E’ iniziata una nuova era per i Crowbar. La fuoriuscita dai Down è servita a Kirk Windstein per dare nuovo vigore alla band che ha fondato oramai venticinque anni fa, e così il 2014 ha visto i Nostri battere senza soluzione di continuità i palchi del Vecchio Continente, oltre che dare alle stampe la decima fatica sulla lunga distanza, “Symmetry In Black”. Appena prima di vederli all’opera sullo stage del Lo-Fi a inizio aprile, il leader dei Crowbar si è concesso ai nostri microfoni per una lunga e interessante chiacchierata, da cui traspare il rinnovato entusiasmo di una delle icone dello sludge metal.
NEL 2014 AVETE CENTRATO ALCUNI IMPORTANTI TRAGUARDI: AVETE RAGGIUNTO I VENTICINQUE ANNI DI CARRIERA E “SYMMETRY IN BLACK” È IL VOSTRO DECIMO DISCO. SE PENSI AL PASSATO DEI CROWBAR, QUALI SONO LE PRIME SENSAZIONI E I PRIMI PENSIERI CHE TI VENGONO IN MENTE? RIGUARDO AL FUTURO, CHE ASPETTATIVE HAI?
“Se guardo al passato, sul momento non mi viene in mente nulla di particolare. Ho fatto cose positive, altre molto stupide, come chiunque altro del resto. Non rinnego nulla, ormai fa tutto parte del passato. Per il futuro, posso semplicemente dirti che intendo rimanere focalizzato sui Crowbar, promuovere al meglio il nuovo disco e poi cercare di registrarne un altro appena possibile, tutto qua”.
DAI PRIMI ASCOLTI DEL DISCO EMERGE CHE AVETE FATTO UN LAVORO MOLTO ACCURATO PER LA PRODUZIONE, MI SEMBRA CHE SIA MOLTO PULITA E RIFINITA, PUR MANTENENDO IL CARATTERISTICO TOCCO HEAVY DEI CROWBAR. AVETE LAVORATO IN MANIERA DIVERSA RISPETTO AL PASSATO PER OTTENERE QUESTO RISULTATO?
“Non direi che abbiamo lavorato in maniera diversa dal solito, in ogni disco cerchiamo di fare qualcosa di diverso, di aggiungere qualcosa allo spettro della nostra musica, se ripetessimo sempre lo stesso disco non avrebbe senso. L’approccio però è sempre lo stesso, e il discorso vale anche per la produzione, non abbiamo apportato nessun accorgimento particolare”.
DEI BRANI DI “SYMMETRY IN BLACK”, DUE CI HANNO COLPITO PIÙ DI TUTTI: UNO È “REFLECTION OF DECEIT”, L’ALTRO È “AMARANTHINE”. POTRESTI DIRCI QUALCOSA SULLA COMPOSIZIONE DI QUESTE DUE CANZONI E SUGLI ASPETTI TRATTATI NELLE LYRICS?
“’Reflection Of Deceit’ è una canzone molto cupa, ha delle melodie oscure e il mood generale è decisamente dark. Dal punto di vista lirico, parla di tutte quelle forze che agiscono alle spalle di una persona: nel testo si racconta di quelle azioni che vengono commesse alle spalle, secondo la prospettiva di un individuo che si trova davanti allo specchio, impegnato a guardare la propria vita riflessa. Può vedere chi gli sta accanto, un suo amico, la sua ragazza, un suo famigliare, che gli fa del male, e si rende conto del trattamento che gli è stato riservato da chi gli sta vicino. Di fronte a questo immaginario specchio una persona può vedere chi, nel momento del bisogno, si è tirato indietro e non lo ha aiutato. ‘Amaranthine’, invece, è una sorta di ballad, molto emozionale, anche se rimane pure questa una canzone dal feeling abbastanza tetro. Ci siamo trovati a comporla partendo da parti di canzone che avevo lì in disparte da un po’, ogni tanto pesco da questo archivio di brani non ultimati e provo a dargli una seconda possibilità. In questo modo ero arrivato a scrivere ‘Echo An Eternity’ per ‘Sever The Wicked Hand’, una traccia a cui tengo molto perché è dedicata a mia figlia. ‘Amaranthine’ ha la singolarità di essere acustica, è qualcosa che non abbiamo praticamente mai fatto in passato, e la trovo molto bella”.
