Coi Demon Head si entra in una dimensione di mistero che, a queste latitudini, abbiamo imparato a conoscere tramite le effusioni strumentali di personaggi come Tribulation, In Solitude, Vampire; un clima orrorifico elegante e seduttivo, vibrante per energia e caldo nelle fragorose e incalzanti melodie di acciaio, sangue e velluto. Nel caso della formazione danese, il percorso compiuto finora si è svolto in condizioni abbastanza anomale, attraverso un’evoluzione che li ha portati da un puro hard rock contaminato di blues, all’heavy metal plumbeo, teatrale e sottilmente avanguardistico dell’ultimo “Viscera”. Un’opera allettante, espansa nelle possibilità espressive da un uso ponderato di fiati, organo, chitarra slide, mellotron, iniettati in tracce che per strutture e arrangiamenti compiono un particolarissimo crossover tra classic metal, post-punk, dark rock, senza voler per forza incanalarsi in un filone preciso. Dell’ascesa artistica del gruppo, ora approdato a una label importante come la Metal Blade, abbiamo discusso in lungo e in largo con l’assai disponibile e simpatico cantante, Marcus Ferreira Larsen.
ANALIZZANDO LA VOSTRA DISCOGRAFIA, POSSIAMO APPREZZARE FORTI DIFFERENZE TRA I PRIMI DUE ALBUM E GLI ULTIMI DUE: DALL’HARD ROCK DI “RIDE THE WILDERNESS” E “THUNDER ON THE FIELDS” AL GOTHIC HEAVY METAL DI “HELLFIRE OCEAN VOID” E “VISCERA”, C’È UN PERCETTIBILE CAMBIAMENTO. NONOSTANTE ALCUNI ELEMENTI CHE RIMANGONO DALLA VOSTRA PRIMA FASE DI CARRIERA A QUELLA PIÙ RECENTE, POTRESTI RACCONTARCI COME SONO SCATURITI E SI SONO INTENSIFICATI QUESTI CAMBIAMENTI NEGLI ANNI?
– Penso che ci sia stato un cambiamento abbastanza profondo da quando abbiamo iniziato a suonare assieme come Demon Head; ma, come per una grande quantità di altre cose a questo mondo, tutto è avvenuto a piccoli passi. A volte subisci una crescita (o un declino) che si può percepire direttamente, altre volte ti accorgi improvvisamente che qualcosa intorno a te è cambiato e ti chiedi se per caso non sia successo tutto in un istante, il tempo di chiudere gli occhi e riaprirli. “Ride The Wilderness” è stato un album molto immediato da realizzare: avevamo fondato la band alcuni anni prima, tutti noi abbiamo dato il nostro meglio per adattarci a un modo semplice di scrivere e suonare musica con un taglio hard rock, molto differente da quanto eravamo abituati a fare nelle nostre precedenti esperienze legate al metal estremo. Abbiamo cercato di avere un sound con poche stratificazioni, ridotto all’osso in ogni elemento; ci siamo orientati per una registrazione diretta su nastro e un utilizzo minimo degli effetti. Per dire, anche l’overdrive in quel periodo non lo vedevamo con molto favore. Ma già allora erano presenti sottili elementi di orchestrazione, con pianoforte, chitarra slide, organo e coro, che in realtà erano notevolmente più presenti su “Thunder On The Fields”: lì, sfortunatamente, finirono molto nascosti a causa del mixaggio. In “Thunder On The Fields” ci siamo concentrati maggiormente sulla forma, la melodia e l’armonia, e anche il ritmo penso sia sottilmente ma notevolmente più diversificato, rispetto al primo album.
