Riapparire sulle scene dopo praticamente vent’anni dall’unica uscita ufficiale della loro carriera, e farlo esattamente all’inizio di una pandemia mondiale senza precedenti. Se non è un record assoluto questo, poco ci manca! I vercellesi Dammercide non sono stati esattamente fortunati nella scelta delle tempistiche del loro comeback discografico, ma ciò non li ha fatti per nulla demordere, consolati parzialmente dal fatto che – ahi per tutti! – chiunque ha dovuto sottostare al grave e generalizzato contrappasso causato dalla diffusione del nuovo coronavirus. Sconvolto completamente l’impianto promozionale architettato per il nuovo “The Seed”, ora i sei musicisti possono solo rimboccarsi le maniche, gestire al meglio i loro contatti social e diffondere il massimo possibile la loro creatura appena nata, un ottimo lavoro di progressive technical metal sicuramente ostico da assimilare, ma altresì dotato di fantastici spunti melodici, tecnici ed emozionali. Abbiamo contattato la band quasi al completo più o meno un paio di mesi fa, da poco usciti dal lockdown nazionale, ed ecco il resoconto di tale interessante chiacchierata…
CIAO RAGAZZI, BENVENUTI SU METALITALIA.COM! LA VOSTRA STORIA E’ CERTAMENTE MOLTO PARTICOLARE E BISOGNA SCAVARE ALQUANTO NEL PASSATO PER INTRODURVI COME BAND. MA LA PRIMA DOMANDA CHE VOGLIO FARVI E’ ABBASTANZA SURREALE: DECIDETE DI TORNARE IN PISTA, CON UN NUOVO DISCO, DOPO VENT’ANNI, E PROPRIO QUANDO QUESTO STA PER USCIRE ESPLODE UNA PANDEMIA MONDIALE… COME CI SI SENTE? MEGLIO BUTTARLA SUL DISSACRANTE O COS’ALTRO?
Fabio Decovich (basso) – Ciao Marco, e un saluto a tutti i lettori di Metalitalia.com. Be’, sì, dici bene, la situazione è abbastanza surreale: oltre allo scenario che descrivi tu, aggiungici anche un certo senso di smarrimento. La band ad oggi è composta da un gruppo piuttosto eterogeneo di esperienze musicali che contemplano, partendo da chi di noi svolge una vera e propria professione nel settore, diverse sfumature di coinvolgimento nell’ambito musicale e, per quanto riguarda i membri della prima ora della band, abbiamo circa vent’anni di arretrato durante i quali le dinamiche dell’underground sono cambiate radicalmente. E’ stato spiazzante, in un momento in cui ci stavamo dedicando ad una sorta di ‘aggiornamento’, assistere a questo avvenimento che ha letteralmente paralizzato tutto, e probabilmente porterà anche a dei mutamenti radicali del mercato musicale in cui ci muoviamo.
SE AVEVATE PIANI PER LA PROMOZIONE DI “THE SEED” DAL VIVO, OVVIAMENTE SONO STATI TUTTI TRAVOLTI. COME VI STATE RIORGANIZZANDO? E’ POSSIBILE FARE E PENSARE A QUALCOSA ORA, O LE PRIORITA’ SONO CONCENTRATE SULLE VOSTRE VITE PRIVATE?
Fabio Decovich (basso) – Ti dico solo che, a causa della dislocazione geografica di alcuni componenti della band (Demetrio vive in Norvegia, Enzo, il nostro nuovo batterista, a Ventimiglia, mentre il resto della band è stabile a Vercelli), per noi anche solo il fatto di incontrarsi in una sala prove è un vero e proprio evento. “The Seed” è un lavoro che abbiamo composto e inciso interamente da remoto e, se posso raccontarti un aneddoto ironico, ti posso dire che abbiamo fatto la prima sessione di prova con la formazione quasi al completo e la sera successiva il Piemonte è stato dichiarato zona rossa… Va da sè che fossimo proprio ad un livello embrionale di quella che dovrebbe essere una strategia di promozione live, e onestamente ci è parso poco sensato prendere contatti ora per il post-pandemia; o meglio, immagino il tipo di risposte che avremmo ricevuto. Un altro aspetto che si è ‘inceppato’ a causa del lockdown riguarda l’uscita dell’album nel formato fisico: abbiamo stipulato un accordo con la label Punishment 18 negli ultimi giorni di febbraio, pianificando la pubblicazione di “The Seed” a maggio, ma considerata la situazione sarebbe stato per entrambi un passo falso farlo uscire rispettando quelle tempistiche. Fortunatamente, soprattutto grazie alla disponibilità e alla trasparenza di Corrado Breno e dello staff di P18, siamo riusciti a ri-pianificare la pubblicazione al 25 settembre, prendendoci così anche il tempo per valutare delle strade promozionali alternative ai live, qualora per quel periodo non fosse ancora possibile la ripresa delle attività.
