CORROSION OF CONFORMITY – Il ritorno del poker vincente

Pubblicato il 05/02/2018 da

Per l’uscita del nuovo album dei Corrosion Of Conformity abbiamo raggiunto telefonicamente Reed Mullin, gioviale batterista e fondatore della band. Come ci ha confessato a inizio conversazione, l’abbiamo raggunto in giornate per lui un po’ convulse: era infatti appena rientrato a casa dall’ospedale dopo un brutto incidente in auto, per fortuna senza gravi conseguenze; ma per questo abbiamo lasciato che fosse lui a parlarci a ruota libera del grande entusiasmo che circonda questo ritorno – discografico e della formazione a quattro – lasciandolo poi riposare meritatamente.

 

E COSÌ SIETE DI NUOVO TUTTI INSIEME: CHE SENSAZIONE TI DÀ?
– Mi viene da dire che i COC sono dedizione, passione: siamo stati in giro per così tanto tempo, dal 1982, con tanti cambiamenti, a portare in giro questo mostro chiamato COC, e come noto abbiamo fatto un salto notevole con “Blind”, l‘ingresso di Pepper e il nuovo sound che prese forma allora. Ora, eccoci di nuovo assestati così. Nel frattempo abbiamo suonato per trentacinque anni, e mi sento veramente fortunato (“Blessed”, ndR); siamo passati attraverso molti cambi musicali, siamo passati dall’hardcore, al crossover, al thrash a… questo, e puoi chiamarlo come preferisci.

DIREI SEMPLICEMENTE IL SOUND DEI COC, PER COME SAPETE MISCHIARE LE COSE.
– Penso che il segreto del nostro sound sia che siamo curiosi, a nostro modo quattro selvaggi, a cui piace mischiare i Black Sabbath con Black Flag, Bad Brains, GBH, Discharge e la musica anni Settanta, nel senso più lato. Quindi il modo in cui suoniamo è molto peculiare. E quando Pepper ha iniziato a cantare tutto è andato al suo posto. Prima di entrare nei COC era un nostro grande fan – lui e Mike degli Eyehategod, per la precisione –  si aggirava intorno alla band, voleva proprio suonare con noi. E se alla chitarra era già bravo, aveva una voce terribile, al tempo! Noi eravamo già amici e lui ha avuto quest’approccio “Fanculo, io sono il chitarrista giusto per i COC”; quindi mi mandava pezzi registrati da lui, proponeva fillers, insomma, ha fatto molto per questa band. Certo, come detto al tempo era un cantante terribile, il peggiore che avessi mai sentito (risate, ndR), quindi quando è entrato – ai tempi di “Blind”, l’abbiamo preso solo come chitarrista. Canta un solo pezzo su quell’album, cioè “Vote With A Bullet”, in cui ha fatto il meglio che poteva, al tempo almeno.

E POI, COS’È SUCCESSO?
– Abbiamo fatto molti tour, lui si è impegnato e ha lavorato per migliorare tantissimo, riuscendoci. Ed è così che arriviamo al nuovo album, che penso sia uno dei nostri lavori migliori!

CONCORDO. C’È QUEL MIX DI CUI PARLAVI SOPRA E IL VOSTRO SOUND UNICO AL MEGLIO DELLA FORMA.
– Sai, ci sono dentro trent’anni di lavoro, ci sono anche parti scritte da me, da Woody, … c’è chi è rimasto stupito che tornassimo alla formazione a quattro, ma Pepper stesso l’ha sempre detto: “un giorno torneremo tutti assieme”. C’è dentro lo stesso spirito dei tempi di “Deliverance”, che non è solo il mio album preferito dei COC, è onestamente uno dei miei album preferiti di sempre. E tutto funziona alla grande anche in questo lavoro. Sì, ci siamo imbarcati con passione ed esperienza, in questo ritorno: posso dire che siamo esattamente al punto in cui dovevamo essere, e il risultato è ottimo.

NEL FRATTEMPO, PEPPER NON ERA PROPRIAMENTE FUORI DALLA BAND, NON C’ERANO STATE DICHIARAZIONI IN TAL SENSO, AVETE SUONATO INSIEME DAL VIVO, … MA COME SIETE TORNATI INSIEME MATERIALMENTE? È BASTATA UNA TELEFONATA?
– No, l’abbiamo presa alla lontana, per un po’ non ci siamo sentiti, a dirla tutta. Ma voglio veramente bene a quel ragazzo, ed è lo stesso da parte sua, quindi è stato un po’ come un rapporto di coppia, con i suoi alti e bassi. Ci è comunque sempre piaciuto suonare assieme, e appena è stato meno coinvolto con i Down abbiamo jammato un po’. Sono venuti fuori dei pezzi, “dai, su, facciamolo”… e quindi io, Mike e Woody abbiamo rinunciato con piacere alla formazione a tre. E devo dirti che mi piace proprio tanto il nuovo materiale, spero anche a te!

ASSOLUTAMENTE. E QUALI SONO I TUOI PEZZI PREFERITI, NELL’ALBUM? IO VOTO “LITTLE MAN”, CON I SUOI RIFF POTENTI E “OLD DISASTER”, VERAMENTE HEAVY E “GRASSA”.
– Ne hai scelte due che amo particolarmente, grazie! Ma in generale, e so che mi ripeto un po’, già quando abbiamo parlato col management della Nuclear Blast, l’idea era di fare un album che non fosse necessariamente “Deliverance Part 2”, chiaramente, ma che avesse quell’approccio e che fosse veramente il meglio che potessimo offrire.

E RIPENSANDOCI ADESSO, COSA MI DICI DEGLI ALBUM USCITI DOPO “IN THE ARMS OF GOD”, SENZA PEPPER?
– Guarda, forse è una risposta parziale, ma sono convinto che esistano tre incarnazioni dei COC, e quando ci siamo ritrovati in tre è stato naturale tornare a quella ‘hardcore’, diciamo, e suonare quelle canzoni è anche molto divertente: sono veloci, dirette, decisamente cazzute. Sono molto orgoglioso anche di quella fase, ma devo dire che più o meno ogni mese, con Mike e Woody, ci chiedevamo: e se tornassimo insieme tutti e quattro? Eravamo convinti che in molti avrebbero gradito – e da quello che mi dici, mi pare che sia vero! – e anche per noi è piacevole. C’è voluto un po’, io ho avuto anche qualche difficoltà personale (si riferisce ai problemi di alcool emersi anche sulla stampa, ndR), ma eccoci qua.

DIETRO IL MIXER C’È SEMPRE JOHN CUSTER; SE NON SBAGLIO SONO VENTICINQUE ANNI CHE LAVORA CON VOI: POSSIAMO DIRE CHE È PARTE INTEGRANTE DELLA FAMIGLIA COC?
– Vedo John come il quinto membro della band, sì. È il George Martin dei COC, ha una capacità pazzesca di tirare fuori la nostra energia al meglio. Riesce proprio ad azzeccare il suono alla perfezione fin dal primo take, ed è così dai tempi di “Blind”, il primo album su cui abbiamo lavorato assieme: sa sempre cosa vogliamo ottenere.

 

 

 

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