Un rilassato Claudio Sanchez in piena fase promozionale in Europa ci ha raccontato con entusiasmo le ultime novità in casa Coheed And Cambria, vista l’uscita del nuovo “Vaxis III: The Father Of Make Believe”, prevista in questi giorni.
Per chi non li conoscesse, gli statunitensi Coheed And Cambria sono un piccolo fenomeno nel loro approccio multimediale alla musica: concept narrativi articolati, graphic novel, edizioni limitate realmente spettacolari con oggettistica creativa; il tutto abbinato ad una ricerca musicale che nel tempo ha sfiorato molti generi differenti, senza quasi mai perdere, a nostro modo di vedere, il focus.
Per quel che ci riguarda, sono una vera band progressiva, nel senso più spirituale del termine. A voi il resoconto della chiacchierata.
CIAO CLAUDIO! UN ASPETTO CHE MI HA COLPITO MOLTO DEL NUOVO ALBUM È, ANCORA UNA VOLTA, LA SUA VARIETÀ STILISTICA. SI E’ SEMPRE SENTITA, NEI COHEED AND CAMBRIA, TANTA RICERCA E TANTA LIBERTÀ MUSICALE, SIN DAI TEMPI DI “THE SECOND STAGE TURBINE BLADE”, IL VOSTRO DEBUTTO. SE PERO’ LA LIBERTÀ CHE PERCEPIAMO È ANCORA LA STESSA, SONO PASSATI TANTI ANNI DA QUEL MATERIALE. COME LO CONSIDERI ORA?
– Un buon prodotto del periodo. E’ decisamente diverso da quello che facciamo ora; io sono cresciuto come autore, ma penso sia perfetto per quegli anni.
Eravamo giovani, io ero molto insicuro e avevo creato questo concept anche come una sorta di diversivo per nascondermi dietro ad esso. Tutto era nuovo e lo stavamo facendo funzionare in maniera completamente autogestita. Ho rispetto per quei periodi anche se ora faccio tutto in modo differente visto che, come ti ho detto, mi sento diverso come autore, produttore e più in generale come persona.
Guardo a quegli anni con un certo distacco perché alcune questioni andrebbero affrontate in modo diverso ora, ma è l’inizio di tutto e rimane magico a suo modo.
NELLE MILLE DEFINIZIONI CHE SONO STATE DATE AI COHEED NEL TEMPO, SI USANO SPESSO LE PAROLE ‘PROGRESSIVE’, ‘ROCK’, ‘POST-HARDCORE’, ‘EMO’. COME TI RELAZIONI CON LE ETICHETTE E LA CATALOGAZIONE DELLA TUA MUSICA? CI SONO ALCUNE DI QUESTE PAROLE CHE A TUO MODO DI VEDERE SONO PIU’ VERITIERE DI ALTRE?
– I Coheed And Cambria sono una band molto versatile, che in qualche modo trascende le definizioni. Personalmente sono molto aperto a come le persone ci percepiscono e di conseguenza definiscono, perché in fondo fa parte della nostra natura: viviamo in qualche modo nel mondo dell’ascoltatore.
Alcune delle nostre scelte artistiche appartengono al mondo del pop, altre al mondo del rock e ci sono persino soluzioni vicine al jazz e al funky in certe canzoni. Se ascolti un pezzo come “Evagria Of The Faithful” (da “Afterman: The Ascension”, disco del 2012, ndr) ci sono influenze persino di Stevie Wonder. Sono aperto perciò ad ogni modo in cui il pubblico ci percepisce, perché è sempre stata mia intenzione essere aperto mentalmente nel creare la musica dei Coheed.
COME CONSIDERI QUESTO NUOVO “VAXIS”? COME LO PERCEPISCI? I TRE SINGOLI LANCIATI PRIMA DELL’USCITA SONO MOLTO DIFFERENTI FRA DI LORO…
– Inaspettato, imprevedibile. La scelta dei singoli, conscia, riflette questa nostra volontà. Volevamo dire al pubblico di aspettarsi tante sorprese e in generale, una forte componente di imprevedibilità.
Penso che più invecchiamo, più ci avviciniamo alla musica che definirei ‘alternative’, anche se non con il significato che aveva negli anni Novanta, in cui si presupponeva una alternativa di qualche genere alla musica mainstream. Preferisco invece vederci come una band che si muove in territori esterni della musica moderna, in modo da poterci creare dimensioni e identità diverse da cui attingere.
La parola ‘alternative’ in questo senso è corretta, la parola ‘progressive’ anche è corretta se la intendiamo come cambiamenti attraverso gli album e anche all’interno di questo stesso disco, ma la parola che mi piace di più è assolutamente ‘imprevedibile’.
NEL MOMENTO IN CUI IL DIGITALE E LA MUSICA QUASI COMPLETAMENTE DEMATERIALIZZATA SEMBRANO POTER PRENDERE IL SOPRAVVENTO, AVETE SEMPRE CREDUTO IN PRODOTTI FISICI DI QUALITA’. NELLE VOSTRE SONTUOSE EDIZIONI LIMITATE DEGLI ALBUM, NEL TEMPO, AVETE INCLUSO UNA LAMPADA, UNA MASCHERA E STAVOLTA C’E’ UN VERO E PROPRIO CASCO… COME MAI CONTINUATE A CREDERE NEL PRODOTTO FISICO DI UNA CERTA CARATURA?
