Sono passati tanti anni da quando abbiamo ospitato i Deafheaven sulle nostre pagine per un’intervista. Dal 2011 ad oggi il gruppo statunitense ha fatto passi da gigante in termini di popolarità, diventando la band simbolo della corrente ‘post’ black metal (o ‘blackgaze’) nonchè una delle formazioni più discusse dell’intero panorama metal, soprattutto per un’immagine e un look poco compresi dai cosiddetti puristi del genere. L’ultimo album della band, “New Bermuda”, è uscito nel tardo 2015, ma, visto anche il lungo tempo trascorso dall’ultima intervista, non ce la siamo sentita di dire di no alla proposta di fare quattro chiacchiere con il frontman George Clarke nel caotico backstage dell’olandese Roadburn festival. Di seguito il resoconto del nostro breve scambio di battute…
SIETE IN TOUR A SUPPORTO DI “NEW BERMUDA” DA CIRCA UN ANNO E MEZZO. QUANDO AVETE INTENZIONE DI FERMARVI?
“Abbiamo ancora tante date in programma, ma la nostra intenzione è quella di prenderci una pausa durante l’estate per concentrarci sulla stesura di un nuovo album. Abbiamo iniziato a raccogliere idee diversi mesi fa, ma non siamo ancora riusciti a lavorarci sopra come avremmo dovuto, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per pigrizia. Ci piacerebbe tuttavia pubblicare qualcosa di nuovo nella prima parte del 2018, quindi è arrivato il momento di affrettarsi”.
COME VEDI “NEW BERMUDA” OGGI? SEI ANCORA CONTENTO DI QUESTO DISCO?
“Sono molto contento di ‘New Bermuda’. Non è stato facile concentrarsi dopo il grande successo di ‘Sunbather’: la pressione attorno a noi era tanta, ma siamo riusciti a scrivere esattamente il disco che volevamo. Come band non vogliamo ripeterci e credo che ‘New Bermuda’ abbia mandato un bel segnale in questo senso: non è un ‘Sunbather 2’, è un disco che esplora e che mette in risalto un altro lato dei Deafheaven”.
IN COSA SI DIFFERENZIA DA “SUNBATHER” SECONDO TE? LO VEDI DAVVERO COME UN GRANDE PASSO IN AVANTI PER LA BAND?
“Penso che saremo sempre un gruppo che compone pezzi molto lunghi, ma rispetto a ‘Sunbather’ vi è meno atmosfera: volevamo togliere un po’ di spazio alle parti eteree e mettere davanti i riff di chitarra. Durante la composizione del disco ascoltavamo spesso vecchi idoli come Slayer e Testament e questo loro approccio al lavoro di chitarra si è fatto largo anche nel nostro songwriting. ‘New Bermuda’ è un album particolarmente teso e diretto per i nostri standard. E’ sicuramente il disco più pesante fra i tre che abbiamo pubblicato sinora: vedo questi lavori come una trilogia e ‘New Bermuda’ è andato a lambire atmosfere e registri che avevamo esplorato poco sino a quel momento. Lo trovo un disco particolarmente azzeccato”.
PENSI CHE QUESTO INDURIMENTO SIA NATO ANCHE COME REAZIONE ALLE CRITICHE CHE RICEVETE DA QUANDO SIETE ESPLOSI? IL VOSTRO LOOK, LA COPERTINA ROSA DI “SUNBATHER”, LE FORTI INFLUENZE NON METAL… E’ ORMAI COSA NOTA CHE TANTI METALLARI NON VI VEDANO DI BUON OCCHIO.
“La gente può pensare di noi quello che le pare: il nostro modo di comporre e di presentarci non verrà mai influenzato da pressioni e pareri esterni. Questa storia che non siamo davvero un gruppo metal è ormai vecchia e noiosa: noi ci sentiamo una metal band. Non siamo certo la prima formazione che fa ricorso ad altre influenze per arricchire la propria proposta. Un gruppo come gli Alcest era già solito mescolare black metal e dream pop diversi anni prima che noi ci formassimo. E potrei citare tante altre realtà della scena depressive black metal che facevano più o meno lo stesso. Noi non abbiamo inventato nulla di nuovo, abbiamo semplicemente offerto la nostra interpretazione di certi generi e, in un modo o nell’altro, siamo poi arrivati a riscuotere un certo successo. Abbiamo lavorato tanto per comporre musica di qualità e per portare in alto il nostro nome: ridurre tutto ad una copertina o ad un taglio di capelli è ridicolo”.