Ogni volta che abbiamo pubblicato un disco, penso che abbiamo compiuto significativi passi avanti. Mentre scrivevamo la musica per un album, con la mente eravamo già proiettati a quello successivo e stavamo pensando a quali miglioramenti ottenere. Ci piacciono le sfide in campo musicale, ci rendiamo le cose sempre più difficili, in modo da poter spingere la nostra comprensione della musica più a fondo, imparare qualcosa di nuovo ogni volta. Ad un certo punto, dopo “Thunder On The Fields”, stavamo iniziando a perderci felicemente in una nuova ‘foresta di suoni’, al di fuori della nostra comprensione del genere, e questo, unito al desiderio di esplorare armonie e melodie più oscure, ha portato a “Hellfire Ocean Void”. Quell’album è stato estremamente impegnativo, dalla sua scrittura fino alla pubblicazione. Abbiamo speso così tante energie su di esso che una volta pubblicato ci siamo sentiti svuotati di ogni energia, situazione perdurata per diverso tempo. Personalmente, quello è stato il momento in cui la musica è diventata di nuovo eccitante: perché avevamo trovato qualcosa di nostro, oscuro e profondo. Paradossalmente, era musica che potesse anche divenire una buona colonna sonora per un viaggio in autostrada. Ed è solo una delle molteplici dimensioni musicali ed emotive che riesco ad associare a “Hellfire Ocean Void”. “Viscera” è il passo successivo del percorso intrapreso finora: una tappa fondamentale, durante la quale ci perdiamo sempre di più in un mondo a noi sconosciuto. Stavolta il songwriting si è accentrato su un’unica persona, Birk (Gjerlufsen Nielsen, uno dei due chitarristi, ndR) ha scritto quasi tutta la musica per questo album e poi l’ha offerta al resto della band, come un bellissimo regalo. Questo ci ha allontanato dal nostro consueto processo di scrittura, molto collettivo, ma è stato salutare come una boccata d’aria fresca. Rapportarci a tonalità sonore così poco convenzionali non è così semplice, ma ci è sembrato fin da subito qualcosa di molto accattivante. Questo album è stato molto divertente da realizzare, impegnativo ma ugualmente gratificante. Mi sono dovuto adattare a scrivere testi e melodie vocali che concordassero con queste nuove sonorità. Nel complesso, siamo sempre più noncuranti di critiche e accostamenti ad altri generi, ci fidiamo solo e soltanto di noi stessi.
MI PARE POSSEDIATE UNA FORTE FASCINAZIONE PER POST-PUNK, DARK ROCK E DARKWAVE, CHE DANNO PARTICOLARI SFUMATURE AL SUONO E INFLUENZANO MOLTO IL CANTATO, CON IL FORTE ACCENTO SUI BARITONALI. COSA TI PIACE MAGGIORMENTE DELLE CORRENTI MUSICALI CHE TI HO NOMINATO E PERCHÉ LA VOCE BARITONALE È COSÌ IMPORTANTE PER LA MUSICA DI DEMON HEAD?
– Mi piace molto il post-punk, anche se gli preferisco il punk e l’hardcore. Non sono sicuro di conoscere esattamente cosa sia la darkwave, ma la musica oscura proveniente dai sintetizzatori è qualcosa che mi affascina, anche se non mi ci sono mai immerso completamente. La voce baritonale, invece, nasce da motivazioni che non hanno nulla a che vedere coi generi da te citati. Non ho mai cantato in una band prima dei Demon Head, a dirla tutta nessuno di noi nel gruppo aveva tutta questa voglia di cantare, ho cominciato a farlo io perché cantavo da bambino! All’epoca, quando nacquero i Demon Head, ero abituato ad andarmene spesso in giro per Copenaghen in bicicletta, ascoltando i Judas Priest: mi sono accorto che riuscivo cantare in modo più o meno convincente una o due ottave sotto Rob Halford su “Painkiller”, circostanza abbastanza sorprendente per me, dato che la mia voce è piuttosto acuta quando parlo solitamente. Quando più tardi ho scoperto i The Doors, la gamma vocale e le melodie di Jim Morrison hanno cominciato a risuonare dentro di me e ho imparato moltissimo su come avrei voluto cantare ascoltando il loro primo disco e “L. A. Woman”. Inoltre, ho scoperto che ero in grado di dare una buona interpretazione di Bobby Liebling e Billy Idol alle feste di karaoke… Per fortuna gli altri membri del gruppo mi hanno supportato molto nell’imparare a trovare la mia voce, negli ultimi due dischi sento che mi sono avvicinato a uno stile mio personale. Ma non sono un cantante esperto e so che la mia voce può non piacere a tutti. Per quanto riguarda l’ispirazione legata al dark rock, non lo intendo come un genere preciso, piuttosto a un insieme di tonalità frequentato da molti artisti diversi, che suonano a loro volta tipi di musica assai differenti gli uni dagli altri. Penso che siamo generalmente ispirati a trovare gli elementi più oscuri all’interno della musica rock, poiché questa è la strumentazione di base che avevamo come punto di partenza, e ci possono essere molti aspetti nascosti tra gli strati sonori di quello che proponiamo.
