metodo che trovo più stimolante. Magari in futuro tornerò a usare solo la chitarra classica e tirerò fuori un disco à la Jacques Brel. Chissà”.
LA MUSICA DEI CANAAN È MOLTO DIFFICILE DA INQUADRARE IN UN GENERE SPECIFICO. SE DOVESSI FARLO, COME LA DEFINIRESTI?
“Qualche anno fa mi scrissero alcuni fan che mi chiedevano se trovassi corretto il termine ‘doomwave’. Non so bene chi lo abbia coniato, ma piace come definizione e penso che calzi abbastanza bene. Anche se rimango un po’ allergico a definizioni, inquadramenti, etichettature”.
LA VOCE, INVECE, PARE BEN ANCORATA AL CANTATO TIPICO DARKWAVE, CON CERTE INCURSIONI NEL CANTAUTORATO ITALIANO…
“Non posso che concordare. E con la tradizione di cantautori che ci ritroviamo trovo il paragone un vero onore”.
“IL GIORNO DEI CAMPANELLI” È UN DISCO DIFFICILE DA ASCOLTARE PER LA SUA INTENSITÀ ED IL COINVOLGIMENTO EMOTIVO CHE TRASMETTE. TU STESSO L’HAI DEFINITO ‘PERICOLOSO’. PUOI SPIEGARCI COSA INTENDI?
“Sono un vecchio depresso del cazzo, con problemi fisici e psichici abbastanza pronunciati. Compongo, suono e scrivo per spurgare e neutralizzare un po’ del marcio che ho in testa: penso di poter dire che tutto quello che finisce sui dischi è ‘distillato d’anima’. Come tale mi fa ribrezzo, mi dà fastidio, mi angoscia, mi destabilizza. Di tutti i dischi fatti finora, ‘Il giorno dei campanelli’ è quello più fetido e puzzolente. A distanza di quasi un anno dal mix, non sono ancora riuscito ad ascoltarlo neppure una volta. Ci provo, ma immediatamente mi sale sulla schiena una carogna feroce e maledetta e non sento ulteriore bisogno di flagellarmi (per quello basta e avanza la testa bacata che mi ritrovo). Fatti i dovuti distinguo, sarebbe come rimangiare i miei stessi escrementi. Pericolosi per la salute quelli, pericoloso il disco sopratutto per chi – come me – fa fatica a tenere a freno impulsi scomodi e non riesce mai a ‘stare senza pensieri’ come dicono a Napoli…”.
PARLIAMO UN PO’ DELL’EVOLUZIONE STILISTICA DEI CANAAN. ASCOLTANDO “BLUE FIRE” E “IL GIORNO DEI CAMPANELLI” SI SENTE UN CAMBIAMENTO ENORME, SEMBRANO QUASI DUE BAND COMPLETAMENTE DIVERSE. SEI D’ACCORDO? CERCHI CONTINUITÀ TRA I VARI DISCHI O, SEMPLICEMENTE, OGNI ALBUM È ‘STORIA A SÈ’?
“Ogni album fa storia a sè. Scrivo dei brani, li registro, me li dimentico. A distanza di anni, raramente ascolto quanto fatto (e quando capita generalmente non mi piace quello che sento) e non provo mai il bisogno di guardare indietro. Vent’anni fa ero una persona diversa (non molto, forse, ma comunque diversa), pensavo, componevo e suonavo in modo differente. I dischi Canaan sono istantanee di un momento e come tali vanno intese”.
HAI ANCHE UN PASSATO NELLA MUSICA METAL NON DA POCO E SEI TRA LE PERSONE CHE HANNO PORTATO L’UNDERGROUND SCANDINAVO IN ITALIA. CHE RICORDI HAI DI QUEGLI ANNI E COME VEDI L’EVOLUZIONE DI QUELLA SCENA?
“Quanti bei ricordi… Notti intere passate a duplicare cassette e a preparare liste infinite per compagni di tape-trading da paesi improbabili. Pomeriggi ‘sprecati’ a fotocopiare fanzine o a fare scansioni di copertine di demo dei Necrogoatperversioninthefullmooonofthesatanicpaganinfernalblasphemousgrimwinterhordesofluciferiannecroevil. Un mare (ma proprio un mare) di lettere e di flyer. I pacchi portati dal postino con la carriola (o quasi). Demo ordinati mandando soldi nascosti in busta e sperando che il postino dalle lunghe mani non li trovasse. Francobolli così pieni di colla e riutilizzati tante di quelle volte da diventare carta velina… A dirlo così parrebbero cose fuori dal mondo e fuori dal tempo, ma per me sono ricordi piacevoli ed indelebili di un periodo in cui per trovare un buon gruppo bisognava sudare sette camicie – altro che internet e Bandcamp. Non ho seguito molto l’evoluzione della scena metal (scandinava o altre) post-1998/99. Mi capitava sempre più spesso di provare uno spiacevole effetto di déjà-écouté e anche oggi, pur tenendomi grosso modo informato ed ascoltando molte (moltissime) cose metal, l’interesse e la curiosità sono ai minimi termini. I cicli che si sono ripetuti e le ‘mode passeggere’ non sono riusciti a tenere viva l’attenzione. La mia, per lo meno”.
