Autori di un album ispirato e di altissima qualità come “The Canticle Of Shadows”, peraltro Hot Album su queste pagine, gli emiliani Darkend si rivelano un gruppo versatile e ricercato, autore di un black metal sinfonico che abbraccia influenze che spaziano dai canti gregoriani alla musica liturgica, che la band ha etichettato come ‘Extreme Ritual Metal’. Interessati ad un’esplorazione artistica a tutto tondo che trascende la musica stessa e va a instillarsi tanto nell’arte visuale che in quella dedita alla narrazione, i Darkend sembrano intenzionati a sviscerare quanto più possibile il materiale a loro disposizione, quale che sia la natura stessa della materia prima, non fermandosi alla composizione fine a se stessa. Abbiamo parlato di espressione e non solo con Animæ, voce e principale compositore della band, per un’intervista dai risvolti estremamente interessanti.
CIAO E BENVENUTI SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM! COME VA? COME STA ANDANDO LA RELEASE DEL NUOVO DISCO?
“Ciao Giuseppe, grazie per la disponibilità e lo spazio concessoci. Il ‘qui ed ora’ ci è favorevole: ‘The Canticle Of Shadows’ sta ricevendo ottimi riscontri sia tra gli ascoltatori che tra gli addetti ai lavori e le proposte per presentarlo dal vivo continuano ad arrivare copiose, stiamo percorrendo un sentiero intrigante che ci soddisfa, indubbiamente”.
“THE CANTICLE OF SHADOWS” E’ UN DISCO NEL QUALE LE SUGGESTIONI LA FANNO DA PADRONE, COSI’ COME UNA TENSIONE SERRATA E CHE NON SCENDE MAI. PARLIAMO UN PO’ DELLA COMPOSIZIONE DELL’OPERA E DEL SUO FULCRO?
“Il fulcro risiede nelle tue stesse parole: riuscire a trasmettere quella ‘tensione’ che hai percepito, suscitare vivide immagini ed atmosfere capaci di crescere dentro l’ascoltatore e di diventare parte di esso, raccontando frammenti della sua stessa Anima. La composizione del disco è interamente incentrata attorno al suddetto concetto: instillare emozione viva in ogni brandello sonoro e lirico affinché essa possa rivivere e riemergere durante l’ascolto; un processo catartico e tortuoso che ha richiesto impegno, abbandono a ciò che scaturisce dall’interno ed una forte componente autocritica: abbiamo voluto ‘asciugare’ ogni partitura da ciò che ritenevamo superfluo e ridondante, riponendo un’attenzione quasi maniacale al dettaglio. In fondo, è proprio lì che risiede la chiave di lettura”.
SEMBRA UN ALBUM CHE ABBIA RICHIESTO PARECCHIA CONCENTRAZIONE, UNA GESTAZIONE PIUTTOSTO LUNGA, CORRETTO?
“Indubbiamente, abbiamo modificato l’approccio compositivo almeno un paio di volte prima di procedere nella direzione che ha poi portato alla realizzazione finale del disco. Non è facile né immediato scrivere avendo come punto centrale emozioni e visioni a cui si vuole dare una forma concreta… Passare dall’astratto al reale senza il rischio di perdere qualcosa durante il percorso. È un processo di ‘trasformazione’ che ha richiesto tempo e, come accennato precedentemente, impegno non solo artistico ma anche spirituale e psicologico”.
LA SCRITTURA E’ COMPLESSA E DI CERTO VA ELABORATA CON QUALCHE ASCOLTO. CON QUALE APPROCCIO LO ASCOLTERESTI, TU, UN DISCO DEL GENERE?
“Con l’Anima, in un momento di bisogno; prestando prima di tutto attenzione a ciò che trasmette. È tra le buie rovine ed i polverosi luoghi abbandonati che è possibile respirare la vera empatia e quella sorta di ‘sofferenza lenitrice’ capace di liberare lo Spirito dal tormento, di spingerlo oltre. È uno specchio sull’abisso e ciò che ci viene mostrato non è mai semplice né immediato”.
