D-A-D – Un sorriso nell’oscurità

Pubblicato il 31/10/2024 da

I D-A-D toccano nel 2024 i quarant’anni di vita – un traguardo, in effetti, mastodontico. Nonostante, ormai, molti dei nostri artisti preferiti, per via dell’età, abbiano toccato questa cifra quanto ad anni di carriera (e tanti per fortuna ci siano arrivati in apprezzabili condizioni fisiche ed artistiche), il numero in sé fa impressione. A maggior ragione se parliamo di un gruppo che ha sempre avuto un’immagine giovane, divertita, sprezzante verso il trascorrere del tempo e senza portarsi addosso attributi che fanno sembrare una formazione qualcosa ‘d’altri tempi’.
“Speed Of Darkness” sancisce l’ennesimo capitolo di questa storia di successo, un disco che sottolinea la voglia dei quattro danesi di celebrare il passato, ma soprattutto di vivere in pienezza il presente. Anche se c’è voglia di festeggiare il quarantennale, i D-A-D giustamente pensano a se stessi come a un’entità che guarda più al presente e al futuro, piuttosto che a quanto sta dietro le spalle.
“Speed Of Darkness” non ci ha emozionato ed esaltato come il precedente, adrenalinico, “A Prayer For The Loud”, ma rimane la testimonianza di musicisti ancora in forma, pieni di idee e con tanta voglia di rock’n’roll, la stessa che potevano avere alla metà degli anni ’80, quando si affacciavano sui palcoscenici nazionali.
Il nostro interlocutore per questa intervista, il cantante/chitarrista Jesper Binzer, personaggio alla mano, ci accompagna volentieri in una panoramica sul momento attuale del gruppo e alcune riflessioni sui passati trascorsi.

UN TITOLO COME “SPEED OF DARKNESS” SEMBRA SUGGERIRE UNA RIFLESSIONE SULL’OSCURITÀ CHE STA DIVORANDO IL MONDO AI GIORNI NOSTRI: UNA MORSA SEMPRE PIÙ STRETTA DI GUERRE, CRISI ECONOMICHE, ASSENZA DI RISPETTO PER LA CONDIZIONE UMANA, LA CRESCITA INARRESTABILE NEI LIVELLI DI RABBIA E INTOLLERANZA DELLE PERSONE.
RIGUARDA VERAMENTE QUESTO, IL TITOLO DEL DISCO? SI RELAZIONA DIRETTAMENTE CON QUANTO STA ACCADENDO NEL MONDO?

– Sì, purtroppo hai centrato il punto! E allora, sì, veramente ci tocca stare qui a parlare in una canzone di un’altra guerra? Di nuovo c’è una guerra in Medio Oriente? Lentamente, tutto ciò che speravamo – la pace, la concordia tra le nazioni – è stato superato dalla rabbia e dalla vendetta. Immagino che l’umanità voglia di nuovo uno scontro totale, o almeno questo è quello che si osserva oggi nel mondo.

“SPEED OF DARKNESS”, COMPLESSIVAMENTE, SUONA MENO ADRENALINICO E ROCK’N’ROLL RISPETTO AI VOSTRI ULTIMI ALBUM. QUALCOSA CHE PUÓ RICORDARE, PER ALCUNI ASPETTI, IL PERIODO DI “SOFT DOGS”.
ANCHE IL SUONO È MENO RUVIDO E PUNK, PIÙ EDUCATO E LEVIGATO, CON SFUMATURE POP ALL’ORIZZONTE, IN ALCUNE CANZONI.
DA DOVE SCATURISCE QUESTA DIREZIONE SONORA?

– Ho avuto questa sensazione, come se stessimo registrando delle canzoni ’classiche’: abbiamo lavorato più del solito sulla composizione in senso stretto, trascorso tanto tempo a scrivere dei testi che avessero significato per tutti e quattro e ci siamo divertiti a stare in studio, senza essere disturbati da nessuno.
Abbiamo convenuto che volessimo un suono, come dire, ‘adatto all’età che abbiamo’. Non volevamo che avesse l’effetto di qualcosa di sgraziato, ci siamo focalizzati su una produzione che potesse suonare gradevole per chi ci ascolta.

