“Weaver Of Forgotten” era servito per riaccendere i motori, togliersi la ruggine, tentare di battere nuove strade. Non si distaccava completamente dal passato, ma indubbiamente veicolava sensazioni un po’ diverse da quelle che eravamo abituati a percepire da un album dei Dark Lunacy. Con “The Day Of Victory” si è andati a svelare nuovamente l’identità più conosciuta della band, con la riscoperta del death melodico più massiccio, della poesia degli archi, degli enfatici cori dell’Armata Rossa. Mike Lunacy, leader unico della band dopo l’addio di Enomys nel 2009, si è sottoposto alle nostre domande con grande entusiasmo, non lesinando risposte dirette e sincere e raccontando per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere sull’ultimo disco della sua creatura ed esprimendo il suo pensiero su alcuni temi importanti del mondo metal e non solo.
SE “WEAVER OF FORGOTTEN” SEGNAVA UN PARZIALE DISTACCO DALLE CARATTERISTICHE FONDANTI DELLA VOSTRA PROPOSTA, “THE DAY OF VICTORY” LE AFFERMA CON CONVINZIONE, RIPORTANDO IN PRIMO PIANO LA CORALITÀ ROBOANTE, GLI ARCHI, LA FORZA D’URTO DEL DEATH MELODICO. COME SIETE ARRIVATI A QUESTA SCELTA, COSA VI HA PORTATO A RIPRENDERE UN DISCORSO INTERROTTO AI TEMPI DI “THE DIARIST”?
“Le caratteristiche sostanziali che differenziano ‘Weaver Of Forgotten’ non solo da ‘The Diarist’ e ‘The Day Of Victory’, ma anche da tutti gli altri album della nostra storia, risiedono principalmente nell’atteggiamento emotivo con il quale venne concepito. L’album fu scritto da una band completante rinnovata che dovette reinventarsi quasi da zero. Eravamo ben consapevoli che l’impronta di questa release avrebbe comportato un inevitabile paragone con il passato, ma questo era un rischio che avevamo l’obbligo di affrontare. All’epoca la priorità fu quella di rimetterci in marcia cercando di mantenere un equilibrio tra le difficoltà fisiologiche di una band formata da persone che non avevano mai lavorato insieme, con la voglia di essere un gruppo, e il desiderio di riportare in alto il nome dei Dark Lunacy. Tuttavia, guardando l’accoglienza del pubblico, posso affermare che, se da un lato “Weaver Of Forgotten” ha spiazzato i nostri storici sostenitori, dall’altro è riuscito a conquistarne tanti altri. Il prestigio dalla band è cresciuto e questo ha fatto sì che potessimo ricaricarci d’energia”. Successivamente, nel corso degli anni, la band si è fatta autentica, si è affiatata fino a divenire un collettivo che si muove all’unisono e ritrovare le origini della nostra storia è stata una conseguenza naturale. Non a caso oggi ‘The Day Of Victory’ riesce a muoversi verso il futuro, richiamando le atmosfere di un tempo, quelle stesse atmosfere che hanno reso, a suo modo, ‘unica’ questa band”.
IL NUOVO ALBUM, USCITO NEL GIORNO IN CUI IN RUSSIA SI FESTEGGIA LA VITTORIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, PRESENTA UNA SERIE DI TEMATICHE VICINE A QUELLE DI “THE DIARIST”. QUALI SONO LE ANALOGIE E LE DIFFERENZE CON QUEL LAVORO? MI PARE CHE PRENDIATE SPUNTO DALLE VICENDE BELLICHE PER UNA ANALISI PROFONDA DELLE INGIUSTIZIE, DELL’AMORALITÀ, DELLE SOFFERENZE CHE DEVONO SUBIRE MOLTI ESSERI UMANI NEL MONDO, OGGI COME ALL’EPOCA DELL’ULTIMO CONFLITTO BELLICO SU SCALA MONDIALE.