COSÌ COME LA MUSICA, ANCHE LA COMPONENTE VISUALE DEGLI ALBUM È ANDATA CAMBIANDO, PASSANDO DALLE BUCOLICHE RAPPRESENTAZIONI DI ANIMALI DEL PRIMO DISCO, ALLE IMMAGINI PLUMBEE DEGLI ULTIMI DUE FULL-LENGTH. PER “VISCERA”, AVETE SCELTO UNA COVER ASTRATTA, IN LINEA CON LE ATMOSFERE TRATTEGGIATE DALLA MUSICA. COSA DOVREBBE RAPPRESENTARE QUESTA IMMAGINE? A COSA VI RIFERITE CON LA PAROLA “VISCERA”?
– Ultimamente ci siamo accorti che molte persone considerano ‘astratta’ l’immagine di copertina, una aspetto del quale, sinceramente, non ci eravamo proprio accorti quando l’abbiamo scelta. Ciò non è per forza una cosa negativa, tutt’altro, nel momento in cui fornisce alle persone un punto di riferimento che guidi la loro immaginazione e l’interpretazione degli scenari che tentiamo di dipingere con la nostra musica. In copertina vi è la foto di un antico manufatto chiamato Haruspex, una piccola scultura prodotta dagli Etruschi. È modellato per assomigliare al fegato di un animale, con piccoli simboli che rappresentano malattie e le sostanze che le possono causare, in modo che una persona che esegue la divinazione delle interiora abbia una sorta di mappa sui malanni che può provocare o guarire su un altro individuo. La foto originaria è stata poi manipolata graficamente dal nostro bassista Mikkel e quindi serigrafato su tessuto per dargli una composizione grafica ancora più lontana dall’immagine di partenza. “Viscera” è diventato il titolo dell’album quando stavo esaminando i testi nella parte finale del processo di scrittura, in quel momento mi sono reso conto che le canzoni trattavano questioni esistenziali a un livello più fisico, diciamo pure ‘inferiore’, al semplice sentimento, concentrandosi anche su desideri e perdite di ognuno. ‘Viscera’ è una parola bellissima, che può indicare sia qualcosa di più profondo del sentimento, sia la carnosità dell’uomo, il suo essere fatto di sangue, ossa, tessuti, muscoli. L’immagine di Haruspex sembrava un perfetto esempio di come gli esseri umani cercano incessantemente il significato di fronte all’assenza di significato, scavando nelle viscere, nell’intimo del fisico degli animali, cercano di capire come funziona il cosmo.
PENSO CHE LE CANZONI MIGLIORI DI “VISCERA” SIANO “BLACK TORCHES” E “THE TRIUMPHAL CHARIOT OF ANTIMONY”, DOVE, IN ALCUNI PUNTI, POSSIAMO SENTIRE DEGLI OTTONI. VORREI SAPERE QUALCOSA DI PIÙ SULL’USO DI QUESTI STRUMENTI, CHE DANNO SOLENNITÀ AI BRANI E SI CONNETTONO PERFETTAMENTE ALLA STRUMENTAZIONE METAL, SENZA SUONARE IN QUESTO CASO QUALCOSA DI ESOTICO E FUORI CONTESTO.
– Le due canzoni citate sono tra le mie favorite di “Viscera”. Sono anche il culmine dei due filoni narrativi del disco, quindi possiamo affermare che entrambe rappresentano il climax dell’album. Gli ottoni sono delle registrazioni di Birk, sulle quali successivamente siamo intervenuti con varie manipolazioni e infine ci abbiamo suonato sopra tramite un dispositivo di campionamento, necessario a seguire la melodie che avevamo in testa. Ciò è andato a unirsi a delle altre registrazioni su nastro, ottenute con un vecchio mellotron, anche queste presente realizzate da Birk. Col tempo ho familiarizzato sempre meglio con il timbro di queste trombe e tromboni suonati leggermente stonati, il loro suono così espressivo, utilizzato in un contesto così strano da quello nel quale saresti abituato a udirli.
SONO ANCHE PRESENTI SU “VISCERA” ALCUNI STRUMENTI ACUSTICI, IL MELLOTRON, UN ORGANO ECCLESIASTICO: QUALE È STATO L’ASPETTO PIÙ ECCITANTE DATO DALL’INTRODUZIONE DI QUESTI STRUMENTI NELLA VOSTRA MUSICA?