– Prima di tutto perché possiamo farlo, grazie agli spunti che offre il concept, dedicando questa creatività ai fan che vogliono immergersi completamente nella storia. E’ come portarsi a casa delle reliquie provenienti dalla storia stessa. E’ un’altra dimensione della band vera e propria, non una qualche aggiunta. Per me è eccitante visualizzare queste idee e vederle realizzate come si deve. Mi piace molto creare!
LA VOSTRA MUSICA E’ SIA IMMEDIATA MA ANCHE COMPLESSA. MOLTI RITORNELLI E MELODIE DEI COHEED AND CAMBRIA SONO FACILMENTE MEMORIZZABILI MA VENGONO SPESSO INSERITI IN DISCHI CON CANZONI LUNGHE, ARTICOLATE E CHE ABBRACCIANO MOLTI STILI DIVERSI. NELL’EPOCA DELLE PLAYLIST DI SPOTIFY, DOVE GLI ARTISTI SONO SPINTI A CREARE MUSICA IMMEDIATA E FRUIBILE IN POCO TEMPO, NON E’ UNA SCELTA BANALE…
– Lo streaming ha cambiato la fruizione della musica, questo è certo, ma ci continuo a vedere sia lati positivi che lati negativi. Per esempio, le persone hanno iniziato a confrontarsi con musica con cui magari non hanno una connessione immediata. Quando ero ragazzino, i fan erano molto – come dire – divisi in scene anche abbastanza chiuse.
Ricordati che io ho più di quarant’anni ormai e ho visto nascere e svilupparsi lo streaming: una band come i Coheed And Cambria secondo me beneficia di questi strumenti dove generi di musica differenti fra loro sono disponibili con facilità e virtualmente vicini, a qualche distanza di click. Un disco come “Father Of Make Believe” già di suo sembra quasi una playlist, dove potrai scegliere quello che vuoi ed emergono stili musicali diversi fra loro. Sembra strano che un pezzo come “Corner My Confidence” possa trovarsi vicino a “Blind Side Sonny”, o “The Flood” vicino a “Someone Who Can”.
Per me, anche quando ero ragazzino, realizzare playlist (su cassetta o CD) molto eclettiche era la normalità. Penso che i nostri brani siano collegati profondamente al disco in cui si trovano, ma allo stesso tempo che abbiano una vita propria al di fuori di esso, come entità singole, in un mondo di playlist.
DOPO TANTI ALBUM, QUESTA TUA CREATIVITA’ E I CONCEPT REALIZZATI FINORA, SONO SEMPRE STATI UNA VIRTU’ E MAI UN LIMITE? DAVVERO MAI? MAGARI AD UN CERTO PUNTO HAI AVUTO VOGLIA DI REALIZZARE MUSICA DI UN CERTO STILE E NON TI SEI SENTITO LIBERO DI FARLO PERCHE’ LA STORIA IN QUEL PUNTO AVEVA COORDINATE NARRATIVE MOLTO DIFFERENTI…
– (Ci pensa, ndr) Capisco il punto, ma posso dirti che tutti i miei dischi vengono da situazioni reali. Nonostante il concept della band sia nato più di venti anni fa dalla mia insicurezza, alla fine mi rendo conto di scrivere sempre, e sottolineo sempre, i dischi che voglio scrivere. Il concept alla fine è il risultato di ciò che voglio scrivere e la storia si muove di conseguenza.
Lo dico da tempo, ma mi piace sottolinearlo sempre di più andando avanti: questi dischi sono storie che nascono dalla mia vita reale. Non scrivo perché la storia mi richiede di scrivere questo o quel pezzo, scrivo perché la vita mi dice cosa scrivere. La musica per me è terapeutica per andare avanti in ogni situazione. Non mi sento mai limitato dalle vicende dei miei personaggi.
A volte però, posso dirlo, mi sento limitato da come la gente percepisce la mia musica e sembri che debbano per forza entrare in essa per apprezzare la parte sonora. I veri fan sono in grado di vedere, nelle canzoni, connessioni personali e reali – sia mie che loro – mentre chi si ferma al concept, beh, si perde qualcosa.
E’ un bonus, la storia. Se vuoi, ti è utile, ma non è necessaria per apprezzarci.
BEH, MA NELLA TUA TESTA, CI SARA’ UN DISEGNO GENERALE DI DOVE ANDRA’ LA NARRAZIONE E COSA SUCCEDERA’…
– Certamente, ma non so dirti cosa succederà di preciso perché i prossimi due dischi non li ho ancora scritti!
“Window Of The Waking Mind” è stato un disco, nella realtà, che discuteva l’essere genitori durante il periodo della pandemia e ne sono tuttora così orgoglioso che non avevo davvero idea di come avrei potuto scrivere altro ancora, perché lo considero davvero qualcosa a cui sono molto legato.
