Sono trascorsi ben otto anni da “Surgical Steel”, ma il tempo sembra una dimensione piuttosto relativa per i Carcass, che in punta di piedi hanno di nuovo fatto capolino nel mercato discografico con un album che presenta qualche novità e che al tempo stesso, nella sua relativa eccentricità, li conferma fra i nomi da seguire con attenzione nel vastissimo panorama extreme metal degli anni Duemila. Un’opera destinata a fare discutere per via dei suoi accesi contrasti e della sua struttura impervia, il nuovo “Torn Arteries” è un disco che sin dal primo ascolto si rivela carico di elementi familiari, ma anche di un’attitudine vagamente sperimentale che almeno in certi tratti lo rende ostico e certamente meno immediato di tutti i capitoli discografici precedenti. Parliamo del successore del fortunato “Surgical Steel” e del suo parziale distacco da certe collaudate formule death metal con il cordiale Bill Steer, da sempre principale compositore dei veterani britannici…
AVETE IMPIEGATO MOLTO TEMPO PER PUBBLICARE UN NUOVO ALBUM. A COSA SONO DOVUTI GLI OTTO ANNI TRASCORSI FRA “SURGICAL STEEL” E “TORN ARTERIES”?
– Ci sono molteplici fattori di cui tenere conto. Io e Daniel, il nostro batterista, abbiamo iniziato a lavorare su alcuni riff e certe strutture già quattro o cinque anni fa, quando “Surgical Steel” era ancora tutto sommato fresco. Poi le continue richieste di tour e date dal vivo ci hanno costretto a interrompere più volte la lavorazione. Infine è arrivata la pandemia e, come tutti, non abbiamo potuto procedere oltre. Per mesi non abbiamo fatto nulla, anche se ognuno di noi ha continuato a pensare al disco a casa. Poi finalmente siamo riusciti a registrare tutto e a completare il mixaggio e l’artwork, ma alla fine abbiamo deciso di attendere un po’ prima di pubblicarlo, perchè la situazione ci sembrava ancora incerta e non volevamo dare alle stampe un album senza avere alcuna possibilità di promuoverlo con dei concerti. Ora le cose sembrano andare leggermente meglio, quindi ecco che il disco è finalmente in uscita. Non mi sembra che siano trascorsi otto anni, ma il tempo vola…
VISTO CHE VI HAI ACCENNATO, COME HAI VISSUTO LA PANDEMIA E IL NON POTERE ANDARE IN TOUR?
– A dire il vero, per me non è stata un’esperienza così negativa. Almeno all’inizio, ho accolto con un certo piacere la possibilità di passare più tempo a casa e riposarmi con accanto la mia famiglia. Con i Carcass siamo stati in tour quasi sempre dopo l’uscita dell’ultimo disco, mi serviva una pausa. Ho trovato più snervanti questi ultimi mesi, quando la libertà è più volte sembrata dietro l’angolo, ma poi a conti fatti non si era in grado di fare esattamente tutto come una volta. Vedi anche i tour o i festival: ne sono stati annunciati parecchi, ma poi molti hanno dovuto ritrattare e posticipare nuovamente tutto.
ANCHE VOI DOVEVATE IMBARCARVI IN UN TOUR EUROPEO CON ARCH ENEMY E BEHEMOTH…
– Esatto. Anche quello è stato spostato al prossimo anno. Pensavamo che sarebbe stato il primo tour di supporto al nuovo album, ma evidentemente dovremo avere ancora un po’ di pazienza.
