“Pompei” è tragedia. “Pompei” è la forza della natura che si abbatte sull’uomo. “Pompei” è uno straordinario affresco di umanità, spinta dalle sue emozioni, desideri, pulsioni, spazzata via in attimi tremendi da un fatto imprevedibile, catastrofico, definitivo. “Pompei” è il colossale ultimo album dei Dark Quarterer, che nella loro esplorazione dell’epica in musica si sono stavolta cimentati con l’eruzione vulcanica più famosa della storia antica. Un fatto che ancora oggi, grazie al sito archeologico che ha permesso di risalire agli avvenimenti dell’epoca e raccontarli nel dettaglio, emoziona e affascina le menti umane. Ci voleva un percorso musicale e testuale di una certa levatura per rendere vivide le immagini che gli abitanti della città dovettero subire in quei giorni e possiamo affermare che la band toscana sia riuscita nell’arduo compito. Con la stessa coralità messa in campo nell’album, tre quarti della line-up – manca all’appello il solo tastierista Francesco Longhi – ci ha offerto le sue riflessioni sull’argomento trattato, andando quindi a spaziare in vari ambiti, con la stessa profondità e capacità di analisi dimostrata sul fronte musicale e testuale.
NON È CERTAMENTE UNA NOVITÀ IL VOSTRO INTERESSE PER LA STORIA ANTICA, CHE DA TEMPO INDIRIZZA LE LIRICHE E LE ATMOSFERE DEI VOSTRI DISCHI. COME AVETE DECISO DI ORIENTARVI SUL DRAMMA DI POMPEI E PERCHÉ AVETE DECISO DI ADOTTARE, QUALE TESTO DI RIFERIMENTO, IL LIBRO SCRITTO ALCUNI ANNI FA SULL’ARGOMENTO DA ALBERTO ANGELA, INTITOLATO “I TRE GIORNI DI POMPEI”?
Francesco Sozzi – Pompei nasce da un idea iniziale del nostro ex manager Gino Sozzi, avuta a ridosso del nostro precedente disco “Ithaca”. In seguito, per rendersi conto della tremenda vicenda, Paolo (Ninci, chitarrista, ndR), Gianni (Nepi, voce e basso, ndR) e Gino hanno fatto un viaggio sul posto, visitando di persona Pompei. Tutto questo per avere un’impressione visiva di cosa fosse accaduto, o quantomeno di quello che la storia ci ha lasciato. Parallelamente, Paolo aveva letto questo libro, “I Tre Giorni di Pompei”, e lo aveva quindi passato a Gianni, che ne aveva estrapolato quelli che poi sarebbero diventati i protagonisti ed i soggetti dei brani.
QUAL È L’ASPETTO PRINCIPALE CHE VI HA COLPITO DI QUESTA VICENDA, UNA DELLE PIÙ CELEBRI E STUDIATE DELLA STORIA ANTICA? INCROCIANDO QUANTO RACCONTATO NEL LIBRO E LE VOSTRE VISITE IN LOCO, QUALI SONO GLI ASPETTI AD AVER MAGGIORMENTE SOLLETICATO LA VOSTRA IMMAGINAZIONE?
Gianni Nepi – Quello che si nota andando a visitare il sito archeologico di Pompei è sicuramente la bellezza delle costruzioni, dell’architettura della città. La ricchezza traspare dalle bellissime ville colorate di mille affreschi, dalle decine di negozi destinati alla produzione e alla vendita del pane, ai moltissimi bazar e bar, dove solitamente si trovavano anche zone destinate alla consumazione di rapporti sessuali. C’erano anche le lavanderie… Insomma, Pompei era una città moderna e all’ avanguardia. Una città che, in contrasto con la sua prosperità, ha vissuto ancora più tragicamente ed improvvisamente questo evento catastrofico! Ed è questo contrasto che colpisce il visitatore. È questa sensazione di fatalità inevitabile che domina l’atmosfera di Pompei. “Niente può durare per sempre” è una scritta ritrovata su un muro della città. Un terribile presagio.
