Nella normalità, la morte fa paura: parlare della morte mette a disagio, alcuni, addirittura, protestano quando si trattano certi argomenti.
In ambito metal invece – ma anche qui non è così scontato – la triste mietitrice assume spesso i panni di una protagonista con la quale si va a braccetto, di una compagna di vita, onnipresente nei titoli, nei testi, nelle copertine e nel vestiario tipico del metallaro medio.
C’è chi poi, per chiudere meglio il cerchio, ha deciso di mettere una pietra sopra al discorso, chiamandosi semplicemente Deceased: la band americana, guidata da quarant’anni da Kingsley ‘King’ Fowley, ha fatto della morte il proprio credo, portandola con sè in ogni album, sino all’ultimo “Children Of The Morgue”, nel quale lo stesso Fowley ha voluto portare in musica lo stato più emotivo della questione.
Ed è stato proprio con il leader del gruppo statunitense che abbiamo parlato del nuovo disco targato Deceased e dei temi affrontati al suo interno: uscito temporaneamente dalle ‘caverne’ della Virginia, si è reso disponibile dimostrando ancora una volta schiettezza e passione. Buona lettura!
CIAO KINGSLEY E BENTORNATO. PRIMA DI PARLARE DEL NUOVO “CHILDREN OF THE MORGUE”, TORNIAMO BREVEMENTE AL NOVEMBRE DI SEI ANNI FA, QUANDO LA SODDISFAZIONE DI AVER PUBBLICATO IL BUONISSIMO “GHOSTLY WHITE” COINCISE CON LA TRISTE SCOMPARSA DEL VOSTRO BATTERISTA DAVE CASTILLO, AL QUALE DEDICASTE L’ALBUM STESSO. CHE RICORDO HAI DI QUEL PARTICOLARE MOMENTO?
– È stato terribile. Eravamo così carichi ed orgogliosi per ciò che avevamo appena fatto… e poi è successo. Una tragedia, ho perso uno dei miei migliori amici sul pianeta. È stato davvero terribile.
VI SIETE SUBITO RIMBOCCATI LE MANICHE, METTENDOVI ALLA RICERCA DI UN NUOVO BATTERISTA. AVETE QUINDI ASSOLDATO AMOS RIFKIN CON IL QUALE AVETE RILASCIATO DUE ALBUM DI COVER, IN ATTESA DI “CHILDREN OF THE MORGUE”. PERCHE’ AVETE SCELTO PROPRIO RIFKIN?
– In realtà Dave pochi mesi prima che avvenisse il tragico evento, mentre guardavamo suonare Amos insieme ai Death Of Kings, mi disse “se mai mi succedesse qualcosa, questo ragazzo può suonare quello che faccio”. Non solo, è stato lo stesso Amos ad inviarmi in seguito una lettera dicendo che sarebbe stato felice di aiutarci se avessimo avuto bisogno di qualcuno. Per cui, diciamo che è stata una scintilla di benedizione in un momento negativo.
VENIAMO QUINDI AL VOSTRO “CHILDREN OF THE MORGUE”: UNA SORTA DI CONCEPT ALBUM SULLA MORTE. QUANDO HAI DECISO DI DEDICARE UN DISCO AD UN TEMA SICURAMENTE NON NUOVO ALL’INTERNO DEL PANORAMA METAL MA CHE, NEL VOSTRO CASO, ASSUME CONTORNI QUASI PERSONALI, CHE SI RIFANNO DIRETTAMENTE AL NOME DELLA VOSTRA BAND?
– E’ un concetto che sta prendendo forma dentro di me: stiamo tutti invecchiando e la vita va avanti.
Volevo raccontare una storia vera, di vero orrore su questa terra; raccontare cose di cui la maggior parte delle death metal band non aveva ancora scritto in maniera approfondita. Era giunto il momento di sviluppare questo argomento per intero.
CHI SONO I “CHILDREN OF THE MORGUE” E COME VIENE SVILLUPATO IL CONCEPT LUNGO IL DISCO?
– Semplice: i bambini rappresentano ogni persona collocata sul pianeta Terra. Siamo tutti figli della terra e col tempo diventeremo figli dell’obitorio, dove l’obitorio mondiale rappresenta la morte. Il concetto parla del singolo individuo che muore, dove andrà quando sarà giunta la sua ora, se crede nell’aldilà; parla delle persone rimaste sulla Terra che soffrono per la sua mancanza, di come affrontano la sua dipartita.
UN QUADRO VARIEGATO ED INTENSO, BEN RAPPRESENTATO ANCHE DALLA COPERTINA DEL DISCO, DETTAGLIATA NEI MINIMI PARTICOLARI. CI PUOI DIRE QUALCOSA IN PIU’ A RIGUARDO?
– E’ opera di Desmond Ambrose (già al lavoro con i Warbringer nei loro primi due album, ndr), un mio amico. È un’idea che ho avuto diverso tempo fa e insieme a Desmond l’abbiamo sviluppata negli ultimi diciotto mesi. Direi che ha fatto proprio un ottimo lavoro.
PARLIAMO DI MUSICA: OGNI NUOVO ALBUM MOSTRA LA VOSTRA CAPACITA’ DI ESPANDERE IL SUONO, DI ANDARE OLTRE, DI TROVARE NUOVI SPAZI ALL’INTERNO DELLA VOSTRA OSCURA CAVERNA.
