I Cave In sono una delle band più longeve della scena metalcore americana: nati a metà degli anni ’90 nel Massachusetts, album dopo album hanno inglobato nel loro suono elementi post-hardcore ed alternative, senza venir mai meno alla coerenza di fondo che li contraddistingue. Nel 2018, la tragica scomparsa del bassista originario Caleb Scofield sembrava aver messo la parola fine su questa magnifica esperienza musicale e l’album “Final Transmission” pareva essere l’epitaffio della band a tutti gli effetti. Con fatica e sofferenza, invece, i tre statunitensi hanno prima trovato un nuovo compagno di viaggio nell’amico di lunga data Nate Newton, entrato in formazione come nuovo bassista in pianta stabile, e poi la forza di comporre un album intenso e sentito come “Heavy Pendulum”, solido punto di ripartenza dopo la tragedia di Caleb e gli anni bui della pandemia. Ne parliamo con il cantante/chitarrista Stephen Brodsky e l’altro chitarrista Adam McGrath.
CIAO STEPHEN, CIAO ADAM, CONGRATULAZIONI PER IL NUOVO ALBUM E BENVENUTI SU METALITALIA.COM. MOLTI PENSAVANO CHE “FINAL TRANSMISSION” POTESSE ESSERE L’ULTIMO PASSO DELLA CARRIERA DEI CAVE IN, CONSIDERANDO ANCHE IL TITOLO. COSA VI HA DATO L’ENERGIA PER CONTINUARE?
– Stephen: Abbiamo realizzato che tutta l’energia e gli sforzi che abbiamo profuso nell’organizzare lo Scofield Benefit Show e soprattutto ritornare nell’ordine mentale dei Cave In come un’entità attiva ci hanno permesso di rimanere connessi con Caleb e con la sua musica e di tenere viva la sua amicizia; penso che questo sia stato il punto di partenza e la decisione di avere Nate come membro stabile è stato ciò che ci ha definitivamente rimesso in pista.
COME È NATO “HEAVY PENDULUM”? QUAL È STATO L’INPUT CHE VI HA SPINTO A SCRIVERE NUOVA MUSICA?
– Adam: E’ nato quando eravamo chiusi in casa per la pandemia. Abbiamo fatto delle cover da remoto in quel periodo, pezzi di Every Time I Die, The Rolling Stones e Fleetwood Mac e contemporaneamente Stephen ha fatto circolare tra noi alcuni demo proponendoci della nuova musica; eravamo per forza di cose separati e quindi questo era il nostro modo di lavorare ma, in realtà, tutto si è fatto più concreto quando abbiamo iniziato a discutere di come incontrarci e di come affrontare un nuovo album tutti insieme, anche se al tempo non era facile.
IL TITOLO “HEAVY PENDULUM” È LA METAFORA PER QUALCOSA?
– Stephen: Sì, il pendolo, con il suo movimento, avanti ed indietro, tiene il tempo e questo scorre e tu vivi la tua vita al massimo, aggiungendo esperienze alla tua sequenza temporale. Queste esperienze, in un certo senso, aggiungono peso ad un pendolo, facendolo dondolare più velocemente: in questo modo la percezione del tempo ha un nuovo significato e ti spinge ad essere più introspettivo. È come se le tue abilità fisiche fossero messe alla prova, mentre quelle mentali diventano più acute per raggiungere una maggiore saggezza nel considerare ciò che hai attraversato nella tua vita. Penso che “Heavy Pendulum” sia un qualcosa in cui i Cave In sono come incapsulati, sai siamo tutti ultraquarantenni… Non parlerei di un disco della crisi di mezza età, ma siamo sicuramente in un punto in cui possiamo guardare avanti allo stesso modo in cui possiamo guardare indietro e vedere prospettive interessanti per quanto riguarda lo scrivere musica, ma non solo.
C’È QUALCOSA, IN “HEAVY PENDULUM”, CHE VI LEGA A CALEB?
– Adam: Sì, Caleb sarà un’influenza su questa band fino a quando continueremo a fare musica, abbiamo imparato molto da lui, sia come artisti sia come persone. In particolare, il pezzo “Amaranthe” è stato composto su del materiale che sua moglie Jennifer ci ha consegnato. Il riff di “New Reality” è stato composto da Caleb e ci jammavamo ai tempi di “White Silence”, ma finora non era mai stato utilizzato. Anche “Reckoning” vede il suo contributo. Ci sarà sempre una connessione con Caleb.
QUANTO È STATO IMPORTANTE PER VOI TROVARE NATE, IL SUO SOSTITUTO?