ANCHE SE UN ASCOLTATORE NON AVESSE PIENA CONTEZZA DEGLI ARGOMENTI DELL’ALBUM E NON AVESSE LA PIÙ PALLIDA IDEA DI COSA SIA AVVENUTO NEL 79 D.C. A POMPEI, INTUIREBBE CHE SI STA PARLANDO DI UNA VICENDA DI ENORME IMPATTO EMOZIONALE. QUESTO PER LA FORTE DRAMMATICITÀ, LA SENSAZIONE CHE STIA ACCADENDO QUALCOSA DI FORTE, DI INCONCEPIBILE, PERCEZIONE BEN TANGIBILE FIN DALLE PRIME NOTE DI “VESUVIUS”. COME VI SIETE POSTI RISPETTO ALLA MUSICA, PER FAR SÌ CHE IN OGNI PASSAGGIO ESSA FOSSE FUNZIONALE ALLA NARRAZIONE E CI FOSSE PERFETTA ACCORDANZA. COME NEL LIBRO DI ALBERTO ANGELA, LA NARRAZIONE SI SVILUPPA SECONDO IL PUNTO DI VISTA DI DIVERSI ‘ATTORI’ DELLA VICENDA, VULCANO INCLUSO. QUAL È LO SCOPO DI UN RACCONTO COSTRUITO IN QUESTO MODO, RISPETTO A UNO PIÙ DIDASCALICO E DISTACCATO, DA OSSERVATORE ESTERNO CHE ANALIZZA QUANTO AVVENUTO?
Francesco Sozzi – Quando abbiamo iniziato a comporre, il tema del disco era ben chiaro. Ciò ha dato una base solida alla composizione dei brani; ad esempio, quando mi venne in mente di dare voce al vulcano (“Vesuvius”), come se fosse un entità reale e pensante, pensai di suonare un riff lento e pesante per emularne il ‘respiro’, per poi evolvere nell’eruzione, nella parte centrale. Quando a Gianni venne in mente il brano da dedicare agli innamorati, portò un pezzo pieno di pathos, dove poi Paolo aggiunse una parte finale ancora più struggente. Questo è stato il mood che abbiamo utilizzato per ogni brano, ovvero scegliere un tema cercando di mettere in musica le emozioni da esso provocate. Per quanto riguarda la scelta dei soggetti e quindi poi le storie ed i testi, Gianni ha preso spunto, appunto, dal libro di Angela. È riuscito a effettuare un gran lavoro narrativo, mettendosi in prima persona, permettendo di dare un senso più sofferto a quanto rappresentato, enfatizzandone la drammaticità ed emozionalità, come a voler coinvolgere maggiormente l’ascoltatore, creando così una speciale empatia con il soggetto di ogni canzone. Gianni ha poi aggiunto delle note, sotto ad ogni testo, per chiarire i concetti espressi e descrivere alcuni particolari che lo hanno influenzato.
SE VI DICESSI CHE “POMPEI” È UN’OPERA ROCK SENZA VOLERLO ESSERE? NIENTE INTERLUDI O TRACCE CHE NON SIANO VERE E PROPRIE CANZONI, MA SI NOTA CHIARAMENTE LA FUNZIONALITÀ DELLA MUSICA NELL’ESALTARE LA FORZA DEI CONCETTI ESPRESSI A PAROLE, E VICEVERSA I TESTI NON POTREBBERO ESSERE COSÌ IMPATTANTI, SENZA QUEL TIPO DI MUSICA. PENSI CHE SAREBBE POSSIBILE ‘PORTARE IN SCENA’ UN ALBUM SIMILE? AVETE PROVATO A IMMAGINARVI COME POTREBBE ESSERE RAPPRESENTATO A TEATRO?
Paolo Ninci – Sono perfettamente d’accordo con la tua analisi! È da molto tempo che cerchiamo di portare in teatro le nostre produzioni e “Pompei” non è altro che la punta dell’iceberg! Dai tempi di “War Tears”, “Violence”, “Symbols”, “Ithaca”, cerchiamo di descrivere una storia ‘teatrale’, e non è un caso che tu ci suggerisca questo percorso. Stiamo lavorando con un regista che spero renderà possibile questa nuova e bellissima opportunità!