IN SEDE DI PRESENTAZIONE DEL DISCO, AVETE CITATO DISCHI DEL PASSATO COME “FEARLESS UNDEAD MACHINES”. RITIENI CHE “CHILDREN OF THE MORGUE” SIA UNA SORTA DI COMPENDIO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA?
– Esattamente. Sento, sia a livello sonoro sia a livello emozionale tutta la nostra storia nella musica; le cose semplici di tutti giorni, i momenti più intricati. E li possiamo trovare in tutti gli arrangiamenti; insieme a una migliore esecuzione, ad una produzione di spessore e ad una band che ha raggiunto l’apice dopo quarant’anni di carriera.
E ANCHE QUESTA VOLTA, NEL NUOVO DISCO TROVIAMO IN PRATICA DI TUTTO: PARTI LENTE, PARTI VELOCI, TRISTEZZA E MELODIA. COME RIUSCITE OGNI VOLTA A DEFINIRE IL GIUSTO MIX?
– Essendo l’arrangiatore delle canzoni, voglio che la dinamica venga fuori quando necessaria, che un determinato argomento porti la giusta dose di emozione in un preciso momento del brano, che si tratti dell’aggressività di un pezzo come “Eerie Wavelenghts” o della cupezza di “Terrornaut”. È sempre una sfida far funzionare le canzoni, ma adoro la sfida.
L’ALBUM INIZIA CON LA TITLE-TRACK: SEMBRA ESSERE IL MOMENTO PIÙ IMPORTANTE E SENTITO DELL’ALBUM. LA PORTA DELL’OBITORIO A DARE IL BENVENUTO ALL’ASCOLTATORE. SUL FINALE ARRIVA TUTTAVIA “FAREWELL”, E CON ESSO CI ARRIVA UN ALTRO STREPITOSO PUGNO IN FACCIA. COME PUOI DESCRIVERE I DUE BRANI?
– Ogni canzone è semplicemente una cosa a sé. Sono molto orgoglioso della title-track: la trovo istantanea e molto accattivante. “Farewell” è speciale perchè riprende la melodia verso la fine del pezzo, così da chiudere in maniera perfetta il cerchio dell’intero album. Entrambe si adattavano a ciò che volevamo.
IL VOSTRO MARCHIO DI FABBRICA È IL DEATH METAL DA VOI DEFINITO “FROM THE GRAVE”. TUTTAVIA, È SEMPRE BEN PRESENTE LA VOSTRA PASSIONE PER IL CLASSICO HEAVY METAL, CHE VA A COLLEGARE IL TUTTO. UN APPROCCIO PROLIFICO E DURATURO SIN DALL’INIZIO DEGLI ANNI ’90?
– Fin dal primo giorno, abbiamo sempre fatto ciò che volevamo. Abbiamo imparato e siamo cresciuti nel tempo senza seguire tendenze, o particolari frangenti di ‘adattamento’. Così era e così sarà: il death metal from the grave che assorbirà tutte le nostre influenze musicali, dall’heavy al death, dal thrash al punk e a tutto il resto.
OGNI VOLTA CHE ESCE UN ALBUM DEI DECEASED, DAI CRITICI DEL SETTORE E DAI FAN S’INNALZANO SPESSO COMMENTI NEI VOSTRI RIGUARDI: ‘BAND DIMENTICATA’ O ‘SOTTOVALUTATI’.
NEL CORSO DEGLI ANNI, POI, LA VOSTRA E’ QUINDI DIVENUTA UNA CULT BAND: TI PIACE QUESTO TIPO DI RICONOSCIMENTO O AVRESTI PREFERITO PIU’ VISIBILITA’?
– Ti assicuro che stiamo benissimo sotto il radar. Non siamo qui per ricevere pacche sulle spalle ma solo per scrivere la musica che amiamo. Se piace a qualcun altro è solo un bonus; lo facciamo innanzitutto per noi!
DA QUI IL VOSTRO DISINTERESSE NEI CONFRONTI DI QUALUNQUE TREND. PUR IMMAGINANDO LA RISPOSTA, TI CHIEDO: È STATO DIFFICILE MANTENERE IL VOSTRO STILE E LA PROPRIA IDENTITÀ NEGLI ANNI?
– Nient’affatto. Anzi, ridiamo nel vedere quelle persone che seguono diagrammi a torta o altri grafici simili per cercare di avere successo. Fanculo! Viva l’integrità nella musica!
IN VISTA DEI PROSSIMI EVENTI LIVE, SUONERETE L’ALBUM NELLA SUA INTEREZZA?
– Magari un giorno, ma non ho in mente di farlo adesso. Al momento faremo solo un excursus di tutta la nostra discografia, inserendo ovviamente alcuni brani del nuovo disco.
LA TUA BAND SI PREPARA A SOFFIARE QUARANTA CANDELINE: COME DEFINIRESTI QUESTI PRIMI QUARANT’ANNI DI DECEASED?
– Selvaggi! È un viaggio pazzesco e anche nelle parti tragiche della vita è tutta una lezione di apprendimento. I Deceased faranno sempre quello che vorranno e lo faranno nel miglior modo possibile, sia nei momenti difficili, sia in quelli grandiosi per rimanere rigorosamente con i piedi per terra.