Il secondo disco dei Conjurer ha esaltato non poco le capacità degli inglesi, che non solo sono riusciti a non ripetere quanto fatto sull’ottimo “Mire”, ma hanno completamente rivisto il proprio sound sotto la luce di un’espansione dei propri confini sonori. La band ha infatti saputo rileggere se stessa in un’ottica che abbraccia più generi, rimanendo assieme estrema e riflessiva, moderna ma capace di restare attaccata alle radici di un genere ben definibile all’interno dei paradigmi del metal estremo. Come del resto ci dirà Conor Marshall, bassista del gruppo, le esperienze passate dopo il primo lavoro, hanno inciso parecchio nella scrittura di “Páthos”, e i risultati sono a dir poco eccellenti anche a nostro avviso.
COME VA CON L’USCITA DEL NUOVO DISCO? COME SONO I FEEDBACK?
– Finora incredibili! Sappiamo che quest’album richiede un po’ di attenzione all’ascoltatore, che non è immediato come “Mire”, e dunque eravamo pronti al fatto che qualcuno non capisse appieno cosa abbiamo tentato di fare, eravamo pronti ad accettarlo. Ma ci siamo dovuti ricredere: siamo davvero entusiasti di quanta gente sembra averlo davvero apprezzato finora.
PARLIAMONE, ALLORA, DI “PÁTHOS”. COME DESCRIVERESTI QUEST’ALBUM, A CHI NON LO HA ANCORA ASCOLTATO?
– Secondo me “Páthos” è un album oscuro, pesante ed emozionale. È denso, soffocante quasi in certi momenti, ma contiene anche molta più atmosfera, ampi respiri, rispetto a quanto abbiamo fatto prima.
HO PERCEPITO IN EFFETTI UNA CERTA DIFFERENZA CON “MIRE” IN TERMINI DI APPROCCIO. INTENDO DIRE CHE SEBBENE SI SENTA CHE LA MANO DI CHI SUONA SIA LA STESSA, SI INTUISCE UN SALTO IN AVANTI, COME SE “MIRE” FOSSE LA SOMMA DI TUTTE LE VOSTRE ESPERIENZE PASSATE SINORA, MENTRE “PATHOS” SIA STATO SCRITTO QUASI DA ZERO, SAPENDO ESATTAMENTE COSA STAVATE FACENDO. COSA NE PENSI?
– Punto di vista interessante; “Mire” è stata prima pubblicazione di un album ‘vero’, con un tour vero e proprio, una prima vera esperienza professionale per noi, e dunque molto di quello che si trova all’interno delle sue canzoni è quello che ci è venuto da scrivere al tempo, senza una vera e propria direzione. Erano le prime tot canzoni che la band aveva fatto, e dunque sono finite nell’album, praticamente. Questa volta invece riguarda di più le esperienze e le cose che ci state intorno dall’uscita di “Mire” in poi, ormai quattro anni fa.
E COMUNQUE, COME VI AVVICINATE MENTALMENTE ALLA SCRITTURA DI UN ALBUM COME “PATHOS”?
– L’unico obiettivo che siamo dati una volta che abbiamo deciso di sederci e scrivere un disco è che non volevamo scrivere “Mire” 2.0. Non c’è stata chissà che preparazione mentale, se non questa ‘regola’. Non siamo un gruppo che scrive on the road, ma nemmeno gente che necessita di nascondersi in una foresta per sei mesi lontani dalla società, per essere in grado di comporre un disco. Ci siamo messi a casa a lavorare sulle varie parti che abbiamo inviato agli altri membri della band, e da li si parte. Dan (Nightingale, voce e chitarre, NdR) è il compositore principale, e gran parte viene da lui; ma quando dici scrivere un album come “Páthos”, non è qualcosa che abbiamo effettivamente pianificato, abbiamo scritto quello che è venuto fuori in questo giro.
CI SONO STILI MOLTO DIFFERENTI ALL’INTERNO DI QUESTO LAVORO, DA RIFF QUASI BLACK A VIBRAZIONI POST-METAL, E POI CAMBIA ANCORA. COME VIENE FUORI TUTTO QUESTO?
– Dal fatto che siamo quattro persone diverse con quattro gusti diversi in fatto di musica; sia individualmente che come gruppo ascoltiamo moltissima roba, che spesso si diversifica in maniera importante, e quindi quando ci troviamo a comporre ci sono un sacco di cose diverse che vogliamo provare. La cosa importante, comunque, è come le mettiamo, queste cose, all’interno di un brano o di un album, senza suonare confusi o amatoriali, e dunque molto del tempo che spendiamo è dedicato a provare e discutere queste parti così varie, finché non troviamo come farle stare in unico ma coeso puzzle.
AVETE SEGUITO UNA TEMATICA UNICA A LIVELLO LIRICO?
– Non proprio, ci sono molti temi ricorrenti, quello si, ma non una storia o un concept vero e proprio. Le prime due canzoni sono connesse dal fatto che i testi sono esattamente gli stessi ma visti da due prospettive diverse, e tutti i brani, più o meno, guardano alle esperienze dell’essere umano, ma non c’è un ‘arco’ narrativo.