– Stephen: Quando tutto è ripartito, dopo la morte di Caleb, con lo show di beneficienza, ci siamo resi conto che avevamo bisogno di avere con noi qualcuno che ci aiutasse. Abbiamo discusso a lungo internamente riguardo a chi chiedere di entrare nella band, ma tutte le possibilità svanivano di fronte a quella di avere Nate con noi a tempo pieno, per molte ragioni: conosciamo Nate da più di vent’anni, ha fatto un tour negli USA con noi anni fa con la sua band Jesuit; in particolare ero un grande fan dei Channel, i precursori proprio dei Jesuit, prima ancora che entrasse nei Converge. Tra l’altro Nate e Caleb suonavano insieme negli Old Man Gloom e questa è un’altra connessione tra i due. Nate ha una grande voce, sa scrivere ottimi pezzi, “The Darkness Comes Alive” dei Doomriders è uno dei miei album preferiti heavy rock degli ultimi quindici anni. Se pensate ai Converge, il modo in cui sono cambiati dopo che Nate è entrato in formazione, in termini di scrittura ma anche di vibrazioni, è innegabile. Siamo stati veramente fortunati che Nate volesse entrare nei Cave In come noi volevamo lui; era il sostituto naturale di Caleb.
QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA “FINAL TRANSMISSION” E “HEAVY PENDULUM”? NEL NUOVO ALBUM, IN PARTICOLARE, SEMBRA ESSERCI PARECCHIO STONER, SIETE D’ACCORDO?
– Adam: Quando parliamo di stoner possiamo far riferimento ai Kyuss o ai Pink Floyd. A cosa pensavi?
DIREI PIUTTOSTO AI MASTODON…
– Adam: È curioso perché non ho ascoltato molti dischi dei Mastodon, mentre i Pink Floyd sono un’influenza ovvia. Per quanto riguarda le differenze tra i due album, ti posso dire che “Final Transmission” era una specie di demo e non è stato realizzato pienamente, mentre per “Heavy Pendulum” abbiamo sfruttato a pieno il potenziale a disposizione ed è stato registrato in uno studio, non in una sala prove. Ci sono anni luce di distanza in termini di suono, il nuovo disco ha una resa sonora incredibile. La principale differenza è proprio questa.
“HEAVY PENDULUM” È ANCHE UN ALBUM GIGANTESCO IN TERMINI DI DURATA, SOPRATTUTTO SE COMPARATO AL SUO PREDECESSORE; CI SONO PEZZI LUNGHISSIMI COME “WAVERING ANGEL” ED UN’ENORME QUANTITA’ DI SONORITA’ DIFFERENTI. NON È FACILE COGLIERE TUTTI I PARTICOLARI AL PRIMO ASCOLTO.
– Stephen: Come ha accennato Adam, siamo entrati in un vero studio di registrazione dopo molto tempo ed eravamo particolarmente eccitati di poter iniziare il processo compositivo e spingerci il più in là possibile e, poiché la scrittura è avvenuta per la maggior parte durante la pandemia e non c’erano molte prospettive, con il Covid che aveva distrutto i piani di ciascuno, ho avuto tutto il tempo necessario per focalizzarmi sui Cave In. L’album dura circa un’ora ma il materiale tra cui abbiamo scelto i pezzi era sufficiente per tre o addirittura quattro dischi. Avevamo in mente esattamente quale sarebbe stata la struttura di “Heavy Pendulum”, quale sarebbe stato il primo pezzo, quale il secondo, quale quello di chiusura, che “Blinded By A Blaze” sarebbe stato il brano centrale; avevamo già deciso una sequenza, molto di più che in passato. Non ci siamo mai preoccupati del fatto che fosse un disco lungo. La Relapse l’ha stampato in doppio LP, poi ci servirà il conto…
IL NUOVO SINGOLO SI CHIAMA “NEW REALITY”. È LA NUOVA REALTA’ CHE DOVREMO VIVERE DOPO LA PANDEMIA O STATE PARLANDO DI ALTRO?
– Adam: La nostra nuova realtà è quella di essere nella band senza Caleb al nostro fianco, è ciò a cui mi devo ancora abituare. Il titolo può essere visto anche come vivere la vita in questo mondo post-pandemico, pieno di incertezza ma, per quanto mi riguarda, la nuova realtà è vivere senza Caleb. Almeno questo vale per me.
È LA PRIMA VOLTA DOPO ANNI CHE LAVORATE CON KURT BALLOU DEI CONVERGE, DAL VOSTRO ESORDIO “UNTIL YOUR HEART STOPS”. COME VI SIETE TROVATI?
