Squadra che vince non si cambia, come si suol dire. Nemmeno quando ti ritrovi a potere contare su un musicista di altissimo livello come Erik Rutan, un veterano potenzialmente in grado di dare un’importante sferzata alla proposta di qualsiasi gruppo. Come prevedibile, pur introducendo qualche nuova spezia, è stato però il neoacquisto Rutan ad adattarsi allo stile della sua nuova band e non viceversa. A livello di impronta sonora, i Cannibal Corpse vanno insomma avanti per la loro strada, facendo giustamente tesoro dell’esperienza del leader degli Hate Eternal come chitarrista e produttore, ma evitando di snaturare un death metal sound sempre più funzionale e riconoscibile. Il nuovo album “Violence Unimagined” ci ripresenta i colossi statunitensi in forma e con le idee chiare, sì annoiati dagli ormai noti effetti della pandemia in corso, ma sempre sul pezzo quando si tratta di imbastire del solido death metal con quel pizzico di tecnica e di inventiva necessari per non ripetersi ad oltranza. La Metal Blade Records ci ha chiesto espressamente di evitare domande sull’ex chitarrista Pat O’Brien e sul suo ormai famigerato arresto, ma, una volta preso nota di tale richiesta, niente ci ha impedito di goderci la chiacchierata con il bassista e leader Alex Webster, da sempre persona davvero amichevole e ancora genuinamente appassionata del death metal e di tutto ciò che ruota attorno al suo gruppo.
CREDO CHE L’HIGHLIGHT DI QUESTI ULTIMI ANNI DI CARRIERA DEI CANNIBAL CORPSE SIA STATO L’INGRESSO IN FORMAZIONE DI ERIK RUTAN. OVVIAMENTE ERAVATE GIÀ DA ANNI IN OTTIMI RAPPORTI CON LUI. CHE EFFETTO FA AVERLO ORA NELLA BAND?
– Credo che si sia trattato del cambiamento più indolore della storia della band. Come hai detto, noi e lui ci conosciamo da parecchio tempo: non solo siamo amici da quando eravamo ragazzi, ma Erik, come sai, ha anche prodotto diversi nostri album. Io, a mia volta, ho suonato su un paio di lavori degli Hate Eternal, oltre a partecipare al progetto Alas negli anni Novanta. Non so quanti abbiano familiarità con questi ultimi, ma si trattava di un gruppo dalle sonorità più vicine al progressive metal. Comunque, per noi Erik ha sempre rappresentato un volto amico, qualcuno con le nostre stesse radici, i nostri stessi gusti a livello musicale, oltre ad essere una persona estremamente affabile. Dopo averci aiutato come chitarrista nel corso degli ultimi tour intrapresi, è stato naturale chiedergli di entrare a fare parte del gruppo in veste ufficiale. Come dicevo, fatichiamo quasi a notare la differenza rispetto al passato, dato che Erik ha sempre fatto parte della nostra famiglia.
CHE COSA PORTA ERIK RUTAN NEI CANNIBAL CORPSE A LIVELLO COMPOSITIVO?
– Per prima cosa, bisogna sottolineare come Erik sia un musicista talmente esperto e versatile che non è stato assolutamente necessario chiedergli di adattare il suo modo di comporre ai Cannibal Corpse. Quando gli abbiamo detto che doveva sentirsi libero di portare le sue idee, i pezzi che ci ha presentato hanno subito mostrato tutti gli ingredienti chiave del nostro sound. Certo, Erik è un ottimo chitarrista e puoi chiaramente sentire il suo stile, ma il materiale a suo nome non è qualcosa che potresti ascoltare anche sui dischi degli Hate Eternal. Ha composto per i Cannibal Corpse, con il proprio inconfondibile tocco, ma senza andare a toccare lidi estranei al gruppo. La differenza sostanziale sta nel modo in cui è solito curare gli assoli – è bravissimo nello sposare tecnica e armonia, in questo siamo ben lontani da certe soluzioni slayeriane – e in certi arrangiamenti: i suoi brani vedono spesso le chitarre duellare e prendere strade diverse, mentre i nostri pezzi in questo senso hanno quasi sempre un approccio più lineare.