QUALE BRANO APPRESENTA MEGLIO LA BAND SECONDO TE?
– Ti dico solo che abbiamo scelto “It Dwells” come primo singolo e come brano di apertura perché pensiamo sia quasi un riassunto della band in un’unica canzone, ha praticamente tutto quello che ci piace fare ed essere, come gruppo.
AVRETE SICURAMENTE SUONATO I BRANI DI “PÁTHOS” DAL VIVO (TRA L’ALTRO AVETE SUONATO IN ITALIA NON TROPPO TEMPO FA), COME VI SONO SEMBRATI?
– Finora abbiamo suonato tre delle canzoni, “It Dwells”, “Rot” e “Suffer Alone”, le prime due le abbiamo suonate proprio in Italia! Sembrano essere andate molto bene, è sempre interessante suonare canzoni nuove per la prima volta, quando sei abituato a suonare roba più vecchia, proprio per il fatto che sono nuove e differenti, a volte può sembrarti che non vengano come devono, o ti sembra che il pubblico stia reagendo diversamente, quando suoni questi pezzi, ma poi in realtà si stanno godendo la musica tanto quanto con le altre canzoni.
“PÁTHOS” ESCE SOTTO NUCLEAR BLAST, UN APPRODO IMPORTANTE PER UNA BAND AL SECONDO DISCO, COME SIETE ARRIVATI A QUESTA PARTNERSHIP?
– Beh, è stupendo lavorare con Nuclear Blast, sono ovviamente una label leggendaria e il team è pieno di persone fantastiche e chiaramente appassionate alla musica, che è esattamente quello che sognavamo. Praticamente, la Nuclear Blast avrebbe dovuto pubblicare il nostro disco negli USA e nel resto del mondo per conto della label sotto cui eravamo all’epoca. Però la nostra etichetta ha chiuso i battenti nel 2020, così la Nuclear Blast ci ha contattato direttamente proponendoci di entrare nel loro roster e pubblicare il disco in via diretta e ovunque. Una cosa fantastica!
COME AVETE VISSUTO, DA MUSICISTI E PERSONE, LA PANDEMIA? SE NON SBAGLIO IN UK CI SONO STATE RESTRIZIONI MINORI RISPETTO AD ALTRI PAESI, MA SEMPRE D’IMPATTO PER DEI MUSICISTI (E NON SOLO, OVVIAMENTE).
– Il Regno Unito è stato davvero strano per quel che riguarda la pandemia; siamo passati dal non avere alcuna restrizione a tutta una serie di lockdown e poi di nuovo nessuna restrizione. È stata dura ovviamente, perché essendo una band avremmo voluto andare in tour, suonare live, ma siamo stati fortunati, allo stesso tempo, visto che avevamo deciso di ‘stare tranquilli’ nel 2020 per lavorare al disco nuovo. Come persone siamo stati altrettanto fortunati ad avere dei lavori che potevano essere svolti anche durante la pandemia. Insomma, una pausa certamente non voluta ma che per fortuna non ci ha colpito quanto lo avrà fatto verso altri gruppi o persone.
TUTTAVIA IL COVID AVRA’ AVUTO QUALCHE IMPATTO SULLA PUBBLICAZIONE; IL DISCO E’ USCITO DOPO QUATTRO ANNI DAL DEBUT, QUANTO CI AVETE LA VORATO NEL COMPLESSO? COME SONO STATI QUESTI ANNI PER I CONJURER?
– Si, se da una parte ci ha obbligato a sederci e scrivere mentre eravamo in lockdown, e questa è stata un aspetto quasi positivo, dall’altra ha impattato negativamente per quanto alla registrazione e alla pubblicazione. Inizialmente dovevamo volare in America per registrare tutto il disco con Will Putney (produttore americano e chitarrista dei Fit For An Autopsy, ndr), che alla fine lo ha comunque mixato e masterizzato, ma visto che viaggiare era impossibile ce lo siamo dovuti registrare da soli a casa. Ad oggi stiamo ancora aspettando le copie in vinile per ritardi dovuti al covid e ai noti problemi di stampa, e l’album è uscito da un mese abbondante (l’intervista è stata raccolta a fine luglio, ndr)!
HAI COMPRATO QUAL CHE DISCO NUOVO ULTIMAMENTE?
– Non molto devo ammettere, ma ci sono un paio di cose che ho potuto ascoltare e che mi sono piaciute: il nuovo dei Coheed And Cambria è ottimo, così come i nuovi di Bleed From Within e Malevolence. E aggiungo che sono un grande ammiratore dell’ultimo disco dei Fit for an Autopsy .
PROSSIMI PASSI?
– Tutti i piani sono rivolti a suonare in tour! Non vediamo l’ora di tornare sui palchi e suonare le nuove canzoni, vogliamo tornare in tutti i posti dove siamo già stati, Italia inclusa! E non vediamo l’ora di esplorare anche posti dove non abbiamo mai suonato. Abbiamo già qualche nuovo riff e idea, ma ancora bozze. Il piano è comunque di non metterci altri quattro anni!