“Ti ringrazio per questa domanda, la quale merita una risposta altrettanto importante. In questo album (come in ‘The Diarist’) il contesto storico è legato alle vicende belliche della seconda guerra mondiale. Il mio interesse per la cultura russa in generale arriva ancor prima della nascita dei Dark Lunacy e va da sé che la possibilità di mettere in musica i risultati delle mie ricerche ha incentivato ulteriormente questa mia passione. I primi album toccavano marginalmente certi argomenti, poiché il focus puntava principalmente ad evidenziare le opere letterarie dei grandi scrittori Russi dell’800 poi , come ho raccontato spesso in questi anni, un particolare aneddoto riguardante la mia vita privata scatenò in me sentimenti intensi e profondi verso questo popolo che così eroicamente resistette all’invasore. Ecco dunque che nel 2006 arrivò ‘The Diarist’ per raccontare dei 900 giorni di resistenza di Leningrado: una resistenza di inarrivabile pathos, sofferenza, orgoglio, amore. Successivamente, gli studi e la continua ricerca dedita a scoprire i dettagli su cosa accadde in Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale, mi hanno spinto a raccontare attraverso un altro concept, non solo l’epopea di una città, ma la saga di una patria intera. Ecco quindi ‘The Day Of Victory’. Il giorno della vittoria. Così come la ricorrenza Russa che cade ogni 9 maggio e che viene onorata dal 1945. In quel giorno, si celebra la vittoria sulla Germania nazista, si ricordano i dieci milioni di morti caduti per difendere la patria e l’eroismo di un popolo. Momenti che vanno rievocati e celebrati al di là di ogni fede politica. Tutto ciò ci introduce alla seconda parte della tua domanda sulla quale proverò a darti un assaggio del mio pensiero. ‘The Day Of Victory’ non si limita ad una semplice cronaca dei fatti, ma vuole spingersi oltre mettendo sul piatto una riflessione su ciò che è avvenuto dopo e cosa oggi noi possiamo percepire di quegli anni così funesti che coinvolsero l’umanità intera. Oggi la Russia (come tante altre nazioni europee) è teatro di paradossi senza eguali: sistemi sociali allo sbando che hanno offeso e cancellato la memoria dei loro padri-eroi, quei giovani di allora che pagarono un prezzo disumano per dare un futuro ad una generazione che non solo non ha saputo onorarli e fare tesoro del loro sacrificio, ma li ha completamente traditi. L’ambizione di questo album è di invitare ad una riflessione: quella che vede la decadenza della Russia come il simbolo di un degrado globalizzato. Il naufragio di un mondo, senza più valori, plasmato e poi annientato dalla cancerogena farsa di una libertà costruita a tavolino dai nuovi tiranni della Terra. Intendiamoci, i dittatori, i conquistatori e le loro sacre guerre, le ingiustizie sociali, la disuguaglianza, l’abuso dei potenti sui più deboli, accompagnano da sempre la storia dell’uomo; ma il paradosso più emblematico è che ancora oggi, a distanza di 25 anni, l’opinione pubblica insiste nel considerare come massimo emblema di libertà il crollo del muro di Berlino. E’ qui che ‘The Day Of Victory’ lancia una sfida precisa: cosa è cambiato nel mondo dopo il crollo del muro? Quali guerre, quali carestie, quali ingiustizie sono state evitate? Quali disuguaglianze migliorate e quali sofferenze attenuate? Mai come oggi quella parte di mondo che avrebbe ancora l’opportunità di reagire, è vittima di un’illusione camuffata dal nome ‘libertà’, poiché la libertà senza coscienza, senza memoria e senza umiltà, è solo una parola vuota ed oltraggiosa nei confronti delle vita stessa”.
SULLA BUONA RIUSCITA DI “THE DAY OF VICTORY” CREDO ABBIA INFLUITO L’ESPERIENZA ASSIEME MATURATA DA QUESTA LINE-UP. COSA HANNO PORTATO ALLA COMPOSIZIONE I DIVERSI MEMBRI? AVETE LAVORATO IN MANIERA DIVERSA RISPETTO A “WEAVER OF FORGOTTEN”?
“Hai ragione. Come ti accennavo poc’anzi su questo album abbiamo lavorato come una vera e propria band. Pur mantenendo le nostre rispettive specificità ognuno di noi si è messo a disposizione degli altri guidato dalla consapevolezza che il risultato finale avrebbe dovuto essere l’insieme di quattro menti capaci di lavorare congiuntamente. Così è stato. ‘Weaver Of Forgotten’ fu scritto fondamentalmente da me e successivamente arrangiato da insieme a Claudio Cinquegrana, mentre il resto della band vi partecipò seguendo una traccia già decisa in partenza. Il discorso per ‘The Day Of Victory’ è completamente diverso: tutti hanno contribuito per raggiungere l’obiettivo e la cosa mi riempie di soddisfazione per due motivi. Il primo è quello di essere ritornati a presentarci come una vera e propria band. Il secondo, più personale, quello di avere la possibilità di lavorare al fianco di musicisti di raro talento. Questo mi ha permesso di crescere professionalmente ed aumentare in maniera esponenziale il mio bagaglio di esperienza”.
