DECAPITATED – I venti della creazione

Pubblicato il 09/06/2021 da

Una chiacchierata con Vogg, chitarrista e mastermind dei polacchi Decapitated, non si rifiuta mai, a maggior ragione quando l’occasione viene fornita dalla ristampa di “The First Damned”, compilation uscita nel 2000 e contenente i primi due fantastici demo della band, quei “Cemeterial Gardens” e “The Eye of Horus” che avrebbero poi spianato la strada all’irripetibile esordio su Earache “Winds of Creation”. Raggiunto su Zoom dopo una lunga giornata in studio di registrazione, il Nostro – dapprima timido e visibilmente stanco – si è presto lasciato andare ad una conversazione-fiume sulle origini del gruppo, su aneddoti più o meno noti legati alla sua carriera e su ciò che sta bollendo in pentola sia sul fronte Decapitated che su quello Machine Head, ribadendo una caratura e uno spessore umani in cui non è affatto facile imbattersi, a prescindere dall’ambito musicale…

CIAO VOGG, BENTORNATO. LA PRIMA DOMANDA È FORSE UN PO’ SCONTATA, MA PERCHÈ QUESTA RISTAMPA IN QUESTO MOMENTO DELLA VOSTRA CARRIERA?
– Ci sono varie ragioni. La prima è che quando “The First Damned” venne pubblicato nel 2000 dalla Metal Mind Productions non molti fan dei Decapitated ebbero modo di acquistarlo, visto che la sua distribuzione interessò quasi esclusivamente la Polonia. Da allora sono trascorsi vent’anni, l’interesse nei confronti della band è alto, quindi renderlo nuovamente disponibile, permettendo a tutti di scoprire una fase fondamentale della nostra carriera, mi sembrava potesse essere una buona idea. Credo ci siano molti ascoltatori là fuori che non conoscano le nostre origini e la nostra prima line-up… persone che si sono avvicinate ai Decapitated negli ultimi cinque/dieci anni e che non hanno idea da dove abbiamo cominciato a muovere i nostri passi. È però una storia molto interessante da raccontare, che va oltre la possibilità di sentire dei ragazzini alle prese con del materiale così veloce, tecnico e pesante. Insomma, i motivi dietro questa ristampa sono diversi e piuttosto validi… spero (ride, ndR).

HAI REGISTRATO IL PRIMO DEMO DEI DECAPITATED QUANDO ERI LETTERALMENTE UN RAGAZZINO. CHE RICORDI HAI DI QUEL PERIODO?
– La prima cosa che vedo siamo noi nella nostra sala prove. Ricordo che intorno al 1996 ci trovavamo a suonare ogni martedì. Eravamo soltanto un gruppo di ragazzini molto legati tra loro che amavano divertirsi e vivere le stesse esperienze. Parlavamo di musica, fumavamo sigarette, giocavamo a calcio, guardavamo film… e suonavamo metal (ride, ndR). Frequentavamo anche la stessa scuola di musica, quindi non era raro incontrarsi in classe o lungo la strada per andare a lezione. Era tutto connesso, e ripensandoci non posso non definirla una bellissima infanzia. Quattro teenager da una piccola città nel sud della Polonia per cui la musica era tutto nella vita. Ricordo anche la nostra prima volta in studio di registrazione, il viaggio in treno per arrivarci, e l’eccitazione generale che aleggiava su quel momento… bei tempi, davvero.

COSA SIGNIFICAVA SUONARE QUEL GENERE DI MUSICA NELLA POLONIA DI METÀ ANNI NOVANTA?
– Sarò sincero: era una cosa abbastanza normale. Nulla di così fuori dal comune. C’era un sacco di gente che ascoltava quel tipo di musica e il metal era molto popolare in Polonia. Il death e il thrash erano ovunque e non si può dire che i fan mancassero. Dal canto nostro, eravamo fieri di suonare in un gruppo e ci sentivamo molto ‘cool’ per questo. In città i ragazzi ci incoraggiavano e supportavano, compresi quelli più grandi, e la cosa ci riempiva d’orgoglio. Voglio dire… quando hai quindici/sedici anni e i ragazzi verso cui nutri un po’ di timore vengono a complimentarsi con te, iniziando poi a rispettarti e a guardarti in modo diverso, non puoi non gasarti (ride, ndR)!