Per quanto riguarda le priorità, è stato abbastanza naturale affrontare la famigerata Fase 1 concentrandoci sulle esigenze personali di ognuno dei membri della band, dettate principalmente dalle situazioni lavorative e familiari – uno dei nostri chitarristi, Fausto, in piena pandemia è diventato papà per la seconda volta – e, anche se ci abbiamo pensato e siamo strutturati per farlo, alla fine non abbiamo forzato la mano su una presenza ‘virtuale’ esagerata; abbiamo preferito approfittare di questo momento per riflettere sul futuro, comporre nuova musica e pensare a nuovi progetti.
INIZIAMO A PARLARE DEI DAMMERCIDE FACENDO UN BEL SALTO ALL’INDIETRO DI OLTRE DUE DECADI. MOLTI SI RICORDANO DI VOI E DEL VOSTRO NOME, MA TANTISSIMI NON VI AVRANNO MAI SENTITI NOMINARE PRIMA DI QUESTI GIORNI. CI RIASSUMETE LA VOSTRA STORIA, TRA ALTI E BASSI?
Fabio Decovich (basso) – Ci siamo formati nel 1994: io e Fausto avevamo una band techno thrash con Alex (Allavena, ndR), il primo cantante della formazione, ma non riuscivamo a trovare i membri per completare una formazione stabile. Nell’estate di quell’anno, intanto, si faceva sempre più concreta la possibilità che Chicco (all’epoca in un’altra band locale, i Klerics) potesse unirsi alla formazione, attratto dalla grande intesa musicale che si era creata sui banchi di scuola tra i due chitarristi. Una volta identificato il batterista giusto per sviluppare le nostre idee (Alessandro Rebughini, che resterà nella band fino al 1997), abbiamo cominciato da subito a comporre brani inediti. Abbiamo fatto diversi esperimenti di registrazione casalinga, prima di entrare in uno studio vero e proprio per produrre la nostra musica. La prima demo, “Compromise”, non vedrà la luce prima del 1998, mi pare. Anche per quanto riguarda l’attività dal vivo, devo dire che, considerati gli anni di cui stiamo parlando, suonavamo con una certa frequenza, anche se ci siamo spostati relativamente poco sul territorio. L’inclusione di un nostro brano nella compilation Psychosonic Vol. 2 è stato il trampolino di lancio che ha sollevato l’interesse della neonata Negatron Records di Pavia, interesse che si è poi concretizzato con la pubblicazione del nostro debut-album “Link”, nel 2000. Il disco in qualche modo ha rappresentato la chiusura di un ciclo. Dopo la sua uscita abbiamo dovuto affrontare situazioni non sempre facili, come gli avvicendamenti nella lineup e, dopo questo periodo così travagliato, un po’ per una certa stanchezza dovuta al fatto di suonare brani che arrivavano ad avere tre o quattro anni di età, ma soprattutto per consentire al nuovo frontman, Fabio Colombi, di esprimere con maggiore libertà la propria personalità musicale, abbiamo avvertito la necessità di rinnovarci anche artisticamente. Cosa che siamo riusciti a realizzare solo in parte: una scena musicale di inizio millennio che stava cambiando nella direzione opposta alla nostra, nei gusti e nei modi, unita a vite private che ci hanno portato a percorrere il nostro tracciato musicale con passi reciprocamente diversi, sono state le cause principali della decisione di interrompere la stesura del nuovo album e l’esistenza della band.