PARLIAMO ALLORA DEL NUOVO “TORN ARTERIES”, UN DISCO CHE PERSONALMENTE NON TROVO DI FACILE ASCOLTO. SEMBRA CHE ABBIATE VOLUTO SPERIMENTARE VARIE SOLUZIONI NUOVE E ALLONTANARVI DALLA FORMULA MOLTO FORTUNATA DI “SURGICAL STEEL”…
– Credo che in generale i Carcass abbiano sempre cercato di fare qualcosa di diverso con ogni disco. Forse è proprio “Surgical Steel” a rappresentare l’eccezione a questa regola. Con “Torn Arteries” l’idea è stata di provare cose nuove, di confezionare canzoni dei Carcass che non assomigliassero ad altre del passato. Senza parlarne apertamente, credo che fra di noi fosse chiara l’idea che non potevamo semplicemente replicare quanto fatto per l’ultimo album. Dopo tanti anni passati a suonare sempre le stesse canzoni in tour, la tua visione della musica tende a cambiare e senti la necessità di fare altro. Senza contare che come band – parlo soprattutto di me, Jeff e Daniel – abbiamo sviluppato un affiatamento tale da potere ambire a cose non necessariamente vicine al tipico suono del gruppo. Volevo che ogni brano contenesse un elemento di novità. Ad esempio, a livello di ritmiche e suoni, è un disco molto più ‘aperto’ di “Surgical Steel”: quest’ultimo andava sempre al massimo, non calava mai di intensità, mentre trovo che il nuovo lavoro sia più dinamico. Certo, vi sono molti elementi in ogni brano e penso che non possa essere visto come un ascolto facile di primo acchito, ma alle mie orecchie è quanto di più spontaneo e naturale potessimo creare in questa circostanza. Mi sono divertito molto nel registrare le parti di chitarra: i riff hanno maggiore spazio per respirare e vi sono più elementi su cui ho potuto lavorare. Nel disco precedente puntavamo quasi sempre solo sull’aggressività.
PARLAMI DI UN BRANO COME “FLESH RIPPING TORMENT LIMITED”, IL QUALE CREDO SIA IL PEZZO DEI CARCASS PIÙ LUNGO DI SEMPRE…
– Quella canzone è davvero molto lunga, ma, curiosamente, non è stata concepita in un modo diverso dalle altre. Mi sono ritrovato con una serie di riff che non funzionavano da nessun’altra parte e, provando a metterli insieme, mi sono presto reso conto che avrei potuto realizzare un pezzo più lungo del normale, con un’atmosfera piuttosto particolare. Ci abbiamo lavorato a fasi alterne per molto tempo, fino a quando ci siamo ritrovati con questa composizione che non è accostabile a nulla di quanto fatto da noi in precedenza. Non so nemmeno come definirla, se non che è effettivamente davvero lunga e insolita per noi.
SI SENTE ANCHE UNA CERTA COMPONENTE HARD ROCK, SE NON BLUES, IN ALCUNI PASSAGGI. HAI RECUPERATO ALCUNE IDEE DAL PERIODO DI “SWANSONG”?
– No, tutto il materiale che puoi sentire sul disco è stato concepito negli ultimi anni. “Surgical Steel” invece conteneva un bel po’ di riff che erano stati registrati negli anni Novanta. Per questo nuovo lavoro siamo partiti da zero, quindi mi sento di dire che ciò che puoi sentire in queste canzoni sia quello che mi viene più naturale comporre e suonare oggi. Non avrebbe avuto senso cercare di suonare death metal ad ogni costo o cercare di realizzare una seconda parte dell’album precedente. Non sarebbe stato onesto nei confronti dei fan e noi stessi ci saremmo presto stancati di fronte a quel sound. Se i nuovi brani suonano così è proprio perchè sono stati composti senza fare calcoli, assemblando i riff e le idee che sorgevano spontaneamente. Senza dubbio vi sono vari elementi heavy rock o comunque non prettamente extreme metal, ma è normale che vi siano, dato che ascolto quasi esclusivamente musica degli anni Sessanta e Settanta, oltre alla classica NWOBHM.
IMMAGINAVO INFATTI NON FOSSI UN AVIDO ASCOLTATORE DEL METAL ESTREMO DI OGGI…
– No, in effetti sono parecchi anni che sono completamente estraneo a quel mondo. Daniel è la persona giusta per parlare di nuove band: lui è molto più giovane di me e Jeff e ha sempre voglia di tenersi aggiornato. Per me il death metal è una musica legata alla mia gioventù, mentre oggi preferisco ascoltare altro.
AVENDO ACCENNATO A “SWANSONG”, PENSI CHE QUEL DISCO SIA STATO RIVALUTATO DA ALMENO PARTE DELLA VOSTRA AUDIENCE OGGI?
– Penso di sì, credo che non sia più considerato una macchia nella nostra discografia (ride, ndR). Secondo me tanti dischi di quel periodo oggi vengono ascoltati senza preconcetti. Continuo ad essere soddisfatto di “Swansong”, ha delle ottime canzoni ed evidentemente qualcuno se ne è finalmente accorto (ride, ndR). Con il nuovo album non abbiamo cercato di ricollegarci ad esso, ma è normale che certi suoni ricordino quel periodo della nostra carriera. Dopo tutto si tratta di album composti dalle medesime persone.
