E’ sempre un piacere parlare con una band del calibro dei Deep Purple, una formazione che ha fatto letteralmente la storia e ciononostante non sembra intenzionata a fermarsi, continuando a macinare album e concerti. Questa volta il nostro interlocutore è Don Airey, il tastierista che, a partire dal suo ingresso nella formazione nel 2002, si è lentamente imposto come uno dei perni centrali nella nuova vita della band inglese. Complice un bagaglio tecnico e strumentale stratosferico, Don Airey è stato in grado di portare nuova linfa ed entusiasmo alla band, non meno di Steve Morse quando venne chiamato a sostituire un genio come Ritchie Blackmore. L’occasione per questa chiacchierata è data da “Turning To Crime”, un album di cover che ha aiutato la band ad ammazzare il tempo durante il lockdown.
DON, DOPO TANTI ANNI, ANCHE PER I DEEP PURPLE E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI REGISTRARE UN ALBUM DI COVER. COME MAI? HA A CHE FARE CON LA PANDEMIA IN CORSO?
– Sì, esatto, per via della pandemia abbiamo dovuto cancellare tutti i nostri concerti e nessuno sapeva come sarebbe andata, avrebbe potuto segnare la fine del music business così come lo conosciamo. Mi pare che l’idea di fare un album di cover sia partita da Bob Ezrin, perché è una cosa che avremmo potuto realizzare anche da remoto. Ne abbiamo parlato per un po’ al telefono e lì abbiamo iniziato a buttare giù qualche titolo. Ed ecco come è nato tutto.
COME AVETE SCELTO LE CANZONI? E’ STATO UN LAVORO DI GRUPPO?
– Sì, ciascuno di noi ha dato il suo contributo nella scelta. Ad esempio eravamo tutti d’accordo fin da subito nel fare una cover di “Oh Well” (originariamente composta dai Fleetwood Mac, ndR), poi ciascuno ha lavorato separatamente su delle tracce demo, per fare un arrangiamento di base. Io ho preparato quattro tracce, lo stesso ha fatto Steve (Morse, ndR) per altre quattro canzoni e anche Roger (Glover, ndR). Queste demo sono stati poi inviate a Bob, che le ha raccolte e centralizzate. A quel punto ciascuno di noi ha potuto lavorare sulle tracce degli altri, aggiungendo il proprio contributo. Bob riceveva quindi la traccia modificata e la mandava alla prossima persona e così via, fino ad arrivare alla versione definitiva. E’ stato un lavoro complesso e macchinoso, ma non avevamo alternative, essendo bloccati per il lockdown.
INVECE COSA PUOI DIRMI SULLA SCELTA DEL TITOLO “TURNING TO CRIME”?
– Ad essere onesto il titolo è stato scelto dall’etichetta discografica, ma funziona. L’idea è che noi in questa occasione non stessimo facendo il nostro lavoro abituale, cioè creare nuova musica, ma che ci fossimo ‘dati al crimine’, rubando le canzoni degli altri. Un gioco che abbiamo portato avanti anche nel video (di “Oh Well”, ndr).
TRATTANDOSI DI CANZONI NON SCRITTE DA VOI, SU QUESTO DISCO VI SIETE POTUTI CONCENTRARE ESCLUSIVAMENTE SUGLI ARRANGIAMENTI E L’INTERPRETAZIONE. CHE APPROCCIO AVETE USATO NELL’AFFRONTARE IL MATERIALE SCRITTO DA ARTISTI ANCHE MOLTO DIVERSI DA VOI?
– Credo che il modo migliore per affrontare una cover sia quello di rimanere grosso modo fedeli alla canzone originale. Magari aggiungendo qualche piccola deviazione, come ha fatto ad esempio Steve su “Oh Well”, dove ha aggiunto una sezione strumentale. Io l’ho fatto su “Boogie Woogie Flu”, dove ho scelto un cambio di tonalità e qualche altro piccolo accorgimento. Insomma, non devi esattamente copiare, ma rimanere comunque vicino all’originale.
GUARDANDO LA SCALETTA DELLE CANZONI, SI NOTA COME TUTTE LE TRACCE ABBIANO ALLE SPALLE DIVERSI DECENNI. SI VA DALLA FINE DEGLI ANNI CINQUANTA, FINO AGLI INIZI DEGLI ANNI SETTANTA. LA COSA HA PERFETTAMENTE SENSO, CONSIDERANDO LA LUNGA CARRIERA DEI DEEP PURPLE STESSI, TUTTAVIA SAREMMO CURIOSI DI SAPERE COME MAI NON ABBIATE SCELTO NULLA PROVENIENTE DAGLI ANNI OTTANTA O NOVANTA.
