Il 2017 potrebbe essere un anno decisivo nella storia dei Deep Purple: un nuovo album in studio, il ventesimo, che li vede ancora in grandissima forma, ma allo stesso tempo anche l’annuncio di “The Long Goodbye Tour”, che forse potrebbe segnare l’addio alle scene di una delle più grandi live band della storia. Con grande piacere, quindi, ci siamo ritrovati in un lussuoso albergo milanese per fare quattro chiacchiere con il batterista Ian Paice, che si dimostra interlocutore disponibile e cortese, lontanissimo da qualunque atteggiamento da star di chi potrebbe permetterselo dall’alto della sua statura artistica. E’ mattina e la nostra intervista sarà la prima di una lunga serie di appuntamenti che porteranno Ian Paice e Roger Glover in giro per Milano tra radio, TV e giornalisti, fino all’evento serale organizzato per presentare il documentario “From Here To inFinite”, che racconta la genesi del nuovo album. Abbiamo poco tempo, quindi, e il musicista si scusa di non potercene dedicare di più, prima di congedarsi. Ci sediamo quindi ad un tavolino nella camera dell’hotel, in quel silenzio ovattato dato dalla spessa moquette che ricopre il pavimento, e iniziamo.
CIAO IAN, BENVENUTO SU METALITALIA.COM. INIZIAMO SUBITO PARLANDO DEL NUOVO ALBUM: IL TITOLO “INFINITE” HA UNA GRAFICA CHE ACCENTUA LA DIMENSIONE DELLA LETTERA F, CREANDO UN CONTRASTO TRA ‘FINITO’ E ‘INFINITO’. COSA VOLEVATE COMUNICARE CON QUESTA SCELTA?
“Ci piacerebbe prendere il merito della scelta, ma non possiamo! Siamo pessimi nella scelta dei titoli! Tutti arrivano con un’idea e poi non ne va mai bene una. La earMusic, che ha amato molto l’ultimo album, con quella sua immagine ben definita, il punto di domanda e quello esclamativo, voleva un’altra immagine che contenesse un segno forte dal punto di vista visivo e quando è arrivato il nuovo logo, con la D e la P, uno dei ragazzi ha detto ‘hey, sembra il segno infinito’, così abbiamo pensato di legare il segno del logo con la parola ‘infinito’. Poi abbiamo pensato di renderlo un po’ più ambiguo, ingrandendo il carattere della F, in modo da dare alle persone qualcosa in più su cui riflettere, perchè se ci pensi, una volta che la musica viene registrata è immortale, è infinita, rimane per sempre… I musicisti no. C’è la consapevolezza del fatto che siamo al mondo solo per un certo lasso di tempo, ma la musica rimane per sempre. Finché ci sarà qualcuno che mette un vinile su un giradischi o un CD nello stereo, la musica va avanti. E poi c’è anche il simbolismo della nave, che avanza in questa terra desolata: si sarà incagliata, si sarà persa, andrà avanti, tornerà indietro? Sono delle piccole riflessioni che funzionano e ne siamo contenti, ma alla fine non è stata una nostra idea, ma della casa discografica”.
ANCHE PER QUEST’ALBUM AVETE COLLABORATO CON BOB EZRIN. VUOI RACCONTARCI COME E’ ANDATA QUESTA VOLTA?
“Quando abbiamo registrato ‘Now What?!’ è stato così piacevole tornare in studio come non ci capitava da vent’anni o giù di lì. Registrare un album era qualcosa che sentivamo di dover fare, per mantenerci vivi, per trovare nuovi spunti musicali, ma non ci divertivamo. Quando abbiamo iniziato a lavorare con Bob, ci ha tolto tutte le pressioni che avevamo: ha scelto lo studio, ha deciso i tempi, ha contribuito alla costruzione della musica, rendendo la registrazione nuovamente un lavoro fatto per passione e non per dovere. Ci siamo divertiti tanto. Una band come la nostra può stare in studio tre, quattro, cinque mesi, un anno, ma Bob vive lì, è il suo mondo. Quando lavori con una persona così, devi capire che, fondamentalmente, lui è il capo. Il suo lavoro è tirar fuori il meglio da te e farlo nel minor tempo possibile. E questa è un’altra cosa importantissima, che è valsa per lo scorso album, ma soprattutto per questo: tutto è stato registrato al massimo in tre takes, almeno il master, poi ci sono stati ovviamente vari aggiustamenti e rifiniture, ma tutto è stato fatto molto velocemente e questo significa che quelle registrazioni sono state fatte quando sei ancora immerso nel processo creativo, stai costruendo qualcosa che cinque minuti prima non esisteva. Quando suoni una parte dieci, dodici, quindici volte, quello che stai facendo è ricreare qualcosa che hai già fatto in passato e non è lo stesso. Anche se lo fai alla perfezione, non lo è.”