… ANCHE SE IN PASSATO VI SIETE GIÀ AVVENTURATI IN TERRITORI SIMILI, IN MOLTE CANZONI AVETE COMUNICATO UN FORTE SENSO DI MALINCONIA, E LA TUA VOCE SA DESTREGGIARSI MOLTO BENE SU QUESTE SONORITÀ PIÙ SOFT.
“Sì, è vero, ci piace mettere dentro i nostri album dei pezzi più melodici, non vogliamo suonare sempre aggressivi e pesanti, bisogna essere in grado di cambiare registro e non fossilizzarsi solo su cose molto heavy. Devi essere capace anche di suonare del materiale acustico, non solo di prendere a calci in faccia chi ti ascolta”.
IN “SEVER THE WICKED HAND” I TESTI ERANO MOLTO POSITIVI, RISPETTO A QUANTO NARRATO NELLE PRECEDENTI RELEASE. ANCHE PER IL NUOVO LAVORO SIETE STATI “CONTAGIATI” DA ACCENTI POSITIVI?
“Vedi, molte persone si aspettano da un musicista che si occupa normalmente di roba molto pesante come la nostra un tipo di sentimenti molto pessimisti, depressi; si ritiene che ci si debba trovare per forza immersi nella negatività per fare un certo tipo di musica. Ora, a me piace suonare molto heavy e occuparmi di tematiche amare, di pensieri negativi, ma voglio farlo in un’ottica ottimistica, anche se mi rendo conto che non è facile porsi sotto questo punto di vista. Io, i miei amici, abbiamo avuto esperienze negative, conosco persone che hanno, o hanno avuto, problemi di droga e di alcol, e sicuramente nei testi finisco per parlare di questi argomenti, ma penso anche che queste problematiche si possano superare e guardare avanti, ecco perché parlo di certe vicende in una prospettiva positiva, guardando a miglioramenti futuri. Non è qualcosa di così facile da far capire, e non è nemmeno semplice partire da un vissuto negativo per migliorarsi ed avere una speranza, ma io ci provo”.
HO LETTO CHE PER VOI QUEST’ULTIMO PERIODO È STATO UNO DEI PIÙ SODDISFACENTI COME BAND, PERCHÉ DOPO ALCUNE DIFFICOLTÀ ORA VI SENTITE MOLTO FORTI E UNITI. PENSI CHE QUESTA RITROVATA ARMONIA E IL SENTIRSI UN GRUPPO COMPATTO, A DIFFERENZA CHE IN ALCUNI MOMENTI DEL PASSATO, COME IL PERIODO DELLE REGISTRAZIONI DI “LIFESBLOOD FOR THE DOWNTRODDEN”, DOVE DI FATTO I CROWBAR ERANO DIVENTATI UN TUO PROGETTO SOLISTA, ABBIA INFLUITO SUL PROCESSO COMPOSITIVO?
“Personalmente, l’aspetto più importante in quest’ultimo periodo dei Crowbar è che mi sono un po’ facilitato la vita con alcune scelte. L’uscita dai Down mi ha permesso di cominciare a vivere con più calma e di occuparmi così di meno cose, ma senza dover avere lo stress di stare dietro a tutto. Mi rendevo conto che non riuscivo più a seguire così tante attività e avevo voglia di essere meno impegnato e meglio focalizzato su i Crowbar e la famiglia, che poi per certi versi sono la stessa cosa, visto che i Crowbar sono una ‘family band’, mia moglie viene in tour con noi e ci aiuta in tutto ciò che riguarda il gruppo. Per me gli ultimi mesi sono stati una sorta di nuovo inizio, avevo effettivamente bisogno di staccare, almeno in parte, rispetto alla vita che stavo facendo. Sentivo la necessità di prendere le cose un po’ più alla leggera e di impegnarmi a fare una cosa per volta, e non tante tutte assieme”.
