DARK FUNERAL – Il tempio di Ahriman

Pubblicato il 29/03/2022 da

Mentiremmo se dicessimo che “We Are the Apocalypse”, settima prova in studio dei veterani Dark Funeral, da una decina di giorni disponibile su Century Media, abbia soddisfatto le nostre aspettative e ripagato l’attesa dopo un disco fortunato (e ispirato) come “Where Shadows Forever Reign” del 2016. Rimandandovi alla recensione e al track-by-track per un’analisi più approfondita, il ritorno degli svedesi ci è parso essenzialmente il frutto di una band scesa in pista col freno a mano tirato, e non solo a livello di aggressività e velocità espresse; mai prima d’ora, infatti, il songwriting di Lord Ahriman aveva deficitato tanto di sostanza e messa a fuoco, nonostante l’intento di base fosse evidentemente quello di offrire anche qualcosa di nuovo, fra una rasoiata e l’altra (parliamo ovviamente della famigerata “Let the Devil In”, ma anche di altri episodi e/o passaggi della tracklist). Un album che, in definitiva, ci ha ricordato quelli di certi Obituary post-reunion: goffo nelle sperimentazioni, spento quando dovrebbe limitarsi a ‘fare il suo’, penalizzato da una produzione che sacrifica inspiegabilmente le dinamiche e l’impatto delle chitarre. Al netto di tutto, il musicista di Stoccolma si è presentato ai nostri microfoni assolutamente convinto delle scelte fatte e della validità del recente nascituro, secondo una visione sicurissima della propria Arte e del proprio ruolo all’interno della scena black metal…

N.B. L’intervista si è svolta prima della polemica con l’organizzazione dell’Incineration Festival di Londra (qui e qui le due versioni dell’accaduto), altrimenti la chiacchierata avrebbe affrontato anche quell’argomento.

COME AL SOLITO, TI SEI PRESO IL TUO TEMPO PER DARE ALLE STAMPE UN NUOVO DISCO DEI DARK FUNERAL. IN CHE MODO SI SVOLGE SOLITAMENTE QUESTO PROCESSO?
– Parte sempre tutto dai riff. Ho uno studio di registrazione a casa, e quando me ne viene in mente uno che penso possa funzionare prendo la chitarra e lo incido. Sotto questo punto di vista, la scrittura del nuovo album è iniziata diversi anni fa, con fasi di maggiore e minore produttività nel corso del tempo. Dopo la pubblicazione di “Where Shadows Forever Reign” abbiamo suonato tantissimo in giro per il mondo, e questo ovviamente ha rallentato la processo. Non sono quel tipo di musicista che compone mentre è in tour: quando scrivo, devo essere concentrato unicamente su quello, senza altre distrazioni.

CHE OBIETTIVI TI ERI PREFISSATO DI RAGGIUNGERE QUESTA VOLTA?
– È semplice: inchiodare il mondo alla sedia durante l’ascolto, con qualche novità per non ripeterci e alzare l’asticella del risultato finale. Per fare questo abbiamo operato qualche cambiamento sui pattern di batteria, rendendoli centrali nell’economia della tracklist, ma anche sulle dinamiche delle chitarre. Rispetto al passato, volevo che il guitar work di “We Are The Apocalypse” fosse più tecnico e offrisse più colpi di scena, senza per questo diventare necessariamente più pesante. Ho poi lavorato molto sulle melodie ritmiche, trovando il modo di incorporarle al mio stile, e anche le voci hanno un grosso peso: su “Where Shadows…” queste ultime erano state studiate per seguire attentamente le melodie e i riff, mentre sul nuovo disco abbiamo voluto compiere un ulteriore passo in avanti, facendo sì che fossero in simbiosi anche con il mood dei testi. Quindi non solo la musica contenuta nell’album è più dinamica, ma anche le voci. Tutto è connesso.

QUANTO È DIFFICILE COMPORRE MATERIALE CHE TI SODDISFI PIENAMENTE DOPO TUTTI QUESTI ANNI?
– Non saprei… Credo che finchè senti di avere dentro di te quella spinta che ti porta a suonare e a scrivere sentendoti appagato, a migliorare giorno dopo giorno come musicista, la questione non sia ‘quanto è difficile’. Diventa piuttosto una sfida con te stesso, capisci che intendo dire? Per cercare di dare sempre il massimo in ogni singolo pezzo e album. Il primo a voler essere impressionato dalla musica dei Dark Funeral sono io, e fortunatamente non sono ancora pago di quanto mostrato finora da questa band.