Nel periodo fino a “Father Of Make Believe” ho affrontato alcune perdite a livello familiare e lì mi sono reso conto di avere altro da raccontare, tra cui il tema della mezza età e delle domande esistenziali che ci poniamo.
E’ proprio questo il tema del nuovo album: le riflessioni che facciamo mentre ci avviciniamo ad una fase della vita in cui alcune parti di noi si chiudono per sempre e rimangono nel passato. Anche alcune persone, purtroppo.
UNA CURIOSITA’: TI SENTI AMERICANO O EUROPEO, MUSICALMENTE PARLANDO? NEL MOMENTO IN CUI ENTRA IN GIOCO LA PAROLA ‘PROGRESSIVE’, L’EUROPA HA UNA GRANDE TRADIZIONE A RIGUARDO…
– Non lo so, davvero. Quando penso alla parola ‘progressive’, non la sento legata ad una scuola, ma piuttosto ad uno stile: l’idea di muoversi liberamente fra i generi e di trascenderli.
Onestamente, non seguo molta musica che non sia statunitense come origine, ma allo stesso tempo come musicista non mi ci ritrovo davvero. Mi piace pensarci come una band universale, a livello di stile, senza alcuna connotazione geografica precisa. I temi che esploriamo sono universali e mi piacerebbe che anche la musica lo fosse. Mi piace pensarlo, ecco.
C’E’ GIA’ UNA STORIA COMPLESSA E ARTICOLATA, CI SONO GIA’ DEI FUMETTI CHE LA RACCONTANO. DIREI CHE POTREBBE ESSERE ORA DI PASSARE AD UNA DIMENSIONE DI PRODOTTO CINEMATOGRAFICO O SERIALE… O NO?
– Sì, ne stiamo parlando da un po’ con uno showrunner a Los Angeles: una serie tv o una serie di animazione. Ci piacerebbe davvero che le Amory Wars (il concept narrativo più importante realizzato dalla band finora, ndr) prendessero vita anche in dimensioni differenti e per un pubblico ancora più vasto.
NON HAI UN PO’ PAURA CHE POSSA FINIRE, COME MILLE ALTRI PROGETTI, NELLE MANI DI PRODUZIONI CHE POI POSSANO SNATURARNE IL SIGNIFICATO? E’ SUCCESSO TANTE VOLTE CHE PRODOTTI INDIPENDENTI CHE PASSANO POI NELLE MANI DEGLI STUDIOS FINISCANO PER ESSERE MOLTO LONTANI DALLE IDEE ORIGINALI DEGLI AUTORI…
– Sì, lo capisco. Però è anche vero che è inevitabile. L’autore deve lasciare parte del controllo sulla sua creatura se la vuole vedere realizzata per un altro media. Fa parte del processo creativo.
Ed è altrettanto vero che chi la prenderà in mano cercherà di aggiungere, anche in assoluta buona fede, qualcosa di proprio. Trovare la giusta partnership è fondamentale, in questo. E’ un rischio inevitabile. Non sono particolarmente spaventato dall’adattamento, ora come ora. Vedremo.
SE DOVESSI CONSIGLIARE LA TUA MUSICA A QUALCUNO PER FARGLI CAPIRE COSA SUONI, COSA CONSIGLIERESTI? NON TI STO CHIEDENDO QUALE E’ IL TUO DISCO MIGLIORE, MA PIUTTOSTO, QUALE E’ LA MUSICA PIU’ RAPPRESENTATIVA CHE HAI FATTO.
– “Window Of The Waking Mind” o “Father Of Make Believe”. Credo che gli ultimi dischi siano oggettivamente i migliori. Se potessi tornare indietro e rifare in qualche modo “The Second Stage Turbine Blade” (il debut album del 2002, ndr) lo rifarei esattamente nello stile degli ultimi album. Oltre a questo, credo davvero che le graphic novel che accompagnano i dischi e gli oggetti delle edizioni limitate ci rappresentino molto bene, per chi vuole conoscerci.
CHE FUTURO VEDI PER L’INDUSTRIA MUSICALE E, PIU’ IN GENERALE, PER LA MUSICA?
– Non ci penso più di tanto, a dir la verità. Quello che so è che tutto è in evoluzione, sia che si tratti di questa o quella piattaforma di utilizzo o cambiamenti più grossi, come il passaggio da cd a digitale. Io ti posso dire solo questo: sono molto felice che la mia musica raggiunga un sacco di persone e spero continui a farlo!
ULTIMA CURIOSITA’: C’E’ STATO UN MOMENTO IN CUI HAI CAPITO CHE FORSE ‘CE L’AVEVI FATTA’?
– Durante un paio di tour in cui eravamo gli opener per altri gruppi e vedevo svuotarsi la sala dopo il nostro set, ho capito che stava succedendo qualcosa. La nostra musica stava arrivando al pubblico perché quelle persone venivano per noi.
E’ stato lì che ho capito che stavamo avendo successo e un pubblico vero che seguiva proprio noi e non musica del nostro stile in senso generale. Sarò onesto, non me l’aspettavo che sarebbe piaciuta così tanto la nostra proposta. Ah, a proposito: grazie per l’intervista!