SUL PIANO DELLA PRODUZIONE, DEL LAVORO IN STUDIO, QUALI ELEMENTI AVETE CERCATO DI ENFATIZZARE RISPETTO AD ALTRI VOSTRI DISCHI DEL PASSATO? QUALE ASPETTO DOVEVA ESSERE IN PRIMO PIANO, PER RENDERE AL MEGLIO L’ATMOSFERA CHE AVEVATE IN MENTE?
Gianni Nepi – I suoni dovevano essere più scuri, più pesanti. L’ uso della chitarra a sette corde ha accentuato validamente questa necessità, ma anche gli altri strumenti hanno contribuito alla creazione di un’ atmosfera più doom. Anch’io, specie in “Vesuvius”, ho usato una doppia registrazione, cercando anche l’ ottava più bassa della voce per rappresentare con più enfasi la voce del vulcano. Insomma, abbiamo cercato di rendere l’atmosfera plumbea. Alla resa dei conti l’epicità e il doom sono dominanti rispetto al progressive, anche se alcuni momenti molto dinamici (penso a “Plinius The Elder”) sono stati necessari per evidenziare maggiormente l’evoluzione conclusiva del brano.
DATO IL CARATTERE TRAGICO DI QUANTO PARLATE, ANCHE LA COPERTINA NON PUÒ CHE ILLUSTRARE LO SCENARIO DI MORTE A CUI LA CITTÀ DI POMPEI È ANDATA INCONTRO. COME SIETE ARRIVATI A LAVORARE CON PAOLO GIRARDI, RINOMATO ARTISTA, CONOSCIUTO SOPRATTUTTO PER I SUOI NUMEROSI ARTWORK PER GRUPPI EXTREME METAL?
Francesco Sozzi – Gino Sozzi ebbe l’intuizione di commissionare la copertina a Paolo Girardi, ci mostrò i suoi lavori e ne fummo subito colpiti. È un vero talento ed è riuscito a mettere su tela tutto quello che abbiamo fatto in musica: questo disco è molto scuro, crudo, drammatico, epico e se guardate il suo lavoro, potete benissimo ritrovare questi elementi. Credo si sia superato, perché ha inserito nell’intera opera tutti i soggetti dei brani, ma lo ha fatto mantenendo un amalgama generale che ne fa apprezzare la totalità del quadro.
RIASCOLTANDO “POMPEI”, A QUALI ALTRI ALBUM NON VOSTRI, DI ALTRI ARTISTI, TI SENTIRESTI DI POTERLO PARAGONARE?
Paolo Ninci – Ritengo che non sia possibile paragonare le nostre produzioni ad altri album. Non ci siamo mai posti questo problema ma, pensando di poterti comunque dare una risposta, potrei citare un grandissimo compositore italiano, che in tutta la sua straordinaria carriera ha scritto musica per film, ovvero Ennio Morricone!
PUR AVENDO LE VOSTRE RADICI NEGLI ANNI ’70, IL VOSTRO SUONO SI È AGGIORNATO PASSO PASSO, E ORA POTETE VANTARE UN SOUND POTENTE, MODERNO, ESPRESSIONE DELL’HEAVY METAL DI OGGI, NON DI QUELLO DEL PASSATO. È STATO DIFFICILE COMPIERE QUEST’OPERAZIONE? IN COSA PENSATE SI NOTINO LE MAGGIORI DIFFERENZE, FRA IL SUONO DEGLI ALBUM PIÙ RECENTI E QUELLO DEI PRIMI, PER ESEMPIO DI “THE ETRUSCAN PROPHECY” E “WAR TEARS”?
Paolo Ninci – Credo che il suono sia fondamentale per identificare uno stile musicale: per quanto riguarda il nostro, sicuramente la chitarra di Francesco Sozzi e le tastiere di Francesco Longhi rappresentano una grande varietà stilistica, molta ricerca e tanta creatività. Oggi rispetto agli anni ‘70 c’è anche tanta tecnologia e Andrea Ramacciotti, grande ingegnere del suono che ormai collabora con noi da tanto tempo, in studio e live, ha svolto un grandissimo lavoro, dando un prezioso contributo! È praticamente il quinto elemento del gruppo.