– E’ curioso come a nessuno sia venuto in mente di scegliere qualcosa di successivo. Credo che ciascuno di noi abbia proprio voluto omaggiare le proprie origini. Così abbiamo scelto una canzone di Bob Dylan, che è stato una grande influenza per Roger Glover; “Let The Good Times Roll” è una delle preferite di Ian Paice, perché il jazz fa parte della sua natura e adora musicisti come Buddy Rich e via dicendo e ci teneva quindi a fare qualcosa in un stile swing jazz. E così via, canzone dopo canzone. C’è una cosa da dire, però: sono convinto che l’essenza di un album di cover come questo stia nell’evitare il più possibile di fare cover di brani rock. Avremmo potuto tranquillamente aggiungere qualcosa dei Boston o dei Chicago, ma non penso che avrebbe funzionato. Funziona quando ci sono generi diversi che si incontrano, come in “Boogie Woogie Flu”. Una delle mie preferite poi è “White Room”, un vero e proprio classico, che non abbiamo voluto minimamente cambiare. E non è affatto una canzone facile. Sembra facile, ma non lo è.
NOI SIAMO RIMASTI ANCHE MOLTO SORPRESI DA “THE BATTLE OF NEW ORLEANS”.
– Ha sorpreso anche me!
ALLA VOCE OLTRE A IAN GILLAN CHI CANTA, ROGER GLOVER?
– Sì, è Roger. Lui e Ian Gillan suonavano assieme in una band, gli Episode Six, ed erano soliti suonare “The Battle Of New Orleans” in quegli anni. Dal vivo ci è capitato di accennarla qualche volta, all’interno di qualche medley o improvvisazione, e anche in quelle occasioni Ian avvicinava il microfono a Roger e la cantavano assieme. Dei bei momenti! Che poi è l’essenza stessa di questo album, riuscire a divertirsi in un momento molto buio. Il lockdown, la pandemia, sono state cose spaventose per l’umanità intera e per l’industria musicale, noi abbiamo solo cercato di dare un po’ di leggerezza a questa situazione, suonando una manciata di canzoni.
LE TUE PRIME ESIBIZIONI CON I DEEP PURPLE RISALGONO AL 2001, QUANDO JON LORD ERA ANCORA NELLA BAND, MA PER UN PROBLEMA DI SALUTE AVEVA DOVUTO RINUNCIARE AD ALCUNE DATE. QUEL TOUR TOCCO’ ANCHE L’ITALIA E, AD ESEMPIO, NOI ERAVAMO PRESENTI IN UNA BELLISSIMA DATA A TORINO. COSA RICORDI DI QUELLE PRIME ESIBIZIONI? TI SEI TROVATO SUBITO A TUO AGIO O ERI SOTTO PRESSIONE?
– I primi tre concerti devo dire che sono stati difficili, perché ovviamente c’era una grande enfasi sulle tastiere. Però ricordo che arrivato al terzo concerto, Roger si girò verso di me mentre suonavamo e mi chiese: ‘Ti stai divertendo?’. E fu lì che mi resi conto che sì, mi stavo divertendo! Fu un bellissimo tour e mi divertii davvero tanto, oltretutto non avevo idea che Jon avrebbe lasciato la band. Per me allora era solo un tour fantastico, con persone fantastiche, grande musica, belle location… un vero piacere! Fui molto sorpreso quando seppi dell’abbandono di Jon… E ancora di più quando mi chiesero di sostituirlo (ride ndR)! E mi ricordo perfettamente la data di Torino, anche perché quella fu la sera in cui l’Inghilterra vinse contro la Germania 5 a 1. Eravamo tutti sul tour bus a vedere la partita e fu eccezionale!
IN CHE MODO PENSI CHE LA TUA MUSICALITA’ ABBIA CONTRIBUITO A CAMBIARE I DEEP PURPLE?
– Non credo di aver cambiato i Deep Purple; al contrario, loro hanno cambiato me. Ho imparato molto con loro, sono diventato un musicista migliore e spero anche un uomo migliore. Sono persone meravigliose e ciascuno di loro conosce cose che io non so e assieme ci completiamo. Amo il mio lavoro e posso dire di aver contribuito con il mio 20% (essendo la band composta da cinque elementi, ndR) alla sopravvivenza della band.
SEBBENE L’HARD ROCK E L’HEAVY METAL POSSANO VANTARE ALCUNI TASTIERISTI ECCEZIONALI, DI SOLITO QUESTO STRUMENTO NON E’ CONSIDERATO CENTRALE IN QUESTI GENERI, SE NON CON POCHISSIME ECCEZIONI. A TUO PARERE QUALI CARATTERISTICHE DOVREBBE AVERE IL PERFETTO TASTIERISTA IN UNA BAND ROCK?
– Devi avere senso dell’umorismo e poi devi essere paziente. Come dicevi tu, il rock in generale non è guidato dalle tastiere, quanto piuttosto dalle chitarre o dalla voce. Quindi il tuo lavoro è quello di rifinire il tutto. La maggior parte dei chitarristi ha almeno una vaga idea di quello che deve fare, ma qualunque tastierista deve sapere esattamente tutto quello che fa. Nei Deep Purple la caratteristica fondamentale è sapere quello che fai con l’organo hammond, e già questo non è un requisito da poco, soprattutto se devi seguire le orme di un musicista come Jon Lord.