– Questi strumenti e gli arrangiamenti orchestrali erano già presenti nei dischi precedenti, ma questa volta abbiamo consentito loro di prendersi un ruolo da protagonisti nelle melodie e nei suoni più sullo sfondo, sono molto contento di come siamo riusciti a far risaltare questa strumentazione. Birk è un compositore di tipi di musica diversi dal rock, dipende molto dalla sua sensibilità l’aver dato un taglio così particolare a “Viscera”, dando importanza a strumenti non classicamente metal. Per me rappresenta una nuova modalità di lavorare sulla musica, mi ha insegnato molto e mi ha concesso, inoltre, nuove forme di ispirazione.
IN “VISCERA” CI SONO SEI TRACCE DI LUNGA DURATA E QUATTRO PIUTTOSTO BREVI, SOTTO I DUE MINUTI: PERCHÉ AVETE COSTRUITO L’ALBUM IN QUESTA MANIERA, CHE FUNZIONE HANNO LE TRACCE PIÙ BREVI PER LO SVILUPPO NARRATIVO DEL DISCO?
– Questa suddivisione dipende da come componiamo gli album: decidiamo abbastanza presto la successione delle canzoni, discutendo cosa serva per portare l’ascoltatore da un capitolo della storia a quello successivo. Va perso qualcosa di importante se le persone ascoltano solo alcune canzoni e ne tralasciano altre, se tu ascolti il disco per intero o solo alcune sue parti, le singole tracce si presentano come lo sfondo di un romanzo o una storia breve, qualcosa che consente un punto di vista verso un altro livello di significato. Oppure puoi anche goderti una breve melodia, qualcuno che suona il flauto e sembra stia soltanto a pochi metri da te in una foresta, poco distante rispetto al sentiero che stai percorrendo. Non siamo comunque molto attenti alla lunghezza dei pezzi, cerchiamo di evitare ripetizioni non necessarie, tagliamo tutto quello che ci sembra superfluo.
LA VOSTRA MUSICA SEMBRA EVOCARE UN IMMAGINARIO LEGATO ALL’HORROR E ALLA MUSICA E LETTERATURA GOTICHE. QUALI SONO LE VOSTRE PRINCIPALI FONTI DI ISPIRAZIONE PROVENIENTI DA QUESTO AMBITO CULTURALE?
– Personalmente sono molto interessato alle spiegazione da una prospettiva culturale di tematiche esistenziali e politiche, che immagino sia un modo elegante per spiegare chi siamo e cosa dovremmo fare nel tempo che ci è concesso rimanere su questa terra. Le liriche, a dire il vero, sono più concentrate su questi aspetti che non su temi legati a horror e occultismo, come magari ci si potrebbe attendere da una band come la nostra. Ammetto però che il linguaggio usato nelle parti più oscure della nostra immaginazione sia molto valido per parlare di dilemmi personali, problemi esistenziali, in alcuni casi vere e proprie ‘crisi’ interiori o dell’ambiente esterno. I testi di “Viscera” risentono dei miei interessi per Odilon Redon, Jorge Luis Borges, Ursula K. LeGuin, Camus, N.K. Jemisin, Octavia Butler, Baudelaire, Emile Verhaehen, China Mieville, Cixin Liu e altri scrittori che hanno conquistato la mia mente nell’ultimo periodo.
PER LE REGISTRAZIONI, VI SIETE AVVALSI DELLA COLLABORAZIONE DI FLEMMING RASMUSSEN (METALLICA, MORBID ANGEL, BLIND GUARDIAN) E MARTIN ‘KONIE’ EHRENCRONA (IN SOLITUDE, TRIBULATION, VAMPIRE). COS’HANNO AGGIUNTO QUESTE COLLABORAZIONI AL VOSTRO SOUND? IN QUALI ASPETTI RASMUSSNE E EHRENCRONA VI HANNO CONSENTITO DI MIGLIORARE?