ENTRANDO NELLO SPECIFICO DELLE SINGOLE TRACCE, TI CHIEDEREI DI APPROFONDIRE IL PROCESSO CREATIVO DI “FROM DON TO THE SEA” E “SACRED WAR”, LE DUE CANZONI CHE PIÙ MI HANNO IMPRESSIONATO ALL’INTERNO DELLA TRACKLIST.
“Il processo è stato il medesimo per tutte le canzoni. Siamo partiti dal feeling del coro russo e da lì abbiamo giocato con l’armonia rendendo i pezzi grevi e minori anche laddove suonavano tipicamente maggiori, mantenendone però la linea melodica. Sembra assurdo, ma anche se il coro russo appare per una manciata di secondi, è il punto di partenza dal quale sono state fissate le coordinate armoniche per i riff e quelle melodiche per le frasi di rifinitura. E’ stato un modo di lavorare veramente creativo e interessante perché assolutamente nuovo. E’ stato come dire: costruiamo un palazzo partendo dal colore di quel mattone. Detto questo, in ‘Sacred War’ in fase di composizione avevamo fatto un provino della parte orchestrale registrando tutto con la chitarra, ma immaginavamo già l’orchestrazione finale con oboe e archi. Poi in studio abbiamo dilatato ulteriormente quella parte inserendo tutti gli strumenti classici tra cui un pianoforte, che non era preventivato. Quanto a ‘From The Don To The Sea’, c’è stato l’intento di creare qualcosa di molto oscuro e solenne e sebbene sia forse il brano più complesso del lotto, è indiscutibilmente una hit del disco, qualcosa che si imprime in testa con una certa facilità”.
SIETE RITORNATI A COLLABORARE CON IL CORO DELL’ARMATA ROSSA, E SI SENTE, I CORI SONO UNO DEI PUNTI DI FORZA DI “THE DAY OF VICTORY”. DAL PUNTO DI VISTA PRATICO, COME FUNZIONA L’INTERAZIONE CON QUESTI CORISTI? COME SI È EVOLUTO IL RAPPORTO CON LORO RISPETTO ALLE PRIME COLLABORAZIONI?
“Il coro dell’armata Rossa è per i Dark Lunacy uno strumento a tutti gli effetti. Un’arma a nostro servizio che supporta e completa i brani non solo nella parte musicale, ma anche in quella lirica. Mai come in questo album l’impresa è stata ardua perché le canzoni ruotano totalmente attorno ad essi. Due mondi all’apparenza contrapposti che, se gestiti a dovere, creano la nostra unicità. Lavorare ed interagire con una corale di questa portata ci rende fieri dell’impresa a prescindere. Date le coordinate geografiche piuttosto importanti che ci separano il lavoro è stato coordinato da una serie di pianificazioni logistiche messe in opera passo dopo passo. Abbiamo quindi interagito a distanza coadiuvandoci con grande precisione. Posso comunque affermare che rispetto alle precedenti collaborazioni ‘The Day Of Victory’ oggi rappresenta il nostro punto massimo di preparazione tecnico-organizzativa”.
ENOMYS È FUORI DALLA BAND ORMAI DA QUALCHE ANNO; NON HA MAI AVUTO RIPENSAMENTI? HA MAI ACCAREZZATO L’IDEA DI TORNARE? CHE OPINIONI HA SU QUANTO PRODOTTO FINORA DOPO LA ‘RESURREZIONE’ AVVENUTA NEL 2010?
“Posso risponderti dicendoti solamente che queste domande dovresti farle a lui. Io ed Enomys non ci vediamo e non ci sentiamo ormai da diversi anni. Lui ha fatto le sue scelte. Io la mie, e da quel momento il nostro rapporto si è interrotto sotto tutti gli aspetti. Detto questo, e per correttezza nei suoi confronti, non mi sento neppure nella posizione di fare dichiarazioni senza che il diretto interessato possa replicare. Questo motiva la mia scelta di non andare oltre a ciò che ti ho appena detto”.
SIETE UNA DELLE POCHE BAND CHE HA MANTENUTO UN RAPPORTO CONTRATTUALE STABILE CON LA STESSA CASA DISCOGRAFICA DAGLI ESORDI FINO AD OGGI. QUAL È IL SEGRETO DELLA VOSTRA DURATURA COLLABORAZIONE CON LA FUEL RECORDS?