Fausto Massa (chitarra) – Durante l’inverno del 2016 ci siamo ricontattati per organizzare una ‘reunion surprise’, da cui preparammo il live “Re.Link’ed 24/02/2017”. Demetrio sarebbe venuto in Italia per le sue clinic, quindi unendo l’utile al dilettevole abbiamo deciso di chiedergli se gli sarebbe piaciuto unirsi. La serata fu molto bella e carica di energia, tale per cui dopo poche settimane cominciammo a sentirci con frequenza e a scrivere nuovo materiale.
IL VOSTRO DEBUTTO, “LINK”, PER CERTI VERSI PUO’ ESSERE CONSIDERATO UN PICCOLO CULT-ALBUM DEI NINETIES. VOI, DALL’INTERNO, COME LO VEDETE OGGI, A DISTANZA DI COSI’ TANTO TEMPO? ERA DAVVERO UN DISCO ALL’AVANGUARDIA? EBBE UN BUON SUCCESSO DI CRITICA, MA PER IL RESTO?
Enrico ‘Chicco’ Benvenuto (chitarra) – Innanzitutto grazie mille per averlo definito cult-album… “Link” è un disco che ancora oggi ascolto dall’inizio alla fine senza saltare alcuna traccia. Non cambierei niente dei pezzi, a partire dalla loro struttura fino ad arrivare alla tracklist. Non so se possiamo definirlo all’avanguardia ma, ancora oggi, i pezzi hanno uno stile molto personale e si distinguono dalla maggior parte delle altre produzioni.
Fabio Decovich (basso) – Col tempo è stato bello scoprire che, a distanza di molti anni dal nostro scioglimento, ci fosse qualcuno in rete che parlava del nostro disco, addirittura usandolo come termine di paragone nelle recensioni. Questo mi fa pensare che avessimo in qualche modo lasciato un piccolo segno, nella scena, ed è qualcosa di cui non eravamo assolutamente consapevoli.
Fausto Massa (chitarra) – Con “Link” penso che emergano due caratteristiche che ancora permangono nel nostro gruppo: fondere (e non assemblare) molti stili musicali e rendere le cose tecniche e complicate il più semplice possibile. “Compromise” fu nominato così, proprio perchè come scrivevamo era un compromesso di generi e stili; è una cosa che ci è sempre venuta naturale, divertendoci molto. Di “Link” posso dirti che oggi non mi suona vecchio, lo ritengo buona musica fatta con impegno, studiata ed eseguita bene, tutti insieme, con tanta passione.
POCO PRIMA DELLO SCIOGLIMENTO AVEVATE QUASI PRONTO “STRUCTURE”, IL SUCCESSORE DI “LINK”. QUANTO DI QUELLE IDEE E DI QUELLE COMPOSIZIONI E’ POI ANDATO A FINIRE IN “THE SEED”? OPPURE AVETE CANCELLATO TUTTO E SIETE PARTITI COMPLETAMENTE DA ZERO?
Enrico ‘Chicco’ Benvenuto (chitarra) – Prima di iniziare il nuovo percorso ci eravamo trovati proprio per discutere sul fatto di ripartire da dove avevamo interrotto “Structure” oppure se recuperare qualcosa da riutilizzare nei brani nuovi. Alla fine abbiamo deciso di non utilizzare nulla del vecchio materiale e di comporre nuovi brani partendo da zero.
Fausto Massa (chitarra) – Da “Link” in poi abbiamo sempre evitato i ‘collage’ dei riff. I pezzi vengono quasi imbastiti per intero e poi orchestrati da tutti, quindi o avremmo preso dei brani interi da “Structure” o sarebbe stato difficile inserire delle parti, e al contempo comunicare lo stesso messaggio musicale. Ancor di più è vero con i testi, sono passati tanti anni e c’è una diversa maturazione, si sarebbe subito vista la differenza.
COM’E’ AVVENUTO IL PROCESSO DI SONGWRITING DEL DISCO? CHI SONO I MAGGIORI COMPOSITORI IN SENO ALLA BAND E COME VIENE COSTRUITO UN BRANO DEI DAMMERCIDE NEL 2020?