SI PERDE TUTTA LA SPONTANEITA’…
“Diventa completamente sterile, incominci a pianificare quello che hai appena fatto e perdi quei nanosecondi di magia che nascono quando hai dei musicisti che suonano assieme e lo fanno una volta sola. Lui ci ha permesso di fare questo e il suo team è eccezionale: non ti ritrovi seduto in studio a cercare il sound che ti serve, ha scelto già lo studio con il sound giusto, ti siedi alla batteria e ‘bang’, quindici minuti dopo stai già registrando. E questo ha un effetto tonificante, ti diverti. Le mie parti sono state registrate in soli sette giorni, tutte le tracce in sette giorni e poi me ne sono andato lasciando lì i ragazzi a lavorare (ride ndR)”.
DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, MI SEMBRA CHE “INFINITE” SIA PIU’ CUPO RISPETTO ALL’ALBUM PRECEDENTE. ANCHE SOLO PRENDENDO IN ESAME LA SCELTA DEI DUE SINGOLI: “TIME FOR BEDLAM” PARLA DI UN UOMO RINCHIUSO IN UN MANICOMIO E “ALL I GOT IS YOU” PARLA INVECE DI UNA RELAZIONE IN CRISI…
“Sì, è senza dubbio un album più cupo di ‘Now What?!’, da un punto di vista lirico forse è anche più profondo, si pone più domande. Alla fine ogni canzone narra una storia, non ci sono canzoni d’amore: a volte si basano su fatti reali, altre volte sono storie completamente inventate. Ad esempio, ‘Time For Bedlam’ è pura immaginazione, ma parla di un posto che è davvero esistito: immagina di essere un antagonista del Governo, la cosa più semplice che si possa fare per liberarsi di te sarebbe dire che sei pazzo. ‘Non sei d’accordo con noi? Sei sicuramente fuori di testa’. E’ diverso dal subire un processo, dove tutti possono ascoltare quello che dici e anche se vieni imprigionato per motivi politici, puoi sempre uscirne. Se ti dichiarano pazzo, nessuno può ascoltarti e ti ritrovi rinchiuso per sempre. Questo succedeva davvero nel passato e ci sono Paesi dove accade tutt’ora. Quindi se mi dici che l’album ti sembra più cupo è vero, perchè il mondo è diventato un posto più cupo rispetto a quattro anni fa. Ovviamente quando scriviamo i testi veniamo influenzati da quello che accade nel mondo: sono accaduti fatti terribili negli ultimi quattro anni e questo ha un effetto anche sulla scrittura. Noi siamo sempre stati una band apolitica, non abbiamo mai preso una posizione netta in questo senso, perchè riguarda la nostra vita privata, ma questo non ci impedisce di commentare quello che accade nel mondo. Non c’è niente di sbagliato in questo, anzi, serve a far riflettere un po’ le persone. Ci sono degli aspetti oscuri anche in “Birds Of Prey”, ad esempio: viviamo in un mondo che è ancora relativamente pacifico, ma ci stiamo avvicinando sempre di più allo scontro tra civiltà”.
NEI DEEP PURPLE E’ SEMPRE STATO FONDAMENTALE IL DIALOGO TRA GLI STRUMENTI E QUESTA VOLTA PENSO CHE IL PUNTO DI FORZA SIA IL LAVORO DI DON AIREY, CHE HA POTUTO ESPRIMERSI AL MEGLIO NON SOLO CON L’ORGANO E IL PIANOFORTE, MA ANCHE CON TUTTO UN ARSENALE DI TASTIERE E SINTETIZZATORI CHE HANNO DATO UN TAGLIO MOLTO PROGRESSIVE ALL’ALBUM.