“I fattori sono sostanzialmente due. Il primo, e commercialmente più importante, è nei numeri. Nonostante la caduta del mercato discografico, i Dark Lunacy sono riusciti a fare breccia in alcuni paesi importanti come Russia e Giappone. Questo consente alla Fuel Records di reinvestire costantemente su di noi. Il secondo, fondamentale, è il rispetto che ci siamo reciprocamente guadagnati con il lavoro e la serietà nel farlo. Inoltre, questo sodalizio così duraturo ha fatto si che oggi i Dark Lunacy abbiano a disposizione addetti ai lavori di assoluta preparazione, i quali si occupano della band in maniera impeccabile, quasi maniacale, e questo aumenta la nostra resa produttiva sotto tutti i punti di vista. Volendo citarli un po’ tutti, possiamo iniziare da Vittorio Lombardoni, nostro produttore, per passare poi a Roberto Manini responsabile dell’area promozionale dei gruppi Self/Fuel, il nostro management Madame Pateaux/Self e infine, per tutto ciò che riguarda l’immagine, foto e video, Camilla Sarzi. Non possiamo non menzionare anche i ragazzi di MIE (Made In Etaly) per il supporto digitale e la RNC Music per i mercati esteri. Un capitolo a parte vorrei spenderlo per il nostro grafico. Come gli ultimi lavori, anche l’artwork di questo album è stato creato da Gaspare Frazzitta. Gaspare non è solo un grande artista, ma anche un elemento complementare alla band. Professionisti di questo calibro sono ancora capaci di darti il piacere di stringere un disco tra le mani. Qualità che nell’era del Web non è facile da valorizzare”.
VISTI I VOSTRI STRETTI LEGAMI CON L’ESTETICA E LA STORIA RUSSA, POSSIAMO ASPETTARCI IN FUTURO CHE VI METTIATE A CANTARE DIRETTAMENTE IN RUSSO?
“In realtà, più precisamente su ‘The Diarist’, esiste già un brano cantato in russo. La canzone si intitola “On Memory’s White Sleigh”. E’ stato un passaggio artistico personale importante e, ti assicuro, indimenticabile, soprattutto per il metodo con il quale e stato scritto il testo. Ma questa straordinaria esperienza mi ha insegnato che approcciarsi ad una lingua sconosciuta è uno slancio che puoi concederti raramente. Ovviamente ciò non esclude niente. So che il futuro ha in serbo per noi ancora tante sorprese e tanta esperienza da fare”.
NEGLI ULTIMI LIVE VI SIETE PRESENTATI DAL VIVO TUTTI IN DIVISA. FA RIFERIMENTO ALLE DIVISE DELL’ESERCITO RUSSO DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE, VERO? CHI SI È OCCUPATO DELLA CREAZIONE DI QUESTI ABITI?
“Le divise che indossiamo sia nelle foto dell’album, sia durante i concerti, appartengono all’esercito dell’Armata Rossa. Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica l’Armata è stata sensibilmente ridotta ed oggi porta un altro nome. L’essere quindi riusciti ad entrare in possesso di queste divise assolutamente originali ha per noi un valore impagabile. La mia uniforme è da Ammiraglio e rappresenta la ‘Voenno-Morskoj Flot’ (Marina Sovietica); mentre Dan, Jack e Alex rappresentano la ‘Voenno-Vozdushnye Sily’ (Aviazione Sovietica). Gli abiti sono stati confezionati direttamente in Russia e cuciti su misura una volta arrivati in Italia. Anche in questo frangente, tengo a precisare che il tutto si è potuto realizzare sempre graziealla Fuel Records, che si è mobilitata con la solita professionalità, riuscendo a coronare il nostro – soprattutto mio – desiderio”.
COME SONO CAMBIATI I VOSTRI RIFERIMENTI MUSICALI DAGLI ESORDI AD OGGI? C’È QUALCHE NUOVA CORRENTE DEL METAL, E NON SOLO, CHE HA CONTRIBUITO A DARTI NUOVE IDEE PER I DARK LUNACY NEL CORSO DEGLI ULTIMI ANNI?