SI SENTE L’ARIA DI UN’ARGOMENTAZIONE GLOBALE, UN LEIT-MOTIV CHE PERCORRE TUTTO L’ALBUM, MA PROBABILMENTE NON SIAMO DI FRONTE AD UN CONCEPT VERO E PRORIO. DI COSA PARLA, IN SOSTANZA, “THE CANTICLE OF SHADOWS”?
“È molto intimo e personale. Non racconta una storia né si preoccupa di instillare un messaggio; come detto precedentemente può essere visto come uno specchio sull’abisso proprio perché quello ad essere messo in mostra è parte viva del mio essere, del mio sentire, del mio percepire. Fondamentalmente, il leit-motiv a cui ti riferisci può essere espresso attraverso due parole: Mantra ed Esorcismo. Ciò che scrivo infatti, combinato alla musica e all’arte visiva, è uno strumento per depurare lo spirito da ciò che di terrificante vi alberga e, al tempo stesso, uno strumento per innalzarlo attraverso la ripetizione consapevole di parole e concetti chiave”.
COSA E’ CAMBIATO NEL TEMPO INTERCORSO DALLA VOSTRA ULTIMA USCITA?
“Abbiamo suonato molto dal vivo, intrapreso un tour a supporto di Cradle Of Filth e Rotting Christ, partecipato a diversi festival europei e ragionato intensamente sulla strada da percorrere. Non ci interessa ripetere il passato, siamo stimolati dalla ricerca di vie espressive che rispecchino costantemente il nostro gusto e il nostro essere, volta per volta. Ciò ha creato anche tensioni interpersonali, alcune delle quali non totalmente risolte; ciò che accadrà non è ancora scritto”.
COME COLLOCHERESTE “THE CANTICLE OF SHADOWS” OGGI, NEL 2016, E QUI, IN ITALIA?
“Riesco a collocarlo nella mia vita… Mi ha dato risposte, ha palesato fantasmi ed ha attribuito loro un nome, mi ha regalato crescita individuale. Collocarlo in un qualcosa di così ‘esterno’ come un paese ed un arco di tempo, non mi è altrettanto facile. Per alcuni potrà rappresentare le stesse cose che ha rappresentato per me, per altri non rappresenterà nulla, altri ancora vi udiranno voci capaci di dare risposte diverse da quelle che ho ottenuto io. Adesso, domani, tra anni… Non importa quando, non importa dove: la musica è immortale e supera ogni barriera, se lo si vuole”.
NEL DISCO SONO RINTRACCIABILI CORRELAZIONI CON DIMMU BORGIR E CRADLE OF FILTH, MA NON SOLO. ANZI, PUR USANDO UN CERTO LINGUAGGIO ‘COMUNE’ AD ALTRE BAND, RITENGO CHE “THE CANTICLE OF SHADOWS” RIESCA A MANTENERE UNA VIVIDA PERSONALITA’. COME VIVETE L’APPARTENENZA A UNA ‘SCENA’ IN CUI TUTTI POSSONO AGGIUNGERE, PRENDERE O TOGLIERE DA UN FILONE CHE ORAMAI ESISTE DA DIVERSO TEMPO?
“Innanzitutto ti ringrazio per le belle parole. Come tu stesso hai specificato le correlazioni sono molteplici e, per quel che mi riguarda, rintracciabili in diversi ambiti: non attingiamo solamente dalla scena estrema ma anche dalla musica sacra e rituale, dalla musica classica, da un certo heavy metal oscuro e profano che ha cominciato a dilagare durante gli anni ‘80. Non ci preoccupiamo di essere parte di una certa scena ma piuttosto di scegliere, volta per volta, il linguaggio musicale più adatto ad incarnare e veicolare determinate emozioni.”
COSA INTENDETE QUANDO VI DEFINITE ‘EXTREME RITUAL METAL’? COSA SIGNIFICA QUESTA ETICHETTA PER VOI?