SUPPONGO CHE TU SIA ANCORA IL COMPOSITORE PRINCIPALE PERÒ…
– Sì, tutto sommato sono sempre quello che porta più canzoni finite ogni volta che c’è da mettere insieme un nuovo album. Tuttavia sono anni che cerchiamo deliberatamente di dividerci il songwriting in parti uguali. Rob (Barrett, ndR), l’altro nostro chitarrista, compone almeno tre pezzi ad ogni appuntamento. Ognuno di noi ha il suo stile ed è bello mettersi a comporre sapendo che i tuoi compagni stanno facendo lo stesso e che alla fine ognuno sarà in grado di mettere sul piatto una manciata di brani davvero competitiva. Facciamo in modo che ognuno di noi curi al massimo i tre/quattro pezzi che ha in lavorazione, così da avere una tracklist solidissima e al tempo stesso variegata, visto che appunto non abbiamo lo stesso modo di scrivere riff o studiare i cambi di tempo. Credo che, ad un ascolto attento, sia piuttosto facile riconoscere quali siano i miei brani, quelli di Rob e, questa volta, quelli di Erik. “Inhumane Harvest”, il primo singolo che abbiamo lanciato, è di Rob e sono contento che sia stato scelto come primo assaggio, visto che è davvero orecchiabile, come spesso avviene quando è lui al timone.
STA DIVENTANDO DIFFICILE COMPORRE MATERIALE INTERESSANTE DOPO TUTTI QUESTI ANNI?
– Puoi dirlo forte. Abbiamo così tanti album alle spalle e la concorrenza è sempre agguerrita: siamo molto severi con noi stessi ed è per questo che impieghiamo molto tempo a comporre. L’idea di dividerci i brani nasce anche come conseguenza di questa situazione: comporre un intero album da zero da solo sarebbe un’impresa scoraggiante all’inizio, mentre, avendo modo di potersi concentrare solo su una manciata di canzoni, è più facile prenderci gusto e restare concentrati su ogni piccolo dettaglio. Credo che come Cannibal Corpse abbiamo raggiunto il capolinea a livello di pura evoluzione stilistica: abbiamo ormai un nostro sound consolidato e non ci interessa cambiarlo troppo. È tuttavia imperativo che ogni nostro album regga il confronto con il precedente. Non vogliamo inventare un nuovo modo di fare death metal, ma vogliamo che le nostre nuove canzoni non sfigurino con quanto fatto in passato. Per noi è molto importante che ogni nostro nuovo disco vada ad aggiungere qualcosa al nostro repertorio. Non siamo quel gruppo che va in tour e che suona solo pezzi di venti o trent’anni prima.
NON CAPITA SPESSO CHE IL COMPOSITORE PRINCIPALE DI UNA DEATH METAL BAND SIA IL BASSISTA. CI HAI MAI PENSATO?
– Sì, in effetti è abbastanza singolare. Devo dire che negli anni ho anche composto con la chitarra, ma il basso resta il mio primo strumento e la maggior parte delle canzoni del gruppo sono nate da lì. Negli ultimi anni ho notato che quando compongo con il basso tendo a confezionare i brani più rocciosi ed elaborati, mentre la chitarra mi porta su registri più rapidi e thrash. Mi piace alternare questi due approcci, puoi sentirlo chiaramente se confronti i brani che ho scritto negli ultimi album.
“RED BEFORE BLACK”, IL VOSTRO ORMAI PENULTIMO ALBUM, AVEVA IN EFFETTI UN TAGLIO PIÙ THRASH E SCORREVOLE. MOLTE DI QUELLE CANZONI SONO PARTICOLARMENTE ORECCHIABILI…
– Abbiamo ovviamente sempre avuto un retaggio thrash, ma devo dire che per qualche album abbiamo deciso di non concedergli troppo spazio. Avevamo preso questa piega evolutiva che ci stava portando su lidi sempre più tecnici e non volevamo interromperla. Forse con “Red Before Black” ci siamo lasciati più andare e le vecchie influenze di Slayer, Kreator e Dark Angel sono tornate ad affiorare. D’altronde, non abbiamo mai fatto mistero di essere cresciuti con quella musica. Per certi dischi però era importante metterci alla prova e cercare nuove strade, pur restando subito identificabili come Cannibal Corpse. Siamo cresciuti tanto come musicisti nel corso della nostra carriera e adottare sempre le stesse formule alla lunga può risultare noioso.
HO LETTO UN’INTERVISTA IN CUI SOSTENEVI CHE UN DISCO COME “THE BLEEDING” FOSSE IN PARTE NATO COME RISPOSTA A CHI VI VEDEVA SU UN PIANO INFERIORE RISPETTO A DEATH O MORBID ANGEL…
– Non direi che ci sentissimo sotto pressione o che soffrissimo di un complesso di inferiorità. Semplicemente, ammiravamo molto ciò che quei gruppi stavano facendo a livello strumentale: sia Death che Morbid Angel stavano inventando cose geniali nel death metal, facendo più leva sulla tecnica e dando vita a strutture che sino ad allora non si erano mai sentite. Noi venivamo da dischi molto apprezzati, ma nei quali potevi ancora sentire le influenze del metal degli anni Ottanta. A quel punto della nostra carriera abbiamo deciso di impegnarci ancora di più sui nostri strumenti e di metterci in una sana competizione con i nostri colleghi. “The Bleeding” è stato il primo album ad essere composto con quel nuovo approccio, cercando di variare maggiormente le strutture, di trovare riff più ingegnosi, ecc. Devo dire che è qualcosa che continuiamo a fare ancora oggi: i brani che Erik ha composto sono piuttosto tecnici ed è stato bello misurarsi con essi. Paul (Mazurkiewicz, il batterista, ndR) ha fatto un gran lavoro, lui continua a migliorare ed è un esempio per tutti noi.
