Per anni si è parlato dei Ch’ahom come una delle realtà più enigmatiche del circuito underground tedesco.
Attivi dal 2015, ma sempre a dir poco sfuggenti, i black-death metaller di Essen hanno per anni evitato l’appuntamento con il disco d’esordio, preferendo concentrarsi sul confezionamento di una lunga serie di demo, con i quali è stato sempre più rifinito un suono estremamente denso e sfaccettato.
Per certi versi affini al panorama ‘bestial’ e war metal, soprattutto per quanto riguarda l’approccio istintivo e l’esecuzione caotica e viscerale, i Ch’ahom nel loro primo full-length – “Knots of Abhorrence”, finalmente arrivato fra noi pochi mesi fa su Sentient Ruin Laboratories – non nascondono tendenze progressive e un’attitudine errabonda che li porta a concepire suite ricche di elementi e di sfumature, con pennellate di melodia che sembrano spuntare dal nulla.
Un ascolto impegnativo e al contempo gratificante, quello garantito dalla prima prova sulla lunga distanza del quartetto teutonico, che andiamo a conoscere meglio tramite le parole del chitarrista S.P.S..
LA BAND È NATA NEL 2015 E CI SONO VOLUTI DIVERSI ANNI PER REGISTRARE FINALMENTE UN ALBUM COMPLETO. COME AVETE AFFRONTATO QUESTA SFIDA? AVETE PUBBLICATO MOLTI DEMO NEL CORSO DEGLI ANNI, ERANO INTESI COME STRUMENTI PER AFFINARE IL VOSTRO STILE E TESTARE NUOVE IDEE?
– A nostro modo di vedere, i demo rappresentano uno stile che esiste e che continuerà ad esistere a pieno titolo in futuro. Questo stile è ormai definito e probabilmente non verrà perfezionato in futuro. Nel frattempo, abbiamo lavorato per creare il sound che è rappresentato nel nostro primo album, a cui avevamo inizialmente accennato nella demo “Path to Ixtab” e nella demo “Excavation”.
Abbiamo iniziato a scrivere l’opener del disco, “Xibalba”, nel 2016, e penso che in un certo senso già allora sapessimo di aver trovato qualcosa che per noi era una novità, qualcosa che avremmo dovuto esplorare e modellare, per poi imparare da essa. Molte delle abilità tecniche musicali necessarie per confezionare l’album le abbiamo apprese tutti insieme in sala prove.
PER LA MAGGIOR PARTE DEGLI ARTISTI, L’ORIGINALITÀ È PRECEDUTA DA UNA FASE DI APPRENDIMENTO E, SPESSO, DI EMULAZIONE DEGLI ALTRI. COM’È STATO PER VOI? COME DESCRIVERESTI LA VOSTRA CRESCITA COME BAND E LA TRANSIZIONE VERSO UN VOSTRO SUONO?
– Penso che questa descrizione sia vera anche per noi: all’inizio volevamo suonare musica in stile Von, Sadomator/Sadogoat, Beherit, ma già in principio evidentemente c’era la sete o l’urgenza di spingerci oltre questi confini.
Le prime influenze aiutano a fornire una base, un primitivo linguaggio artistico che puoi utilizzare per creare le tue prime espressioni. Con il tempo abbiamo costruito parole nostre, nuove. Siamo cresciuti come persone e siamo cresciuti artisticamente, diventando più riflessivi e desiderosi di esprimere altre emozioni attraverso la nostra musica. Questo processo di apprendimento è stata una grande esperienza e ci è sempre risultato molto gratificante. Siamo grati di aver imparato così tanto gli uni dagli altri.
COM’È NORMALMENTE IL VOSTRO PROCESSO DI SCRITTURA? PARTITE DA DELLE BOZZE, DA DEI RITMI O PENSATE A DELLE MELODIE E POI COSTRUITE CANZONI ATTORNO AD ESSE? VENGONO PRIMA I TESTI O LA MUSICA?