HO POI L’IMPRESSIONE CHE IL FAN MEDIO DEI CARCASS DI OGGI NEMMENO SI RICORDI DELL’USCITA DI QUEL DISCO…
– Quello che dici è vero. C’è stato un forte ricambio generazionale nel nostro pubblico da quando siamo tornati. Durante i primi concerti dopo la reunion mi capitava di vedere moltissimi nostri coetanei o ascoltatori che arrivavano dagli anni Novanta, mentre oggi abbiamo un pubblico più giovane, che magari nemmeno era nato quando alcuni dischi sono usciti. Certi discorsi e polemiche risultano dunque sempre più antiquati.
TORNANDO AL NUOVO DISCO E ALLA SUA SPICCATA VARIETÀ A LIVELLO DI SOLUZIONI, COME PENSI CHE VERRÀ ACCOLTO DAI VOSTRI FAN? CREDI CHE “SURGICAL STEEL” FOSSE UN DISCO PIÙ ‘FACILE’ E CHE ABBIATE DATO AI FAN ESATTAMENTE QUELLO CHE VOLEVANO ASCOLTARE, MENTRE CON “TORN ARTERIES” ABBIATE ALZATO LA POSTA IN GIOCO?
– Non la metterei esattamente in questi termini perchè “Surgical Steel” è nato spontaneamente. Al di là di quei riff recuperati da vecchie cassette, quella è la musica che ci siamo sentiti di suonare quando siamo tornati insieme. Non abbiamo mai cercato di analizzare e prevedere la reazione del pubblico. Su quel disco puoi sentire tre persone in sala prove che suonano quello che all’epoca veniva loro più naturale, senza grandi calcoli. Non a caso alla lunga l’album può apparire un po’ monotematico. Il nuovo album suona diversamente perchè alle spalle abbiamo molti più tour assieme, durante i quali abbiamo potuto notare come certi brani mancassero di dinamiche. Questa volta abbiamo cercato di suonare senza avere la velocità e l’aggressività come punti fermi, cosa che ci ha portato a comporre canzoni più scorrevoli e naturali, dove emergono altri elementi.
L’APPROCCIO PIÙ SCIOLTO SI SENTE ANCHE NELLA PRODUZIONE, NELLA QUALE AVETE OPTATO PER SUONI PIÙ CALDI E RUVIDI RISPETTO A QUELLI DI “SURGICAL STEEL”…
– Sono d’accordo, questo disco suona più vicino a come suoniamo dal vivo. Si tratta di una produzione più calda e organica, l’ideale per una band come la nostra. Con “Surgical Steel” ci siamo trovati a dovere scendere a compromessi con ingegneri del suono che avevano il pallino della pulizia, cosa comune nel metal di oggi. E’ come se ci fosse una guerra fra produttori, con tutti che ambiscono ad ottenere il suono più immacolato possibile, sino al punto di sembrare irreale. Non importa quante volte glielo dirai, cercheranno sempre di remare in quella direzione. Questa volta invece siamo stati più fortunati: abbiamo lavorato con David Castillo in Svezia, il quale ha capito subito che cosa volevamo ottenere con questo album.
OLTRE ALL’HARD ROCK, AL BLUES, AL METAL CLASSICO, ECC, “TORN ARTERIES” CONTIENE ANCHE E SOPRATTUTTO DEL CLASSICO SUONO CARCASS. DA MUSICISTA CHE NON ASCOLTA PIÙ DEATH METAL, DEVI TROVARTI IN UN CERTO STATO D’ANIMO PER COMPORRE CERTE COSE?
– Mettiamola così: non devo essere per forza arrabbiato per comporre tipica musica per i Carcass. Però capisco cosa intendi. Devo ammettere che non compongo musica per i Carcass ogni giorno: devo aspettare che mi venga l’ispirazione e infatti non è un caso che dal disco precedente sia passato del tempo. Quando sento che il momento è giusto, i riff mi vengono naturali, anche se appunto nel quotidiano non ascolto nulla di accostabile al death metal. Quando ho materiale a sufficienza, inizio ad assemblare i brani e lì inizia il processo che più amo. Con un gruppo come i Firebird invece le idee mi venivano a getto continuo, era un processo più libero e regolare, cosa che penso emerga anche dalle vibrazioni che la musica di quella band trasmette. Per i Carcass devo essere più disciplinato, senza dubbio.