“Ha una doppia valenza. Da un lato si riferisce al modo in cui ci approcciamo e percepiamo quel che creiamo, alla sua forte valenza catartica e ai concetti di Mantra ed Esorcismo sovraesposti. Dall’altro crediamo sia il modo più semplice e sincero per descrivere ad un possibile utente il corpus artistico (inteso come musica, liriche e visual) che i Darkend offrono; dopotutto il forte utilizzo di cori gregoriani, di musica sacra e di partiture vicine alla cultura classica ci allontanano dall’ambito piuttosto ben definito del black metal e del death metal tout court, per cui abbiamo scelto di presentarci a modo nostro”.
AVETE AVUTO MODO DI SUONARE CON NOMI MOLTO INTERESSANTI, ALCUNI DEI QUALI COMPAIONO NEL VOSTRO NUOVO DISCO: ATTILA CSIHAR, SAKIS TOLIS, NIKLAS KVARFORTH E LABES C. NECROTHYTUS. A MIO MODO DI VEDERE TALI COLLABORAZIONI RIESCONO A NON ESSERE FINI A LORO STESSE, BENSI’ A DARE UN TOCCO IN PIU’, A FARE, EFFETTIVAMENTE, UNA DIFFERENZA; COSA CHE A VOLTE NON SUCCEDE, E CI SI TROVA CON OSPITATE ‘POMPOSE’ AL SOLO FINE DI POTER DIRE ‘ABBIAMO SUONATO CON TAL DEI TALI’. COME SIETE ARRIVATI ALLE COLLABORAZIONI E A GESTIRLE PER, APPUNTO, AVERE QUESTO TIPO DI RISULTATO?
“Ti ringrazio. È tutto avvenuto in maniera molto naturale: con Sakis e Labes siamo amici da diversi anni e, considerata la stima reciproca che ci unisce, il richiedere la loro collaborazione è stato un passo quasi obbligato. Niklas ci ha invece rivelato di aver apprezzato la nostra esibizione dopo uno show comune ad un festival in Ucraina; da lì, complice anche il nostro attuale manager che ha gestito gli Shining fino all’anno passato, abbiamo mantenuto vivi i rapporti e consolidato la sua presenza sul nostro album. Stessa cosa più o meno per quel che riguarda Attila, ci siamo conosciuti ad un festival in Finlandia in cui abbiamo suonato a supporto dei Mayhem ed abbiamo continuato a sentirci nel tempo, ha apprezzato i demo che gli ho mandato prima di entrare in studio ed ha accettato di prestare la sua unica voce ad alcuni dei nostri brani. Integrare diversi artisti in un unico contesto è stato in realtà abbastanza semplice: i brani non sono stati costruiti ‘ad hoc’ per coloro che li interpretano, sono state le sonorità stesse e le suggestioni in esse contenute a suggerirmi volta per volta quale partitura fosse più adatta a quale voce. Ecco quindi che un sermone particolarmente liturgico e funereo ha richiesto la presenza di Labes, mente un brano come ‘Of The Defunct’, che odora di morte fin dal titolo, non poteva essere affidato ad altri se non ad Attila”.
LA COPERTINA E’ MOLTO BELLA. CHI SE N’E’ OCCUPATO? COSA RAPPRESENTA PER VOI?
“Si tratta di un’opera di Zdzisław Beksiński e credo che sia la perfetta rappresentazione visiva di quello che scaturisce dall’album, sia musicalmente che liricamente: il moto perpetuo di ciò che alberga nell’abisso interiore, privo di ogni maschera e ritratto in tutta la sua inesorabile e bestiale ferocia. Vi sono ombre che sono al tempo stesso bagliori, agonie che possono tramutarsi in salvezza. E vi sono innominabili passaggi attraverso l’orrore che conducono alla grazia. È il cantico dell’arcano che esorcizza ed innalza lo Spirito”.