– Le canzoni vengono tutte realizzate in sala prove, solo piccoli motivi vengono portati lì ‘da casa’. Dai riff o da altri spunti entriamo in un processo di trasformazione del materiale di partenza. Cerchiamo di ricombinare e alterare ciò che abbiamo, in modo che tutto abbia uno sviluppo scorrevole.
La struttura del brano si delinea quando iniziamo a pensare alla sovrastruttura del pezzo. Una parte al microscopio potrebbe essere strutturata come ABABCB, ad esempio, ma questa verrà poi definita una parte A nel quadro generale. Poi ci sarà una sovrastruttura come ABCA che darà ulteriori dettagli e carattere a quella base.
Per noi si tratta di camminare attraverso mondi diversi, passando tra quelle che potrei definire scene cinematografiche, invece di restare ancorati alla familiarità, a un motivo di tre minuti come può essere una canzone pop, la quale può essere fantastica di per sé, ma ha un approccio completamente diverso da quello del nostro repertorio.
CREATE MAI MUSICA PENSANDO A QUALCUNO OLTRE A VOI STESSI? VI CAPITA DI FERMARVI A CONSIDERARE COME LA VOSTRA MUSICA POTREBBE ESSERE PERCEPITA DA UNA PERSONA SPECIFICA O DA UN TIPO SPECIFICO DI FAN?
– Difficile rispondere in breve a questa domanda. Non vorrei andare troppo sul filosofico.
Diciamo che non facciamo uno sforzo cosciente per soddisfare qualcuno, ma io per primo sono molto convinto che non possiamo creare senza guardarci attorno: non possiamo escludere il mondo esterno, le nostre esperienze, le cose che ci definiscono, il linguaggio che definisce ciò che esiste.
Non avere pubblico significa urlare in una stanza qualcosa a cui tieni un mondo senza ricevere alcuna risposta.
CIÒ CHE STATE CREANDO MUSICALMENTE È PIUTTOSTO VARIO E IMPREVEDIBILE: LA VOSTRA MUSICA INCORPORA ELEMENTI CHE POSSONO ESSERE CONSIDERATI NON ORTODOSSI PER UNA BAND BLACK O DEATH METAL. DETTO QUESTO, A QUALE GENERE PENSATE DI APPARTENERE E QUANTO È IMPORTANTE PER VOI ESSERE CONOSCIUTI COME TALI?
– Personalmente, tendo a non pensarci troppo. Sicuramente abbiamo riff ispirati a band più black metal o più death metal, ma non abbiamo mai la sensazione di aver semplicemente scritto una canzone di un certo genere.
L’obiettivo più grande è trascendere il linguaggio preformulato di un genere e, che ci si riesca o meno, il primo passo è provare a pensare meno entro i confini di un genere. Avere fan che condividono alcune delle parole fondamentali di questa lingua, che possono relazionarsi intuitivamente con la musica, è grandioso e molto gratificante in termini di comunicazione, ovviamente, ma speriamo anche di evocare qualcosa di così primordiale da poter parlare a chiunque, indipendentemente dalla sua cosiddetta ‘educazione metal’.
LA PRESENTAZIONE DELL’ALBUM CITA BLASPHEMY, DEMILICH E IL PROG ROCK DEGLI ANNI SETTANTA COME INFLUENZE. QUALI SONO ALCUNI DEI VOSTRI ALBUM PREFERITI?
– “Blood upon the Altar”, “Nesphite”, il demo di Timeghoul, quasi tutto dei Morbid Angel… poi adoriamo Sarcofago, Necrobutcher… “Close to the Edge” è un album degli Yes che tutti amiamo. Devo citare anche i Camel. Il krautrock è anch’esso roba anni Settanta fantastica. Infine NEU! e Amon Düül II.
MOLTE BAND TENTANO DI INCORPORARE LE PROPRIE ORIGINI E IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE NEL LORO SUONO E NELLA PROPRIA IMMAGINE. VOI COME SIETE ARRIVATI INVECE A CONCENTRARVI SULLE CIVILTÀ MESOAMERICANE?