NON PENSI QUINDI CHE I DEAFHEAVEN SIANO UNA BAND ORIGINALE?
“Io penso che il nostro stile sia ormai facilmente riconoscibile, così come è inconfondibile il modo in cui dosiamo gli elementi. Se poi mi chiedi se abbiamo inventato un genere, allora non mi sento di rispondere in maniera affermativa. Abbiamo preso degli elementi da dei generi che abbiamo sempre amato e li abbiamo uniti cercando di dare alle canzoni uno sviluppo coerente e personale. Probabilmente a nessuno era mai venuto in mente di mettere dei blastbeat sotto ad una melodia ispirata dagli Smashing Pumpkins e noi lo abbiamo fatto, ma non possiamo definirci gli inventori di quel tempo di batteria nè di quel particolare mood chitarristico. Forse siamo una band che più di altre ha sviluppato tale combinazione, per quanto strana possa suonare”.
“SUNBATHER”, COME HAI ACCENNATO ANCHE TU, E’ GIA’ CONSIDERATO IL VOSTRO CAPOLAVORO. COME SPIEGHI IL SUO ENORME SUCCESSO?
“E’ un disco nato sulle ali dell’entusiasmo: io e il nostro chitarrista Kerry lo abbiamo composto in quattro o cinque mesi nel salotto di un piccolo appartamento, una volta tornati dal tour di ‘Roads to Judah’. Avevamo riscosso un certo successo nei mesi precedenti, il debut album era andato bene e la vita on the road ci aveva fatto prendere piena coscienza del potenziale di questa band. In realtà la line-up si era completamente sfaldata, ma io e Kerry siamo comunque sempre stati le menti del gruppo, così non abbiamo fatto altro che scrivere e confrontarci ogni giorno, una volta rincasati dai rispettivi lavori part-time. Non so come spiegare il suo successo: è forse uscito in un momento in cui il pubblico e i media erano particolarmente ricettivi per una proposta come la nostra. Quello che so per certo è che si tratta di un album davvero sentito e passionale, che fotografa alla perfezione un particolare momento delle nostre vite”.
I TUOI TESTI SONO SEMPRE AUTOBIOGRAFICI. MI HA COLPITO IL TITOLO “NEW BERMUDA”: DI COSA PARLA L’ULTIMO ALBUM?
“Il disco è un’altra fotografia di un determinato momento della mia vita. I testi sono riflessioni sulla mia nuova vita a Los Angeles, città nella quale mi sono trasferito da un paio d’anni, dopo essere cresciuto nel Nord della California. Avevo nella mia mente un’immagine di questa città che ho dovuto ampiamente rivedere una volta trasferitomi. ‘New Bermuda’ parla sostanzialmente di questo: viaggiare avendo in mente determinate aspettative, pensare di arrivare in un paradiso e poi fare i conti con le difficoltà di sempre e con nuove sfide che non pensavi possibili”.
SAI GIA’ DI COSA PARLERAI NEL PROSSIMO ALBUM?
“Si tratterà nuovamente di un lavoro autobiografico, ma non ho ancora deciso che taglio dare ai testi. Kerry e io vogliamo prima completare la stesura della musica e delle linee vocali, solo successivamente penserò alle parole. Come ti dicevo, penso che ‘New Bermuda’ abbia chiuso un capitolo della storia di questa band; il prossimo album dovrà rappresentare un nuovo inizio sotto tanti aspetti”.
CI FANNO GIA’ CENNO DI CHIUDERE. VEDO CHE INDOSSI UNA MAGLIETTA DEI MORBID ANGEL: NON POSSO CHE CHIEDERTI COSA PENSI DEL RITORNO DI STEVE TUCKER IN FORMAZIONE…
“Sono contento perchè la prima volta che ho visto i Morbid Angel dal vivo Tucker era al microfono, quindi, pur amando i primi album, se penso alla band la prima cosa che mi viene in mente è quel concerto con lui. Sono piuttosto fiducioso per il loro prossimo lavoro: Azagthoth e Tucker insieme hanno scritto ottimi brani quando hanno collaborato. Questo nuovo inizio potrebbe dargli nuovo entusiasmo”.