HAI CITATO L’HAMMOND, CHE PERO’ NON ERA IL TUO STRUMENTO PRINCIPALE PRIMA DI ENTRARE NEI DEEP PURPLE. QUAL E’ LO STRUMENTO CON CUI TI SENTI PIU’ A TUO AGIO NEL MONDO DELLE TASTIERE?
– Credo di essere abbastanza versatile. Se proprio dovessi scegliere, probabilmente mi vedrei più come pianista, ma mi piace molto lavorare anche con i sintetizzatori. E’ come ti guadagni da vivere, quindi devi conoscere i tuoi strumenti. Adoro anche il moog, che è uno strumento bellissimo: possiedo tre mini-moog, due sempre mezzi rotti, ma l’altro funziona alla perfezione. Quello che devi fare è adattare il tuo strumento alle necessità della musica, soprattutto se sei un tastierista, perché gli ascoltatori vogliono percepire colori diversi rispetto a quelli del basso e della chitarra. Le tastiere aggiungono un tocco di mistero.
TI VA DI RIPERCORRESE ASSIEME ALCUNI MOMENTI DELLA TUA CARRIERA AL DI FUORI DEI DEEP PURPLE? TU HAI SUONATO CON TANTISSIMI ARTISTI DI ALTO CALIBRO. OLTRE AI DEEP PURPLE, QUALI SONO GLI ARTISTI CHE TI HANNO AIUTATO DI PIU’ A CRESCERE E CHE RICORDI CON MAGGIORE AFFETTO?
– Sicuramente Gary Moore. Era un musicista eccezionale, un grande cantante, un autore strepitoso, sia per i testi che per le musiche, e il suo modo di suonare la chitarra era quasi senza pari. Era difficile tenere il suo passo, perché era così creativo da sembrare quasi posseduto, ma è stata un’esperienza incredibile lavorare con lui. Un altro nome che farei è quello di Cozy Powell, poi John Hiseman… Sono stato molto fortunato per aver conosciuto questi musicisti e per aver contribuito alla loro musica.
NEL 1997, INVECE, HAI VINTO L’EUROVISION SONG CONTEST CON UNA CANZONE DI KATRINA & THE WAVES, “LOVE SHINE A LIGHT”. COME SEI FINITO IN UN CONCORSO COME QUESTO?
– (Ride, ndR) E’ stato molto strano! Io lavoravo come session man e avevo registrato questa canzone che era fondamentalmente un brano folk. Allora proposi di farne una versione più rock e la ri-registrammo da capo con questa nuova veste. La canzone venne mandata a Jonathan King (un produttore che si occupava di selezionare le canzoni inglesi per partecipare al concorso, ndR) e venne scelta per l’Eurovision Song Contest. La cosa più incredibile è che mi chiamarono anche a condurre l’orchestra che accompagnava l’esibizione. E’ stato un bel weekend, ma ciò che era nato quasi per caso poi si è trasformato in qualcosa di molto più serio. Ci siamo resi conto di avere per le mani qualcosa di importante e abbiamo lavorato sodo, anche se non ci aspettavamo certo di vincere. Però è stato divertente.
INFINE E’ VERO CHE AGLI INIZI DELLA TUA CARRIERA TI SEI TROVATO A SCRIVERE CANZONI PER UN COMICO, ROY HUDD?
– Sì, ero all’università e facevo parte di questo gruppo di studenti che si divertiva a scrivere dei ‘bozzetti satirici’. Partecipammo ad una manifestazione ad Edimburgo, il Fringe Festival, e lì avemmo un grande successo. Roy Hudd allora venne da noi e ci chiese di scrivere qualche canzone per lui e tutto iniziò così.
TORNANDO AL PRESENTE, NEL 2022 DOVREBBE FINALMENTE RIPARTIRE IL TOUR CHE AVEVATE PROGRAMMATO PER L’USCITA DI “WHOOSH” E CHE NON AVETE POTUTO COMPLETARE. ORA INVECE ABBIAMO UN NUOVO ALBUM: PENSI CHE ENTRAMBI I NUOVI LAVORI TROVERANNO POSTO NELLA SCALETTA DEI CONCERTI?
– Penso di sì, probabilmente faremo un paio di canzoni per ciascuno dei due album. Credo che “Whoosh” sia un ottimo album, uscito in un momento sfortunato, ma che contiene delle grandi canzoni. Per quanto mi riguarda, credo sia la cosa migliore che abbia fatto da quando sono entrato nei Deep Purple. Sono molto soddisfatto del risultato finale e sono sicuro che avremo modo di suonare alcune canzoni dal vivo.