L’ULTIMO CAMBIAMENTO NELLA LINE-UP È STATO L’INGRESSO DI JEFF GOLDEN AL BASSO AL POSTO DI PATRICK BRUDERSS. COSA PUOI DIRCI DI QUESTO NUOVO MUSICISTA? COME È STATO SELEZIONATO PER ENTRARE A FAR PARTE DEI CROWBAR?
“Intanto ci è spiaciuto che Patrick Bruderss abbia lasciato la band, stavamo per entrare in studio e ci ha detto che ci avrebbe lasciato per i Down. Suonavamo entrambi nei Down, io poi ho deciso di rimanere solo nei Crowbar, lui invece ha preferito restare dall’altra parte. Lo posso capire, alla fine i Down sono decisamente più ‘grandi’ dei Crowbar e la sua è stata una decisione assolutamente comprensibile. Per quel che riguarda Jeff Golde, ci ha contattato su facebook, ci ha mandato alcuni sui video, quindi l’abbiamo contattato per una audizione. I Crowbar sono la sua band preferita, ha un po’ di esperienza alle spalle, in passato ha suonato per un brevissimo periodo con i Six Feet Under, e ha fatto numerosi tour, sia come musicista che come responsabile del merchandising per i gruppi. Non ha mai fatto parte di una band così grossa, ma ci sta mettendo tutto l’impegno possibile per essere all’altezza. E’ un ragazzo intelligente, molto appassionato, anche dal lato umano ci stiamo trovando molto bene a lavorare assieme”.
L’ANNO SCORSO LA BAND HA VISSUTO DEI MOMENTI TERRIBILI A CAUSA DEL CANCRO CHE HA COLPITO TOMMY BUCKLEY. COME AVETE VISSUTO IL PERIODO DELLA SUA MALATTIA? QUAL E’ STATA LA REAZIONE DI TOMMY E QUALI SONO ORA LE SUE CONDIZIONI?
“Le sue condizioni attuali sono perfette, fortunatamente. L’anno scorso è stata davvero dura, Tommy si era appena sposato quando è stato operato. Come band abbiamo cercato di stargli vicino, siamo una vera e propria famiglia e questo fatto ci ha unito ancora di più. Noi tutti in questo momento siamo molto focalizzati sull’attività dei Crowbar, personalmente negli ultimi tempi mi sento ringiovanito. Compirò quarantanove anni settimana prossima (l’intervista si è svolta il 7 aprile, ndR), nel fisico me li sento tutti, ma nella testa, nel cuore, sento di averne venti! L’aver riscoperto l’importanza di occuparmi dei Crowbar mi ha dato nuova linfa vitale. D’altronde li ho fondati io, fanno parte della mia vita da venticinque anni, e ora ho il giusto feeling, la giusta voglia per andare avanti con questa attività”.
I CROWBAR NON HANNO MAI RIPETUTO LO STESSO ALBUM, MA C’E’ SEMPRE STATA UNA FORTE CONNESSIONE TRA OGNI DISCO. OGNI TANTO NON SEI IN DIFFICOLTA’ A DOVER RIMANERE PER FORZA ENTRO CERTI CONFINI? NON SEI TENTATO DI PROVARE QUALCHE ESPERIMENTO, DI FARE UNA SORPRESA AI TUOI FAN?
“No, anche se non siamo nemmeno una di quelle band che batte sempre sullo stesso tasto e si ripete di disco in disco. Quello che va su ogni album deve essere semplicemente attinente a quelli che sono i Crowbar e la loro storia. Ci influenzano molte band, ma poi cerchiamo sempre di fare qualcosa di nostro, che suoni completamente Crowbar. Nei primi due dischi forse eravamo un po’ diversi da quello che siamo oggi, negli anni abbiamo sempre cercato di mettere nei dischi canzoni lente, altre molto aggressive, oppure pezzi molto tristi”.