DA TEMPO I TUOI INTERESSI MUSICALI SI SONO SPOSTATI SU ALTRI GENERI ED IL CATALOGO EIBON (A PARTE QUALCHE RARA ECCEZIONE) LO DIMOSTRA CHIARAMENTE. COME È AVVENUTO QUESTO CAMBIAMENTO?
“Come dicevo prima, molto spesso ho una brutta sensazione di ‘been there, seen this, done that’ quando valuto i demo che mi arrivano per eventuali produzioni. E’ vero che i miei gusti sono cambiati parecchio e che invecchiando sto diventando insofferente a molte cose che prima mi spaccavano o che trovavo per lo meno interessanti. C’è poi da dire che noto un decadimento mostruoso della qualità di quanto mi arriva – fattore oggettivo che esula dai miei gusti difficili da soddisfare. Mi capita sempre meno spesso di saltare sulla sedia e di sentirmi prudere le mani. Capita ancora, per fortuna, ma sempre più raramente”.
WHILE HEAVEN WEPT, CAZZODIO, COLLOQUIO, NORDVARGR, ESOTERIC, THERGOTHON, VANESSA VAN BASTEN, DEVAR, PPF SONO ALCUNE BAND CHE HAI PRODOTTO. COPRI MOLTI GENERI: POWER ELECTRONIC, BLACK METAL, DARKWAVE, FUNERAL DOOM, DARK AMBIENT, POST-ROCK, NOISE… COSA TI SPINGE A SCEGLIERE UNA BAND?
“Il mio gusto e null’altro. Ho sempre prodotto dischi che mi piacessero, senza pensare neppure per un secondo a potenziali di vendita, rientro nelle spese, marketing o altre pugnette del genere. Questo mi ha precluso alcuni distributori di genere (oltre che rendere più difficoltoso il fattore economico della questione) ma sono problemi secondari che non mi hanno mai interessato. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni producendo dischi che ascolto tuttora con un brivido di piacere e lavorando con musicisti che sono anche amici, spesso ‘veri’ amici. Spero di riuscire a continuare ancora per qualche tempo, remando duramente contro il fato ‘cornuto e bestia’. Staremo a vedere”.
HAI PARTECIPATO AD ALCUNI PROGETTI AL DI FUORI DEI CANAAN. CE NE VUOI PARLARE?
“Il principale progetto ‘extra-Canaan’ è sicuramente Neronoia. Ho sempre amato Colloquio e stimato profondamente Gianni come autore e cantante. Siamo riusciti negli anni a produrre 4 dischi che reputo tra le cose migliori che io abbia mai fatto. Una quindicina di anni fa ho suonato su ‘Capitale De La Douleur’ a nome Weltschmerz, ancora prima sul mini-CD ‘Cultus Sanguine’. Più di recente ho cantato su un brano del disco dei Wanda Wulz e al momento ho altre cose in cantiere, ma nulla di definitivo. Piccole cose, ma per me di valore”.
TORNIAMO AL DISCO. SO CHE CURI MOLTO ANCHE I DETTAGLI VISIVI DEL PACKAGING: COSA RAPPRESENTANO LE GRAFICHE DE “IL GIORNO DEI CAMPANELLI”?
“Anche come fruitore (sono ancora un ‘accumulatore seriale’) mi piace valutare un disco nella sua interezza – la musica da sola non è in genere sufficiente. Quando musica e grafica funzionano in sinergia l’esperienza di ascolto diventa infinitamente più soddisfacente. Ho sempre cercato di unire le due cose nelle produzioni dell’etichetta (e quindi del gruppo). Per ‘Il Giorno Dei Campanelli’ ho fatto le grafiche tenendo a mente i testi e l’atmosfera generale del disco. Plumbea, direi. Rispetto alle grafiche passate mi sono tenuto un pochino più scarno”.
E, SOPRATUTTO, DOPO UN DISCO COSÌ INTENSO COSA POSSIAMO ASPETTARCI?
“Non so bene come mai (penso una combinazione letale di stanchezza, esaurimento, dolore fisico, il tutto sublimato e amplificato dalla vecchiaia), ma sono in un periodo di impressionante creatività. Abbiamo già registrato 9 brani nuovi: sono ancora ovviamente molto lontani dall’essere completi ma le strutture e le idee di base sono definitive. Senza sbilanciarmi troppo, penso che il prossimo disco sarà ancora più cupo & nero del ‘Giorno Dei Campanelli’, e ho detto tutto. E probabilmente sarà ancora una volta tutto in italiano”.
