CATHEDRAL – Faccia a faccia con Lee Dorrian

Pubblicato il 03/11/2002 da

Lee Dorrian è stato (ed è ancora) indubbiamente una delle più rappresentative icone nel mondo metal… tra i membri fondatori dei prime movers del grindcore Napalm Death, all’inizio degli anni Novanta ha dato vita alla propria band, i Cathedral, rivelando il suo animo più depresso e meno solare, producendo sempre ottimi dischi senza mai fermarsi nonostante il rischio di diventare stantio, sperimentando sempre nuove sonorità (anche in progetti paralleli ai Cathedral stessi), fino a giungere ai giorni odierni ed al nuvo “Seventh Coming”. Ecco il resoconto di una interessante chiaccherata con il loquace frontman della band inglese che ha visto, tra gli altri argomenti trattati, un’esposizione abbastanza accurata sulla nascita e sulle principali caratteristiche del nuovo disco, a poco tempo dalla sua uscita sul mercato…
COMINCIAMO PARLANDO DEL NUOVO DISCO: POSSIAMO CONSIDERARLO COME UN ULTERIORE PASSO IN AVANTI NELLA CARRIERA DEI CATHEDRAL?
“E’ piuttosto difficile da dire, perché solitamente mentre registro un nuovo disco non penso ad una cosa del genere; in definitiva è solamente un nuovo album, forse più personale ed introverso rispetto a quelli passati, una sorta di continuazione del precedente con, in aggiunta, sempre qualcosa di diverso che gli dia un’impronta stilistica leggermente diversa… be’, in conclusione, considerando tutto il percorso evolutivo che ho attraversato fino ad oggi, questo disco può in effetti essere considerato un ulteriore passo avanti nella carriera dei Cathedral. Musicalmente parlando, ovviamente”.

SECONDO TE “SEVENTH COMING” E’ UN ALBUM DI PASSAGGIO, UNA PIETRA MILIARE O UN EPISODIO A PARTE DELLA TUA CARRIERA?
“Una domanda interessante… non ci ho mai pensato! E’ davvero difficile dirlo, anche perché tu sai che non è facile esprimere questo genere di considerazioni quando stai parlando di un tuo album. Musicalmente penso sia il disco più complesso che abbiamo mai realizzato, anche se non si può certo parlare di pietra miliare, non è questo che rende un disco fondamentale…”.

QUAL E’ PER TE IL POSTO MIGLIORE PER SCOLTARE “SEVENTH COMING”?
“Mmmm… direi una grande stanza, con luci abbassate ed una bevanda alcolica in mano”.

PUOI DIRMI QUALCOSA CHE RIGUARDI LA REGISTRAZIONE DI QUESTO DISCO, PER ESEMPIO SUGLI STUDIOS E SULLA PRODUZIONE?
“Gli studios sono gli stessi dove abbiamo registrato i nostri ultimi due dischi, i ‘Chapel’, che si trovano nel Nord-Est dell’Inghilterra. Si tratta di una vecchia chiesa che è stata trasformata in studio di registrazione; è un bel posto, e per di più completamente isolato, non c’è una casa, né un negozio o qualsiasi altra costruzione fino a dieci miglia di distanza, e per questo si tratta di un ottimo luogo in cui focalizzare le proprie energie su quello che si sta facendo concentrandosi al meglio, perchè non ci sono distrazioni. Il produttore è Kit Woolven, la principale ragione per cui l’abbiamo scelto è che eravamo sicuri che avrebbe dato il giusto tocco alle nostre nuove composizioni, che risultavano più melodiche e varie che in passato; inoltre, da precedenti esperienze con lui, sapevamo che era l’uomo giusto per far risaltare al meglio questo gusto melodico nelle canzoni perché l’avevamo già visto lavorare in passato… sappiamo quindi come lavora e, visto che avevamo in mente quello che volevamo dalle nostre nuove canzoni a livello di produzione, abbiamo ritenuto che lui avrebbe potuto far suonare il disco esattamente come desideravamo”.

COME RITIENI CHE SIA CATALOGABILE “SEVENTH COMING”, E IN CHE COSA SI DIVERSIFICA DAL DISCO PRECEDENTE?
“Non mi piace descrivere o catalogare un disco. Sai, tutte queste definizioni… stoner rock, heavy metal, doom metal… bah, non mi interessano, davvero”.

BE’, IN EFFETTI ANCH’IO PENSO CHE OGGI CI SIANO TROPPE ETICHETTE (non intendo le label, nda) E TROPPI STILI MUSICALI NEL METAL, A VOLTE SI CREA TROPPA CONFUSIONE…
“Non capisco perché la gente si ostini a cercare definizioni a tutti i costi senza prendere semplicemente la musica per quello che è… era meglio negli anni Settanta, quando c’era un solo stile per la musica pesante, il rock. Ora invece l’heavy metal ha tantissimi sottogeneri, ma a me non interessano, capisci… voglio che la gente ascolti la mia musica solo per quello che rappresenta realmente, senza curarsi di tutto questo, è così che la penso. Non saprei davvero come definire la musica su questo disco, spero che venga considerato come un album hard rock ‘personale”…”.