“Quando abbiamo registrato l’album precedente, Don era ‘il nuovo membro del gruppo’, anche se ormai suonava con noi da tanto. Perchè quando prese il posto di Jon Lord non era ancora il quinto elemento del gruppo, era il musicista che suonava dove prima c’era Jon. Poi, col tempo, è diventato un membro a tutti gli effetti dei Deep Purple e ‘Now What?!’ è stato il suo primo vero album in studio, anche se avevamo già registrato nello studio di Michael Bradford (gli album ‘Bananas’ e ‘Rapture Of The Deep’ ndR), e a quel punto Don si sentiva a casa nella band, si sentiva a suo agio e abbastanza sicuro da poter proporre le sue idee. Tutto questo è avvenuto su ‘Now What?!’, mentre ora si può concedere di realizzare tutto quello che gli viene in mente, perchè sa di avere diritto di dire la sua esattamente come qualunque altro membro della band. Inoltre ha una tecnica straordinaria e riesce sempre a sorprenderti, ma devi sempre scegliere ciò che è meglio per la musica: se un brano ha necessità di una chitarra preponderante, allora le tastiere resteranno sullo sfondo, ma quando tocca alle tastiere potersi esprimere, allora Don ha la tecnica e la fantasia per far funzionare il tutto”.
QUESTA VOLTA AVETE DECISO DI INSERIRE ANCHE UNA COVER, IL CHE NON E’ ESATTAMENTE UNA VOSTRA ABITUDINE. BISOGNA ANDARE PARECCHIO INDIETRO NEL TEMPO PER TROVARNE UNA NELLA TRACKLIST DI UN VOSTRO ALBUM IN STUDIO. COME MAI “ROADHOUSE BLUES”?
“Se pensi al nostro primo album, era quasi tutto composto da cover! E’ stato solo con l’arrivo di Roger (Glover ndR) e Ian (Gillan ndR) che ci siamo sentiti di avere un team di autori sufficientemente solido da proporre i nostri pezzi originali. Ma quando abbiamo fatto ‘Now What?!’ ci siamo detti, così, per divertirci: ‘perchè non scegliamo una canzone di un periodo che per noi è stato molto importante?’. Una canzone che fosse significativa per tutti noi, per l’età che abbiamo, e abbiamo scelto un brano della fine degli anni ’50, dell’era del rock ’n’ roll, perchè veniamo tutti da lì: ci è scattata la scintilla e abbiamo detto ‘ehi, questa ci piace’. Così abbiamo scelto una canzone di Jerry Lee Lewis, ‘It’ll Be Me’ (inserita come bonus track nell’edizione speciale di ‘Now What?!’ ndR), ma sarebbe potuta essere una di Little Richard o di Fats Domino. Ci siamo divertiti un sacco e così Bob ha detto, ‘facciamolo ancora!’, ma nessuno aveva un’idea precisa di cosa scegliere. Una sera, però, avevo suonato in uno dei miei concerti paralleli che faccio con le tribute band e c’era questa formazione tedesca davvero brava, si chiamano Purpendicular, dovresti andare a vederli se ti capita… Comunque, ci stavamo esibendo in un club una sera e stavamo suonando ‘Black Night’ e c’era il giusto groove e il cantante Robbie Walsh ha iniziato a cantare ‘Roadhouse Blues’, perché ha lo stesso tempo, lo stesso groove; io mi sono girato e ho visto i musicisti che sorridevano e poi ho guardato il pubblico e anche loro avevano dei sorrisi a trentadue denti, mentre scuotevano le teste al ritmo della musica, e mi sono detto ‘ehi, è grandioso, è stata un’idea fantastica’. Poi non ci ho più pensato, ma quando ci siamo ritrovati in studio a cercare una cover mi è tornata in mente e ho detto: ‘l’ho già suonata con una band, so che funziona, so che effetto fa sulle persone che la ascoltano’. Ci siamo detti: ‘ok, prendiamoci venti minuti di tempo per vedere se funziona, mal che vada abbiamo buttato via venti minuti…’. Così ci siamo presi cinque-dieci minuti per decidere come farla, Bob è tornato nella cabina di controllo e l’abbiamo suonata e registrata al primo colpo, in una sola take… armonica, voce, tutto live. La registrazione è anche un po’ più lunga di quella che senti sul disco, perché ci stavamo divertendo, è andata bene e l’abbiamo messa sul disco”.