CHI SCELSE IL VOSTRO MONICKER?
– L’idea fu di Sauron, il nostro primo cantante. Eravamo sia migliori amici che compagni di banco ai tempi della scuola, e fu proprio lui a dirmi “Ehi, potremmo mettere su una band… ho già pensato al nome: Decapitated”. Era un grande fan dei Vader, e volle prendere spunto dal brano “Decapitated Saints” contenuto in “The Ultimate Incantation”. Senza dubbio suonava molto bene per un gruppo death metal, per cui dissi sì senza starci troppo a pensare. Era un ragazzo molto intelligente e che leggeva tanti libri, anche se non si può dire fosse il migliore della classe o il più amato dagli altri studenti. Aveva un modo di fare tagliente che non a tutti andava a genio, ma tra noi la chimica fu immediata.

SIETE ANCORA IN CONTATTO?
– Ovviamente sì, siamo ancora amici. Ci siamo sentiti al telefono giusto un paio di giorni fa. Adesso vive a Varsavia, ma forse entro la fine dell’anno tornerà a Cracovia e potremo vederci più spesso. Abbiamo avuto degli attriti in passato, fondamentalmente perchè eravamo giovani e stupidi, ma li abbiamo superati. La connessione che c’è tra noi, legata all’essere cresciuti insieme e all’avere condiviso certe esperienze, non passerà mai. È mio amico e lo sarà per tutta la vita.

RICORDI COME AVVENNE IL TUO PRIMO INCONTRO COL DEATH METAL?
– Questa è una domanda molto difficile. Ricordo che quando ascoltai “Rapture” e “God of Emptiness” dei Morbid Angel, da “Covenant”, rimasi di pietra e che quelle canzoni furono decisive nello spingermi a suonare questo tipo di musica. Ricordo che ero ossessionato dall’esordio dei Deicide e che ogni volta che lo mettevo su mi cagavo sotto dalla paura. Ricordo che quando ascoltai per la prima volta “Domination” pensai “WOW! È incredibile!”. Il primo contatto con il death metal avvenne però con i gruppi della scena europea: Unleashed, Morgoth, Gorefest, Pestilence. Un mio cugino più grande, questo è un dettaglio importante, aveva una grande collezione di dischi. Old school death metal, thrash metal americano… avendo circa dieci anni in più di me, mi introdusse lui a certe sonorità, e le trovai da subito affascinanti. Non era soltanto questione di brutalità, c’era qualcosa di magnetico in quei vinili e in quelle cassette. Qualcosa che sapeva portare il tuo corpo e la tua mente altrove, in modo quasi spirituale.

COME AVVENNE LA FIRMA CON L’EARACHE PER IL VOSTRO DEBUT ALBUM?
– All’epoca del nostro secondo demo, “The Eye of Horus”, avevamo diversi amici che bazzicavano il mondo delle fanzine e del giornalismo. Uno di loro, peraltro, è diventato un giornalista molto affermato in Polonia e collabora ancora con noi per alcuni testi… Ci sarà anche sul nuovo album. Ad ogni modo, uno di quegli amici era il cantante del mio progetto black metal Lux Occulta, e spedì la cassetta di “The Eye…” al manager dei Vader, a cui piacque molto. Quasi immediatamente ci propose di collaborare con lui, vedendo nella nostra band del potenziale e spingendoci il più possibile per farci ottenere un contratto discografico. E la Earache si fece subito avanti. Avvenne tutto molto velocemente e per noi fu quasi uno shock. Un’etichetta inglese, la stessa di gruppi che amavamo come Morbid Angel e Napalm Death… Per dei ragazzini senza nessuna vera esperienza alle spalle era qualcosa di sconvolgente.