NON SI FINISCE MAI DI IMPARARE…
– È proprio quello che intendo dire. Sono orgoglioso del fatto che ogni nostro album mostri una band sempre più preparata tecnicamente. Anche a livello di produzione abbiamo imparato parecchie cose negli anni: pur utilizzando computer e la tecnologia, siamo sempre riusciti a dare ai dischi un suono live, qualcosa di crudo, simile all’esperienza dal vivo. L’idea è di farsi aiutare dalla tecnologia, non di diventare succubi di essa, e per farlo devi studiare. In generale abbiamo sempre cercato di migliorarci e di non dare niente per scontato. Io stesso come bassista ho provato varie tecniche negli anni e ho cercato di farmi guidare da coloro che ne sapevano più di me, come Tony Choy e Steve Di Giorgio. Quando ho iniziato a suonare loro erano musicisti più preparati e sono stati molto disponibili nel darmi delle dritte. Poi è toccato a me applicarmi e studiare sempre di più lo strumento. Sono principi che valgono ancora oggi.
PENSO CHE ANCORA OGGI VI SIA UNA SORTA DI LUOGO COMUNE CHE VUOLE I DISCHI DEI CANNIBAL CORPSE TUTTI PIÙ O MENO UGUALI, QUANDO INVECE, PUR ADERENDO INDUBBIAMENTE AD UN CERTO STILE, VI SIETE REGOLARMENTE PRESI QUALCHE RISCHIO E CAMBIATO LEGGERMENTE LA FORMULA…
– Sì, come dicevamo, puoi sentire una certa evoluzione tecnica dopo i primi due/tre album e la cosa è proseguita a fasi alterne una volta che George è entrato nella band come cantante. Abbiamo sempre cercato di mescolare le carte a cadenza regolare: per noi è importante non tradire le proprie origini e restare immediatamente riconoscibili, ma non ha senso confezionare sempre lo stesso album. Ad esempio, credo che un lavoro come “Gallery of Suicide” potesse vantare varie trovate interessanti per l’epoca: un pezzo come “From Skin to Liquid”, in particolare, era piuttosto azzardato. Poi, alcuni anni dopo, hai un disco come “Kill”, con il quale siamo riusciti a unire un certo tecnicismo di fondo con delle parti molto orecchiabili. Infine credo che “Violence Unimagined”, con l’ingresso di Erik, apra un nuovo capitolo della nostra storia. Come ti dicevo, non credo che ci evolveremo ancora a livello stilistico, ma vi sono ampi margini per affinare ulteriormente il nostro modo di comporre e realizzare qualcosa di fresco.
“KILL” FU UN GRANDE SUCCESSO: PENSO CHE SIA IL DISCO CHE ABBIA RILANCIATO LA CARRIERA DEI CANNIBAL CORPSE, DOPO CHE, TRA I TARDI ANNI NOVANTA E I PRIMI DUEMILA, IL DEATH METAL E IL VOSTRO NOME NON ERANO PIÙ SULLA BOCCA DEL GRANDE PUBBLICO…
– Parliamo di un disco molto fortunato, sono d’accordo. Credo che il fatto di comporlo senza alcuna pressione abbia influenzato positivamente il risultato finale. Poi è stato pubblicato al momento giusto, anche se all’epoca non lo sapevamo. Se ci guardiamo indietro, il 2005-2006 sono stati anni importanti per il metal: gruppi come Trivium, As I Lay Dying e altre realtà simili sono esplose definitivamente, portando tanti giovani ascoltatori ad avvicinarsi al metal. “Kill” è uscito e tutto a un tratto ci siamo ritrovati ad essere qualcosa di nuovo per queste fasce di ascoltatori che avevano solo una vaga idea di cosa fosse il death metal. Vi è stato un forte ricambio a livello generazionale e tanti veterani della scena ne hanno giovato, non solo noi. Le possibilità di andare in tour si sono moltiplicate, i dischi hanno ripreso a vendere e siamo stati capaci di ricostruirci un seguito anche fuori dalla solita scena underground. Dopo “Kill” tutto è stato più facile. Credo che in quel periodo avremmo potuto pubblicare un qualsiasi altro album della nostra discografia e il risultato sarebbe stato simile: certo il valore di “Kill” è indubbio, ma resta il fatto che quello è stato un momento speciale per tutta la musica heavy, soprattutto negli USA.