Demetrio Scopelliti (chitarra) – Chicco ha scritto la struttura e la parte ‘armonica’ dei brani, che sono poi stati arrangiati da tutti i componenti della band. Ognuno ha portato il proprio trademark stilistico e il proprio background musicale; penso che il disco suoni molto diverso da qualsiasi altro prodotto dello stesso genere in circolazione, proprio grazie a questa lunga pausa che ha dato la possibilità a tutti i membri del gruppo di sviluppare il proprio stile incondizionatamente dagli altri; per farla breve, il fatto che la band nel corso degli ultimi quindici anni non sia passata attraverso il cosiddetto ‘artist development’ è stato il fattore determinante nello scrivere un disco originale, vario e personale; una sorta di paradosso, insomma.
SICURAMENTE UNO DEGLI ASPETTI PIU’ MUTATI E DIVERSI, TRA LE VOSTRE LINEUP DA DISCO, E’ IL CAMBIO DI VOCALIST. CON FABIO COLOMBI, DA GRUPPO PROGRESSIVE TECHNICAL METAL ESTREMO VI SIETE TRASFORMATI IN BAND PROGRESSIVE TECHNICAL METAL. PER QUANTO NE SO IO, ERA UN PROCESSO GIA’ IN ATTO CON “STRUCTURE”, QUINDI NON SIETE TORNATI INDIETRO IN QUESTA DECISIONE. AVETE MAI PENSATO DI RIPENSARCI E PROVARE DI NUOVO CON SCREAM E GROWL?
Enrico ‘Chicco’ Benvenuto (chitarra) – Per quanto riguarda il nostro processo creativo, e quindi anche la scelta del tipo di voce che sta bene sul pezzo, non ci siamo mai dati dei paletti… Questi pezzi, a parer nostro, giravano bene così e non necessariamente ci si doveva infilare per forza del growl per rimanere nel genere. Aggiungere parti in scream o growl è richiesto dalla dinamica del brano e non necessariamente dal genere che si sta suonando. Per esempio, se alcuni pezzi pop famosi avessero inserti di screaming e growl o, viceversa, se alcuni brani di metal estremo avessero parti di cantato melodico, non sarebbe tutto più interessante?
Fabio Decovich (basso) – Credo che l’unica regola non scritta che ci siamo sempre dati, alla fine, sia quella di rispettare l’esigenza che un musicista ha di esprimere se stesso, e questo diventa più evidente quando si parla di cantanti. Non voglio fare paragoni scomodi, ma nella musica rock le anomalie vocali che hanno ‘fatto genere’, cambiando approccio vocale, sono da sempre all’ordine del giorno. Esempi? Paul Di’Anno e Bruce Dickinson, Chuck Moseley e Mike Patton, Terry Glaze e Phil Anselmo.
Fausto Massa (chitarra) – Nel concetto di band/squadra ognuno deve raccontare la sua storia nel tempo e nel posto giusto del pezzo, con la propria creatività e divertendosi. E’ come se si imponesse a me, Chicco e Demetrio di eseguire le parti soliste in un certo modo, o con certi suoni. Il solo per noi è un momento di ‘cantato chitarristico’, da cui evidentemente escono tre personalità distinte e riconoscibili. Fabio fa il ‘solo’ per tutta la durata del brano, ha la sua personalità, è molto originale, con timbro e carattere riconoscibile sia che canti growl o clean, quindi su “The Seed” ha avuto carta bianca per esprimersi e dare carattere ai pezzi come meglio credeva. È parte dell’alchimia di questa band!