PER CITARE UN CELEBRE BRANO DEI FEAR FACTORY, VEDI LA MUSICA COME UNA TERAPIA PER COMBATTERE IL DOLORE?
– Assolutamente sì. Sono convinto che la musica possa aiutare le persone in momenti e periodi terribili. Io stesso, grazie alla musica, ho potuto liberare più volte il mio dolore. Dirò una cosa scontata, ma la musica rappresenta una grossa influenza per il nostro stato d’animo… Voglio dire, se la prima cosa che fai appena sveglio è mettere su gli Slayer, allora quella non potrà che essere una giornata stupenda, giusto? Tutto andrà benissimo, per forza (ride, ndR).

PER RIMANERE IN TEMA DI SITUAZIONI DIFFICILI, ERAVATE IN TOUR CON BEYOND CREATION, INGESTED E ALTRI QUANDO LA PANDEMIA È SCOPPIATA LO SCORSO ANNO. COM’È STATO VIVERE QUEI MOMENTI?
– Uno schifo. Il giorno di quello che poi si rivelò essere l’ultimo show iniziarono ad arrivarci un sacco di voci di corridoio, sia vere che false, e sul tour bus l’atmosfera era molto tesa. La tournée stava andando alla grande, avevamo iniziato a Berlino con più di 500 persone, gli show fino a quel momento erano stati ottimi… Ma da quel momento in poi tutti smisero di pensare alla musica e iniziarono a riflettere sulla situazione in sé. I Beyond Creation, che sono canadesi, partirono l’indomani. Noi avevamo Ken Bedene degli Aborted alla batteria, e anche lui fece lo stesso, essendo cittadino americano; nel frattempo i governi stavano iniziando a chiudere i confini, la situazione era davvero complicata, ma venne gestita nella maniera più professionale possibile. Mi assicurai che tutti i musicisti fossero accompagnati in aeroporto e messi al sicuro su un volo. Valutammo di proseguire con le date inglesi, ma ormai la situazione era compromessa e il clima generale terribile. La gente era spaventata. Non si poteva continuare in quelle condizioni.

QUALCHE MESE FAI HAI DICHIARATO CHE IL NUOVO ALBUM, ATTUALMENTE IN FASE DI REGISTRAZIONE, SAREBBE STATO UN TRIBUTO A VECCHI MAESTRI COME MORBID ANGEL, SUFFOCATION E DEICIDE… LO CONFERMI? SE SÌ, C’È UNA RAGIONE PARTICOLARE DIETRO QUESTO RITORNO ALLE ORIGINI?
– Ricordo quella dichiarazione e ricordo anche che tra me e me pensai “Accidenti, l’album non è ancora finito, potrei aver fatto un danno” (ride, ndR). Ad ogni modo, è vero: la gente deve prepararsi a rimanere scioccata. Senza rinnegare quanto fatto negli ultimi anni, è comunque un disco death metal molto intenso. Siamo tornati alla brutalità, alla velocità, ai blastbeat… Penso che chi lo ascolterà rimarrà sorpreso in maniera molto positiva. Oltre a questo, presenterà diversi elementi inediti per noi, soluzioni che non avevamo mai approcciato prima… È un lavoro che necessita di essere ascoltato nella sua interezza, visto che non c’è un singolo brano che possa rappresentarlo al 100%. Ad esempio, pur essendo una sorta di ritorno alle origini, credo sia anche il nostro album più melodico. Non aspettatevi un sequel di “Anticult”.