I CANNIBAL CORPSE SONO COMUNQUE SEMPRE STATI UN NOME PIUTTOSTO POPOLARE ANCHE FRA QUEGLI ASCOLTATORI NON NECESSARIAMENTE DIE-HARD FAN DEL DEATH METAL. SECONDO TE QUAL È IL MOTIVO?
– Credo che, a differenza di altre death metal band nostre coetanee, noi abbiamo sempre avuto la curiosità di provare cose nuove. Tornando al periodo della pubblicazione di “Kill”, ad esempio, ricordo che non esitammo ad accettare offerte di tour e di festival itineranti con gruppo anche lontanissimi dal death metal. Ricordo, ad esempio, il Sounds of the Underground tour, che ci ha visto suonare in lungo e in largo per gli USA e il Canada con una decina di altre band, fra cui In Flames, Trivium o Terror. Ci esibivamo nel tardo pomeriggio, non eravamo headliner, e di conseguenza non venivamo pagati come al solito. Però è stato un investimento importante: scegliendo di prendere parte a quel tour, abbiamo avuto modo di suonare davanti a un pubblico nuovo e di guadagnare tantissimi nuovi fan ogni sera. Altre death metal band della nostra generazione invece hanno preferito restare nel nostro classico ambiente. In Europa una volta siamo andati in tour con i Children Of Bodom per lo stesso motivo: abbiamo voluto presentarci davanti a dei ragazzi che non conoscevano il death metal. In tanti hanno detto “no, grazie”, ma tanti altri ci hanno scoperto e sono diventati nostri fan. Ancora oggi possiamo contare su un seguito di pubblico che è stato costruito in quegli anni, mentre altri colleghi non possono dire lo stesso.
IN EFFETTI SI DICE SPESSO CHE QUASI OGNI FAN DI DEICIDE O MORBID ANGEL È ANCHE UN FAN DEI CANNIBAL CORPSE, MA NON VICEVERSA, NEL SENSO CHE IL VOSTRO PUBBLICO È DECISAMENTE PIÙ AMPIO E VARIEGATO…
– Sì, quanto dici è evidente. Nel nostro piccolo cerchiamo di sfruttare questa popolarità per portare nuovo pubblico al death metal. Ogni volta che andiamo in tour per conto nostro, facciamo il possibile per farci accompagnare da un paio di gruppi emergenti scelti da noi. Non vogliamo che le case discografiche si intromettano per appiopparci band in cui non crediamo. Siccome siamo soliti suonare davanti a molta gente, ci fa piacere che delle giovani band che stimiamo abbiano modo di esibirsi davanti al nostro pubblico e fare sì che possano guadagnare nuovi fan. Lo abbiamo fatto con gruppi italiani come Hour Of Penance e Hideous Divinity, ad esempio, ma anche con realtà di altri paesi. Penso ai Krisiun, agli Aeon… è il minimo che possiamo fare per supportare la scena e renderla più forte.
PARLANDO DI TOUR, PURTROPPO A CAUSA DELLA PANDEMIA SIETE FERMI DA UN ANNO, COME QUALSIASI ALTRA BAND. CHE PIANI AVETE PER IL FUTURO?
– Credo proprio che sarà difficile vederci in tour quest’anno. Ho fiducia nel vaccino, ma un tour come quelli che siamo soliti intraprendere non si organizza in breve tempo. Penso che quest’anno resteremo fermi, per poi uscire finalmente a inizio 2022. Abbiamo voglia di suonare le nuove canzoni e di affiatarci ulteriormente con questa nuova line-up, ma bisogna avere pazienza. Ci sentiamo privilegiati perché siamo musicisti di professione e perché al tempo stesso stiamo riuscendo a sopravvivere pur restando fermi, mentre vi sono musicisti che lo fanno per hobby e che per giunta hanno perso il loro vero lavoro per questa pandemia. Il nostro pensiero va a loro.
COME HAI TRASCORSO L’ULTIMO ANNO?
– Ho la fortuna di essermi trasferito in Oregon qualche anno fa: qua la natura è stupenda e io e mia moglie ne abbiamo approfittato con lunghe camminate, esercizio, ecc. In Florida le cose sarebbero state un po’ più difficili in questo senso, visto che la popolazione è più numerosa e vi sono meno spazi. Ho poi suonato, come sempre, e ascoltato tanta musica. Tutte cose normali: in un momento così delicato è importante avere degli hobby e distrarsi. Ho ascoltato tanto death metal, come al solito: mi ero dimenticato di quanto fossero orecchiabili i Blood Red Throne! Poi Aeon, Blood Incantation, Perdition Temple, Immolation… gruppi nuovi e veterani. Gli anni passano, ma resto prima di tutto un fan di questa musica e solo successivamente un musicista.