UNA DELLE MIGLIORI CANZONI DELL’ALBUM È A MIO AVVISO “THE GHOST”. CHI SAREBBE QUESTO ‘FANTASMA’?
– È qualcuno che hai perso, che continua a vivere dentro di te. Memorie, emozioni, un amore non corrisposto… Avere questo tipo di sensazioni, essere in pace con esse e accettarle.

UN ALTRO BRANO MOLTO RIUSCITO È “CRAZY WINGS”: DOVE PENSATE DEBBANO PORTARE QUESTE ‘PAZZE ALI’?
– Ho immaginato le sensazioni di una persona che beve una bevanda psicotropa, tipo l’ayahuasca o qualche altra sostanza che può alterare le percezioni della mente, e dopo un viaggio psicologico atterra da qualche parte, acquisendo nel frattempo nuove prospettive.

QUEST’ANNO CELEBRATE I QUARANT’ANNI DI ATTIVITÀ: UN ANNIVERSARIO IMPORTANTE, UN’INTERA VITA SPESA PER LA MUSICA. QUAL È LA PRIMA COSA CHE TI VIENE IN MENTE, SE PENSI A QUESTI QUARANT’ANNI DI D-A-D?
– Gratitudine. per essere in grado ancora oggi di creare canzoni emozionanti – anche senza crederci davvero – e ridere del fatto che, nonostante siamo cambiati così tanto come persone nel corso degli anni, siamo ancora in grado di spingere l’uno l’altro a realizzare le proprie ambizioni creative. Sembra ieri che abbiamo cominciato a farlo, e allo stesso tempo è come se fossero passati cent’anni…

RIPERCORRENDO QUALCHE MOMENTO DEL PASSATO, POSSO CHIEDERTI SE È MAI SUCCESSO CHE ABBIATE PENSATO SERIAMENTE, SE NON DI SCIOGLIERVI, DI INTERROMPERE PER UN LUNGO PERIODO L’ATTIVITÀ DELLA BAND?
– Petr, il nostro primo batterista (Lundholm Jensen, dietro i tamburi dagli esordi fino a “Simpatico”, ndr), ha lasciato la band quando il rock non era in un grande momento di forma, e ora è un ingegnere. Quello è stato un momento critico. Ma creare canzoni e cantarle è la mia voce interiore, la mia vita. Una settimana dopo l’abbandono di Petr ci siamo seduti tutti e tre assieme e abbiamo scritto di getto “Everything Glows”: tempi difficili spingono a scrivere nuova musica e così siamo andati avanti.

SECONDO TE QUAL È LA CANZONE PEGGIORE MAI SCRITTA DAI D-A-D E PERCHÈ?
– Potrebbe essere “Hey Now” oppure “A Kiss Between The Legs”, ma anche per queste, come per tutte le altre, c’è sempre una ragione per cui sono state scritte. Le canzoni ti trasportano da un’altra parte, lontano da qualche tuo piccolo errore…

SU UN FRONTE DIAMETRALMENTE OPPOSTO, QUAL È LA MIGLIORE CANZONE CHE AVETE SCRITTO E NON HA AVUTO IL SUCCESSO CHE AVREBBE MERITATO?
– In questo caso penso sempre “Money Always Takes The Place Of Life”, e anche “Burning Star” è un gran brano che meriterebbe maggiore considerazione. Assieme a “Helpyourselfish” and “Between You And Me”.

AL TEMPO DI “DRAW A LINE” CANTAVI “I DON’T CUT MY HAIR”, RAPPRESENTANDO IL QUESTO MODO IL TUO AMORE INCONDIZIONATO PER IL ROCK’N’ROLL E UNA SPECIE DI RIFIUTO A CRESCERE, INVECCHIARE.
MOLTI ANNI PIÙ TARDI, POSSIAMO AFFERMARE CON CERTEZZA CHE IN EFFETTI I CAPELLI NON TE LI SEI TAGLIATI E SEI RIMASTO FEDELE AL ROCK’N’ROLL PER TUTTO QUESTO TEMPO. TI CHIEDO QUINDI QUAL È LA COSA PIÙ IMPORTANTE A CUI TI SEI AGGRAPPATO PER RIMANERE IN QUESTO STATO MENTALE, A NON TRADIRE QUELLO CHE ERI DA GIOVANE E, IN DEFINITIVA, A NON ARRIVARE MAI A ‘TAGLIARTI I CAPELLI’.