FACENDO UN ALTRO SALTO INDIETRO NEL TEMPO, HO LETTO UN POST SU FACEBOOK NEL QUALE AFFERMAVI CHE PER DIVERSE RAGIONI, PER MOLTI ANNI, NON SEI RIUSCITO AD APPREZZARE UN DISCO COME “THE NEGATION”. TI ANDREBBE DI SPIEGARCI MEGLIO QUESTI MOTIVI? CREDO SIA IL MIO ALBUM PREFERITO DEI DECAPITATED…
– Non sei il primo che me lo dice, molta gente lo apprezza tantissimo. Per anni il mio punto di vista è stato influenzato da questioni extramusicali, che riguardavano più che altro il mio stato d’animo in quel momento. Studiavo a Cracovia, sicuramente fumavo troppa erba e mi ridussi all’ultimo a scriverlo. Gli studi di registrazione erano prenotati, mancavano poche settimane e avevo soltanto delle idee abbozzate in testa… Fu molto stressante. Non avevo un computer o un programma musicale su cui salvare le cose, quindi ero obbligato a tenermi tutto a mente. Non si può dire che la vivessi bene, e probabilmente il mio mood si trasmise alla musica. Non soltanto da un punto di vista musicale, ma anche lirico, “The Negation” è senza dubbio il disco più oscuro della nostra carriera. Forse è per queste ragioni che, guardandolo dalla mia prospettiva, non mi rendeva fiero del lavoro svolto. Non ero al 100% né mentalmente, né fisicamente. Una volta portato a termine ero stravolto, volevo solo pubblicarlo e lasciarmelo alle spalle. Adesso però è diverso, capisco il perché di quel momento e penso sia un bel disco, con una grande atmosfera, ottimi riff e forse i migliori assoli che abbia mai inciso. Essere musicisti e avere una band non è un viaggio semplice, è come la vita: a volte bisogna superare delle parti che all’inizio non si capiscono, lasciando passare del tempo per poi guardarle da un’altra prospettiva. Non è solo party, after party, amicizie e cose di questo tipo. Quando la musica è qualcosa per esprimere il meglio di te stesso, e per qualche ragione non ci riesci o non ti senti soddisfatto, può essere davvero frustrante. Ora comunque riesco anche a vedere i bei momenti di quel periodo, come l’alchimia e il clima che c’erano tra me, mio fratello e Sauron.

DI QUALE DISCO DEI DECAPITATED TI SENTI PIÙ FIERO?
– Non ne ho uno in particolare, sono fiero di tutti i nostri album. Penso che ogni disco immortali un diverso momento e soprattutto un diverso me, sia dal punto di vista anagrafico che umano. Non posso dire quale sia il migliore e quale invece il peggiore. Sicuramente è stato così in passato con “The Negation”, ma ora è diverso e mi sento fortunato nel poter dire che tutto il catalogo della band mi soddisfa.

COME VANNO INVECE LE COSE CON I MACHINE HEAD?
– Grazie per la domanda! Siamo in attesa di poter riprendere gli show, visto che i piani per il tour celebrativo di “Burn My Eyes” non erano ancora conclusi quand’è scoppiata la pandemia. Sono certo che Robb voglia continuarlo. Detto questo, mi sento davvero bene con la band e nutro un sincero rispetto per lui. Mi ha accolto in un momento molto difficile della mia vita, senza dare peso a certe cose. Dopo aver visto la mia audizione video mi chiamò immediatamente, offrendomi il lavoro.

PER MOLTI, ME COMPRESO, SI È TRATTATA DI UNA SCELTA INASPETTATA…
– È stato del tutto un fuoriprogramma. In quel periodo non ero neanche così aggiornato sui Machine Head. Voglio dire, sono sempre stato un grandissimo fan di “Burn My Eyes”, ma dopo quel disco, per anni, li ho ascoltati solo quando capitava, con singoli come “Ten Ton Hammer” ed “Aesthetics of Hate”… Quando poi venne annunciato il tour della reunion ricevetti un messaggio di Robb su Messenger, nel quale scriveva che gli avrebbe fatto piacere vedermi in Polonia e magare suonare una canzone insieme. Mi parlò della seconda line-up e a quel punto pensai che avrei potuto dare una mano. Mi preparai, inviai il video e ottenni il posto di secondo chitarrista. All’inizio non ci credevo. Voglio dire, sono i Machine fucking Head! È incredibile. Far parte del tour celebrativo di uno dei dischi della tua infanzia, potendolo ascoltare ogni sera suonato dalla formazione originale, è un’esperienza impagabile. Non vedo l’ora di tornare a suonare con loro. Di recente ho anche inciso e mandato a Robb degli assoli per la nuova musica che è in cantiere. Non posso dire molto al riguardo, se non che è davvero pesante… Sicuramente diversa da quella di “Catharsis”, ha quasi delle influenze death metal.

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