COSA PENSI CHE ABBIANO ANCORA DA DIRE I CATHEDRAL NELLA SCENA METAL DI OGGI?
“Io penso che quello che possiamo dare alla scena di oggi siamo noi stessi, con la nostra individualità. E’ quello che abbiamo sempre cercato di fare, distinguendoci dalla massa per creare qualcosa di personale, cambiando di disco in disco. Attualmente non penso che ci sia un gruppo che suoni come i Cathedral… d’accordo, in molte band puoi sentire la nostra influenza, ma hanno comunque un sound diverso dal nostro, proprio perché noi cerchiamo di rinnovarci sempre cercando di non risultare mai stantii, anche se non c’è mai un drastico cambiamento tra le nostre
produzioni…”.

CERTO, C’E’ SEMPRE UNA LINEA DI BASE CHE COLLEGA TUTTI I VOSTRI DISCHI…
“Esattamente, la base è sempre la stessa”.

QUALE PENSI SIA IL DISCO PIU’ “INTENSO” CATHEDRAL? PROVA A DESCRIVERMELO IN QUALCHE PAROLA…
“Direi il primo, ‘Forest Of Equilibrium’. E’ un album che sentivo al tempo come qualcosa di nuovo e di personale, era proprio l’album che avrei voluto fare, una perfetta trasposizione dei sentimenti di rabbia e depressione che avevo nel cuore, qualcosa di lento ed angoscioso…”.

ERA ANCHE UN’ESPERIENZA COMPLETAMENTE DIVERSA DA QUELLO CHE AVEVI FATTO IN PASSATO…
“Sai, in fondo non ci trovo tantissima differenza… la cosa che cambia è che nei Cathedral ci sono tempi lenti, nei Napalm Death tempi molto veloci, ma si tratta sempre di un genere estremo visto in un’ottica diversa. Io sono estremo ancora oggi, ma diversamente da come lo ero in passato: è solamente un modo diverso di concepire questo concetto, ma ritengo che quel disco sia estremo esattamente come quello che avevo fatto prima e, allo stesso tempo, che rappresentasse qualcosa di speciale e diverso per me”.

VISTO CHE STIAMO PARLANDO DEI NAPALM DEATH, A QUESTO PUNTO TI CHIEDO SE TI INTERESSI ANCORA DELLA SCENA GRIND…
“Ti riferisci alle nuove uscite?”.

SIA A QUELLE CHE AI DISCHI STORICI DEL GENERE… INSOMMA, ASCOLTI QUESTO GENERE ANCORA VOLENTIERI?
“Be’, in questo periodo ascolto molto i Repulsion ed alcune band hardcore giapponesi (!), e devo dirti che una volta che delle sonorità sono radicate in te e hai avuto a che fare con esse per diverso tempo è impossibile dimenticarle, ed è per questo che ancora oggi ascolto grindcore… non è facile da spiegare ma, essendo stato in una band grind importante come i Napalm Death, mi porto ancora dietro gli strascichi di quell’esperienza ed ascolto ancora questo genere; quando spendi tre anni della tua vita ogni giorno a concentrarti su quel particolare tipo di musica tu rappresenti quella musica, e non te la puoi dimenticare! Parlando di gruppi, io amo ancora comunque tutte le band storiche del genere”.

AVREI UNA CURIOSITA’ CHE RISALE ALL’EP “STATIK MAJIK”… QUEL MINI CONTENEVA UNA TRACCIA LUNGA E SPERIMENTALE. POSSIAMO ASPETTARCI ALTRI ESPERIMENTI DEL GENERE DA PARTE TUA?
“Aspettarsi un’altra cosa del genere è qualcosa al di là di ogni possibilità… mi spiego meglio, diciamo semplicemente che forse in futuro potrei fare qualcosa di simile a quel pezzo…”.

SIMILE MA NON ESATTAMENTE COME QUELLO, VERO?
“Già, esattamente (ride, nda)!”.

PUOI DIRMI QUALCOSA CHE RIGUARDA L’ESPERIENZA CON PAUL CHAIN IN “ALKAHEST”?
“Ah, è stato grandioso, è stato un piacere lavorare con lui! Paul è un grande musicista e un’ottima persona, quando mi ha chiesto di lavorare con lui su ‘Alkahest’ ho accettato con entusiasmo! E’ unico!”.