COME GESTITE L’ATTUALE PRESENZA DI TRE CHITARRE IN FORMAZIONE? ANNI FA ERA UN’UTOPIA PENSARE DI VEDERE TRE CHITARRISTI IN UNA BAND, OGGI INVECE DIVERSE FORMAZIONI NE SPERIMENTANO LE POSSIBILITA’ COMPOSITIVE…
Demetrio Scopelliti (chitarra) – Mi ricordo, parecchi anni fa, che si presentò l’occasione negli Arcadia di una possibile lineup a tre chitarre che fu bocciata a priori. La realtà è che, prima che i Maiden nel 2000 e i Periphery dieci anni dopo si decidessero a rompere la tradizionale lineup a due chitarre (rhythm/solo), nessuno o quasi aveva il coraggio di fare qualcosa di diverso a livello sia sonoro che estetico. Ma per il modo di comporre che soprattutto i chitarristi hanno nell’ambiente rock, tre chitarristi o due chitarristi e un keyboard player sono quasi d’obbligo.
PARLATECI DEI TRE PEZZI DI “THE SEED” CHE VOI RITENETE MEGLIO RAPPRESENTATIVI DEL SUONO DAMMERCIDE DEL 2020…
Dammercide – Chiaramente non è una scelta semplice, per tanti motivi, ma pensiamo che tre brani come “The GodFader”, “The Dance” e “The Roots” siano quelli che rappresentano meglio tutte le sfaccettature che ha assunto la nostra musica nel tempo.
“The GodFader” è probabilmente il brano in cui abbiamo fatto rendere al meglio l’equilibrio tra aggressività – per come la intendiamo oggi rispetto al nostro passato – e melodia. “The Dance” racconta meglio di tutte il nostro percorso artistico, è un pezzo che contiene elementi musicali che erano riconoscibili sia in “Link” che nei brani che avrebbero dovuto far parte di “Structure”, tanto quanto è assolutamente un brano che suona Dammercide 2020. “The Roots” è stata l’occasione per affrontare una tipologia di composizione con cui non ci eravamo mai cimentati prima d’ora, è un brano estremamente melodico e, pur non essendo una vera e propria ballad, possiede una carica emotiva davvero potente – soprattutto grazie all’interpretazione di Fabio alla voce.
SCRIVETECI I CINQUE ALBUM CHE PIU’ DI OGNI ALTRO CONSIDERATE RESPONSABILI DI AVERVI ISPIRATO NELLA FORMAZIONE E NELLA COSTRUZIONE DEL SOUND DELLA BAND. VE NE CONCEDO DUE SUPPLEMENTARI, VISTO CHE E’ PASSATO MOLTISSIMO TEMPO TRA I VOSTRI LAVORI…
Dammercide – Riallacciandoci al discorso dell’artist developement a cui accennava prima Demetrio, anche per quanto riguarda gli ascolti di riferimento gli anni di separazione hanno fatto sì che ognuno abbia sviluppato anche un proprio ventaglio di influenze. Per rispondere nello specifico alla tua domanda, più che dei singoli album – da cui scaturirebbe una lista infinita di titoli – nella definizione dell’attuale sound della band crediamo che sia più utile citare gli artisti che ci hanno influenzato: sicuramente i lavori solisti di chitarristi come Becker, Friedman e Vai; innegabile poi l’influenza di Metallica e Megadeth, e più di recente Devin Townsend e Periphery; ma la lista andrebbe arricchita ulteriormente da tutte quelle sfumature che derivano dall’ascolto di tanti generi, spesso anche distanti dal metal, dal jazz all’elettronica, al rock classico.
ULTIMA DOMANDA, MODELLO ‘IT’: COM’E’ STATO, IN DEFINITIVA, A LIVELLO DI BAND UNDERGROUND, RITROVARSI A VIVERE ‘DA GRANDI’ DIVERSE EMOZIONI CHE AVEVATE SPERIMENTATO IN PRIMA PERSONA ANNI ADDIETRO? AVETE RITROVATO ANCHE VOI UN PENNYWISE A TORMENTARVI QUA E LA’, O E’ STATO TUTTO ROSE E FIORI?
Fausto Massa (chitarra) – Ci stiamo divertendo tantissimo, soprattutto avendo preso dimestichezza con il gear moderno per registrare e comporre (DAW, Modeler, chitarre multiscale a otto corde, ecc.). Non viviamo più la musica come una competizione, neanche più con noi stessi, ma come un’opportunità di lasciare un segno e crediamo di aver trovato la combinazione giusta, quindi…Pennywise lo lasciamo dov’è.