QUALI SONO LE MOTIVAZIONI CHE TI SPINGONO A REGISTRARE UN ALTRO ALBUM E AD ANDARE NUOVAMENTE IN TOUR? NON TI SENTI UN PO’ STANCO DI QUESTA VITA? OPPURE SEI SEMPRE CONVINTO DELLE TUE SCELTE RIGUARDO ALLA VITA DA MUSICISTA?
“Per me è abbastanza facile andare avanti a fare quello che ho intrapreso ormai molti anni fa. Mia moglie viene in tour con me, si occupa del merchandising, è molto coinvolta nell’attività della band e se la cava molto bene nel gestire le attività collaterali. E’ una persona meravigliosa. Sicuramente non ho il problema di lasciare a casa una moglie, dei bambini, i Crowbar sono la mia vita e il mio business, è tutto collegato e quindi non mi pesa questo tipo di vita. D’altronde, come ti ho già detto, i Crowbar sono una sorta di ‘family band’!”.
QUALI SONO LE MIGLIORI ESPERIENZE CHE AVETE VISSUTO COME GRUPPO?
“Faccio fatica a estrapolare alcuni momenti in particolare, il solo fatto di aver costruito una carriera come la nostra, partendo da quando ho imparato a suonare la chitarra, alle prime esperienze come band, al ritrovarci a suonare insieme ai nostri idoli, è stato qualcosa di davvero grande. Adesso che mi viene in mente, ieri abbiamo suonato a Roma, dove non eravamo mai stati, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. E’ stato un grande show, il pubblico ci ha apprezzato. Ecco, sono queste le cose che ti danno motivazioni, il poter scoprire posti nuovi, nuovi mercati, persone diverse che non ti hanno mai visto suonare prima. Quest’anno abbiamo avuto delle belle soddisfazioni a livello di concerti, abbiamo tenuto ottime date soprattutto in Inghilterra e Germania”.
I CROWBAR SONO CONSIDERATI UNA DELLE PRIME, E MIGLIORI, SLUDGE METAL BAND. COSA SIGNIFICA PER TE LA PAROLA SLUDGE? PENSI CHE SIA IL TERMINE MIGLIORE PER DEFINIRE LA VOSTRA MUSICA?
“Quando abbiamo cominciato non c’era nessuna band che suonava come noi. In un certo senso siamo stati creatori di un nuovo sound, quindi qualcuno ha pensato di dare un nome a chi, come noi e pochi altri, aveva uno stile di questo tipo. E’ un termine nato per indicare qualcosa di nuovo, da questo punto di vista è una definizione assolutamente positiva”.
TE L’HO CHIESTO PERCHE’ RICORDO DI AVER LETTO IN PASSATO CHE MIKE WILLIAMS ODIA QUESTO TERMINE, DICE CHE NON RAPPRESENTA ASSOLUTAMENTE QUELLO CHE SONO GLI EYEHATEGOD…
“Noi e gli Eyehategod siamo molto diversi, credo che loro siano molto più legati al punk rispetto a noi e capisco che Mike Williams la veda in questo modo. Noi siamo più legati al metal, al metal lento, heavy e paludoso. Per noi il termine sludge va benissimo”.
SE NON AVESSI VISSUTO NEL SUD DEGLI STATI UNITI, PENSI CHE SUONERESTI LO STESSO TIPO DI MUSICA?
“No! Non saprei dirti il perché, io, Jimmy (Bower, chitarrista degli Eyehategod, ndR), Mike (Williams, cantante degli stessi Eyehategod, ndR) siamo nati tutti nella stessa città, abbiamo bene o male frequentato gli stessi posti, e le nostre band, anche se non sono così simili, hanno una radice comune. Dev’essere la particolare cultura di New Orleans, questo misto di tante persone dalla provenienza più disparata, che segna i musicisti. E’ davvero un posto molto speciale in cui vivere”.