MI TROVI COMPLETAMENTE D’ACCORDO! IO PENSO SIA DAVVERO UN GENIO… IN OGNI ALBUM RIESCE A CREARE QUALCOSA DI SEMPRE DIVERSO E PER CERTI VERSI SPESSO INNOVATIVO, ED A QUESTO UNIAMO IL FATTO CHE E’ MOLTO PROLIFICO, VISTO CHE RIESCE TRANQUILLAMENTE A FARE PIU’ DI UN DISCO ALL’ANNO…
“La sua improvvisazione e la sua capacità di catturare perfettamente ciò che sta vivendo per metterlo in musica è qualcosa di incredibile! Penso che un album come ‘Alkahest’ lo rappresenti perfettamente… le song sono ben strutturate, ed hanno quell’incredibile gusto rock/doom che le rende fantastiche. E’ stato veramente un piacere collaborare con lui!”.

ORA PARLIAMO DEI TEETH OF LION RULE DIVINE…
“Questo è nato come un progetto mio e di qualche amico, ci tenevamo a realizzarlo da un po’ di tempo. Per prima cosa ci siamo domandati in che paese avremmo dovuto registrarlo e, una volta prenotato lo studio per soli due giorni, abbiamo trascorso un giorno a lavorare sul materiale, ed in quel periodo avevamo molta rabbia e tristezza dentro di noi; abbiamo così deciso di trasformarla in musica… abbiamo sofferto concentrandoci su quella musica, ed il giorno dopo siamo entrati nello studio a registrare. Dopo due mesi io ho rifinito le parti di voce, dopodichè il disco è stato mixato ed ha visto la luce. E’ come un vecchio libro… qualcosa che forse faremo ancora, o forse no… chi può dirlo?”.

QUANTO CREDI SIA NECESSARIO, PER UN ARTISTA, ESPRIMERE LA PROPRIA CREATIVITA’ ATTRAVERSO COLLABORAZIONI ESTERNE E SIDE-PROJECT?
“Penso che dipenda dalla band in cui suoni… se questa segue sempre lo stesso discorso musicale restando su coordinate precise, allora penso che sia molto importante per ogni singolo musicista incanalare la propria creatività in un progetto parallelo; in fondo può frustrare ed annoiare il fatto di fare sempre le stesse cose, e creare un proprio progetto è una cosa positiva. Fa sempre bene fare cose diverse e sperimentare nuove sonorità…”.

GIA’… E MAGARI E’ ANCHE UNA SORTA DI SFOGO PER UN MUSICISTA, CHE ATTRAVERSO UN SUO PROGETTO PUO’ SFOGARE QUELLO CHE SENTE DENTRO IN QUEL PARTICOLARE MOMENTO, UNA COSA CHE MAGARI CON LA BAND MADRE NON GLI E’
PERMESSA…

“Anche questa è una buona motivazione per cui un musicista debba metter su un progetto parallelo!”.

LEE, COME STA ANDANDO LA TUA ETICHETTA?
“Al momento non è molto prolifica, ma c’è comunque qualche bella uscita in vista… ho sotto contratto una band svedese chiamata Witchcraft, che sta tutt’ora producendo un disco ed un’altra di nome Unearthly Tracks di New York, sono entrambe molto interessanti”.

VA BENE, TI FACCIO L’ULTIMA DOMANDA… QUALE PENSI SIA LA DIFFERENZA TRA UN ARTISTA CAPACE DI CREARE COSE NUOVE ED INTERESSANTI ED UN SEMPLICE MUSICISTA CHE MAGARI SI LIMITA A COVERIZZARE BRANI GIA’ ESISTENTI?
“Be’, non bisogna sempre creare qualcosa di nuovo per risultare interessante (l’ho sempre detto, io! nda), e comunque puoi benissimo essere un buon musicista anche se coverizzi continuamente in modo preciso pezzi già esistenti, anche se evidentemente ti manca qualcosa dal punto di vista creativo… molte volte la differenza non risiede nel modo in cui suoni, ma in cosa suoni, ed io ho esperienza in questo! Capisci, c’è differenza tra una cover band ed una che suona canzoni proprie”.

SONO D’ACCORDO. A MIO AVVISO, L’ISPIRAZIONE GIOCA UN RUOLO IMPORTANTE NELLA CREAZIONE DI QUALCOSA DI NUOVO, IN QUESTO SENSO LA TECNICA NON CONTA NULLA SE NON SAI CREARE QUALCOSA DI BELLO…
“Quando una band ha delle qualità, queste devono essere considerate soprattutto in relazione a cosa la stessa riesce a creare… se un gruppo vuole essere solamente il più tecnico possibile e non si impegna a creare qualcosa che coinvolga emotivamente, è più che naturale che, nonostante le proprie qualità nel suonare, risulti freddo e difficile da ascoltare”.

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