– Sono stato fortunato a incrociare gli altri ragazzi della band sulla mia strada e a lavorare assieme per questi quarant’anni. Il resto lo ha fatto la mia sete di rock e la voglia di viaggiare, esplorare, qualcosa che inizialmente non sapevamo di avere. Avere una carriera artistica è come avere una vita in più a disposizione, qualcosa che non cambierei con nient’altro.

SPECIALMENTE NEI PRIMI ANNI, ERAVATE E SIETE ANCORA ASSOCIATI, A TEMATICHE TIPICHE DEI FILM WESTERN. DA DOVE DERIVAVA IL VOSTRO INTERESSE PER QUEGLI ARGOMENTI?
– Quando abbiamo iniziato, cercavamo innanzitutto di divertirci un po’: il movimento punk, di cui facevamo parte, stava diventando molto ‘artistico, n’oi eravamo giovani e all’improvviso questo nostro modo di fare parodistico era la cosa più esilarante che ci potesse essere per noi, una nuova interpretazione di quello che ci accadeva intorno.
Era il nostro modo di interpretare quello che vivevamo e vedevamo allora. Più tardi ci siamo avvicinati al blues e all’hard rock, ma c’è ancora qualcosa di quelle atmosfere nelle nostre canzoni di oggi…

UNA DELLE MIE CANZONI PREFERITE IN ASSOLUTO DEI D-A-D È “I’D RATHER LIVE THAN DIE”, UNA DELLE VOSTRE MIGLIORI TRA QUELLE PIÙ SOFT E STRUGGENTI.
ICORDI COME SIETE ARRIVATI A SCRIVERE QUESTO BRANO, COSÌ SOFFUSO E PROFONDO NEL SIGNIFICATO DEL SUO TESTO?

– Oh, guarda, nessun grande pensiero: la vita è fatta così, una volta che hai dato il massimo, tutto te stesso per esprimere la tua carica rock, arriva il momento di tirare il fiato, riposare e diffondere un po’ di speranza e amore. Questa è “I’d Rather Live Than Die”.

UN’ALTRA CANZONE ALLA QUALE SONO AFFEZIONATO È “BEAUTIFUL TOGETHER”. A COSA SI ISPIRA? COME ACCADE SPESSO NELLA VOSTRA MUSICA, È MOLTO DIVERTENTE MA HA UN TOCCO DOLCEAMARO, E IN QUESTO CASO IL CONTRASTO TRA LA VIVACITÀ DELLA MUSICA E L’AMAREZZA DEL TESTO È PARTICOLARMENTE FORTE…
– Sì, vero, è una canzone agrodolce, parla di un amore andato male, speranze che diminuiscono e la consapevolezza che forse tutto quello che volevi si realizzasse non accadrà mai.

FUORI DALLA DANIMARCA E DALLA SVEZIA, DOVE SIETE MOLTO POPOLARI E AVETE UN PUBBLICO PIÙ VASTO DI QUELLO CHE SEGUE SEMPLICEMENTE L’HARD ROCK, QUAL È IL PAESE DOVE AVETE MAGGIOR SUCCESSO?
– Abbiamo un seguito molto buono anche in Portogallo e Finlandia, e in Germania. Lo scorso anno siamo stati in Australia, mancavamo da quelle parti da circa venticinque anni, l’accoglienza è stata elettrizzante.

PER IL TOUR CHE PARTIRÀ A BREVE, COSA CI DOBBIAMO ATTENDERE? ANDRETE A RECUPERARE QUALCHE PEZZO CHE NON SUONATE DA TEMPO?
– Ci piace sempre andare a recuperare qualcosa di più oscuro dal passato, quando andiamo a in tour. Adesso il nuovo album è fresco, quindi ci teniamo a dargli rilevanza, potete attendervi un mix di cose vecchie, classiche e nuovi brani.

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