PER QUALE MOTIVO QUALCUNO CHE NON VI CONOSCE DOVREBBE ASCOLTARE IL VOSTRO NUOVO ALBUM?
“Per ammantarsi di tenebra e volgere lo sguardo verso cose senza nome. Che spesso, risiedono all’interno”.
VI VEDREMO IN UN TOUR A SUPPORTO DI “THE CANTICLE OF SHADOWS”? SE SI, AVETE GIA’ QUALCOSA DA ANTICIPARCI?
“Sicuramente, il nostro management sta lavorando su diversi progetti che cominceranno a realizzarsi a partire dal prossimo autunno e tra questi vi è anche l’idea di supportare il disco mediante un tour europeo. I dettagli, tuttavia, sono ancora in fase di definizione. Al momento stiamo suonando molto all’estero, siamo stati per la prima volta in Norvegia a supporto dei Gaahls Wyrd e tra qualche giorno partiremo nuovamente per condividere con i Nocturnal Depression un palco in Francia”.
QUEST’ANNO STANNO USCENDO MOLTI OTTIMI DISCHI. CHE COS’HAI ASCOLTATO DI RECENTE?
“Per quel che riguarda le uscite più recenti, sto apprezzando davvero molto il nuovo Vektor, l’EP dei Voivod, dei Gorguts e di Denner/Shermann, l’ultimo Moonsorrow e l’ultimo Magnum, nonché il nuovo Destruction che ho avuto l’onore di poter ascoltare in anteprima. Per il resto al momento ascolto molto progressive anni ‘70, oscuro ed epico heavy/doom degli anni ’80 e diversa dark-wave”.
COME VI TROVATE NEL NOSTRO PAESE, A LIVELLO DI MUSICISTI? COME GIUDICHERESTE LA SCENA CHE VI CIRCONDA?
“Siamo circondati da ottime band, tante delle quali meriterebbero molto di più di quello che stanno raccogliendo. C’è molta passione ed è quel che davvero conta; dall’altra parte della barricata si collocano quelli che sanno solo criticare in maniera distruttiva, spesso ‘guerrieri da forum telematico’ lordi d’invidia, puntualmente incapaci di pronunciare anche solo una parola quando si trovano vis a vis con i diretti interessati. Ma sono insignificanze; come detto, è la passione quella che davvero conta”.
E A LIVELLO PERSONALE? L’ITALIA CONTINUA AD ESSERE PIENA DI CONTRADDIZIONI, SI PARLA DI PROMULGAZIONE DELLE ARTI E SI CHIUDONO CIRCOLI PRIVATI, CI SI IMBELLETTA CON FESTIVAL UNA TANTUM NELLE GRANDI PIAZZE PER IL VENERDI’ SERA MA POI SI SFRATTANO LOCALI UNDERGROUND PERCHE’ I VICINI CREANO UN COMITATO ANTI-CONCERTI. COME LA VEDI?
“Credo sia un discorso molto ampio che trascende la musica per arrivare a lambire territori propri della politica; sicuramente siamo in un paese in cui il metal ed l’hard rock continuano ad essere visti come degli outsider ed in generale la musica (e l’arte tutta, paradossalmente) è considerata come un semplice oggetto di svago, un’appendice, non come un qualcosa che possa davvero cambiare la cultura e, di conseguenza, la vita di un individuo. Fortunatamente, a fianco di episodi davvero tristi che hanno funestato (e continuano a funestare) il Bel Paese, esistono realtà professionali e cariche di passione che mettono l’arte e gli artisti prima di ogni cosa rappresentando un vero faro nell’oscurità: basti pensare al Colony di Brescia, l’Alchemica di Bologna, il Borderline di Modena… il lavoro che fanno settimana dopo settimana è davvero encomiabile”.
IN QUALE CONTESTO I DARKEND SI SENTONO A CASA?
“Dove c’è passione e amore sincero per l’arte, lì ci sentiamo a casa”.