LA SCELTA DI ROMPERE IL GHIACCIO CON “LET THE DEVIL IN” HA LASCIATO PIÙ DI UN ASCOLTATORE PERPLESSO, IN VIRTÙ DEL SUO UN APPROCCIO LENTO E CONTROLLATO. TI PREOCCUPI ANCORA DELLE OPINIONI DELLA GENTE?
– Non direi, no. Voglio dire, quando arrivi al nostro livello è inevitabile che qualcuno si lamenti e passi le giornate a screditarti. Non sono più loro, si sono venduti, bla bla bla… Io dico si fottano! Ho fondato questa band nel 1993, ed è da allora che mi ritrovo sotto il fuoco incrociato delle stronzate di certa gente. Sono favorevole alle critiche, purchè siano costruttive. Purtroppo, invece, i social hanno amplificato la diffusione dei pensieri superficiali di questi idioti, che si sentono sempre più in diritto di mettere in discussione la volontà e le scelte degli artisti. Il fatto che gli ascoltatori urlino e puntino il dito contro un album prima ancora di averlo sentito, ormai, fa parte di questo business, inutile dargli troppo peso. Le cose stanno così, piaccia o meno motivo, per cui vado avanti senza preoccuparmi troppo di questi leoni da tastiera. Non posso prenderli seriamente.

QUALE PENSI SIA IL MANIFESTO DELLA MUSICA DEI DARK FUNERAL?
– Per comprendere la nostra visione e il nostro messaggio è sufficiente ascoltare con attenzione uno qualsiasi dei nostri dischi. Ho sempre avuto una concezione precisa su come dovesse suonare una sinfonia satanica, ed è quel pensiero a guidarmi ogni volta che scrivo un nuovo pezzo.

SIETE INDUBBIAMENTE UNA DELLE BAND PIÙ FAMOSE E INFLUENTI NELLA STORIA DEL BLACK METAL. SENTIRE QUALCUNO CHE MANEGGIA I TUOI RIFF E LE TUE MELODIE NON TI LASCIA MAI UNA SENSAZIONE STRANA?
– Esprimere me stesso e la mia visione della musica è sempre stato qualcosa di naturale e spontaneo, che continuo a fare senza badare troppo a quello che mi avviene intorno. È innanzitutto una mia esigenza. Per questo motivo faccio un po’ fatica a connettermi a quelli che reinterpretano il mio stile, sebbene sia consapevole dell’influenza e dell’unicità di quello che i Dark Funeral hanno creato negli anni. È comunque un onore sapere di essere d’ispirazione per altri musicisti in giro per il mondo, ma se suono è perchè, io in primis, ho bisogno di farlo. Il resto viene dopo. Chiarito questo, come ti dicevo, è bello sapere che così tante persone siano legate alla band.

LA VOSTRA FANBASE È APPUNTO NOTA PER ESSERE MOLTO LEALE. QUAL È L’ANEDDOTO PIÙ FOLLE CHE TI VA DI RACCONTARCI A QUESTO PROPOSITO?
– È vero, i nostri fan sono molto accaniti. Gli aneddoti si sprecano e non basterebbe un libro per racchiuderli tutti, ma posso dirti che negli anni in Sud America abbiamo visto cose pazzesche. Da tatuaggi total body a gente che aveva forgiato armi e armature appositamente per presenziare al nostro show. Hanno comunque il mio rispetto per la devozione mostrata verso di me e la band!

SO CHE CI SONO STATI DEI PROBLEMI CON LA RISTAMPA DEL VOSTRO EP D’ESORDIO DA PARTE DI UNA NOTA ETICHETTA EUROPEA (PARLIAMO DELL’HAMMERHEART, NDR), DA VOI GIUDICATA ILLEGITTIMA E NON UFFICIALE. VUOI PARLARCENE MEGLIO?
– A dirla tutta è stata un’enorme seccatura, e preferirei non tornare sull’argomento.

SEI ANCORA IN CONTATTO CON EMPEROR MAGUS CALIGULA?
– Certo, è ancora uno dei miei migliori amici. Sebbene non faccia più parte del gruppo, ci segue da vicino ed è contento della direzione che abbiamo intrapreso. Giusto qualche giorno fa mi ha scritto per complimentarsi del nuovo album.

PENSI CHE IL BLACK METAL POSSA ANCORA ESSERE CONSIDERATO UN GENERE DISTURBANTE E PERICOLOSO NEL 2022?
– Naturalmente. Come Dark Funeral ci siamo evoluti dal punto di vista della tecnica e della professionalità, intesa anche come gestione degli affari della band, ma il nostro spirito, la forza interiore che ci guida quando saliamo sul palco, sono gli stessi di venti o trent’anni fa. Ciò che suoniamo è pur sempre la musica del Diavolo, e niente potrà cambiare questo fatto.

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