“Quando rispondo a certe domande, mi viene spesso il ‘timore’ di essere frainteso e di passare per colui che si ritiene meglio di altri. La realtà non è certamente così poiché se oggi i Dark Lunacy esistono è solo ed esclusivamente perché il passato ci ha regalato autentici maestri in grado di entusiasmarci, coinvolgerci, spronarci ad iniziare un determinato percorso. Tuttavia, e sempr per quanto mi riguarda, mi vedo costretto a parlarti di passato perché nel presente non vedo nessuno in grado di dare una spinta in avanti. Non solo ai Dark Lunacy, ma al mondo della musica in generale. Rimanendo poi sul nostro genere, il metal in tutte le sue forme, il fatto che ormai da alcuni anni le band headliner dei più grandi eventi musicali del mondo siano le stesse che lo erano vent’anni fa ce la dice lunga su come e in che modo il nostro genere abbia avuto la voglia di progredire”.
SAPPIAMO CHE SIETE MOLTO AMATI IN SUDAMERICA E IN RUSSIA, PENSATE DI TORNARVI A BREVE? SUI MERCATI METAL PIÙ TRADIZIONALI, COME QUELLO TEDESCO, INGLESE, QUELLO NORD-EUROPEO, CHE RISCONTRI AVETE AVUTO NEL CORSO DELLA VOSTRA CARRIERA?
“Sarò franco. Non tutto il mondo ama i Dark Lunacy. Per questo, i Dark Lunacy vanno là dove sono richiesti. Sudamerica e stati dell’ex blocco Sovietico ci invitano spesso. Noi andiamo, e per far questo siamo anche ben retribuiti. Germania, Inghilterra, Scandinavia in generale e altri paesi, non solo non ci ritengono adeguati ai loro standard, ma se mai volessimo andare, dovremmo noi pagarci il tour. A questo punto abbiamo davanti uno scenario ben definito che si divide in altrettanti ben definiti punti. Primo: se un paese non ci chiama, significa che può tranquillamente andare avanti anche senza i Dark Lunacy, e per noi è ok. Secondo: in tutti questi anni, le esperienze vissute in giro per il mondo rendono la mia vita artistica straordinariamente serena ed il ‘Live in Mexico City’ uscito recentemente ne è la prova concreta. Questo per rafforzare ulteriormente il concetto che Mike Lunacy non ha niente da dimostrare a nessuno. Terzo: Mai pagare per suonare! Qualsiasi cosa accada. Non ho mai tirato fuori un soldo, neanche da ragazzino alle prime armi con la mia prima sgangherata band. Se lo facessi ora, dopo tutti i sacrifici fatti e l’esperienza acquisita, sarebbe quanto meno imbarazzante verso me stesso. Ho visto troppe band prostituirsi pur di comprarsi una briciola di notorietà. Ho visto troppi ragazzi (e neanche tanto giovani) incaponirsi sulla velleitaria idea di ottenere successo e fama, comprandosi tour, album, produzioni ed improbabili booking agency. Prendersi un posto perché pagato, ma senza esserselo guadagnato, non solo è un misero e volgare espediente per alimentare una carriera senza futuro ma, ed è questa la cosa peggiore, va a sporcare il mercato, invadendo in modo subdolo e vigliacco la spazio che sarebbe toccato a chi davvero se lo sarebbe meritato. So che questo mio ragionamento da fastidio a tanti, ma a costoro lo voglio ribadire a testa alta”.
NEI PROSSIMI CONCERTI, C’È UN LUOGO CHE VI PIACEREBBE PARTICOLARMENTE TOCCARE? QUALE SAREBBE? A QUALI TRAGUARDI PENSI POSSA ARRIVARE LA BAND CON “THE DAY OF VICTORY”?
“A fine estate siamo attesi in Russia per presentare ‘The Day Of Victory’. Ad ottobre torneremo in Messico, in questi giorni stiamo concludendo le trattative che ci vedranno in Giappone per fine anno. Riguardo al resto del mondo, e riallacciandomi alla domanda di poco fa, posso solo ribadirti che la band è assolutamente aperta ad ogni nazione che voglia conoscerci meglio attraverso i nostri spettacoli. Diversamente, noi siamo e saremo quelli di sempre. Vorrei concludere con una piccola riflessione sul nostro paese. Noi raccontiamo storie russe ma, nel bene e nel male, siamo orgogliosi di essere italiani ed è la nostra patria quella in cui vorremmo seminare. Purtroppo, però, la realtà musicale che abbiamo ci costringe ormai da tanti anni a fare scelte diverse”.
GRAZIE PER AVER RISPOSTO ALLE NOSTRE DOMANDE, A PRESTO.
“Grazie a te e a tutta la redazione di Metalitalia per averci concesso di fare il punto della situazione con i nostri fans in modo così dettagliato e di averci permesso di presentare i Dark Lunacy a tutti coloro che ancora non ci conoscevano”.