– È stata sicuramente la passione di A.G.A. per questo argomento, unita alla nostra volontà condivisa di esplorare nuove frontiere, che ci ha portato a incorporare le influenze di molte culture preispaniche diverse nella nostra proposta musicale.
Se pensi alla band di A.G.A. prima dei Ch’ahom – i Morbid Blood Kult – puoi notare un misto di temi lovecraftiani e preispanici; quando ci ha invitato a fondare questa band, è stato subito abbastanza chiaro nel voler restringere il campo lirico e concettuale a quel grande insieme di diverse epoche artistiche, culture e luoghi che esistevano nelle aree che oggi vengono comunemente chiamate ‘Sud America’.
I CH’AHOM HANNO UN’ESTETICA VISIVA PIUTTOSTO DISTINTA. COSA ISPIRA QUELL’ESTETICA? CI SONO STATI D’ANIMO O EMOZIONI PARTICOLARI CHE STATE TENTANDO DI EVOCARE?
– Prima di tutto, la nostra estetica è appunto fortemente ispirata alle culture mesoamericane e preispaniche: ce ne sono state moltissime, soprattutto prima della colonizzazione della regione. Questo ci dà un’ambientazione di base che cerchiamo di ritrarre accuratamente. Detto questo, di certo non siamo solo una band ‘storica’.
Cerchiamo di evocare sentimenti di sovraccarico sensoriale, di sopraffazione, di tracollo della sanità mentale. Il mood di disperazione e disprezzo è comune nel metal, quindi cerchiamo di alternarlo con una sensazione di redenzione e di salvezza, qualcosa che vada oltre la tavolozza dei sentimenti comuni. Cerchiamo di condurre l’ascoltatore attraverso diversi stati emotivi all’interno di ogni canzone. Stati di realizzazione o stati di immersione nella follia.
VI SONO DELLE BAND CHE CONSIDERATE AFFINI A VOI, NEL PANORAMA CONTEMPORANEO?
– Anche se non ci siamo mai incontrati di persona, vi sono delle band che posso considerare affini, gente che ammiriamo e che reputiamo sulla nostra stessa lunghezza d’onda: Impetuous Ritual, II, Ascended Dead, Prehistoric War Cult.
C’È QUALCUNO CON CUI VI PIACEREBBE COLLABORARE, MUSICALMENTE O IN ALTRI MODI?
– Musicalmente non saprei, mentre per quanto riguarda altri fronti, ci piacerebbe prendere parte al Chaos Descends Festival: contattateci!
Scherzi a parte, saremmo contenti di qualsiasi richiesta di collaborazione, soprattutto da parte di band e promoter. D’altra parte, siamo abituati a fare quasi tutto da soli, compresi la registrazione e il mixaggio della nostra musica, quindi non pensiamo mai molto a questa questione.
Abbiamo sempre voluto lavorare con Alexander Kavtea, artista che poi ha dipinto la copertina del nostro album, quindi questo obiettivo è stato raggiunto.
VI CONSIDERATE UNA LIVE BAND? AVETE IN PROGRAMMA QUALCHE CONCERTO O TOUR PER I PROSSIMI MESI?
– Stiamo lentamente diventando sempre più una live band. Abbiamo suonato più concerti negli ultimi due anni che in tutto il lungo periodo della lavorazione del disco. Eravamo davvero contenti di restare rintanati nella nostra caverna, ma ora abbiamo un approccio leggermente diverso.
PER CONCLUDERE, AVETE ALTRI PROGETTI PER IL PROSSIMO FUTURO? STATE GIÀ LAVORANDO A NUOVA MUSICA?
– Sì, ci stiamo lavorando ed è una bella sensazione. Terremo ancora alcuni concerti, ma stiamo già registrando qualcosa di nuovo. Non vogliamo rivelare troppo per ora perché l’ultima volta che abbiamo annunciato il disco sono poi trascorsi anni prima di vederlo effettivamente pubblicato.