NEGLI ULTIMI TEMPI LO SLUDGE E’ DIVENTATO UNO DEI TREND PRINCIPALI NELLA SCENA HEAVY METAL, E HA AVUTO MOLTE CONTAMINAZIONI COL DOOM, COL BLACK METAL, CON LO STONER, L’HARDCORE. SEI INTERESSATO DA QUESTI ESPERIMENTI? SEGUI QUALCHE BAND CHE SUONA IN QUESTA MANIERA?
“Non sono molto ferrato su quali siano le band che si rendono protagoniste di queste sperimentazioni, sono molto impegnato con la musica dei Crowbar e non mi dedico spesso ad ascoltare nuovi gruppi. Posso però dirti che la cosa mi fa piacere, sono contento che ci siano musicisti che suonano sludge e hanno i Crowbar tra le loro influenze”.
CHE COSA TI MANCA DI PIU’ DEI PRIMI TEMPI NEI CROWBAR, QUANDO ERAVATE MOLTO GIOVANI? QUALI SONO GLI ASPETTI DEI PRIMI PERIODI DELLA BAND CHE TI TROVI A VOLTE A RIMPIANGERE?
“Sicuramente il fatto che il mio fisico risponde meno bene di un tempo. Quando sei giovane riesci a tenere dei ritmi che invecchiando non ti puoi più permettere, oggi quando faccio certi orari ho bisogno disperatamente di una Red Bull per rimanere sveglio! Soprattutto quando c’è da fare dei tragitti molto lunghi e capita di dover guidare a lungo, la stanchezza oggi si fa sentire molto di più di venticinque anni fa. Però non ho grandi rimpianti, anche se ogni tanto mi fa effetto pensare ai primi tempi, al nostro primo contratto discografico, all’uscita di ‘Obedience Thru Suffering’ nel 1991: quelli sono tutti dei bei ricordi”.
QUAL E’ L’ALBUM DI CUI TI SENTI PIU’ ORGOGLIOSO? E QUAL E’ QUELLO CHE TI HA DATO PIU’ DIFFICOLTA’ E TI HA FATTO DAVVERO SOFFRIRE?
“Sarò banale e ripetitivo, ma per la prima parte della domanda ti direi ‘Symmetry In Black’, perché segna un nuovo inizio per la band, sono fiero di averlo registrato e credo molto nelle canzoni che ho scritto. Il disco che ci ha dato più problemi è stato molto probabilmente ‘Equilibrium’. Non per l’effettiva qualità del materiale, che mi piace, quanto per la situazione in cui mi sono trovato durante la registrazione. La Century Media ci aveva dato solo tre settimane, ho dovuto affrontare una dura corsa contro il tempo per finire tutto. In pratica ho dovuto fare tutto da solo, mi sono occupato della batteria, del basso, della voce, è stato un periodo molto stressante. Anche il suono complessivo del disco non mi ha mai convinto tantissimo. Normalmente ho bisogno di lavorare con calma, parlare con l’ingegnere del suono e chi si occupa del missaggio per spiegare come intendo che suoni il disco, in modo tale che tutto vada per il verso giusto e il risultato finale sia quello desiderato. Nel caso di ‘Equilibrium’ questo non è stato possibile, però le canzoni credo siano all’altezza del nome Crowbar”.
SIETE PASSATI IN MOLTI PAESI DIVERSI NEL TOUR EUROPEO DI QUESTA PRIMAVERA E NE VEDRETE MOLTI ALTRI QUESTA ESTATE. C’E’ UN POSTO DOVE TI PIACE PARTICOLARMENTE TORNARE E DOVE TI SEI TROVATO MEGLIO CHE ALTROVE?
“Ce ne sono parecchi, più che delle città preferite mi vengono in mente alcuni festival in cui mi sono trovato davvero bene e dove ho sempre piacere di tornare. Mi viene in mente l’Hellfest, tutte le volte che ci ho suonato ho avuto grandi sensazioni, oppure il Roadburn, il Summer Breeze, lo Sweden Rock, l’High Voltage inglese, e anche alcuni festival minori in giro per l’Europa mi hanno dato belle soddisfazioni”.