I CARCASS SONO TUTTAVIA IL TUO GRUPPO PRINCIPALE. CON LORO VAI IN TOUR ANCHE PER INTERI MESI. HAI MAI L’IMPRESSIONE CHE SI TRATTI DI UN LAVORO COME UN ALTRO? VI SONO DEI GIORNI IN CUI NON HAI AFFATTO VOGLIA DI SUONARE DEATH METAL?
– I Carcass possono diventare un lavoro noioso quando in tour ci tocca sprecare tantissimo tempo negli aeroporti, negli hotel, etc. Non provo mai noia quando si tratta di suonare con la band. Anche se suoniamo con gruppi che non conosco e ascolto, all’interno di un festival o di un tour, resta un immenso piacere salire sul palco e suonare questa musica per i nostri fan. Quella dimensione non sarà mai un lavoro. Il fastidio sorge quando devi aspettare un bus o una navetta, quando devi fare tutte quelle cose di contorno che non hanno niente a che fare con il suonare in una band.
PENSI CHE L’AVERE SUONATO CON I FIREBIRD O CON GLI ANGEL WITCH A UN CERTO PUNTO ABBIA ARRICCHITO LE TUE COMPETENZE E TI ABBIA MESSO NELLE CONDIZIONI DI CONCEPIRE I BRANI DEI CARCASS IN MODO DIVERSO?
– In un certo senso, sì, ma credo che il processo di raffinamento della musica dei Carcass sia iniziato anche prima. Dopo un po’ abbiamo cercato di scrivere canzoni che avessero un senso e che rimanessero in mente, pur nella loro velocità e violenza. Alla lunga abbiamo perso interesse nell’essere contorti a ogni costo e abbiamo preferito concentrarci sulla stesura di vere e proprie canzoni, anche se non sempre abbiamo puntato su un ritornello chiaro. Questo approccio era riscontrabile già negli anni Novanta. Poi dopo la reunion ciò è forse risultato ancora più evidente. Apprezzo le enormi capacità tecniche di certi musicisti metal di oggi, ma i Carcass hanno da tempo un approccio diverso, più incentrato sulla canzone.
DOPO “SURGICAL STEEL” AVETE PUBBLICATO UNA SERIE DI SINGOLI ED EP CHE SOSTANZIALMENTE ERANO GLI SCARTI DELLE REGISTRAZIONI DI QUEL DISCO. AVETE INTENZIONE DI FARE LO STESSO PER “TORN ARTERIES”?
– In pratica lo abbiamo già fatto. L’EP “Despicable” contiene alcuni pezzi che abbiamo deciso di lasciare fuori dall’album. Non ci è rimasto molto altro materiale. Per “Surgical Steel” abbiamo svuotato i cassetti dopo, mentre questa volta abbiamo deciso di farlo prima dell’uscita del disco, così da dare qualcosa in pasto ai fan mentre erano in attesa. Per entrambi questi dischi abbiamo deciso di registrare più pezzi possibile, poi abbiamo fatto una selezione.
PER CONCLUDERE, NON POSSIAMO EVITARE DI MENZIONARE LA COPERTINA DEL DISCO, CON IL SUO COLLAGE DI ORTAGGI A FORMA DI CUORE. UN RIFERIMENTO AL VOSTRO ESSERE VEGETARIANI?
– L’idea è di Jeff. Mentre io lavoravo alla musica, lui si è occupato dell’artwork. Non so darti moltissimi dettagli a riguardo, ma mi piace pensare che il collage sia un accenno alle copertine dei primi dischi. Magari c’è anche il riferimento al nostro essere vegetariani, ma non posso dirlo con certezza. Senz’altro è una copertina molto diversa dagli standard metal: tante persone la ameranno e altrettanto la odieranno. Credo che a conti fatti quello fosse il vero intento di Jeff.
UN’ULTIMA CURIOSITÀ: IN ALCUNE DELLE ULTIME FOTO PROMOZIONALI SIETE IN TRE, IN ALTRE IN QUATTRO. QUAL È LA FORMAZIONE DEI CARCASS AL MOMENTO?
– Siamo a tutti gli effetti un terzetto in studio, con me alla chitarra, Jeff al basso e voce e Daniel alla batteria. Il quarto membro del gruppo, come ci vedi dal vivo, è Tom Draper. È il nostro secondo chitarrista da qualche anno. Non compare in tutte le recenti foto promozionali perchè è bloccato negli USA da oltre un anno a causa della pandemia. Non è riuscito a tornare qui in tempo per fare le nuove foto (ride, ndR).