OVVIAMENTE NON POSSO ESIMERMI DAL CHIEDERTI QUALCOSA DEL PROSSIMO “THE LONG GOODBYE TOUR”. CI STIAMO TUTTI CHIEDENDO SE QUESTA SARA’ L’ULTIMA OCCASIONE CHE AVREMO PER VEDERE I DEEP PURPLE ALL’OPERA SU UN PALCO…
“Quel giorno si sta avvicinando, non importa quanto cerchiamo di far scorrere più lentamente le lancette, continuano a ticchettare. Penso che questo sarà l’ultimo tour di grandi dimensioni, ma quanto durerà questo ‘lungo addio’? Se dovesse durare due anni, bene, se fosse tre, meglio ancora. Magari faremo un tour di due anni, poi ci prenderemo una pausa per riprendere con un altro tour più piccolo. O magari ci fermeremo per sempre, o forse ci sarà spazio per un altro disco. Non puoi andare avanti a fare tour di queste dimensioni per sempre, devi accettare la realtà dei fatti, cioè che gli anni sono contro di te. Nessuno di noi vuole fermarsi, te lo assicuro, ma comprendiamo che quel giorno sta arrivando. Non l’abbiamo voluto chiamare ‘ultimo tour’, perchè da un punto di vista emotivo sarebbe troppo doloroso. Perchè chiudere una porta su cinquant’anni della tua vita se non è necessario? La porta si sta chiudendo, ma non ancora del tutto”.
ECCO, VOLEVO APPUNTO CHIEDERTI QUESTA COSA: TU SEI L’UNICO MEMBRO DEL GRUPPO AD AVER VISSUTO TUTTA LA STORIA DELLA BAND. DOVUNQUE CI FOSSE UN CONCERTO DEI DEEP PURPLE, IN QUALUNQUE POSTO DEL MONDO, TU ERI LI’, SEDUTO ALLA BATTERIA DIETRO AI RAGAZZI. COME TI SENTI ALL’IDEA CHE TUTTO QUESTO POSSA FINIRE?
“Ci sarà un po’ di tristezza, ma non ho intenzione di smettere di suonare la batteria finchè sarò fisicamente in grado di farlo e finchè la cosa mi divertirà. Non c’è differenza se mi trovo davanti a 20.000 persone oppure a 200 in un pub, continuo a suonare perchè questo rende felice prima di tutto me. Se poi anche gli altri sono contenti, ben venga! Quando da ragazzo ti avvicini ad uno strumento, che sia la batteria, la chitarra, la tromba, il violino, lo fai per fare qualcosa per te stesso e questo non bisogna mai perderlo, anche se diventa il tuo lavoro della vita. Devi continuare a suonare per essere felice e a quel punto davvero non importa se lo fai per 100 persone o 10.000, stai facendo quello che ami e lo fai per le persone. E’ come in una conversazione: non usi le parole, ma stai comunque comunicando con qualcuno; tutta l’arte è comunicazione, come quando guardi un quadro che ti piace o al contrario un quadro che non comprendi. Lo stesso vale per la musica, la scultura, la drammaturgia, tutte le arti: se riesci a creare una connesione, allora tutto va al suo posto e funziona”.
SO CHE LO SCORSO ANNO HAI AVUTO ANCHE UN PROBLEMA DI SALUTE, UN PICCOLO ICTUS CHE, FORTUNATAMENTE, NON HA AVUTO CONSEGUENZE GRAVI. QUESTO EVENTO SPIACEVOLE HA CONTRIBUITO ALLA VOSTRA DECISIONE DI RALLENTARE UN PO’ I RITMI DAL VIVO?
“Non è stata una conseguenza diretta, però anche questo ha contribuito a ricordarmi che gli anni passano e cose che dieci anni fa non sarebbero successe, ora iniziano a capitare. Nel mio caso sono stato molto, molto fortunato: è stato un evento di entità minore, un messaggio di allarme che qualcosa stava andando nel verso sbagliato: non si poteva fare niente per evitarlo, non è stato qualcosa legato allo stile di vita o simili, è un fatto genetico, la pressione sanguigna è salita oltre il limite, il sangue è diventato troppo denso… Devo solo prendere quattro pastiglie al giorno e tutto dovrebbe essere risolto, ma continuiamo a toccare ferro! (mentre dice questo Ian picchietta il dito sul tavolino della stanza in segno scaramantico, dato che l’espressione originale inglese letteralmente significa ‘tocchiamo legno’ ndR). La mano destra ogni tanto mi formicola un po’, ma funziona ancora bene e finchè continuerò a prendere le medicine non dovrebbero esserci problemi”.