– In un primo momento abbiamo registrato ogni strumento per conto nostro, a volte è difficile mantenersi creativi quando sei anche l’ingegnere del suono, specialmente quando devi registrare le tracce di batteria di base, quelle che danno la struttura ai brani, che sono spesso un elemento dal quale dipende molto di quello che verrà dopo. Lo studio di Rasmussen è proprio accanto al nostro, così abbiamo deciso di spostare i nostri strumenti da lui per un paio di giorni, per registrare le tracce di basso e batteria. È stata un’esperienza decisamente gradevole. Flemming conosce perfettamente il suo mestiere, lo ha imparato all’epoca in cui imperava l’analogico, abbiamo imparato molto da lui, potendoci concentrare solo sulla performance e senza dover preoccuparci di eventuali problemi tecnici. Successivamente abbiamo trasferito il setup di registrazione mobile in una casetta nei boschi svedesi, dove abbiamo registrato tutto il resto per un periodo di quasi un mese. Dopo quel periodo, che non esiterei a definire un ‘momento magico’, abbiamo inviato l’intera registrazione a Martin per il missaggio. Abbiamo mixato “Hellfire Ocean Void” noi stessi, e questa volta è stato un lavoro che volevamo toglierci dalle spalle: per quel disco ci è voluto un mese di mixaggio ininterrotto, dalla mattina a notte fonda, con Birk che stava nell’appartamento di Mikkel, assieme al sottoscritto. In quel mese siamo entrati tutti e cinque in una specie di psicosi da lavoro. Martin ha capito rapidamente cosa ci piaceva, è molto talentuoso, e penso che abbia portato alla luce molti dettagli che altri mixaggi avrebbero messo molto più in secondo piano. Gli strumenti hanno finito per suonare come veri strumenti, e dà una qualità immediata, una limpidezza, ad un album che molto facilmente avrebbe potuto essere considerato oscuro e chiuso su se stesso.
NEL DESCRIVERVI, HO FORMULATO PARAGONI CON TRIBULATION E IN SOLITUDE, DUE GRUPPI CHE NEGLI ULTIMI ANNI HANNO DIPINTO NUOVI SCENARI NEL CONNUBIO TRA HEAVY METAL ED ELEMENTI GOTICI. COSA NE PENSI DI QUESTI DUE GRUPPI E QUALI POTREBBERO ESSERE LE SIMILITUDINI TRA LORO E I DEMON HEAD?
– Non ho mai ascoltato i Tribulation dopo il primo album, ad essere sincero, ma abbiamo amici in comune e mi parlano molto bene di loro. Mentre gli In Solitude li ho ascoltati molto quand’ero più giovane, musicisti di talento con una sensibilità particolare per la musica. Penso che condividano il mio amore per i Mercyful Fate e strane forme di dark music al di fuori dell’heavy metal. E credo che abbiamo in comune l’immediatezza della NWOBHM e del punk.
TORNANDO A “HELLFIRE OCEAN VOID”, AVETE PERCEPITO DEI CAMBIAMENTI NELLA VOSTRA FANBASE DOPO QUELL’ALBUM? CHE IDEA PENSI SI SIANO FATTI DI “HELLFIRE OCEAN VOID” CHI AVEVA APPREZZATO I PRIMI DUE ALBUM?
– Non mi pare di aver rilevato grossi cambiamenti nella fanbase, anche se ammetto che non faccio molto caso al tipo di persone che ci segue. Tutti quelli a cui piacciono i Demon Head sono egualmente degni della nostra considerazione, senza alcun pregiudizio per la musica che ascoltano, ‘scene’ di appartenenza o altri aspetti.
DOPO QUATTRO ALBUM, UN EP, UNO SPLIT E ALCUNI DEMO, QUAL È LA CANZONE A CUI SEI PIÙ AFFEZIONATO E PERCHÉ?
– Buona domanda! Ed è molto difficile trovarle una risposta! La prima che mi viene in mente è “Labyrinth” da “Hellfire Ocean Void”. Ha una specie di feeling ultraterreno, i testi e il modo in cui cantiamo insieme (io e Birk) fanno sì che l’individualità di noi due venga cancellata. L’abbiamo suonata spesso dal vivo, in una versione ancora più coinvolgente, almeno dal mio punto di vista. Quindi ti direi quella e “In Adamantine Chains” da “Viscera”, per via della melodia principale e dei testi.
STIAMO VIVENDO UN ALTRO ANNO ANOMALO E INCERTO. SE POTESTE PIANIFICARE QUALCOSA PER IL FUTURO, COSA DESIDERERESTE PER LA BAND DA QUESTO 2021?
– Quello che spero sinceramente è che si possa avere la possibilità di trovarsi assieme nello stesso luogo e suonare tutti e cinque come una vera band. Siamo sparsi su tre stati diversi, è difficile incontrarci quando i confini sono chiusi. Per l’estate avremmo un release show con i nostri amici Slægt e un tour pianificato per l’autunno, sempre che più avanti si possa ricominciare a viaggiare. Nessuno può sapere quando finirà il pericolo pandemico, nel frattempo andiamo avanti e continuiamo a prepararci per il futuro.