– Stephen: Lavorare con Kurt è stato magnifico. Prima di “Heavy Pendulum” avevamo realizzato con lui un paio di demo per “Jupiter” e anni dopo per “Antenna”. Penso che Kurt fosse contento di poter lavorare in un disco dei Cave In in cui fosse coinvolto dalle fondamenta, al punto da poterlo mixare ed avere voce in capitolo nella produzione, negli arrangiamenti e in tutto il resto, vedendoci completamente aperti alle sue idee. Curiosamente, abbiamo registrato con Kurt un disco appena dopo che Caleb era entrato nei Cave In, così avevamo una nuova formazione ai tempi della realizzazione di “Until Your Heart Stops” e ci siamo ritrovati nella medesima situazione, con una nuova line up a lavorare ancora con Kurt.
Il Covid ci ha dato dei problemi, per esempio abbiamo dovuto registrare le voci fuori dallo studio. Possiamo dire che quest’album sia un ibrido sonoro di location e metodi di lavoro ma penso che Kurt abbia gestito l’intero processo in modo da ottenere un risultato ottimo. Ha fatto un grande lavoro, si è impegnato molto e sono sicuro che anche lui sia felice per il disco come lo siamo noi.
PARLANDO DEL VOSTRO ALBUM DI DEBUTTO “UNTIL YOUR HEART STOPS”, SO CHE L’AVETE SUONATO PER INTERO DI RECENTE L’ANNO SCORSO. COM’È LA VOSTRA RELAZIONE CON I VOSTRI ESORDI DOPO TUTTI QUESTI ANNI? PENSATE DI ESSERE DEI MUSICISTI E DELLE PRESONE DIFFERENTI?
– Adam: Negli anni molte volte ci è stato richiesto di suonare quel disco e questa volta a proporcelo è stato Decibel; abbiamo un nuovo bassista e ci siamo detti: “Ok, lo suoniamo“. È stato strano, avevamo appena finito il disco nuovo e siamo tornati indietro nel tempo e non è stato facile riprendere tutti quei pezzi, mi ricordavo i riff ma spesso non li sapevo mettere in ordine. Ma alla fine ce la siamo cavata bene ed è stato un divertimento suonare alcuni di quei brani, ad esempio “Ebola”: sai, la suonavo quando avevo vent’anni e mi ritrovo a farlo nuovamente da quarantenne. Anche lo show, che si è tenuto a Los Angeles, è stato molto divertente, crudo a livello di suoni, ma siamo molto contenti del risultato.
DI RECENTE AVETE PRESO PARTE ALL’ALBUM “SONGS OF TOWNES VAN ZANDT VOL. III”, DISCO DI COVER DI QUESTO CANTAUTORE STATUNITENSE…
– Stephen: Sì, è proprio ora in uscita. Tutto il progetto è nato quando abbiamo suonato il tributo a Caleb, al Roadburn del 2018, poco dopo la sua morte. Ovviamente è stata dura per noi affrontare quello show, l’abbiamo fatto per tenere le nostre menti occupate; così abbiamo messo insieme una setlist e le abbiamo suonate, semplicemente. Sai, la musica di Townes Van Zandt è fatta di vibrazioni e ho visto molte volte Caleb suonare questi pezzi con la sua chitarra acustica, e per me era un ricordo piacevole. Abbiamo realizzato tre o quattro versioni differenti di “At My Window”, ce n’è una in particolare che suona molto Cave In e non è mai stata pubblicata. Mi sono reso conto che possiamo prendere strade musicali diverse che non prevedano di avere un suono rock e rumoroso. “The Hole”, tra l’altro, è l’unica registrazione dei Cave In in cui non ho suonato la chitarra, ma ho registrato tastiere e voce allo stesso tempo e spedito la traccia agli altri come idea. Questo in pratica è un altro album dei Cave In realizzato in remoto. Le cover per noi, in generale, sono una sorta di divertimento, un modo di essere liberi, di sperimentare e di trovare nuovi metodi per realizzare musica che poi possiamo applicare ai nostri pezzi in futuro. Con questo album è successo proprio questo.
STEPHEN, HAI ANCHE UN’INTENSA CARRIERA SOLISTA. HAI IN PREVISIONE QUALCOSA DA QUESTO PUNTO DI VISTA?
– Stephen: Non al momento. Ho appena finito quest’album con i Cave In e voglio dedicarmici per un po’.
AVETE DEI TOUR IN PROGRAMMA?
– Stephen: Stiamo mettendo insieme proprio ora alcune date e speriamo sia possibile farle, dopo due anni senza poter suonare dal vivo.
QUAL E’ IL PROSSIMO PASSO PER I CAVE IN?
– Adam: Come ha detto Stephen, al momento vogliamo goderci questo album. Ho quarantatré anni e sono nei Cave In da quando ne avevo quindici e voglio vivere tutto fino in fondo.