OK, ORA LA PARTE LEGGERA. DICCI UN DISCO METAL E UNO NON METAL CHE TUTTI DOVREBBERO ASCOLTARE ALMENO UNA VOLTA.
“Metal: ‘Into The Pandemonium’. Non Metal: ‘Anime Salve’. Serve mettere i nomi degli artisti?”.
E DUE CHE, SECONDO TE, SONO ENORMEMENTE SOPRAVVALUTATI…
“Metal: qualsiasi cosa degli Iron Maiden. Non metal: qualsiasi cosa dei Beatles”.
SE TI DICO “RAS ALGETHI” QUALI SONO LE PRIME IMPRESSIONI O IMMAGINI CHE TI VENGONO IN MENTE?
“Viaggi in macchina schiacciati come sardine per andare in saletta a provare. Grande soddisfazione per il demo. Montagne di cassette spedite (andavo in posta al sabato mattina con un sacco nero della spazzatura pieno di pacchetti). Recensioni e interviste a centinaia. Ribrezzo per il disco (rovinato tra le altre cose da un fonico incapace e in mala fede). Litigate e incomprensioni. Poi lo scioglimento, e da li in poi poco altro”.
CHIUDIAMO CON QUALCOSA DI PIÙ SERIO. L’INDUSTRIA MUSICALE È CAMBIATA IN MODO RADICALE SOTTO MOLTI ASPETTI: LE PICCOLE ETICHETTE CONTINUANO A SOPRAVVIVERE GRAZIE A POCHISSIME RELEASE DI CULTO, CHE HANNO BASSI COSTI DI PRODUZIONE E POSSONO CONTARE SU UNO ‘ZOCCOLO DURO’ DI FAN. LE GRANDI ETICHETTE GIOCANO SULLA QUANTITÀ E L’OMOGENEITÀ DEI PRODOTTI. UN DISCORSO PARALLELO SI PUÒ FARE PER LE BAND. TRA CANAAN E EIBON COME TI RAPPORTI CON QUESTO MERCATO?
“Mercato? Quale mercato? Quando anche in una super-ultra-nicchia come l’industrial/ambient/quelchel’è tirature di 300 copie sono persino esagerate, direi che parlare di mercato è ridicolo. Quello che non riesco a spiegarmi è come nel volgere di una quindicina di anni (scarsi) sia tutto finito a gambe per aria. Non nego la comodità dei nuovi media, né tantomeno l’utilità delle piattaforme sociali per scoprire nuova musica. Detto questo, e avendo vissuto tre decenni abbondanti come un maiale nella merda, non posso che essere scoraggiato di fronte a quello che vedo. Gente che scarica cento dischi alla settimana e non ha neppure un originale (in nessun formato). I ‘millennials’ che neppure sanno che esiste un supporto e pensano che Spotify sia l’unico modo di ascoltare la musica. I quarantenni (che dovrebbero avere la testa sulle spalle) che spendono 250 euro per mangiare da Cracco e poi ti chiedono lo sconto di 50 centesimi sulla spedizione di un cd da 9 euro. Le paludi di deficienza sociale con gruppi che hanno 20.000 followers e producono vinili in 50 copie che sono ancora disponibili dopo cinque anni dalla stampa. Sono l’unico a vedere che c’è qualcosa che non funziona? La democratizzazione selvaggia venuta con le nuove tecnologie (scarico tutto e arrivederci, in buona sostanza) ha portato alla scomparsa di quasi tutte le etichette micro, medie e piccole e ha lasciato in piedi solo i ‘cantinari dalla fotocopiatrice insanguinata’ (budget per la stampa di un disco in 5 copie su cdr = 10 euro comprese le copertine) e le etichette enormi, che utilizzano altre vie per guadagnare soldi. Ai Depeche Mode non frega un cazzo se ci si scarica il disco dai torrent. Troveranno sempre qualche migliaio di gonzi che sborseranno 100 euro a biglietto per vederli dal vivo. Al gruppo che stampa 200 copie e che al massimo suona di fronte alla vicina di casa in garage invece importa eccome rientrare almeno delle spese di registrazione e stampa… Se il futuro è un unico grande bandcampspofitygooglemusicamazondigital del cazzo, se malauguratamente si arriverà al punto di avere i dischi nuovi solo in formato digitale ‘i-prison/i-lock/i-would-like-to-kill-you-all’, se i gruppi avranno come massima aspirazione mettere un mp3 su bandcamp e farsi le seghe davanti ai trecentomila like di gente alla quale non importa nulla della loro musica ma che apprezzano il taglio di capelli, il colore delle scarpe e i giubbotti fucsia in pelle di vergine afgana, sarà tempo per me di chiamarmi (e volentieri) fuori dal gioco. Mi sa che ci siamo pericolosamente vicini”.
FINITO. LAST WORDS?
“Grazie per lo spazio che ci avete dedicato. NOTHING. NEVER. NOWHERE”.