PENSI CHE RIUSCIRETE A STUPIRE I FAN IN QUESTO TOUR, RIPESCANDO MAGARI QUALCHE CHICCA MAI PROPOSTA DAL VIVO?
“Stiamo cercando di trovare qualcosa di inaspettato, il problema è che al giorno d’oggi diventa una sorpresa una volta sola, perchè dopo aver suonato la prima data, tutto i mondo lo viene a sapere. E’ impossibile riuscire a sorprendere il pubblico ormai, perchè qualcuno prende la scaletta e la pubblica su Internet, iniziano a girare le recensioni del concerto, il tutto cinque minuti dopo essere tornati a casa. Quando troviamo qualcosa che possa risultare interessante per il pubblico la prendiamo sempre in considerazione, che sia un brano di quattro anni prima come un brano di quaranta, proviamo a metterla in scaletta e vediamo se funziona; però siamo anche consapevoli che ci sono quelle 5-6 canzoni che devi suonare ogni sera per forza, perchè sono quelle che la maggior parte del pubblico è venuto a sentire. Possono essere dei fan dei Deep Purple più ‘casuali’, non dei ‘fanatici’, e loro vogliono sentire ‘Highway Star’, ‘Smoke On The Water’, ‘Perfect Strangers’, ‘Black Night’… E poi bisogna suonare un po’ del materiale nuovo, per farlo ascoltare, e proporlo in modo coinvolgente per chi lo ascolta. Quindi è un lavoro di equilibri, tra il materiale classico che devi suonare e che, comunque, ti diverti ancora a suonare; il nuovo materiale per cercare di educare il pubblico alla nuova musica che suoni e poi ti restano una decina di minuti per provare qualcosa di diverso. E’ proprio una questione di equilibrio: se hai un album solo all’attivo, è facile, lo suoni tutto; se ne hai due, scegli il meglio di entrambi; quando ne hai venti, diventa più difficile, non riuscrai mai ad accontentare tutti. Quello che provi a fare, comunque, è accontentare il 90% del tuo pubblico, che non possiede tutti i tuoi album; al restante 10% provi a dare lo stesso qualcosa di speciale, ma bisogna rendersi conto che la composizione del pubblico è questa”.
GRAZIE, IAN, PURTROPPO IL TEMPO A NOSTRA DISPOSIZIONE E’ TERMINATO E MI RESTA UN’ULTIMA DOMANDA. QUESTA NON E’ DI CARATTERE MUSICALE MA E’ RIFERITA AL TUO PAESE: COSA NE PENSI DELLA BREXIT?
“Ho votato per rimanere, ma devo essere onesto, l’ho fatto solo perchè era conveniente per me: mi piace la semplicità con cui posso muovermi in Europa, mi piace non dover cambiare moneta in ogni Paese… Sono contento però di non avere l’Euro, perchè penso che sia un problema: non per la Germania o altri grandi Paesi, ma per le nazioni più piccole l’Euro è un problema. Non è una questione di tipo finanziario, ma semplicemente politico, nessuna banca avrebbe detto ‘introduciamo l’Euro’. Per quanto riguarda la Brexit, alla fine andrà bene così: ci saranno un paio d’anni di totale confusione, ma poi si sistemerà tutto. Il problema non è l’Europa, è Bruxelles, tutte le nazioni lo sanno. Si sono presi un potere che non è stato conferito dalle persone: se l’avessero chiesto, nessuno gliel’avrebbe dato, ma se lo sono semplicemente preso. Dicono al tuo Governo italiano come deve comportarsi, dicono al Governo inglese cosa deve fare, ci dicono cosa possiamo o non possiamo comprare, nessuno ha deciso che debba essere così. Dovrebbe essere semplicemente un’area di mercato libero e se si potesse tornare a questo non ci sarebbero problemi, ma finchè vorranno creare uno stato federale europeo non funzionerà mai. Tu sei italiano, non vuoi essere tedesco, i tedeschi non vogliono essere danesi e i danesi non vogliono essere italiani. Le nostre culture sono troppo antiche per poterle far diventare ciò che non sono ed è stato fatto passare il concetto assurdo che sia tutto in funzione della pace. Non è così: il commercio tiene viva la pace, non la politica”.