SIETE SEMPRE STATI UNA BAND DI NICCHIA, CHE RACCOGLIE CONSENSI SOLO DA UN CERTO TIPO DI ASCOLTATORI, A CAUSA DI UNA PROPOSTA AFFASCINANTE MA CHE, NELLA SUA UNICITÀ, NON È PER TUTTI. CHE IDEA VI SIETE FATTI, NEGLI ANNI, DI QUELLO CHE È IL VOSTRO PUBBLICO? CHE CARATTERISTICHE DEVE POSSEDERE UN APPASSIONATO DI HEAVY METAL, PER ENTRARE IN SINTONIA CON LA MUSICA DEI DARK QUARTERER?
Gianni Nepi – Deve avere la forza di ascoltare lasciandosi andare alle emozioni che noi cerchiamo di caricare nella musica e nel testo. Il percorso non è facile né ‘commerciale’. Necessita di più ascolti, meglio in cuffia e con la conoscenza del testo. I brani sono pensati, costruiti per disegnare immagini, ambienti, suggestioni. Un ascolto disattento e superficiale non riesce a penetrare la superficie ed inevitabilmente non riesce ad apprezzare il contenuto. È ovvio che, come chiunque, siamo destinati a non piacere a tutti ma prima di esprimere un giudizio definitivo sulla nostra musica occorrono molti ascolti. Questo è indubbio. Dal vivo il discorso è completamente diverso e la capacità di trasmettere energia durante il concerto è sempre l’arma più forte. Quella vincente!
NELL’EPOCA DELLA SMATERIALIZZAZIONE DEI SUPPORTI SONORI, DELLA FRETTA NELL’ASCOLTO, DEI GIUDIZI SPARATI SENZA PRIMA AVER COMPRESO, COSA PUÒ RAPPRESENTARE UNA MUSICA COME LA VOSTRA, COSÌ RICCA, DENSA, COMPLESSA, DA ASSAPORARE CON ATTENZIONE PER COGLIERNE L’EFFETTIVO VALORE? L’IMPRESSIONE È CHE, STANDO LONTANI DALLA MASSIFICAZIONE, NEL VOSTRO CASO COME IN DIVERSI ALTRI, NEL METAL E NON SOLO, LA RICERCA DELLA QUALITÀ, A PRESCINDERE DA OGNI DISCORSO COMMERCIALE, CONTINUI A REGALARE PROPOSTE DI VALORE, CHE ATTENDONO SOLO DI ESSERE SCOPERTE…
Gianni Nepi – È così! Sta agli ascoltatori, agli appassionati cercare di mantenere l’attenzione alta e una richiesta di professionalità verso gli artisti altrettanto elevata. Perché per quanto possa esserci energia grezza, c’è sempre bisogno del controllo per catalizzarla, guidarla verso l’emozione. La tecnica deve essere sempre al servizio dell’emozione altrimenti ogni sentimento si congela, si raffredda, si spegne, si annulla. Ma quando le due energie (quella emotiva e quella tecnica) riescono a fondersi perfettamente, il risultato non può che essere dirompente!
SIAMO IN UN MOMENTO STORICO IN CUI LA MUSICA, IN GENERALE LA CULTURA, VENGONO CONSIDERATI COME QUALCOSA DI MARGINALE, QUASI UNA SCOCCIATURA, DA LARGHI STRATI DELLA POPOLAZIONE, COME SE FOSSE UN FASTIDIO, UN CAPRICCIO, DI UNA MINORANZA DAI PIÙ INCOMPRESA. COSA NE PENSATE DI QUESTA SITUAZIONE, DA DOVE SI POTREBBE RIPARTIRE PER RIDARE VALORE A UN SETTORE ATTUALMENTE TANTO BISTRATTATO?
Gianni Nepi – È una questione culturale e sociale. Le due cose viaggiano di pari passo. La curiosità per l’ascoltatore è sollecitata dal bisogno di ricerca, da una non pigrizia mentale. L’abbandono sociale degli ultimi trent’anni ha portato la massa dei giovani a fruire di musica facile, commerciale, che non chiedesse sforzi mentali per essere capita. La musica usata solo come divertimento e non concepita come cultura e trasmissione di emozioni. La scuola dovrebbe essere un viatico importante per accrescere la sensibilità dei giovani. E non soltanto nei nuovi nati licei musicali (benvenuti comunque) ma anche in tutte le scuole: elementari, medie inferiori e superiori.